Abstract
Ai mezzi di controllo proponibili contro i provvedimenti cautelari reali il legislatore del 1988 dedica una regolamentazione più compiuta rispetto al passato, anche se non ancora del tutto lineare. Dopo aver prospettato un sintetico inquadramento logico-sistematico dei diversi gravami, se ne analizzano la natura, i soggetti legittimati, il procedimento e i loro possibili esiti, indicandone difetti, pregi e lacune normative.
Muovendo dall’assunto che anche le misure cautelari reali limitano la libertà (art. 272 c.p.p.), il legislatore del 1988 ha predisposto un regime di controllo delle relative decisioni.
Il sistema – posto a confronto con quello delle misure cautelari personali (artt. 309-311 c.p.p.) – non risulta puntuale e dettagliato, ma farraginoso e di difficile lettura, anche in considerazione della sovrapposizione dei dati normativi.
Così, il riesame del sequestro preventivo è regolato dall’art. 322 c.p.p., che rinvia all’art. 324 c.p.p.; dall’art. 322 bis c.p.p., per l’appello, e dall’art. 325 c.p.p. per il successivo ricorso (le due previsioni richiamano gli artt. 310 e 311 c.p.p.); per il sequestro conservativo, le previsioni sono contenute nell’art. 318 c.p.p. che rinvia, per il riesame, all’art. 324 c.p.p. (relativo al riesame del sequestro preventivo) e, per il ricorso per cassazione, all’art. 325 c.p.p.
A tali previsioni si richiama, poi, in tema di disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 53 d.lgs. 8.6.2001, n. 231, dedicato alle impugnazioni nei confronti del sequestro preventivo, che rinvia agli artt. 324 e 322 bis c.p.p. e, nonostante il mancato rinvio, all’art. 325 c.p.p. (Cass. pen., S.U., 2.7.2008, Fisia Italimpianti, in Guida dir., 2008, fasc. 31, 102).
Ai riferiti rimedi si applicano, nei limiti della compatibilità, gli artt. 568-592 c.p.p., con inevitabili riflessi, fra l’altro, sul piano della tassatività del mezzo, della legittimazione, dell’interesse ad impugnare, della forma del gravame, dei termini e delle spese del procedimento (Cass. pen., S.U., 14.1.1997, D’Ambrosio, in Cass. pen., 1997, 1681).
Il riesame può essere proposto contro il provvedimento cautelare genetico del sequestro preventivo pronunciato da un giudice (art. 322, co. 1, c.p.p.).
È inammissibile se avanzato contro il decreto di sequestro emesso dal p.m. (art. 321, co. 3 bis, c.p.p.) e l’ ordinanza di convalida disposta dal giudice (art. 321, co. 3 ter, c.p.p.), che, in quanto autonomi e indipendenti, sono soggetti a specifici e distinti mezzi di impugnazione: la convalida, si è affermato, «è in sé garanzia giurisdizionale, già sufficiente alla protezione di quelle situazioni soggettive che possono risultare lese dalla violazione del criterio dell’urgenza, attributivo di competenza interinale del p.m.», né potrebbe riconoscersi in questa materia una tutela più ampia e sproporzionata rispetto alla convalida del fermo di indiziato, suscettibile soltanto di impugnazione davanti al giudice di legittimità. D’altro canto, l’ordinamento appresta il riesame e l’(eventuale) ricorso in Cassazione contro l’affermazione di sussistenza dei presupposti per l’ablazione del bene, operata in via stabile con separato decreto del g.i.p. (Cass. pen., S.U., 7.6.2005, Napolitano, in Cass. pen., 2005, 2537).
Come nel caso del riesame avverso le misure cautelari personali il mezzo è predisposto unicamente per i provvedimenti “a sorpresa” che comportano una compromissione dell’esercizio del diritto reale o di godimento su una cosa ed è determinato dalla mancanza di un contraddittorio anticipato, come conferma l’esonero dall’impegno della necessaria presentazione contestuale di motivi (a pena di inammissibilità) non potendo l’impugnante censurare elementi che non ha potuto prospettare al giudice decidente: il riesame è, dunque, un rimedio processuale dal significato «unidirezionale» in quanto previsto solo su iniziativa e interesse dell’imputato, mentre l’appello è accordato per far valere tanto le ragioni della cautela (su iniziativa del p.m.) quanto le ragioni della libertà (su iniziativa dell’imputato e del suo difensore), le quali non abbiano avuto successo in prima istanza: inoltre, la cognizione del tribunale è piena nel caso di riesame e invece limitata dai motivi, contestualmente enunciati, nell’appello (C. cost., 24.3.1996, n. 131).
Il riesame, riguardante il merito e la legittimità, è, infatti, mezzo pienamente devolutivo, svincolato dalla valutazione dei motivi eventualmente proposti, ovvero un gravame a pura funzione difensiva, suscettibile – ricorrendone le condizioni – di possibile estensione degli effetti favorevoli della decisione (ma non dell’impugnazione da altri proposta) (da ultimo, Cass. pen., S.U., 29.3.2012, Wang Zoujiong).
Il gravame non ha effetto sospensivo, pena, altrimenti, il venir meno del vincolo ablativo.
La legittimazione al riesame spetta all’imputato (e alla persona sottoposta alle indagini) nonché, ai sensi dell’art. 99 c.p.p., al suo difensore (Cass. pen., S.U., 11.7.2006, Parnasso, in Giur. it., 2007, 2559), alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla restituzione, cioè quella che possa vantare una posizione giuridica autonomamente tutelabile, sia essa derivante da un diritto soggettivo ovvero da una situazione di mero rapporto di fatto (giuridicamente) salvaguardato. Con l’istanza di riesame non può richiedersi il riconoscimento del diritto di proprietà, tesa esclusivamente a riottenere la disponibilità delle cose sequestrate, dovendosi, in tal caso, ricorrere alla richiesta di restituzione ex art. 263 c.p.p.
La legittimazione è esclusa per il p.m. e la persona offesa, che è portatrice di un diverso interesse (cessazione della situazione di illecito) che può trovare tutela attraverso mezzi di garanzia differenti, esperibili, fra l’altro, nell’ambito del processo civile (C. cost., 23.12.1998, n. 428). Fa, tuttavia, eccezione, l’ipotesi in cui la persona offesa potrebbe avere diritto alla restituzione delle cose sequestrate: in tal caso gli spetta la facoltà di intervento volontario, la produzione di documenti e altri elementi di prova, nel giudizio di riesame da altri proposto (Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, in Giust. pen., 2009, III, 72).
L’impugnante deve avere interesse (diretto ed attuale) al riesame (art. 568 c.p.p.), che va escluso quando la disponibilità della res sequestrata sia stata, nel frattempo, riacquistata dal richiedente o i beni siano stati restituiti ai terzi aventi diritto (Cass. pen., S.U., 24.4.2008, Tchmil, in Foro it., 2008, II, 369; Cass. pen., S.U., 20.12.2007, Normanno, in CED Cass., n. 237861); l’interesse permane, invece, quando la misura sia stata revocata dal g.i.p., purché vi sia, in ogni caso, la possibilità di ottenere un beneficio dalla rimozione del provvedimento, al fine di evitare che dalla misura disposta derivino o possono derivare lesioni di un diritto o di una situazione giuridica comunque tutelata (si pensi all’effetto preclusivo riconosciuto alla pronuncia del tribunale del riesame).
Stante il richiamo dell’art. 27 c.p.p. all’art. 321 c.p.p. (oltreché all’art. 317 c.p.p.) trova operatività la limitata efficacia “temporale” della misura adottata d’urgenza dal giudice che, contestualmente o successivamente all’adozione della cautela, risulti incompetente, e la conseguente, distinta, disciplina dei gravami.
La competenza – funzionale – a decidere è del tribunale in composizione collegiale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento: essa opera nei confronti di provvedimenti cautelari emessi da qualsiasi giudice e anche in ipotesi di provvedimento cautelare eseguito all’estero nell’ambito di un’attività di assistenza giudiziaria rogatoriale (Cass. pen., S.U., 16.4.2003, Monnier, in Cass. pen., 2003, 2992), senza, con questo, determinare alcuna incompatibilità del giudice (C. cost., 21.3.1997, n. 66) e ferma restando la possibilità di far ricorso alle ipotesi di astensione di cui all’art. 36, lett. h), c.p.p. (C. cost., 22.6.2004, n. 181).
La domanda va presentata entro dieci giorni decorrenti dalla data di esecuzione del provvedimento o da quella (diversa) in cui l’interessato ha avuto conoscenza – legale o fattuale – dell’avvenuto sequestro. In caso di domanda tardiva è obbligo del proponente dare prova di non aver avuto conoscenza del provvedimento. Analogo regime vale per il difensore.
La disciplina si sottrae all’operatività dell’art. 585, co. 3, c.p.p., sicché il termine utile per impugnare è unico e coincide con quello valido per l’imputato (Cass. pen., S.U., 11.7.2006, Marseglia, in Cass. pen., 2007, 40), mentre opera il regime della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (Cass. pen., S.U., 24.6.1994, Iorizzo, in Cass. pen., 1994, 2922).
Sotto il profilo formale, la richiesta di riesame deve essere presentata nella cancelleria del tribunale indicato con le forme previste dall’art. 582 c.p.p. o nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo ove si trovano le parti private e i difensori, se il luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, o davanti ad un agente consolare all’estero (Cass. pen., S.U., 18.6.1991, D’Alfonso, in Cass. pen., 1992, 48).
Alcuni contrasti sono prospettati in relazione all’operatività dell’art. 583 c.p.p., non richiamato dall’art. 324 c.p.p., la cui applicabilità è ammessa alla luce della razionale e non giustificabile differenziazione che si determinerebbe, della mancanza di indicazioni contrarie nei lavori preparatori e del favor impugnationis (da ultimo, Cass. pen., S.U., 7.1.2008, Tonelli, in Arch. nuova proc. pen., 2008, 157). È inammissibile il gravame proposto via telefax.
Altro profilo controverso riguarda il richiamo dell’art. 324, co. 7, c.p.p. all’art. 309, co. 9-10, c.p.p.: a seguito alla presentazione dell’istanza di riesame, la cancelleria, infatti, dà immediato avviso all’autorità procedente la quale, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale gli atti su cui si fonda il provvedimento (ricompresa anche la richiesta del p.m.) nonché – dovrebbe ritenersi – anche quelli sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini (l’art. 324, co. 3, c.p.p.). Si è recentemente confermato che, anche dopo le modifiche della l. 8.8.1995, n. 332, per la trasmissione degli atti al tribunale non opera il termine perentorio di cinque giorni previsto dall’art. 309, co. 5, c.p.p., e, in caso di inosservanza del termine, è inoperante la perdita di efficacia del provvedimento (Cass. pen., S.U., 23.3.2013, Cavalli; Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, in Cass. pen., 2008, 4533).
Il procedimento si svolge in camera di consiglio, e almeno tre giorni prima (da ritenersi liberi ed interi), l’avviso della data fissata per l’udienza deve essere comunicato al p.m. presso il giudice competente a giudicare, notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta (non quindi anche alle persone legittimate a proporre la richiesta di riesame, anche al fine di garantire la celerità del rito) (v., di recente, Cass. pen., S.U., 7.3.2002, Munerato Carlino, in Cass. pen., 2002, 2037). Il mancato rispetto temporale non può essere integrato, ma va osservato interamente, a pena di nullità (a regime intermedio), sanata, se non tempestivamente eccepita al momento della verifica della regolare costituzione delle parti (Cass. pen., S.U., 17.4.1996, Pagnozzi, in Cass. pen., 1996, 3286). Per quanto attiene all’imputato o all’indagato si ritiene – non senza contrasti – che egli abbia diritto all’avviso anche quando la richiesta sia stata sottoscritta unicamente dal difensore, mentre a quest’ultimo l’avviso deve essere notificato in ogni caso (v., in termini contrastanti, Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, in Cass. pen., 1997, 1681; Cass. pen., S.U., 10.11.2000, Scarlino, in Dir. pen. e processo, 2000, 1592).
Su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso dell’udienza, questa può essere differita, con scivolamento dei termini della decisione e del deposito del provvedimento, da un minimo di cinque giorni ad un massimo di dieci se vi sono giustificati motivi (art. 309, co. 9 bis, c.p.p. richiamato dal co. 7 dell’art. 324 c.p.p.).
Nel caso in cui l’imputato sia assistito da due difensori, la nullità per omesso avviso è sanata, se non tempestivamente eccepita dal difensore comparso, anche quando l’imputato non sia stato presente (da ultimo, Cass. pen., S.U., 8.10.2009, Aprea, in Dir. pen. e processo, 2009, 1352).
La persona offesa, non è legittimata alla proposizione del riesame e non è destinataria dell’avviso dell’udienza (C. cost., 10.10.2008, n. 339; Cass. pen., S.U., 21.4.2004, Corsi, in Cass. pen., 2004, 3105; Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, cit.), ma ha facoltà di intervento spontaneo nel giudizio, con le stesse prerogative riconosciute al richiedente (produrre documenti ed altri elementi di prova) e di partecipazione all’eventuale successivo giudizio di legittimità (da lui o da altri promosso) con correlativo diritto a ricevere i prescritti avvisi (Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, cit.).
Fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria e alla parte spetta il diritto di estrarre copia degli atti, secondo quanto deciso dalla Corte costituzionale, seppur in relazione ad altre fattispecie (C. cost., 24.6.1997, n. 192; C. cost., 24.1.2000, n. 13). Il verbale è redatto in forma riassuntiva.
La natura e le caratteristiche del procedimento impongono la deroga alle disposizioni relative ai termini; alla declaratoria di inammissibilità (dichiarata in contraddittorio); all’ordine degli interventi e alla disciplina prevista per la discussione nel dibattimento; al principio dell’immutabilità del giudizio, che non opera integralmente ma solo in modo sostanziale; alla non rinviabilità dell’udienza, neppure in caso di legittimo impedimento del difensore, o di irreperibilità dell’imputato (fatta salva la riferita richiesta di rinvio ex art. 309, co. 9 bis, c.p.p. richiamato dall’art. 324, co. 7, c.p.p.).
Il tribunale deve adottare la decisione, da intendersi come “dispositivo” del provvedimento, posta la regola costante del distacco temporale tra deliberazione e deposito, valevole tanto per le sentenze, quanto per le ordinanze, entro 10 giorni o, meglio, alla scadenza della ventiquattresima ora dell’ultimo giorno utile (Cass. pen., S.U., 14.12.1995, Mannino, Dir. pen. e processo, 1996, 604) decorrenti non dalla trasmissione degli atti, ma dalla loro acquisizione integrale (Cass. pen., S.U., 21.7.1993, Dell’Omo, Arch. nuova proc. pen., 1993, 566), pena la perdita di efficacia della misura (Cass. pen., 13.11.2007, Almagià, in Guida dir., 2007, fasc. 50, 89). Per la redazione della motivazione opera il termine di trenta giorni, elevabili a quarantacinque (in ragione della gravità delle imputazioni ed il numero degli indagati), con conseguente perdita di efficacia della misura (art. 309, co. 10, c.p.p. richiamato dal co. 7 dell’art. 307 c.p.p.). La misura non perderà efficacia quando il provvedimento venga depositato in termini, ma risulti invalido, con conseguente annullamento della Cassazione (fra le altre, Cass. pen., S.U., 7.3.2002, Munerato Carlino, cit.; Cass. pen., S.U., 27.6.2001, Di Sarno, in Cass. pen., 2002, 67).
A seguito della modifica di cui al co. 10 dell’art. 309 c.p.p., richiamato dall’art. 324, co. 7, c.p.p., qualora la misura perda efficacia per la mancata decisione e il mancato deposito in termini, la misura non può essere reiterata, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate.
Se l’istanza non è inammissibile (art. 591 c.p.p.), al giudice spetta verificare la competenza territoriale del giudice che ha disposto la cautela (Cass. pen., S.U., 25.10.1994, De Lorenzo, in Giur. it., 1996, II, 352; Cass. pen., S.U., 24.1.1996, Fazio, in Dir. pen e processo, 1996, 1374) e l’esito del procedimento si apre alle ipotesi definitorie della conferma, della riforma o dell’annullamento. Il tribunale, tenuto conto anche degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza (Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, cit.) potrà – fatta salva l’ipotesi della confisca obbligatoria – revocare la misura quando sia rilevabile una palese difformità tra fattispecie legale e fattispecie reale (v., più di recente, Cass. pen., S.U., 4.5.2000, Mariano, in Arch. nuova proc. pen., 2000, 255) ovvero revocare, anche parzialmente, l’atto impugnato, se le condizioni di legittimità del sequestro sussistano solo riguardo ad alcuni beni sottoposti alla cautela. Sarà possibile annullare sia il provvedimento radicalmente invalido (per carenza degli elementi strutturali e deficit radicale di giustificazione dell’atto) sia quello nel quale sia mancata una autonoma valutazione da parte del giudice che ha emesso il provvedimento (art. 309, co. 9, c.p.p., richiamato dall’art. 324, co. 7, c.p.p.) ma anche integrarlo – confermandolo – sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto, di esigenze diverse da quelle poste a fondamento del provvedimento e provvedere alla correzione di errori materiali.
Nonostante le riserve della dottrina, il controllo sui presupposti – secondo le Sezioni Unite ancorché in termini non sempre coincidenti e con articolate prese di posizione e sfumature non marginali delle sezioni semplici – deve svilupparsi nei limiti della verifica, provvisoria e incidentale dell’astratta rilevanza penale del fatto accertato, non escludendosi che l’accertamento – tenuto conto delle contestazioni difensive – della sussistenza del fumus commissi delicti si svolga nel doveroso esercizio del controllo – non formale e non apparente – ma penetrante e preciso di legalità da parte del giudice (Cass. pen., S.U., 25.10.2000, Poggi Longostrevi, in Dir. pen. e processo, 2001, 58; Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, cit.).
Il tribunale escluderà la permanenza del sequestro in presenza della prescrizione del reato, di abrogazione di norme e di cause di non punibilità; dovrà, invece, rinviare la decisione al giudice civile, mantenendo il sequestro, nel caso in cui sorga controversia sulla proprietà delle cose sequestrate.
I riferiti provvedimenti devono essere adeguatamente motivati, e dovrà escludersi la cd. motivazione per relationem, richiedendosi una motivazione dotata di autonomia (art. 292 c.p.p.).
Al giudice del riesame è consentito perfezionare la motivazione carente, posto il potere di confermare l’atto gravato anche per ragioni differenti da quelle addotte, dando luogo ad un rapporto di complementarietà tra l’atto impugnato e quello del tribunale o ad una fattispecie a formazione progressiva che trova un limite nell’ipotesi in cui la motivazione sia radicalmente assente o meramente apparente (Cass. pen., S.U., 28.1.2004, Ferrazzi, in Cass. pen., 2004, 1913).
Non contemplato dal legislatore del 1988, l’appello è stato introdotto all’art. 322 bis c.p.p. dal d.lgs. 14.1.1991, n. 12, che ha interpolato l’art. 325 c.p.p. per consentire il gravame a quei soggetti ed in quelle situazioni nelle quali il riesame e – conseguentemente – il ricorso per cassazione non era consentito.
Contro i provvedimenti appellabili non è proponibile il ricorso per saltum in cassazione.
La previsione si rivolge agli atti diversi da quello impositivo della misura, adottati da qualsiasi giudice, nella fase delle indagini preliminari e quelle successive, al fine di tutelare le ragioni che sostengono la misura cautelare reale, su iniziativa del pubblico ministero, sia le ragioni addotte dall’imputato o dal suo difensore, o dai titolari del bene, finalizzate alla liberazione dal vincolo coercitivo. È stato ritenuto appellabile – non senza contrasti – il provvedimento di vendita o distruzione dei beni sottoposti a sequestro e non appellabile il provvedimento di convalida del sequestro preventivo disposto, d’urgenza, dal p.m. o dalla p.g. (Cass. pen., S.U., 7.6.2005, Napolitano, in Cass. pen., 2005, 2537) e il decreto emesso dallo stesso p.m.
All’appello si applicano, nei limiti della compatibilità, gli artt. 568-592 c.p.p.; il gravame ha effetto devolutivo, nei limiti segnati dai motivi – che devono essere obbligatoriamente presentati – e dalla natura del provvedimento impugnato: il mezzo è, infatti, accordato per far valere tanto le ragioni della cautela (su iniziativa del p.m.) quanto le ragioni della libertà (su iniziativa dell’imputato e del suo difensore), le quali non abbiano avuto successo in prima istanza (C. cost. n. 131/1996, cit.).
La specialità, la semplicità e la tempestività del rito rendono inoperante l’effetto estensivo dell’impugnazione, fatta eccezione per l’estensione della decisione quando il procedimento si sia svolto in modo unitario e cumulativo (Cass. pen., S.U., 22.11.1995, Ventura, in Cass. pen., 1996, 1772).
Sono legittimati all’appello, il p.m., l’imputato ed il suo difensore (nel caso in cui non possano impugnare i provvedimenti con il riesame ex art. 324 c.p.p.), la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
Nessuna violazione costituzionale determina l’esclusione della persona offesa (C. cost. n. 428/1998, cit.).
Il procedimento, in virtù di quanto precisato dall’art. 322 bis, ultimo co., c.p.p., è regolato – nei limiti della compatibilità – dall’art. 310 c.p.p. che a sua volta rinvia all’art. 309, co. 1, 2, 3, 4 e 7, c.p.p., fatto salva l’attribuzione a decidere del tribunale (in composizione collegiale) del capoluogo di provincia nel quale ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Risultano, del pari, applicabili alcune delle regole enunciate nell’art. 310 c.p.p.
L’impugnazione va, dunque, proposta entro dieci giorni (decorrenti dalla effettiva conoscenza del provvedimento da parte del titolare del diritto all’impugnazione) e presentata nella cancelleria del tribunale, nelle forme previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p. Opera la sospensione nel periodo feriale (Cass. pen., S.U., 24.6.1994, Iorizzo, in Cass. pen., 1994, 2922).
Della richiesta va dato immediato avviso all’autorità giudiziaria, la quale, entro il giorno successivo, deve trasmettere al tribunale l’ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda; il procedimento si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127 c.p.p.; fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà del difensore di esaminarli ed estrarne copia, consentendogli, così, di valutare se persistere nell’istanza e/o presentare memorie; il tribunale decide entro venti giorni (ordinatori) dalla ricezione degli atti, con ordinanza che dovrà essere depositata, senza peraltro perdita di efficacia della misura, come in tutti gli altri casi di termini delle attività processuali, entro trenta o quarantacinque giorni in caso di motivazione particolarmente complessa per il numero degli imputati o la gravità delle imputazioni (art. 310, co. 2, c.p.p., richiamato dall’art. 322 bis, co. 2, c.p.p.).
L’appello non sospende l’esecuzione del provvedimento.
Dell’udienza deve essere dato avviso al p.m. che svolge le funzioni presso il tribunale competente per la decisione – e non a quello che ha richiesto l’applicazione della misura impugnata, creandosi, così, un’irragionevole vulnus rispetto a quanto prevede l’art. 309, co. 8 bis, c.p.p. sul versante della cautele personali – agli altri appellanti e al difensore che assiste l’imputato nel procedimento principale. Sono esclusi, non senza contrasti, i “terzi interessati”.
L’avviso va dato nel termine di dieci giorni da intendersi liberi ed interi, a pena di nullità generale di carattere intermedio, quando diretto all’imputato o al suo difensore, e relativa, quando destinatario sia altro soggetto.
La cognizione del giudice dell’appello è segnata dai punti (anche intimamente connessi) dell’atto, a cui, specificatamente, fanno riferimento i motivi prodotti, tenuto conto, altresì, della natura del provvedimento impugnato.
Le parti possano introdurre anche elementi probatori “nuovi”, preesistenti o sopravvenuti riguardanti lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare (Cass. pen., S.U., 31 marzo 2004, Donelli, in Cass. pen., 2004, 2746); il tribunale ha il potere d’acquisire anche d’ufficio elementi nuovi, se assolutamente necessari ai fini della decisione (art. 603 c.p.p.).
In materia trova operatività l’art. 27 c.p.p. mentre i poteri decisori si articolano fra l’inammissibilità dell’impugnazione, la conferma o la riforma del provvedimento (art. 605 c.p.p.). La riforma può consistere in un completo annullamento dell’atto impugnato o nell’applicazione di una misura diversa o nella modifica delle sole modalità esecutive del provvedimento, salvo il limite rappresentato dal divieto della reformatio in peius, in caso di mancata presentazione dell’appello del p.m.
Le spese del procedimento sono regolate dall’art. 592 c.p.p., mentre l’esecuzione della decisione di accoglimento dell’impugnazione del p.m. non è sospesa in caso di eventuale proposizione ricorso per cassazione, posto il mancato rinvio all’art. 310, co. 3, c.p.p.
Contro le decisioni emesse a seguito di riesame o appello è esperibile il ricorso per cassazione, per violazione di legge (art. 325 c.p.p.).
Il mezzo è escluso per l’atto di diniego della restituzione delle cose sottoposte a sequestro probatorio, ma non per l’ordinanza emessa dal giudice a seguito di opposizione avanzata ai sensi dell’art. 263, co. 5 c.p.p. (Cass. pen., S.U., 4.3.2009, Manesi, in Arch. nuova proc. pen., 2009, 301; Cass. pen., S.U., 20.2.2008, Eboli, in Arch. nuova proc. pen., 2008, 290).
Non possano essere sollevate in Cassazione le cause che determinano la perdita di efficacia del provvedimento che dispone il vincolo, in quanto, non inerendo alla intrinseca legittimità del provvedimento, vanno dedotte innanzi al giudice di merito.
Il ricorso per saltum è esperibile, invece, nei confronti del decreto di sequestro emesso dal giudice, entro i termini previsti dall’art. 324, co. 2, c.p.p., determinando l’inammissibilità del riesame, nel mentre, eventualmente presentato.
La legittimazione al ricorso spetta al p.m. costituito presso il tribunale del riesame/appello, non essendo stato modificata – in analogia a quanto previsto dall’art. 309, co. 8 bis, c.p.p. – la previsione di cui all’art. 325, co. 3, c.p.p. (Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, cit.), all’imputato e al suo difensore, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione (art. 325, co. 1, c.p.p.), purché si tratti dei soggetti che hanno partecipato al giudizio, in quanto il rapporto processuale non potrebbe includere soggetti nuovi nella sua evoluzione da un grado ad un altro (Cass. pen., S.U., 26.4.2004, Corsi, cit.; Cass. pen., S.U., 24.5.2004, Fallimento Promodata in c. Focarelli, in Cass. pen., 2004, 3093).
L’istanza va proposta entro quindici giorni decorrenti dal momento della comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza (Cass. pen., S.U., 24.6.1994, Iorizzo, cit.); il ricorso per saltum deve essere presentato entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o da quella diversa in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’atto (arg. ex art. 325, co. 2, c.p.p. che richiama l’art. 324, co. 1, c.p.p.). I termini sono sospesi nel periodo feriale (Cass. pen., S.U., 24.6.1994, Iorizzo, cit.).
Il ricorso pretende l’enunciazione dei motivi inerenti alla violazione di legge, nell’ambito della quale vanno ricompresi gli errores in iudicando o in procedendo e i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo del tutto mancante o apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (art. 111, co. 7, Cost.), ma non anche l’illogicità manifesta, la quale, pur corrispondendo al mancato rispetto dei canoni epistemologici e valutativi, attiene all’inosservanza delle disposizioni che regolano il ragionamento probatorio (Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, cit.; Cass. pen., S.U., 28.1.2004, Ferrazzi, cit.).
Sul punto, deve rilevarsi, come la giurisprudenza, da un lato, equipara la mancanza di motivazione all’omessa pronuncia, su un punto della decisione a cui si riferisce l’impugnazione, e, dall’altro lato, ritiene il ricorso inammissibile se non è osservato l’art. 606, co. 3, c.p.p.
Il ricorso pretende un interesse – concreto ed attuale – derivante, per ogni legittimato, dalla menomazione di una qualunque situazione giuridica soggettiva sulla cosa, apportata con il vincolo impresso dal sequestro, per cui esso va escluso, per sopravvenuta carenza, qualora le cose sottoposte a sequestro probatorio vengano restituite (Cass. pen., S.U., 24.4.2008, Tchmil, cit.).
In linea con quanto disposto dall’art. 325, co. 4 c.p.p. il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza.
Il mancato richiamo da parte dell’art. 325 c.p.p. al co. 5 dell’art. 311 c.p.p. rende inapplicabile nel rito de quo il termine – ordinatorio – previsto per le decisioni del Supremo Collegio in materia di cautele personali (Cass. pen., S.U., 9.6.1990, Serio, in Cass. pen., 1990, 194), sollevando più di una riserva, anche in considerazione dei rilevanti interessi sottesi ai provvedimenti cautelari reali.
Il procedimento si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127 c.p.p. e non dell’art. 611 c.p.p. (Cass. pen., S.U., 22.2.1993, Lucchetta, in Cass. pen., 1993, 1380; Cass. pen., S.U., 9.6.1990, Serio, in Cass. pen., 1990, II, 192) con possibilità – stante il richiamo all’art. 311, co. 4, c.p.p. disposto dal co. 3 dell’art. 325 c.p.p. – di enunciare nuovi motivi davanti alla Corte di cassazione, prima dell’inizio della discussione.
L’avviso di fissazione dell’udienza deve essere notificato alle parti, alle altre persone interessate ed ai difensori, nonché, secondo le Sezioni Unite, alla persona offesa che abbia diritto alla restituzione delle cose sequestrate, qualora abbia esercitato la facoltà di intervento spontaneo nella procedura di riesame (Cass. pen., S.U., 29.5.2008, Ivanov, cit.; Cass. pen., S.U., 26.4.2004, Corsi, cit.).
In questo contesto, si riconosce al giudice il potere-dovere di esercitare il controllo di legalità, in modo penetrante e preciso, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal p.m., ma senza limitarsi a prenderne atto (Cass. pen., S.U., 25.10.2000, Poggi Longostrevi, cit.) con formule di stile e, comunque, tenendo conto delle argomentazioni difensive.
Trattandosi di un’impugnazione, il rigetto o la declaratoria di inammissibilità del gravame/ricorso determinerà la condanna alle spese della parte privata (Cass. pen., S.U., 20.11.1996, Bassi, cit.).
Contro le ordinanze che dispongono il sequestro conservativo è proponibile il riesame e, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., contro le ordinanze del riesame è consentito ricorrere per Cassazione. Il rimedio va escluso per il provvedimento che nega la misura (C. cost., 23.12.1998, nn. 424 e 426) e quelli che ineriscono alle modalità esecutive della cautela, suscettibili solo di ricorso per cassazione, in ragione del principio della tassatività.
Il riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento.
La legittimazione a presentare la richiesta spetta all’imputato e al suo difensore (art. 571 c.p.p.) (Cass. pen., S.U., 11.7.2006, Marseglia, cit.), al responsabile civile e a chiunque vi abbia interesse, vale a dire a chi possa vantare un diritto di proprietà o altro diritto reale sui beni sequestrati o a colui che abbia subito un pregiudizio dall’esercizio del potere cautelare. Il potere de quo non è concesso né al p.m. (che potrà ricorrere contro la decisione emessa a seguito di riesame), né alla parte civile, che – previo avviso – dovrebbe poter partecipare all’udienza, instaurandosi, così, un contraddittorio completo ed effettivo.
I profili procedurali, formali e decisori sono regolati dall’art. 324 c.p.p., secondo il modello stabilito per il riesame nei confronti del provvedimento di sequestro preventivo, a cui si rinvia (v. supra, § 2.1).
In caso di contestazione sulla proprietà delle cose sequestrate gli atti per la decisione saranno trasmessi al giudice civile, mantenendo il sequestro.
Se con la richiesta di riesame è offerta cauzione, il giudice potrà revocare il sequestro conservativo se l’offerta è proporzionata al valore delle cose sequestrate, con esclusione quindi – se maggiore – anche dei crediti da garantire (art. 319, co. 1, c.p.p.).
Come anticipato, la decisione del giudice del riesame sul sequestro conservativo sarà suscettibile di ricorso per cassazione per violazione di legge. Legittimato al ricorso in caso di decisione favorevole all’istante, sarà anche il p.m.
Stante il mancato richiamo da parte dell’art. 318 c.p.p. all’art. 325 c.p.p. non dovrebbe essere esperibile il cd. ricorso per saltum.
Il procedimento è ritagliato su quello valevole per il sequestro preventivo, a cui si rinvia (v., supra, § 2.3).
Vanno qui ribaditi i limiti del controllo spettanti alla Corte in punto di legittimità: sarà esclusa ogni valutazione sul valore economico dei beni sottoposti a sequestro, se motivato logicamente (Cass. pen., S.U., 25.10.2000, Poggi Longostrevi, cit.).
Nel procedimento, atteso il tenore dell’art. 317 c.p.p., è inibito alla Corte di cassazione accertare l’esistenza della causa estintiva del reato costituita dalla morte dell’imputato, verificatasi successivamente alla proposizione del ricorso, dovendo la relativa declaratoria – al pari delle altre ipotesi estintive – essere pronunciata dal giudice del procedimento principale (Cass. pen., S.U., 13.12.2000, Poggi Longostrevi, in Dir. pen. e processo, 2001, 58).
L’annullamento, per motivi non personali dell’interessato, del provvedimento emesso nei confronti di un coimputato, non produce alcun effetto estensivo nei confronti di altro coimputato che non abbia proposto il riesame (Cass. pen., S.U., 26.6.2002, Di Donato, in Dir. giust., 2002, fasc. 40, 35, con nota di Barbarano), mentre, l’effetto estensivo della decisione opera quando il procedimento – cumulativo – si è svolto con modalità unitarie e la decisione non sia fondata su «motivi personali» dell’impugnante (Cass. pen., S.U., 29.3.2012, Wang Zoujiong, cit.).
Artt. 41, co. 1 e 3, 42, co. 2, e 111 Cost.; artt. 263, 318, 322, 322 bis, 324, 325 c.p.p.
Adorno, R., Il riesame delle misure cautelari reali, Milano, 2004; Bellantoni, G., Sequestro probatorio e processo penale, Piacenza, 2005; Furgiuele, A., Il riesame e l’appello cautelare, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. II, Le misure cautelari, a cura di A. Scalfati, Torino, 2009, 524 ss.; Gualtieri, P., Sequestro conservativo e sequestro preventivo, Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. II, Le misure cautelari, a cura di A. Scalfati, Torino, 2009, 343 ss.; Montagna, M., Sequestro conservativo penale, in Dig. pen, XIII, Torino, 1997; Vigoni, D., Ricorso per cassazione, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. II, Le misure cautelari, a cura di A. Scalfati, Torino, 2009, 602.