Misure cautelari reali e tempi del riesame
Oggetto del contributo è il problema della natura – perentoria versus ordinatoria – del termine di trasmissione degli atti da parte dell’autorità procedente al giudice del riesame nell’ambito della disciplina del riesame reale ex art. 324 c.p.p. Il tema appare di particolare interesse avendo, tra l’altro, costituito materia di un recente contrasto giurisprudenziale culminato in un articolato intervento delle Sezioni Unite. L’Autore, ricostruite le basi teoriche delle diverse soluzioni accolte in seno alla giurisprudenza di legittimità, critica la pronuncia del Supremo Collegio evidenziando le ragioni logico-sistematiche che, al contrario, sembrano supportare – anche in chiave di interpretazione costituzionalmente conforme – la tesi della caducabilità della cautela reale per intempestiva trasmissione degli atti.
Il tema della natura perentoria o meno del termine previsto dalla legge per la trasmissione degli atti nel procedimento di riesame reale è stato negli ultimi anni oggetto di diverse ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite2 in ragione dell’affiorare di un recente indirizzo minoritario che considera l’inosservanza del termine de quo sanzionata con la perdita di efficacia ex lege della misura3. Dopo due tentativi andati a vuoto, il Supremo Consesso ha finalmente affrontato la vexata quaestio confermando l’orientamento “tradizionale”4 sulla base, però, di argomentazioni non del tutto convincenti.
2.1 Le ragioni a sostegno dell’interpretazione “restrittiva”
Nel nostro codice di rito, il riesame in materia reale è disciplinato dall’art. 324 c.p.p. Tale disposizione non offre, però, una regolamentazione completa della materia posto che, per molti profili, è necessario fare riferimento a quanto disposto in altra disposizione – l’art. 309 c.p.p., disciplinante il riesame avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale – cui l’art. 324, co. 7, c.p.p. espressamente rinvia.
In particolare, tra le norme del riesame personale richiamate figurano i co. 9 e 10 dell’art. 309 c.p.p. dedicati, rispettivamente, all’individuazione del termine per la decisione e agli effetti caducatori che discendono (anche) dall’inosservanza del termine in questione.
A fronte di ciò, il primo dato che, ad avviso della giurisprudenza maggioritaria, suffragherebbe la natura ordinatoria del termine di trasmissione degli atti è il mancato richiamo, nell’art. 324, co. 7, c.p.p., al co. 5 dell’art. 309 c.p.p. dedicato all’individuazione del termine entro cui gli atti fondanti la cautela personale devono pervenire al giudice del riesame. Tale omissione avrebbe l’effetto di circoscrivere il funzionamento del meccanismo caducatorio – che, ai sensi del combinato disposto del co. 10 dell’art. 309 c.p.p. con i co. 5 e 9 della medesima disposizione, opera per l’inosservanza sia del termine per la trasmissione degli atti sia di quello per la decisione – al solo caso di decisioni intempestive, sul rilievo che soltanto un rinvio diretto all’art. 309, co. 5, c.p.p. giustificherebbe, anche in ambito reale, una diversa interpretazione.
All’obiezione che, così ragionando, si compromette la relazione simmetrica caratterizzante, sin dall’origine del codice vigente, le due discipline, si ribatte che tale effetto è frutto della scelta consapevole del legislatore come confermato dall’esegesi storica delle due discipline esaminate.
La l. 8.8.1995, n. 332, fortemente innovando il regime di riesame de libertate, ha posticipato da uno a cinque giorni il termine di trasmissione degli atti ed ha esteso, mediante un esplicito rinvio al co. 5, la portata del meccanismo caducatorio di cui al co. 10 dell’art. 309 c.p.p. anche alle ipotesi di ricezione intempestiva degli atti.
Nessuna modifica è, invece, stata apportata dalla novella de qua all’art. 324 c.p.p. che, infatti, oltre a non contenere alcun richiamo diretto al co. 5 dell’art. 309 c.p.p. – e quindi al combinato disposto che esso forma con il co. 10 della medesima disposizione – ancora oggi prevede che gli atti debbano essere trasmessi entro il giorno successivo all’avviso rivolto all’autorità procedente da parte del giudice del riesame dell’avvenuto deposito del gravame: tutto a dimostrazione del fatto che l’incremento di garanzie voluto dal legislatore del 1995 fosse rivolto alla sola materia de libertate e non anche quella reale.
Né, infine, tale asimmetria tra le due discipline sarebbe connotata da irragionevolezza, posto che essa troverebbe la sua ratio giustificatrice nell’impossibilità di assimilare il bene della libertà personale a quello, di caratura senza dubbio inferiore, della proprietà.
2.2 L’indirizzo dissenziente
La tesi della perentorietà del termine per la trasmissione degli atti nel riesame reale è propugnata dalla Cassazione nella citata sentenza Wang della III sezione penale.
A sostegno di tale indirizzo vengono addotte ragioni letterali, logiche e sistematiche.
Punto di partenza della pronuncia de qua è la ricognizione dei principi affermati dalla Corte costituzionale in una importante decisione5 resa in tema di riesame di cui all’art. 309 così come novellato nel 1995.
In tale occasione, la Consulta, rigettando la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 309, co. 5, c.p.p. in ragione della natura non perentoria del termine entro cui deve essere dato avviso all’autorità procedente della richiesta di riesame, aveva affermato come il termine in questione non godesse di autonomia giuridica e fosse irrilevante per la determinazione del dies a quo da cui far decorrere il termine (perentorio) per la trasmissione degli atti, dovendo piuttosto a tali fini aversi riguardo alla sola data di deposito dell’impugnazione.
Il Giudice delle leggi aveva, infatti, rilevato che l’originaria previsione di un termine perentorio per la decisione ex art. 309, co. 10, c.p.p. era finalizzata a garantire che la verifica giudiziale si realizzasse entro un termine breve e certo; il legislatore del 1995, mediante la conversione in perentorio anche del termine per la trasmissione degli atti, aveva, dunque, inteso assicurare l’effettività della garanzia, comunque posta nel nulla se la decorrenza di un duplice termine perentorio fosse stata fatta dipendere ab initio dal compimento di una attività entro un termine non presidiato da alcuna sanzione processuale.
Tali principi, ad avviso dei giudici della III sezione della Cassazione, assumono valenza generale e come tali sono impiegabili nel procedimento di riesame reale per affermare la natura perentoria del termine di trasmissione degli atti. Né varrebbe a giustificare l’esistenza, ex art. 324 c.p.p., di un regime meno garantista di quello previsto in sede de libertate il diverso rilievo costituzionale assunto dai beni coinvolti nell’uno e nell’altro contesto: ciò non esclude infatti che sia intrinsecamente irragionevole un sistema ove, da un lato, si impone che una data attività venga compiuta nel rispetto di termini perentori e, dall’altro, si ammette che la decorrenza di quegli stessi termini dipenda paradossalmente dal verificarsi di fattori accidentali e del tutto incontrollabili.
Quanto poi al problema legato alla lettera dell’art. 324, co. 7, c.p.p., la Cassazione rileva come si tratti di un argomento tutt’altro che insuperabile, ben potendo rintracciarsi nella disciplina del riesame reale un collegamento con l’art. 309, co. 5, c.p.p. in ragione del rinvio contenuto nell’art. 324, co. 7, c.p.p. all’art. 309, co. 10, c.p.p. ove, infatti, il co. 5 della medesima disposizione è a sua volta richiamato.
L’esegesi estensiva avrebbe, peraltro, il pregio di scongiurare la contemporanea applicazione di due diverse versioni dell’art. 309, co. 10, c.p.p.: quella vigente prima della novella del 1995 – che circoscriveva l’operatività della perdita di efficacia ex lege della misura alla sola inosservanza del termine decisorio –, ai fini dell’art. 324 c.p.p.; e quella successiva alla modifica, ai fini del 309 c.p.p. Conclusione, questa, palesemente in contrasto con la necessità di una interpretazione sistematica e “sincronica” del codice di rito che tenga conto, cioè, delle disposizioni di una stessa fonte normativa vigenti in uno stesso momento storico .
2.3 Il dictum delle Sezioni Unite
Nonostante lo sforzo argomentativo profuso dai giudici della III sezione, la natura ordinatoria del termine previsto dalla legge per la trasmissione degli atti nell’ambito del procedimento di riesame reale è stata confermata dalle Sezioni Unite.
Ad avviso del Supremo Consesso, la sentenza Wang troverebbe, infatti, il proprio fondamento nell’errata convinzione che le limitazioni alla sfera patrimoniale assumano un rilievo costituzionale pari a quelle della libertà personale tale, pertanto, da non giustificare un regime meno garantito. Viceversa, nella giurisprudenza costituzionale indiscussi appaiono tanto la centralità e la primazia della libertà personale nella scala dei valori costituzionali quanto, conseguentemente, l’idea che il diritto di difesa possa assumere contorni meno pregnanti laddove si verta al di fuori del contesto de libertate6, risultando così l’automatica estensione dei principi stabiliti nella sentenza n. 232/1998 dalla Consulta alle misure cautelari reali.
Il vertice della legittimità sottolinea inoltre come, già nella versione originaria del codice di rito, non vi fosse alcun perfetto parallelismo tra le due discipline, attesa la diversa sedes materiae e, più in generale, i consistenti profili di eterogeneità ravvisabili nelle rispettive discipline, non da ultimo quanto a presupposti applicativi e ad estensione del sindacato di legittimità, circoscritto, in tema di sequestri, alle sole violazioni di legge.
A fronte di ciò, l’assenza di qualsiasi riferimento nella novella del 1995 alla disciplina delle cautele reali, lungi dal costituire una svista del legislatore, sarebbe, al contrario, il frutto di una scelta coerente con l’impostazione di fondo del sistema incentrata sulla totale autonomia delle due discipline.
Quanto, infine, all’esigenza di interpretare sincronicamente il codice di rito, le S.U. rilevano come il fatto che possano risultare contemporaneamente in vigore due diverse versioni della stessa disposizione rappresenti, al contrario, un’eventualità ben nota all’ordinamento, la cui ricorrenza nel caso esaminato è, peraltro, confermata proprio dalla natura del rinvio operato dalla disciplina del riesame reale in favore dell’omologo regime di cui alla materia de libertate.
Chiariscono, infatti, le Sezioni Unite che il richiamo contenuto nell’art. 324, co. 7, c.p.p. all’art. 309, co. 10, c.p.p. non è riferibile alla norma che si ricava da tale disposizione (cd. rinvio dinamico/formale), ma alle componenti testuali della stessa, trattandosi di rinvio cd. rinvio statico/recettizio, la cui caratteristica sta nell’impermeabilità della disposizione richiamante rispetto agli eventuali fenomeni evolutivi che possano in seguito coinvolgere la disposizione richiamata.
Le argomentazioni sulle quali riposano i dicta delle Sezioni Unite, seppure in parte condivisibili, non appaiono in grado di fugare tutte le perplessità prospettabili in relazione all’interpretazione ivi accolta.
Se, infatti, è indubbio che le limitazioni alla libertà personale e quelle attinenti i beni patrimoniali assumono diverso rilievo costituzionale e che ciò giustifica la predisposizione in relazione ad esse di regimi giuridici non omogenei, tali rilievi, però, contrariamente a quanto affermato dal Supremo Consesso, non pregiudicano la possibilità di ravvisare nella sentenza n. 232/1998 della Corte costituzionale principi validi anche rispetto alla questio iuris in discorso.
Nella sentenza richiamata, la Consulta ha infatti posto in evidenza come sia assolutamente da stigmatizzare un assetto normativo ove l’adozione di una decisione venga cadenzata da termini perentori il cui dies a quo sia, però, paradossalmente congegnato come “mobile”, in quanto rimesso ad incontrollabili valutazioni discrezionali – quando non all’arbitrio – degli organi giurisdizionali.
A fronte di tali considerazioni, non sembra peregrino affermare come l’interpretazione estensiva respinta dalle S.U. sia, in realtà, l’unica in grado di scongiurare il grave connotato di irrazionalità altrimenti riscontrabile nel procedimento di riesame reale7.
Né, peraltro, sembra potersi dubitare della compatibilità di un’interpretazione siffatta con il dettato normativo, posto che l’art. 309, co. 10, c.p.p., cui fa rinvio l’art. 324, co. 7, c.p.p, espressamente commina la sanzione della perdita di efficacia della misura indistintamente per l’inosservanza del termine per la decisione e di quello per la trasmissione degli atti.
L’argomento incentrato sul carattere recettizio del rinvio di cui all’art. 324, co. 7, c.p.p. non appare, del resto, dirimente, atteso che, come sembra emergere anche dall’esame delle sentenze richiamate nella pronuncia, l’individuazione della natura giuridica del rinvio costituisce pur sempre lo sbocco – sia pure intermedio – di un’attività esegetica ove ruolo fondamentale è svolto dal criterio teleologico.
Se, dunque, la ratio di prevedere un termine perentorio per la decisione è quella di garantire che la procedura di riesame si esaurisca in un arco temporale breve ma soprattutto certo, la natura del rinvio di cui all’art. 324, co. 7, c.p.p. non può che considerarsi di tipo dinamico/formale e, quindi, capace di estendere – in coerenza con lo scopo della disciplina dei termini del riesame reale – la portata applicativa della sanzione ex art. 309, co. 10, c.p.p. anche all’inosservanza del termine per la trasmissione degli atti.
Né sembra insuperabile il rilievo per cui, seguendo l’interpretazione estensiva, si presenterebbero due alternative entrambe inammissibili quali i) ritenere che il rinvio di secondo grado all’art. 309, co. 5, c.p.p. implichi l’abrogazione implicita dell’art. 324, co. 3, c.p.p. ovvero ii) ritenere che l’inosservanza del termine di un giorno ivi indicato provochi, nel procedimento di riesame reale, la caducazione della misura, con la paradossale conseguenza di prevedere un regime maggiormente garantista per la tutela delle “cose” rispetto a quello relativo alla libertà personale ove il termine (perentorio) di trasmissione degli atti ha, invece, una durata maggiore pari a 5 giorni.
In verità, per superare tali obiezioni, sembra sufficiente la considerazione che l’art. 324, co. 3, c.p.p. e l’art. 309, co. 5, c.p.p. non necessariamente appaiono disposizioni incompatibili, posto che il termine di un giorno per la trasmissione degli atti previsto in tema di riesame reale è previsto anche dal vigente regime del riesame personale: ecco allora che l’empasse cui alludono le Sezioni Unite può essere aggirata attribuendo all’art. 309, co. 5, c.p.p. la funzione di integrare la previsione di cui all’art. 324, co. 3, c.p.p. affiancando al termine, meramente ordinatorio, ivi previsto quello, perentorio e più lungo, di cinque giorni8.
Laddove, poi, la tesi estensiva dovesse ritenersi inibita dal tenore letterale dell’art. 324, co. 7, c.p.p., allora sarebbe difficile non ravvisare nella disciplina del riesame reale criticità di rilevanza costituzionale quantomeno sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca ex art. 3 Cost.9: se, infatti, come più volte ricordato, la ratio che ispira la previsione di un termine perentorio per la decisione è quella di assicurare tempi certi e rapidi per la verifica giudiziale, non può non apparire in contrasto con tale finalità una norma che, non sanzionando i ritardi nella trasmissione del fascicolo processuale, legittima indefiniti stalli del procedimento ex art. 324 c.p.p.
1 Ex plurimis, Cass. pen., 21.11. 2000, n. 4227; Cass. pen., 13.12.2000, n. 7827; Cass. pen., 29.3.2011, n. 34544.
2 Cfr. le ordinanze di rimessione Cass. pen., 6.5.2011 e Cass. pen., 23.9.2011.
3 Cass. pen., sez. III, 3.5.2011, n. 24163, Wang, in CED Cass., rv. 250603. In particolare, nella vicenda de qua la Cassazione a fronte del provvedimento del Tribunale del riesame con cui è stato disposto il rinvio dell’udienza al fine di consentire al pubblico ministero di completare la trasmissione degli atti, ha dichiarato l’abnormità di tale decisione perché implica l’effetto di prorogare un termine avente, invece, natura perentoria. La pronuncia è commentata in maniera adesiva da Marzo, M.C., Abnormità del provvedimento dilatorio del “riesame reale” tra sistema interno e assetto sovranazionale, in Arch. pen., 2011, fasc. 3, 1 ss.
4 Cass. pen., S.U., 28.3.2013, n. 26268, Cavalli, in CED Cass., rv. 255581.
5 C. cost., 1.6.1998, n. 232.
6 C. cost., 10.12.1986, n. 268; C. cost., 9.2.1994, n. 48.
7 Furgiuele, A., Il riesame, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. II, Le misure cautelari, Torino, 2009, 532.
8 Cfr., Adorno, R., Il riesame delle misure cautelari reali, Milano, 2004, 126.
9 Cfr., ex multis, C. cost., 25.3.1996 n. 89; C. cost., 24.10.2007, n. 390.