Misure di prevenzione: l'evoluzione della giurisprudenza
Quello delle misure di prevenzione è – sul fronte interpretativo – definibile come un cantiere aperto, stretto tra la crescita di importanza dello strumento dell’aggressione patrimoniale diretta alle nuove forme di criminalità economica e amministrativa, da un lato, e la problematicità dell’inquadramento sistematico – e la stessa tollerabilità costituzionale – della disciplina regolatrice, dall’altro. Da sempre in bilico tra l’osservanza di alcuni principi generali del diritto punitivo e l’utilizzo di forme meno garantite di intervento limitativo dei diritti individuali, le misure di prevenzione escono rafforzate – nei più recenti arresti giurisprudenziali di legittimità – nella loro dimensione di strumenti “non eccentrici” rispetto alle ricadute dei principi generali di tassatività e determinatezza delle previsioni di legge e della relativa applicazione. Di tali arresti si darà conto nel presente lavoro.
L’anno 2018 non ha visto realizzati, nel settore delle misure di prevenzione, interventi legislativi di particolare rilievo sistematico. Va evidenziato, in premessa, che sono state collocate all’interno del codice penale – con il d.lgs. 1.3.2018, n. 21 (in GU n. 68 del 22.3.2018) in attuazione del principio di delega della riserva di codice in materia penale (l. 23.6.2017, n. 103), alcune disposizioni, per così dire “correlate” al sistema della prevenzione, in particolare per quanto riguarda le disposizioni penalistiche della intestazione fittizia di beni1 e della confisca estesa2. Sono stati, inoltre, approvati in data 16 maggio 2018 due decreti legislativi di attuazione della l. n. 161/2017 in tema di incompatibilità degli amministratori giudiziari e dei curatori fallimentari (in attuazione dell’art. 33, co. 2 e co. 3, l. n. 161/2017) ed in tema di tutela del lavoro nell’ambito delle imprese sequestrate e confiscate (in attuazione dell’art. 34 l. n. 161/2017). Per quanto riguarda il tema delle incompatibilità degli amministratori giudiziari, il d.lgs. 18.5.2018, n. 54 (in G.U. n. 121 del 26.5.2018) introduce il comma 4-bis all’art. 35 del d.lgs. n. 159/2011 con previsione di ipotesi tipiche ed aggiuntive di incapacità ad assumere l’ufficio3 (sia di amministratore che di coadiutore) correlata alla esistenza di una varia tipologia di rapporti esistenti tra il professionista e uno dei magistrati che compongono l’ufficio giudiziario conferente l’incarico, lì dove le disposizioni ulteriori riguardano le modalità procedimentali di attestazione della insussistenza delle particolari cause di incompatibilità e l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo su tale delicato aspetto della procedura di sequestro dei beni. Il d.lgs. 18.5.2018, n. 72 (in G.U. n. 142 del 21.6.2018) contiene, invece, le disposizioni relative alla tutela del lavoro nelle imprese sequestrate o confiscate. Si tratta del decreto di attuazione della delega contenuta nell’art. 34 l. n. 161/2017, in tema di emersione del lavoro irregolare, contrasto della intermediazione illecita e agevolazione dell’accesso alla integrazione salariale e agli ammortizzatori sociali. In data 4 ottobre 2018 è stato, ancora, emanato il d.l. n. 113, contenente disposizioni, per quanto qui rileva, in tema di sicurezza pubblica e per la funzionalità del Ministero dell’interno e la organizzazione e funzionamento dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Nei limiti della presente trattazione – al momento della redazione del presente testo non vi è stata conversione in legge – va esclusivamente accennato che il contenuto delle disposizioni non introduce modifiche processuali di particolare rilievo e riguarda in massima parte la modifica di taluni aspetti relativi alla destinazione dei beni oggetto di confisca (in particolare nell’ambito della procedura di vendita dei beni di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse). L’analisi che verrà qui proposta riguarda, pertanto, esclusivamente lo sviluppo interpretativo apportato dalla giurisprudenza in riferimento ai temi – di assoluta rilevanza – emersi nel corso dell’anno 2017, con particolare riferimento alle tematiche di potenziale contrasto tra il sistema interno delle misure di prevenzione ed i principi contenuti nella CEDU, dopo la decisione emessa dalla Grande Camera della C. eur. dir. uomo il 23 febbraio 2017 (relativa al caso De Tommaso c. Italia ).
Si ritiene, in apertura, di individuare le linee di elaborazione giurisprudenziale di maggior interesse negli arresti relativi alle ricadute interne della citata decisione C. eur. dir. uomo, De Tommaso c. Italia, attesa la pendenza di incidente di legittimità costituzionale sul tema della «qualità della legge» e del rispetto del generale principio di tassatività, con riferimento alle previsioni regolatrici della cd. pericolosità generica (art. 1 d.lgs. n. 159/2011). Va ricordato che con tale decisione, intervenuta in caso di misura personale (applicata in primo grado e revocata in secondo grado per insussistenza dei presupposti) la C. eur. dir. uomo ha evidenziato, un deficit di chiarezza e precisione nella previsione regolatrice interna (art. 1 l. 27.12.1956, n. 1423), con violazione dell’art. 2, prot. 4, in tema di libertà di circolazione. In particolare si è affermato che la legge esaminata non contiene disposizioni sufficientemente dettagliate sui tipi di comportamento che dovevano essere considerati costituire un pericolo per la società, con la conseguenza di disancorare – in simile visione – la scelta applicativa dall’apprezzamento di condotte predeterminate, specifiche ed idonee a porsi a base di una argomentata prognosi di pericolosità e con eccesso di discrezionalità del giudice4. A fronte di tale presa di posizione, che attesta una seria frizione – di certo declinata in termini generali, pur se occasionata dal caso esaminato – tra le disposizioni convenzionali e le norme interne (quantomeno quelle che descrivono i connotati della cd. pericolosità generica) nel segmento preliminare della ricostruzione della pericolosità ed in virtù di un giudizio espresso in termini di “cattiva qualità della legge”, le risposte della giurisdizione interna non sono state uniformi. Ritenendo non realizzabile una interpretazione della disciplina “convenzionalmente e costituzionalmente orientata” (tale da determinare una rivisitazione delle ragioni del contrasto), alcune autorità giudicanti di merito hanno sollevato incidente di legittimità costituzionale delle disposizioni in tema di descrizione legale dei presupposti della pericolosità generica (art. 1 d.lgs. n. 159/2011) per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost. in riferimento ai contenuti dell’art. 2, prot. 4 e art. 1, prot. 1, CEDU, per come interpretati dalla C. eur. dir. uomo nel citato arresto. In tale ottica, la stretta correlazione tra verifica preliminare della pericolosità soggettiva e incremento del patrimonio – a fini di confisca – rende rilevante il dubbio di legittimità costituzionale anche in procedure a contenuto patrimoniale. Altre autorità giudicanti di merito hanno ritenuto di non sollevare l’incidente di costituzionalità, vuoi in ragione dei caratteri dell’arresto sovranazionale (ritenuto non espressivo di una linea interpretativa consolidata e dunque non vincolante per il giudice interno secondo uno dei parametri elaborati, sul tema generale, da C. cost., 26.3.2015, n. 49) vuoi in ragione della riaffermazione di linee interpretative diverse, ritenute non confliggenti con i principi espressi dalla Grande Camera. Su tali aspetti verranno dunque esaminati i contenuti dei principali arresti della Corte di cassazione, precisandosi sin d’ora che la Corte Suprema italiana ha ritenuto di percorrere la strada di una interpretazione «costituzionalmente e convenzionalmente orientata» sì da realizzare una forma di dialogo con la Corte di Strasburgo non implicante la rimessione al giudice delle leggi.
Sul piano della teoria generale, può affermarsi che la linea evolutiva della giurisprudenza di legittimità tende – anche in chiave di risposta ai contenuti della decisione De Tommaso c. Italia – a ricostruire il fondamento sistematico del giudizio di pericolosità soggettiva (posto a base di tutte le misure di prevenzione) attraverso due operazioni logico-giuridiche. La prima riguarda le modalità realizzative del giudizio di pericolosità (v. già Cass. pen., 11.2.2014, n. 23641, in CED rv. n. 260104, Mondini) e la sua obbligatoria scissione in due fasi: una fase di apprezzamento e ricostruzione delle condotte tenute dal soggetto proposto (spesso definita come fase constatativa) cui segue la fase prognostica in senso stretto, ossia la formulazione del giudizio di concreta probabilità della futura commissione, da parte del soggetto, di condotte aggressive di beni giuridici protetti dalle disposizioni regolatrici (aspetto che consente l’applicazione della misura).
La seconda operazione, di natura dogmatica, riguarda l’adozione di una “lettura tassativizzante” delle previsioni di legge, tesa ad influenzare già la parte constatativa del giudizio, nel senso di escludere ab initio dal quadro valutativo condotte che non corrispondono alla selezione normativa delle fattispecie di potenziale pericolosità.
In altre parole, l’adozione di uno standard più elevato di «aderenza alla norma» nel momento preliminare (ma ineliminabile) della constatazione rende impossibile l’emissione del provvedimento applicativo della misura di prevenzione lì dove le condotte pregresse del soggetto proposto:
a) non siano sufficientemente dimostrate come condotte realmente verificatesi, il che bandisce dal sistema delle misure di prevenzione i semplici sospetti o le valutazioni meramente congetturali5;
b) non siano rispondenti ai contenuti estratti dalla previsione di legge, ricondotta, quest’ultima, a connotati di più stringente determinatezza (ad esempio, considerando il riferimento a precedenti condotte delittuose non in termini valoriali ma tassativi). In tal modo, pur senza rinnegare la qualificazione preventiva dell’intervento – perché con la misura di prevenzione non si infligge una pena al destinatario dell’azione ma si adottano provvedimenti incidenti su diritti di libertà o di proprietà in chiave contenitivo-inibitoria, sì da evitare o limitare le capacità di riproposizione di un determinato comportamento – la giurisprudenza della Suprema Corte tende a proporre una lettura «di sistema» che inevitabilmente condiziona la risposta preventiva alla osservanza di taluni principi di schietta matrice penalistica (tassatività/determinatezza), allo scopo di rafforzare la prevedibilità di ciò che – in ogni caso – è e resta un intervento «limitativo di diritti» (così qualificato in più occasioni dalla Corte costituzionale6) , con netta riduzione degli ambiti di discrezionalità del giudice.
Tale orientamento, venuto in essere anche prima e indipendentemente dalla emissione della decisione C. eur. dir. uomo, De Tommaso c. Italia, (v. Cass. pen., 24.3.2015, n. 31209, in CED rv. n. 264320, Scagliarini) si è indubbiamente consolidato tra il 2017 ed il 2018 ed ha consentito – specie nel settore della pericolosità generica – di affermare, in più occasioni, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta, da taluni ricorrenti, in aderenza ai contenuti espressi dalla Corte di Strasburgo.
In altre parole, l’opzione seguita dai giudici di legittimità pare muovere da una condivisione delle opzioni di principio espresse dalla Corte europea, tradotte – tuttavia – non già in un giudizio demolitorio della disciplina, quanto in un approdo interpretativo di diversa consistenza e qualità rispetto al passato, idoneo a far emergere – in casi come quello giudicato a Strasburgo – non già il difetto della legge quanto la sua “cattiva applicazione” nel caso concreto.
Quanto tale opzione possa affermarsi come valida risposta ai dubbi sollevati dalla Corte di Strasburgo potrà dirlo soltanto il giudice delle leggi, investito – come si è detto – dell’incidente sul tema. Ma sta di fatto che l’opzione sin qui descritta, che per comodità possiamo definire come “approccio tassativizzante” si è manifestata in numerosi casi, tanto da potersi apprezzare in termini di diritto vivente. È opportuno il riferimento ai contenuti di una recente decisione (Cass. pen., 19.4.2018, n. 43826, non massimata) che, nel fare il punto sulla continuità dell’indirizzo, riprende altri arresti (v. anche, in senso conforme, Cass. pen., 11.10.2017, n. 2385, in CED rv. n. 272230) e ribadisce i passaggi rilevanti della descritta linea interpretativa.
Si è dunque affermato che «dalla matrice giurisdizionale del procedimento e dalle ricadute della decisione su diritti fondamentali della persona deriva, la necessità di una valorizzazione: a) della dimensione probatoria della cd. fase constatativa del giudizio di prevenzione, base logica e giuridica della successiva prognosi di pericolosità; b) della aderenza di tale dimensione probatoria ai contenuti tipici della fattispecie astratta che si ritiene di applicare al soggetto proposto. Le decisioni di questa Corte – antecedenti e successive alla pronunzia della Corte di Strasburgo – che hanno dato corpo a tale linea interpretativa sono molteplici (si vedano, sul tema Sez. I n. 31209 del 2015 ; Sez. II n. 26235 del 2015 ; Sez. I n. 43720 del 2015; Sez. V n. 6067 del 2017; Sez. I n. 16038 del 2016; Sez. I n. 36258 del 2017; Sez. I n. 54119 del 2017; Sez. VI n. 53003 del 2017; Sez. I n. 349 del 2018; Sez. I n. 13375 del 2018), e convergenti nel realizzare una lettura delle disposizioni in tema di pericolosità semplice di cui all’art. 1, lett. a) e b), codice antimafia incentrata sulla valorizzazione della locuzione proventi di attività delittuose/traffici delittuosi in chiave tassativizzante. Si è infatti affermato, in via generale, che nella fase preliminare della constatazione delle condotte potenzialmente indicative della pericolosità sociale, parlare di “traffici delittuosi” o di proventi di “attività delittuose” in senso non generico, significa che, pur senza indicare le fattispecie incriminatrici specifiche, il legislatore ha inteso prendere in esame la condizione di un soggetto che ha, in precedenza, commesso dei delitti consistenti in attività di intermediazione in vendita di beni vietati (traffici delittuosi) o tipologicamente produttivi di reddito (provento di attività delittuose). In tal senso, le categorie tipizzate della personalità semplice – art. 1 codice antimafia – presentano aspetti (il riferimento alla abitualità e la descritta connotazione dell’attività pregressa svolta dal soggetto) di più elevata aderenza al paradigma classico della pericolosità penalistica rispetto a quelle della cd. pericolosità qualificata (art. 4, co.1, lett. a e lett. b), posto che in tale secondo caso il legislatore – proprio in riferimento al maggior disvalore delle fattispecie penali evocate – non richiede la precedente verifica della commissione del reato ma consente l’intervento preventivo sulla base dell’indizio di commissione del medesimo. In altre parole, va condivisa e ribadita l’affermazione (v. Cass. pen. n. 349/2018) per cui, nella costruzione della fattispecie legale di pericolosità il ‘delittuoso’ non è connotazione di disvalore generico della condotta pregressa ma attributo che la qualifica, dunque il giudice della misura di prevenzione deve, preliminarmente, attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate (dato il riferimento alla abitualità) che – vuoi facendosi riferimento ad accertamenti realizzati in sede penale, vuoi attraverso una autonoma ricostruzione incidentale che non risulti contraddetta da esiti assolutori – siano rispondenti al tipo di una previsione di legge penalmente rilevante. Ciò impone di ritenere che nella ricognizione del contenuto delle disposizioni di cui all’art. 1, co.1, lett. a e b, codice antimafia, l’interprete è tenuto ad aderire ad una lettura del contenuto prescrittivo che si fondi sull’apprezzamento di ripetute condotte di reato corrispondenti ai tratti (e alle finalità) delineati dal legislatore». Ed ancora, in aderenza a tali principi, si è ribadito che «la descrizione della ‘categoria criminologica’ di cui agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n.159 del 2011 ha, pertanto, il medesimo «valore» che nel sistema penale è assegnato alla norma incriminatrice, ossia esprime la ‘previa’ selezione e connotazione, con fonte primaria, dei parametri fattuali rilevanti, siano gli stessi rappresentati da una condotta specifica (le ipotesi di ‘indizio di commissione’ di un particolare reato, con pericolosità qualificata) o da un ‘fascio di condotte’ (le ipotesi di pericolosità generica). Ciò peraltro consente di qualificare come non condivisibile – anche alla luce delle più recenti linee interpretative interne – il giudizio negativo espresso dalla C. eur. dir. uomo nel caso De Tommaso in punto di “qualità della legge”, nel senso che le disposizioni di riferimento, qui limitate ai casi di «dedizione abituale a traffici delittuosi (lettera a art. 1 co.1) e/o al vivere abitualmente, anche in parte, con il provento di attività delittuose (lettera b)» contengono gli spunti tassativizzanti che consentono di ritenerle disposizioni idonee ad orientare le condotte dei consociati in modo congruo (con rispetto del canone logico-giuridico della prevedibilità, richiamato nella decisione C. eur. dir. uomo). Ciò, ovviamente, nella misura in cui tale approccio “tassativizzante” alla lettura delle norme venga rispettato in concreto, sulla base dei contenuti dei numerosi precedenti interni già orientati in tale direzione».
Corollario di tale impostazione teorica, è, inoltre, quello per cui l’avvenuta emissione di decisione assolutoria nel merito – nell’ambito del correlato giudizio penale – determina l’impossibilità di porre quel segmento di condotta a base della parte constatativa del giudizio di pericolosità, con netta riduzione dei margini di autonomia valutativa riservati al giudice della prevenzione. Sempre nel citato arresto n. 43826/2018 si è pertanto fornita una ulteriore chiarificazione sulle possibilità di esito difforme, tra i due procedimenti, nel modo che segue: «ferma restando la riaffermazione di tali, sia pur ridotti, spazi di autonomia, va precisato che il generale principio di non-contraddizione dell’ordinamento, in una con la scelta legislativa di accordare tendenziale preferenza al giudicato penale favorevole (ove di merito) impone di costruirne il senso non già in chiave di mera discrezionalità quanto in termini di possibile valorizzazione di dati obiettivi (normativi o fattuali) che si pongano come congruo fattore di giustificazione al mantenimento della misura di prevenzione pure a fronte di un ‘incidente’ giudicato penale di assoluzione7. In particolare, lì dove la ‘interferenza cognitiva’ tra i due procedimenti (di prevenzione e penale) vada a cadere su un ingrediente essenziale della parte ricostruttiva del giudizio di prevenzione, è da escludersi che possa farsi leva su tale spazio di autonomia per giustificare, in sede di esame della domanda di revoca, il mantenimento in essere del provvedimento applicativo della misura di prevenzione. Ciò perché, come si è detto in precedenza, il recupero di tassatività descrittiva delle categorie tipiche di pericolosità è stato realizzato negli arresti prima citati (specie sul fronte della cd. pericolosità generica) proprio attraverso la valorizzazione della ‘correlazione’ con uno o più delitti ritenuti come realizzati dal soggetto proposto (sicché lì dove la valutazione del giudice della prevenzione sia su smentita dal giudice della cognizione penale viene meno uno dei presupposti tipici cui era ancorata la misura di prevenzione). Risulta, per converso, possibile realizzare un simile effetto – di mantenimento della misura – lì dove il segmento fattuale ‘azzerato’ dal diverso esito del giudizio penale si inserisca come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale), o dove il giudizio di prevenzione si basi su elementi cognitivi realmente autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale, o ancora lì dove la conformazione legislativa del tipo di pericolosità prevenzionale risulti essere realizzata in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale». Si tratta di aspetti interpretativi di elevata complessità e di consistente novità, rispetto a letture pregresse, che appaiono allo stato prevalenti in sede di legittimità, ferma restando l’emersione di opinioni in parte diverse8, tali da rendere probabile l’approdo della questione – sui limiti della autonomia valutativa del giudice della prevenzione – alle Sezioni Unite della Corte.
Nel quadro sin qui descritto si pone, in linea con le opzioni di fondo, l’intervento delle Sezioni Unite – dep. 4.1.2018, n. 111, ric. Gattuso – sul tema della verifica in concreto della pericolosità del soggetto previamente inquadrato in una categoria tipologica di pericolosità qualificata per «indizio di appartenenza» ad un associazione di stampo mafioso. L’intervento si segnala, essenzialmente, per tre aspetti aventi valenza generale. Il primo è rappresentato dalla conferma della sindacabilità con ricorso per cassazione (nonostante la nota limitazione dei motivi di ricorso alla nozione di violazione di legge) di lacune motivazionali che derivino da una inesatta ricognizione dei presupposti applicativi in diritto della misura di prevenzione.
Il contrasto di giurisprudenza, portato a soluzione con la decisione, era infatti sorto in riferimento alla necessità o meno di estendere la motivazione – in sede di merito ed in caso di applicazione della misura – ai profili di attualità della pericolosità in presenza di un inquadramento soggettivo ricollegato alla previsione di cui all’art. 4, co.1, lett. a), d.lgs. n. 159/2011 (l’indiziato di appartenenza ad una organizzazione di stampo mafioso).
Le Sezioni Unite offrono risposta positiva a tale primo aspetto9.
Il secondo aspetto di interesse riguarda la opzione che porta alla soluzione del contrasto insorto tra le Sezioni Semplici. Le Sezioni Unite prestano adesione alla lettura delle disposizioni regolatrici tesa ad evidenziare, anche in ipotesi di inquadramento in categorie di pericolosità qualificata, l’assenza di presunzioni legali di pericolosità (in riferimento alla generale previsione dell’art. 6, d.lgs. n. 159/2011, che ricollega l’applicazione della misura non solo alla collocazione nella categoria tipica ma alla puntuale argomentazione del giudizio prognostico) e il rilievo di una mera presunzione semplice derivante da massima di esperienza, con obbligo di «argomentazione in positivo» circa la ricorrenza di specifici elementi di fatto che sostengano la conclusione di attualità della pericolosità, tali da evidenziare la natura dell’apporto fornito dal soggetto all’organismo associativo. In tale arresto si conferma, dunque, che il contenuto dell’art. 6 d.lgs. n. 159/2011 esclude in modo chiaro l’esistenza di presunzioni legali e finisce, nel settore della prevenzione, con lo svolgere la funzione che nel lontano 1986 il legislatore assegnò, nel correlato settore delle misure di sicurezza personali, all’art. 31 l. 10.10.1986, n. 663, norma abolitrice di tutte le presunzioni legali di pericolosità, in origine contenute nel testo dell’art. 204 c.p.
Il terzo spunto sistematico estraibile dalla decisione, in aderenza a quel filone interpretativo che si è classificato in termini di «opzione tassativizzante», riguarda la stessa modalità di estrazione del precetto dalla disposizione di legge, con attribuzione di significato alla espressione «indiziato di appartenenza» in termini meno generici rispetto al passato.
Si è così precisato che il concetto di appartenenza ad una associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla partecipazione, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale. Ferma restando la problematicità correlata alla valorizzazione dell’indizio – dunque ad un livello dimostrativo qualitativamente inferiore rispetto a quello necessario per affermare la responsabilità penale – risulta in tal modo superato l’orientamento giurisprudenziale teso a valorizzare, a fini di preliminare inquadramento nella categoria tipica di prevenzione, forme di vicinanza meramente ideologica o espressive di cultura comune.
Alcuni affinamenti interpretativi sono emersi sul tema del giudizio storico di pericolosità – in ambito applicativo dell’istituto della confisca disgiunta – e sulla perimetrazione cronologica tra condizione soggettiva e momento degli acquisti (sul tema resta fondamentale la lettura offerta da Cass. pen., S.U., 26.6.2014, 4880, in CED rv. n. 262606, Spinelli).
Quanto al primo aspetto, è stato affermato ( Cass. pen. 20.9.2017, n. 13375, in CED rv. n. 270701) che: « … il giudizio ‘storico’ di pericolosità soggettiva, necessario (in rapporto ai contenuti di Sez. Un. ric. Spinelli) a realizzare – specie in ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1 d.lgs. n. 159/2011 – la perimetrazione cronologica al fine di sostenere la correlazione temporale tra pericolosità ed acquisto dei beni, non può alimentarsi dalla constatazione di condotte genericamente indicative della propensione al delitto, ma deve basarsi sull’apprezzamento di condotte di reato corrispondenti al tipo criminologico indicato dalla norma regolatrice che si intende applicare.
Deve trattarsi, in altre parole, ove si intenda applicare la previsione di cui alla lettera b dell’art. 1 d.lgs. n. 159/2011 di attività delittuose (acclarate con grado di certezza) capaci di produrre reddito e non già di condotte genericamente devianti o denotanti un semplice avvicinamento a contesti delinquenziali.
Ciò perché una diversa lettura del parametro della pericolosità storica porterebbe a nuovi impropri scivolamenti del giudizio di prevenzione su terreni di incontrollata discrezionalità, vanificando la stessa ragion d’essere della lezione – in tema di correlazione temporale – contenuta nella decisione Sez. Un. Spinelli, prima ricordata, nonché il contenuto degli arresti di questa Corte posteriori alla decisione della Grande Camera della Corte di Strasburgo in tema di recupero di tassatività delle previsioni di legge. La pericolosità prevenzionale non è mai generica, ma sempre tipica (anche quella di cui all’art. 1, sia pure con indicazione di un ‘fascio’ di possibili condotte, individuato per tipologia e non per nomen iuris) e la collocazione temporale del periodo di pericolosità deve appoggiarsi ad indicatori del tutto univoci. In sede di formulazione del giudizio storico di pericolosità soggettiva ci si deve, in altre parole, chiedere in che momento gli ‘indicatori’» rappresentati dalla commissione di condotte illecite abbiano raggiunto quella consistenza e abitualità tale da consentire – se il giudizio di prevenzione si fosse tenuto contestualmente ai fatti – l’irrogazione della misura di prevenzione personale, ossia la prognosi negativa sulle condotte future alimentata dall’apprezzamento di
quanto ‘sino ad allora’ avvenuto. Risulta pertanto erronea in diritto – e non in fatto, con piena sindacabilità nella presente sede di legittimità – l’adozione di un criterio di metodo che porti, di contro, ad individuare il dies a quo della pericolosità ‘prevenzionale’ nel momento di avvenuta commissione da parte del soggetto del suo primo reato, senza apprezzarne l’entità, la valenza, la capacità di denotare serialità e dunque l’attitudine a porsi come momento realmente iniziale di una sequenza ... ».
Tale arresto promuove, dunque, una lettura del giudizio storico di pericolosità soggettiva – per definizione non più attuale – che non si limiti alla individuazione ex post della commissione di un qualsivoglia reato, ma che sia rispondente ai contenuti della norma posta a base dell’inquadramento, sì da potersi formulare – ora per allora – quella particolare constatazione di serialità imposta dalla legge.
Sempre sulle ricadute del principio della obbligatoria correlazione temporale tra condizione di pericolosità ed incrementi patrimoniali confiscabili10, è da segnalare quanto affermato da Cass. pen., 13.3.2018, n. 14165, in CED rv. n. 272377. In tale arresto si è affermato che mentre il limite di ragionevolezza dell’ablazione non può retroagire a momenti antecedenti la insorgenza della pericolosità soggettiva, è ben possibile che il giudice del merito, pure a fronte della cessazione della pericolosità, disponga la confisca disgiunta di beni incamerati dopo tale cessazione lì dove .. si dia conto della esistenza di una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi del fatto che dette acquisizioni siano la diretta derivazione causale proprio della provvista formatasi nel periodo di illecita attività.
In tal senso, attraverso una motivazione rinforzata, si consente di ricostruire – al di là dell’epoca formale dell’acquisto, posteriore all’ultima traccia visibile di pericolosità – il nesso di derivazione tra formazione della provvista finanziaria (avvenuta in costanza di pericolosità) e acquisto del bene, con rispetto del principio di fondo espresso nella citata decisione Sezioni Unite Spinelli.
L’aspetto della reale efficacia di orientamento dei comportamenti (del soggetto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale) attraverso l’imposizione di prescrizioni, è al centro del secondo filone interpretativo nato dalla decisione C. eur. dir. uomo De Tommaso c. Italia. È nota l’opzione interpretativa seguita dalle Sezioni Unite nella decisione 5.9.2017, n. 40076, Paternò, con esclusione della rilevanza penale della condotta di violazione di prescrizioni (pur valide in ambito prevenzionale) eccessivamente generiche, come quella del vivere onestamente e rispettare le leggi di cui all’art. 8, co. 4, d.lgs. n. 159/2011.
In tale ambito vanno segnalati gli arresti che seguono:
i) la Corte di cassazione ha confermato (Cass. pen., 4.4.2018, n. 31623, in CED rv. n. 273081) che in caso di responsabilità penale per violazione dell’honeste vivere l’assenza di un ricorso valido (nel caso di specie intempestivo) determina, pure a fronte dell’overruling giurisprudenziale, la impossibilità di realizzare un intervento ex officio teso alla rimozione della rilevanza penale del fatto11;
ii) è stata, per converso, estesa la ratio della decisione Sezioni Unite Paternò alla ipotesi di incriminazione della violazione del divieto di partecipazione a pubbliche riunioni, con decisione del 9.4.2018, n. 31322, in CED rv. n. 273499. In tale arresto si è affermato che la partecipazione del sorvegliato speciale ad una manifestazione sportiva (incontro di calcio) non integra la rilevanza penale del fatto, attesa la indeterminatezza del divieto e la eccessiva discrezionalità rimessa al giudice nella individuazione concreta del comportamento vietato;
iii) è stata, ancora, ritenuta legittima e possibile fonte di responsabilità penale in caso di violazione (Cass. pen., 26.2.2018, n. 12889, non massimata) una prescrizione atipica (ricollegabile alla previsione di legge per cui il Tribunale può imporre tutte quelle prescrizioni che ravvisi necessarie avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale) che risulti dotata di sufficiente specificità (nel caso di specie la detenzione di apparecchi di telefonia mobile) e funzionalmente non in contrasto con le necessità inibitorie della constatata pericolosità.
Come può notarsi, il tema mantiene una forte vitalità interpretativa, pur essendosi radicata la linea interpretativa per cui il contenuto generico della prescrizione ne infirma la validità in chiave di presupposto di una penale responsabilità in caso di violazione.
Tra le molteplici questioni interpretative correlate al delicato equilibrio tra tutela del credito (inciso dalla statuizione di confisca) e mantenimento pieno degli effetti espropriativi della confisca, va evidenziata l’avvenuto intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. pen., S.U., 31.5.2018, n. 29847, in CED rv. n. 272978) sul tema della tutelabilità della posizione creditoria oggetto di cessione in epoca posteriore alla emissione del provvedimento di sequestro. Nel risolvere il contrasto, sorto essenzialmente in riferimento ad ipotesi di cessioni in blocco di molteplici posizioni creditorie (con genesi ipotecaria) in sofferenza (sì da rendere tendenzialmente inesigibile la verifica della avvenuta trascrizione del sequestro) le Sezioni Unite hanno affermato che la cessione di un credito ipotecario, precedentemente insorto, successiva alla trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, non preclude di per sé l’ammissibilità della ragione creditoria, né determina automaticamente uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest’ultimo dimostrare la propria buona fede.
La decisione si caratterizza per l’approfondimento della posizione del cessionario, ritenuto potenziale portatore della condizione di buona fede a lui trasferita dal cedente, con ammissibilità della allegazione di elementi di sostegno a tale ipotesi, senza pregiudizio derivante dalla posteriorità della cessione rispetto al sequestro.
In tema di variazioni della competenza a provvedere sulla proposta applicativa della misura di prevenzione, apportate con l. n. 161/201712, si sono registrate univoche prese di posizione della Suprema Corte, nel senso della permanente attribuzione al Tribunale provinciale di procedure attinenti la fase – in senso ampio – esecutiva (tra le molte, Cass. pen., 21.9.2018, n. 49147, non massimata). In tale categoria sono state iscritte le domande di revoca ex nunc della misura personale, così come le procedure relative alla attualizzazione della pericolosità in caso di misura rimasta sospesa per stato detentivo del destinatario. Il ragionamento espresso in tali arresti muove dalla constatazione dell’assenza di una disciplina transitoria riguardante la variazione dei criteri attributivi di competenza di cui all’art. 5 d.lgs. n. 159/2011 (con pacifica devoluzione delle proposte successive al 19.11.2017 alla cognizione del Tribunale distrettuale) il che conduce alla applicazione dei principi generali in tema di successione di leggi processuali. In particolare si è ritenuto di individuare un criterio generale di attribuzione della competenza nel testo dell’art. 665, co. 1, c.p.p., secondo cui, salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato. Da ciò deriva che la regola della perpetuatio jurisdictionis non governa – in assenza di norma derogatoria – la sola fase cognitiva, ma la stessa fase esecutiva, il che assicura continuità nell’apprezzamento di aspetti relativi alla personalità del soggetto sottoposto alla misura.
1 Con l’art. 4 d.lgs. n. 21/2018 è stato inserito l’art. 512 bis c.p. (Trasferimento fraudolento di valori), che riproduce il testo dell’art. 12 quinquies, co. 1, d.l. 8.6.1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla l. 7.8.1992, n. 356.
2 Con l’art. 5 del d.lgs. n. 21/2018 è stato inserito l’art. 240 bis c.p. (Confisca in casi particolari) che riproduce il testo dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 356/1992 e le sue ulteriori novellazioni.
3 Il testo della disposizione è : «non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quello di suo coadiutore, coloro i quali sono legati da rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado con magistrati addetti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l’incarico, nonché coloro i quali hanno con tali magistrati un rapporto di assidua frequentazione. Si intende per frequentazione assidua quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali».
4 Si riporta il passaggio argomentativo di maggior rilievo contenuto nella decisione: « … La Corte osserva che, nonostante il fatto che la Corte costituzionale sia intervenuta in diverse occasioni per chiarire i criteri da utilizzare per valutare se le misure di prevenzione fossero necessarie, l’applicazione di tali misure resta legata a un’analisi prospettica da parte dei tribunali nazionali, dato che né la Legge né la Corte costituzionale hanno individuato chiaramente le ‘prove fattuali’ o le specifiche tipologie di comportamento di cui si deve tener conto al fine di valutare il pericolo che la persona rappresenta per la società e che può dar luogo a misure di prevenzione. La Corte ritiene pertanto che la Legge in questione non contenesse disposizioni sufficientemente dettagliate sui tipi di comportamento che dovevano essere considerati costituire un pericolo per la società ... ».
5 Aspetto ribadito da ultimo, in Cass. pen., 7.2.2018, n. 9517, in CED rv. n. 272522.
6 Il riferimento è alla ordinanza C. cost., 23.6.1988, n. 721 e a C. cost., 8.10.1996, n. 335.
7 Diversa l’ipotesi di esito del giudizio penale con estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Tale tipologia di pronunzia non determina alcun vincolo in sede di prevenzione, come ribadito, tra le altre, da Cass. pen., 19.1.2018, n. 11846, in CED rv. n. 272495.
8 Si veda quanto affermato da Cass. pen., 15.3.2018, n. 17946, in CED rv. n. 273036, ove si è ritenuto possibile – proprio in ragione del principio di autonomia valutativa – affermare la pericolosità di un soggetto assolto in sede penale dal reato di intestazione fittizia per carenza di prova.
9 Si veda, in particolare quanto affermato al par.2: « … appare necessario premettere all’analisi della questione proposta che è del tutto pacifico che sia possibile svolgere in sede di legittimità il controllo inerente all’esatta applicazione della legge, sui provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, ove si profila la totale esclusione di argomentazione su un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l’applicazione della misura, configurandosi, in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale, la nullità del provvedimento ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 111, sesto comma, Cost., 125, comma 3, cod. proc. pen., 7, comma 1, d. lgs 6/09/2011, n. 159, poiché l’apparato giustificativo costituisce l’essenza indefettibile del provvedimento giurisdizionale ... ».
10 Principio recepito e valorizzato in chiave di ragionevolezza dell’intervento ablativo dalla stessa Corte costituzionale, anche per il caso della confisca estesa penale, nella decisione 21.2.2018, n. 33.
11 Va ricordata, sul tema, la pendenza di questione incidentale di legittimità costituzionale della previsione incriminatrice (mozione alternativa a quella seguita dalle Sezioni Unite nel caso Paternò) motivata anche in riferimento alla necessità di parificare le condizioni dei destinatari di una decisione di condanna in rapporto all’epoca di trattazione dei loro ricorsi (antecedente o successiva alla modifica interpretativa) ed alla ammissibilità o meno dei medesimi.
12 Con attribuzione della medesima al Tribunale distrettuale individuato in riferimento al luogo di dimora del proposto, con le sole deroghe relative ai circondari di Trapani e Santa Maria Capua Vetere.