Misure repressive di abusi edilizi
Nel 1983 l’Adunanza plenaria n. 12 ha statuito la necessità di una specifica motivazione per l’ordine di demolizione adottato molti anni dopo l’abuso. Tale principio è stato modificato, senza fare alcun riferimento al citato precedente, dalla Plenaria 17.10.2017, n. 9, che non appare condivisibile in relazione ai “casi-limite” di tardiva ordinanza demolitoria adottata nei confronti di soggetto non responsabile dell’abuso e non autore di comportamenti elusivi del potere repressivo. In tali casi sembra potersi ammettere anche la tutela del legittimo affidamento del privato. Questa ricostruzione non solo sembra essere in armonia sia con la recente tendenza legislativa alla valorizzazione dell’onere motivazionale sia con la giurisprudenza della Cassazione, ma comporta anche una maggiore responsabilizzazione dell’autorità amministrativa preposta al controllo, con conseguente potenziamento del contrasto all’abusivismo edilizio.
Come è noto, il provvedimento di demolizione1, in presenza dei presupposti di legge, è un atto dovuto, espressione della natura vincolata ed obbligatoria dell’attività di repressione degli abusi edilizi.
È solo con l’art. 15, l. 27.1.1977, n. 10 (cd. legge Bucalossi) che si cominciò a delineare, in materia urbanistica, l’obbligatorietà dell’azione repressiva, in quanto l’art. 32, l. 17.8.1942, n. 1150 (cd. legge urbanistica) prevedeva soltanto la facoltà di ordinare la demolizione dei lavori abusivamente realizzati2, mentre l’art. 13, l. 6.8.1967, n. 765 (cd. legge Ponte), che sostituì l’art. 41 della citata legge urbanistica, si limitava a stabilire che «qualora non sia possibile procedere alla restituzione in pristino ovvero alla demolizione delle opere eseguite senza la licenza di costruzione o in contrasto con questa, si applica in via amministrativa una sanzione pecuniaria pari al valore delle opere o loro parti abusivamente eseguite».È, tuttavia, con la legge 28.2.1985 n. 47 che il potere di repressione degli abusi edilizi acquisisce definitivamente i caratteri dell’obbligatorietà e della vincolatezza. Proprio in considerazione di tali caratteri, già in passato si registrava un contrasto tra l’indirizzo secondo cui il provvedimento repressivo non necessitava di una particolare motivazione3 (né di una previa comparazione dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso con l’interesse del privato proprietario del manufatto) e il contrapposto indirizzo favorevole ad un articolato onere motivazionale. In considerazione del succitato contrasto, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è stata chiamata nel 1983 a pronunciarsi in merito alla rilevanza del decorso del tempo sull’ordine di demolizione della
p.a.4. Già in quella occasione è stata posta la questione relativa alla necessità o meno di indicare, da parte dell’amministrazione, le ragioni di pubblico interesse sottese all’adozione del provvedimento demolitorio e la decisione dell’Alto Consesso è stata nel senso che, sebbene l’abusività dell’opera costituisse l’elemento di per sé idoneo a condizionarne la concreta operatività (senza necessità di alcuna ulteriore valutazione5), tale principio risultava attenuato nel caso in cui, a fronte dell’abuso del privato, vi fosse stata inerzia della p.a. per un lasso temporale considerevolmente lungo.
In relazione a questa specifica ipotesi è stata inequivocabile la pronuncia n. 12/1983 dell’Adunanza plenaria nell’indicare, per l’ordinanza di demolizione, la necessità di una motivazione più articolata, rispetto al “caso-tipo” in cui l’onere motivazionale poteva essere limitato alla semplice constatazione dell’abusività dell’opera. Insomma, si escludeva che il lungo decorso del tempo senza ricorrere al potere sanzionatorio potesse di per sé sanare di fatto un’opera abusiva, ma al tempo stesso si imponeva che quest’ultima potesse essere abbattuta solo motivando in modo puntuale ed adeguato sulla sussistenza di specifiche esigenze di pubblico interesse. Nonostante tale autorevole pronuncia, non sono mancate – sulla questione in esame – posizioni del giudice amministrativo indirizzate, a volte, a valorizzare l’inconsumabilità del potere repressivo e il carattere di illecito permanente dell’abuso edilizio; altre volte, invece, l’affidamento6 ingenerato nel privato dall’inerzia della p.a., con contrapposte conclusioni in ordine al citato obbligo motivazionale. In particolare, è stato sottolineato come, in relazione ad un abuso edilizio realizzato da molti anni in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, la prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato fosse in re ipsa, in considerazione del rilievo costituzionale del paesaggio7. È stato anche evidenziato come l’interesse all’intervento repressivo da parte dell’amministrazione dovesse ritenersi subvalente rispetto al contrapposto interesse del privato nell’ipotesi di abusi di lieve entità consistenti in mere variazioni8 ovvero nei casi di situazioni assolutamente eccezionali nelle quali fosse evidente la sproporzione tra il sacrificio imposto al privato e l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata9. Non sono mancate, poi, pronunce orientate ad escludere che il mero decorso del tempo fosse sufficiente a ingenerare un legittimo affidamento nel privato, in quanto si è sostenuto come tale affidamento fosse configurabile unicamente nel caso in cui il privato fosse stato indotto – da un provvedimento della p.a. – a ritenere la legittimità del proprio operato ovvero nel caso in cui il comportamento inerte dell’amministrazione potesse essere qualificato, almeno presuntivamente, come tolleranza dell’esistenza delle opere abusive e non quale mera conseguenza dell’impossibilità di un controllo capillare sul territorio10. Questa situazione di profondo contrasto ha creato, nella materia in esame, le condizioni per un’ulteriore pronuncia – a distanza di 34 anni dalla precedente – dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. In particolare, a determinare la rimessione a tale organo giurisdizionale è stata la problematica relativa alla necessità o meno che un’ordinanza di demolizione di immobile abusivo motivi congruamente sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando: a) il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, b) il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e c) il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio.
A seguito della sopraindicata rimessione è intervenuta in data 17.10.2017 la pronuncia n. 9 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che chiarisce anzitutto come la fattispecie in esame non possa essere ricondotta al quadro generale dell’autotutela11. Infatti, nella situazione esaminata non si è in presenza di un ordine di demolizione adottato, dopo lungo tempo, a seguito di annullamento in autotutela del titolo edilizio illegittimo ovvero del provvedimento di sanatoria rilasciato in assenza dei necessari presupposti12. Invece, l’ipotesi presa in considerazione dalla citata sentenza n. 9/2017 è quella relativa all’adozione di un ordine di demolizione a distanza di un considerevole lasso di tempo rispetto all’edificazione avvenuta nella totale assenza di un titolo. Si tratta, come è intuibile, di due fattispecie notevolmente diverse tra loro.
La prima – di cui si è interessata l’ulteriore sentenza emessa in data 17 ottobre 2017 dall’Adunanza plenaria e cioè la n. 8/2017 – è caratterizzata dal fatto che “a monte” dell’ordine di demolizione vi sono un titolo edilizio o un provvedimento in sanatoria illegittimi annullati a distanza di considerevole lasso di tempo, con conseguente notevole ritardo anche nell’adozione del citato provvedimento demolitorio. La seconda fattispecie, invece, è caratterizzata dalla totale assenza – “a monte” dell’ordine di demolizione adottato ad una notevole distanza temporale dall’opera abusiva – di un titolo edilizio o di un provvedimento in sanatoria illegittimi: in questo caso, come rileva la pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 9/2017, la mera inerzia da parte della p.a. nell’esercizio del potere repressivo non può trasformare in legittimo ciò che (il manufatto sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Né tale inerzia può determinare un legittimo affidamento in capo ad un soggetto privo di qualsivoglia atto amministrativo favorevole, idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Insomma, ad avviso della succitata sentenza, non si possano estendere ad un fenomeno evidentemente illecito (l’abuso edilizio) tutte quelle prerogative che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, sono state previste per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria.
Del resto, non è possibile ricollegare al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere della p.a. di reprimere gli abusi edilizi.
Conseguentemente, se il fattore tempo non può incidere sul carattere doveroso dell’esercizio del succitato potere repressivo, deve necessariamente escludersi che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In altri termini, secondo la Plenaria può ritenersi – nella fattispecie in esame – adeguata la motivazione (dell’ordine di demolizione) incentrata sul solo richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza dover soddisfare ulteriori oneri motivazionali.
In relazione a tale ultimo profilo la situazione non cambia neanche nell’ipotesi in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non sia individuabile nella cessione dell’opera abusiva alcun intento elusivo. Infatti, il carattere reale e la natura ripristinatoria della demolizione inducono l’Adunanza plenaria ad escludere la possibilità di imporre all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale.
Né lo stato soggettivo di buona fede e di affidamento dell’avente causa può incidere sulla consistenza della citata motivazione.
Anche in relazione all’onere motivazionale occorre distinguere l’ipotesi in cui l’ordine di demolizione tardivamente adottato sia privo, “a monte”, di un titolo edilizio o di un provvedimento di sanatoria illegittimi, dall’ipotesi in cui questi ultimi preesistano al tardivo provvedimento demolitorio, dove il problema della consistenza della motivazione evidentemente riguarda in primis il presupposto dell’ordine di demolizione e cioè il provvedimento illegittimo “a monte”.
In relazione alla prima ipotesi sono – ad avviso di chi scrive – solo in parte condivisibili le conclusioni cui giunge la sentenza n. 9/2017 dell’Adunanza plenaria, la quale non fa alcun accenno – e la circostanza non è senza rilievo – alla precedente pronuncia n. 13/1983 sempre dell’Adunanza plenaria intervenuta sulla stessa materia in esame. Infatti, la sentenza n. 9/2017 appare condivisibile unicamente quando, in ordine ai “casi-tipo”, limita l’onere motivazionale della p.a. alla sola indicazione dell’accertata abusività dell’opera. Invece, in ordine ai “casi-limite” richiamati in precedenza, sembra meritevole di accoglimento la differente tesi avallata dalla sentenza n. 12/1983 dell’Adunanza plenaria.
Quest’ultima, come accennato in precedenza, ha individuato specifiche ipotesi in cui è necessaria un’articolata e dettagliata motivazione per l’ordine di demolizione privo – “a monte” – di un titolo edilizio o di un provvedimento di sanatoria: anzi, sotto il profilo dell’onere motivazionale, i “casi-limite” richiamati dalla sentenza n. 9/2017 sembrano essere ancora più pregnanti rispetto alle ipotesi previste dalla precedente pronuncia n. 12/1983.
Ebbene, il rigoroso rispetto della delicata funzione ricoperta dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e l’indubbio prestigio che deve essere riconosciuto indistintamente a tutti i “precedenti” della stessa Adunanza plenaria avrebbero dovuto indurre la sentenza n. 9/2017 non solo a richiamare in modo espresso la pronuncia n. 12/1983, ma anche ad indicarne analiticamente le ragioni del superamento. A ciò deve aggiungersi che la crescente sensibilità mostrata (soprattutto di recente) dal legislatore per l’accentuazione dell’onere motivazionale, induce, anche nell’ottica di una nuova e più moderna dimensione del rapporto tra cittadino e p.a., a valorizzare questa linea di tendenza legislativa, sebbene afferente allo specifico ambito dell’autotutela, e ad estendere nel contesto in esame la sopraindicata accentuazione dell’onere motivazionale almeno ai soli citati eccezionali “casi-limite”. Del resto, l’obbligo di una specifica motivazione non deve far pensare necessariamente ad un atto discrezionale, in quanto non è detto che un atto vincolato non possa necessitare di articolata motivazione. Quanto sopra accennato porta a ritenere che non sarebbe stata impropria una conferma del principio enunciato dall’Adunanza plenaria n. 12/1983 relativamente al tardivo provvedimento demolitorio. Invece, la sentenza n. 9/2017, senza fare alcun cenno alla puntuale elaborazione fatta dalla pronuncia n. 12/1983 in merito alla problematica in esame, si è indirizzata verso un deciso cambiamento di rotta, optando per una posizione di rigido ridimensionamento della consistenza dell’onere motivazionale anche in relazione a casi davvero marginali, che sembrano meritare una differente considerazione. Inutile dire che non è attraverso questo tipo di approccio che si può contribuire a contrastare l’esecrabile piaga dell’abusivismo edilizio. Anzi, un contributo in quest’ultimo senso sembra possa provenire proprio da un’accentuazione dell’onere motivazionale in esame per i citati “casilimite”: ciò, infatti, può portare ad un’intensificazione della doverosa attività di controllo da parte della p.a. in ambito urbanisticoedilizio. Al contrario, un depotenziamento della struttura motivazionale può essere foriero di un pericoloso fenomeno di deresponsabilizzazione dell’autorità deputata alla repressione dell’abusivismo edilizio.
È bene ribadire che non si tratta assolutamente di coonestare interventi che ab origine sono e rimangono indiscutibilmente illeciti: si tratta solo di potenziare l’apparato motivazionale unicamente nei rari ed eccezionali casi di ordine di demolizione emesso, come nel fattispecie concreta esaminata dall’Adunanza plenaria n. 9/2017, in riferimento ad un’opera abusiva realizzata in epoca molto risalente e da soggetto diverso dall’attuale proprietario che giammai ha assunto un atteggiamento elusivo dell’onere di ripristino.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi indicata all’inizio di questo paragrafo e cioè quella in cui il tardivo ordine di demolizione consegue all’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio o di un provvedimento in sanatoria illegittimi, il Consiglio di Stato (prima ancora dell’Adunanza plenaria n. 8/2017) ha più volte sottolineato la necessità – ai fini della rimozione d’ufficio di un atto favorevole – di un’articolata esplicitazione delle ragioni di interesse generale che impongono l’eliminazione dell’atto invalido, attraverso la chiara esemplificazione degli effetti concreti che si assumono contrastanti con i valori tutelati dall’ordine legale infranto, non in base a come sono astrattamente considerati dalla disciplina normativa ma in base a come in concreto si pongono nello specifico contesto empirico. Pertanto, nei casi di annullamento di un titolo edilizio o di un provvedimento in sanatoria illegittimi, l’esercizio del potere di autotutela intervenuto a notevole distanza di tempo dall’acquisizione (da parte del privato) del titolo asseritamente illegittimo determina la tardività dell’intervento correttivo ed impone, a fronte della consistenza dell’affidamento ingenerato nei destinatari circa il consolidamento della loro efficacia, una motivazione particolarmente convincente in ordine all’apprezzamento degli interessi del destinatario dell’atto, in relazione alla pregnanza e alla preminenza dell’interesse pubblico alla eliminazione d’ufficio del titolo edilizio illegittimo. È in tale direzione che si è orientata l’Adunanza plenaria con la sopraindicata sentenza n. 8/2017.
Come per i profili attinenti all’onere motivazionale, pure per gli aspetti relativi alla tutela dell’affidamento del privato bisogna distinguere tra l’ordine tardivo di demolizione adottato a seguito di annullamento di titolo edilizio illegittimo e ordine tardivo di demolizione privo di preesistente titolo edilizio. In questo ultimo caso, coerentemente con quanto sostenuto in merito alla consistenza della motivazione del provvedimento demolitorio, unicamente per i succitati eccezionali “casi-limite” sembra porsi il problema della tutela dell’affidamento. Tale problema, invece, si pone senza alcun distinguo in relazione al primo dei due sopraindicati casi. Si deve rilevare che, ai fini dell’affidamento, è opportuno valutare attentamente sia la condotta del privato sia quella dell’amministrazione. In particolare, per quanto riguarda quest’ultima bisogna verificare se la p.a. effettivamente abbia tenuto una condotta qualificabile come tolleranza dell’esistenza dell’opera o se tale condotta si sia estrinsecata in atti incompatibili13 con la volontà (poi manifestata) di reprimere l’abuso. Allo stesso modo è necessario accertare se il proprietario del manufatto destinatario del provvedimento di demolizione non solo non sia, per ipotesi, responsabile dell’abuso, ma anche se non abbia operato al fine di eludere l’esercizio dei poteri repressivi della p.a. In caso di riscontro positivo nei sopraindicati accertamenti non sembra destituito di fondamento sostenere la sussistenza di un incolpevole affidamento del privato. Proprio un’elementare esigenza di tutela di tale affidamento comporta che nelle sopraindicate situazioni, se, da un lato, è indubitabile che il decorso del notevole lasso di tempo non possa portare ad una sanatoria di fatto dell’opera abusiva, dall’altro lato è altrettanto indubitabile che si debbano specificamente indicare le ragioni di pubblico interesse per le quali a distanza di un lungo lasso temporale si ritenga di sacrificare i contrapposti interessi privati (v. par. 4). Bisogna ora verificare se la citata tutela dell’affidamento, relativamente alle situazioni accennate in precedenza, si debba limitare unicamente ad imporre un articolato onere motivazionale o possa spingersi più avanti.
Sembra potersi evincere, nell’ambito del complessivo sistema sanzionatorio urbanistico-edilizio, l’esistenza di un principio generale per cui il proprietario del bene oggetto dell’abuso edilizio, se non abbia contribuito alla realizzazione dell’abuso stesso, non può di certo impedire l’esecuzione dei provvedimenti sanzionatori vincolati relativi al proprio bene, ma al contempo ha diritto ad una tutela risarcitoria esercitabile nei confronti dell’autore del citato abuso14. Infatti, la giurisprudenza è conforme nel ritenere che, ai fini dell’esecuzione di un sequestro di un immobile abusivamente realizzato, non produce effetti preclusivi la circostanza che l’autore dell’illecito edilizio sia soggetto diverso dal proprietario, il quale può solo attivare una tutela risarcitoria nei confronti del primo, ma non può impedire l’esecuzione del succitato provvedimento15. Analogamente, in relazione all’ordine di demolizione la Corte di Cassazione è costante nell’affermare non solo che tale provvedimento non può essere escluso dall’alienazione del manufatto abusivo a terzi, ma anche che l’acquirente, se estraneo all’abuso, può rivalersi in sede risarcitoria nei confronti del venditore a seguito dell’avvenuta demolizione16. Se, da un lato, non possono sorgere dubbi sulla tutela risarcitoria dell’affidamento del privato nei confronti del responsabile dell’abuso, dall’altro lato sembrano sussistere spazi per arrivare a configurare la possibilità di ammettere anche una tutela dell’affidamento del privato nei confronti della p.a., soprattutto nei casi in cui l’azione amministrativa si sia concretizzata in provvedimenti incompatibili con l’intento (poi attuato) di eliminare l’abuso. Insomma, non sembra destituito di fondamento il fatto che al privato possa essere riconosciuta nei confronti della p.a. la tutela dell’affidamento nell’ipotesi in cui il proprietario dell’opera interessata dal tardivo provvedimento di demolizione non sia il responsabile dell’abuso edilizio e non abbia posto in essere alcunché per eludere l’esercizio dei poteri repressivi dell’amministrazione. Né è revocabile in dubbio la tutela del legittimo affidamento17 relativamente alla situazione in cui, a seguito di ritiro dovuto ad annullamento in sede di autotutela (o in sede giurisdizionale), venga a mancare un provvedimento attributivo di vantaggi economici (come, appunto, il titolo edilizio) su cui il privato abbia fatto legittimo affidamento18. L’Adunanza plenaria, al contrario, ha escluso, nell’ambito in esame, la configurabilità di un legittimo affidamento fondato su un provvedimento illegittimo: «può essere non più opportuno far luogo all’annullamento in autotutela, in considerazione del tempo trascorso e degli interessi dei destinatari e dei contro-interessati; ma quando tali condizioni sono rispettate non vi è spazio per la tutela patrimoniale»19. Ebbene, tale autorevole orientamento, se è sicuramente condivisibile in relazione ai casi in cui l’illegittimità dell’atto sia stata determinata dalla non veritiera prospettazione dei fatti proveniente dal soggetto avvantaggiato dall’errore della p.a., risulta invece non meritevole di accoglimento nelle ipotesi di illegittimità imputabili all’amministrazione, nelle quali la tutela (sotto forma di risarcimento) per lesione dell’affidamento si incentra sull’esistenza di un danno ingiusto riconducibile non ad un singolo atto, bensì al comportamento complessivo dell’ amministrazione20. Ciò sembra in linea col noto indirizzo della Corte di Cassazione21 secondo cui la violazione da parte della p.a. del principio del neminem laedere può concretizzarsi in comportamenti sia attivi che omissivi e consiste nel venir meno al dovere di esercitare le relative funzioni pubbliche nel rispetto sia dei principi di imparzialità e indipendenza sia delle norme in tema di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza sia dei principi generali dell’ordinamento relativi alla ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza.
Una sintesi dei risultati dell’analisi fin qui svolta non può non indurre a ritenere che con la pronuncia n. 9/2017 dell’Adunanza plenaria si sia persa un’importante occasione per confermare ovvero per fare un passo in avanti, rispetto alla precedenza sentenza n. 12/1983 del medesimo Alto Consesso, in merito alla rilevanza del decorso del tempo sull’ordine di demolizione della p.a.
Infatti, la sentenza n. 9/2017 ha escluso nell’ambito in esame – la necessità di una specifica motivazione sia in relazione ai sopraindicati «casitipo» sia in relazione ai succitati «casi-limite», di fatto ponendo sullo stesso piano due fattispecie notevolmente diverse tra loro, senza fare alcun minimo accenno alla diversa ricostruzione elaborata dalla pronuncia n. 12/1983 relativamente alla problematica in esame. Eppure, l’indiscutibile rispetto della nodale funzione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e l’inequivocabile prestigio attribuibile indistintamente a tutti i “precedenti” della stessa Adunanza plenaria, avrebbero dovuto portare la sentenza n. 9/2017 a fare un espresso richiamo alla pronuncia n. 12/1983, indicandone analiticamente le ragioni del superamento. In ogni caso, come si è cercato di dimostrare, sembra non destituito di fondamento ammettere la possibilità – non sempre, ma per i soli rari ed eccezionali “casi-limite” indicati in precedenza – di ritenere sussistente, nell’ambito in esame, la necessità di motivare da parte dell’amministrazione in modo specifico ed articolato in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Sarebbe stata auspicabile, ad avviso di chi scrive, la condivisione di tale impostazione da parte della pronuncia n. 9/2017 dell’Adunanza plenaria, anche se – come accennato nel par. 3.1 – ci sarebbero stati anche i margini per fare un passo in avanti rispetto alla pronuncia n.12/1983 e riconoscere pure la tutela del legittimo affidamento del privato unicamente, giova ripeterlo, in riferimento ai sopraindicati eccezionali “casi-limite”.
In questo modo si sarebbe raggiunto l’importante obiettivo di una maggiore sensibilizzazione e responsabilizzazione dell’autorità amministrativa preposta al controllo sul territorio, con un conseguente potenziamento del fondamentale contrasto al deprecabile fenomeno dell’abusivismo edilizio. Del resto è sempre l’Adunanza plenaria, anche se con l’ulteriore pronuncia n. 8 emessa in data 17.10.2017, a fare la seguente affermazione relativamente alla previsione della necessità di uno specifico e dettagliato onere motivazionale gravante sulla p.a.: «Non si tratta qui di negare l’evidente esigenza di un deciso contrasto al grave e diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio …
Occorre tuttavia responsabilizzare le amministrazioni all’adozione di un contegno chiaro e lineare, tendenzialmente fondato sullo scrupoloso esame delle pratiche di sanatoria o comunque di permesso di costruire già rilasciato, e sul diniego ex ante di istanze che si rivelino infondate, nonché sull’obbligo di serbare – in caso di provvedimenti di sanatoria già rilasciati – un atteggiamento basato sul generale principio di clare loqui». È ancora la medesima pronuncia a sottolineare come l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata non costituisca necessariamente «l’unico fattore idoneo ad orientare le scelte discrezionali dell’amministrazione in caso di risalenti violazioni in materia urbanistica, sì da esonerare in radice l’amministrazione da qualunque motivata valutazione in ordine ad ulteriori fattori e circostanze rilevanti».
Se è vero che tali affermazioni vengono fatte per l’ipotesi in cui al tardivo ordine di demolizione preesista un titolo edilizio illegittimo, è altrettanto vero che non sembrano sussistere validi ostacoli ad estendere tali acquisizioni alle sole citate eccezionali ipotesi di “casi-limite” relativi al tardivo provvedimento demolitorio privo “a monte” di titolo edilizio.
Ciò sembra essere in armonia anche con la succitata recente tendenza legislativa alla valorizzazione dell’onere motivazionale e col sopraindicato indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione (v. par. 3.1).
Anche se si è persa un’occasione importante, non è da escludere in futuro la possibilità di ulteriori interventi sulla specifica materia in esame. Infatti, non è improbabile, anzi sotto alcuni profili appare auspicabile, che la questione della rilevanza del decorso del tempo sull’ordine di demolizione della p.a. venga sottoposta al vaglio della giurisprudenza comunitaria, i cui esiti potrebbero essere per niente scontati.
Note
1 Fiale, A.Fiale, E., Diritto urbanistico, Napoli, 2015; Iannelli, A., Le violazioni edilizie amministrative, civili e penali, Milano, 1981; Mandararo, A., Art. 27, in De Marzo, G., a cura di, L’attività edilizia nel Testo Unico, Milano, 2002; Mauceri, G., Art. 27, in Italia, V., a cura di, Testo Unico sull’edilizia, Milano, 2003; Mele, F., L’ordine di sospensione dei lavori nel sistema urbanistico italiano. Inquadramento teorico ed analisi pratica dell’istituto, Milano, 1998; Salvia, F., Manuale breve di diritto urbanistico, Padova, 1992; Salvia, F.Teresi, S., Diritto urbanistico, Padova, 1992; Stella Richter, P., Manuale breve di diritto urbanistico, Milano, 2014, 96 ss.; Urbani P. Civitarese Matteucci, S., Diritto urbanistico: organizzazione e rapporti, Torino, 2013; Ursi, R. (agg. Leoni, A.L.), Commento ad art. 27 Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, in Sandulli, M.A., a cura di, Testo Unico dell’edilizia, Milano, 2015, 671 ss. Sia consentito di rinviare anche a Tanda, P., Le conseguenze dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31, comma 9, t.u.e., in Riv. giur. ed., 2016, 307 ss.
2 L’art. 32 indicato nel testo affermava che «nel caso di lavori iniziati senza licenza o proseguiti dopo l’ordinanza di sospensione il podestà può, previa diffida e sentito il parere della Sezione urbanistica compartimentale ordinarne la demolizione a spese del contravventore senza pregiudizio delle sanzioni penali».
3 In particolare, si sottolineava che era sufficiente la mera rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata e cioè una motivazione incentrata sulla sola constatazione dell’abusività dell’opera.
4 Cons. Stato, A.P., 19.5.1983 n. 12, in Riv. giur. ed., 1983, I, 631 ss.
5 L’Adunanza plenaria rilevò anche come la valutazione dell’interesse pubblico intervenisse di norma «in un momento tutt’affatto diverso da quello che condiziona l’azione amministrativa in presenza di abusi perpetrati da privati. Essa, mentre si esplica in ampia dimensione nella fase di programmazione dell’assetto territoriale, nella fase che qui si considera, in ossequio all’esigenza di conformarsi alle scelte in precedenza operate e di realizzarle, non è di regola tenuta a riproporsi con particolari valutazioni per la repressione degli illeciti edilizi accertati».
6 In merito cfr. Merusi, F., L’affidamento del cittadino, Milano, 1970; Manganaro, F., Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995; Scoca, F.G., Tutela giurisdizionale e comportamento della pubblica amministrazione contrario alla buona fede, in AA.VV., Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese, Padova, 2003; Zampetti, E., Il principio di tutela del legittimo affidamento, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017.
7 Cons. St., V, 27.8.2012, n. 4610; TAR Campania, Napoli, VII, 13.1.2012; TAR Campania, Napoli, IV, 16.12.2011, n. 5912; TAR Toscana, Firenze, III, 13.5.2011, nn. 840, 842 e 844; TAR Campania, Napoli, IV, 4.2.2011, n. 708 e n. 710.
8 TAR Campania, Napoli, sez. III, 4 maggio 2012, n. 2049, ha affermato che in tutti i casi in cui si tratti di nuove costruzioni o, comunque, di abusi di maggiore dimensione, rimane fermo l’indirizzo che afferma l’irrilevanza del lungo periodo di tempo intercorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e il provvedimento sanzionatorio ed esclude sia la tutelabilità di un preteso affidamento del responsabile dell’abuso, sia la sussistenza di un ulteriore obbligo per l’amministrazione di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto.
9 TAR Campania, Napoli, IV, 25.9.2012, n. 3929; TAR Campania, Napoli, IV, 14.2.2012, n. 770; TAR Campania, Napoli, VII, 15.12.2010 n. 27387.
10 TAR Umbria, Perugia, sez. I, 7.12.2010 n. 522.
11 In merito cfr. Deodato, C., L’annullamento di ufficio, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1173 ss.; Deodato, C., Il potere amministrativo di riesame per vizi originari di legittimità, in Federalismi.it, 7/2017; Francario, F., Autotutela e tecniche di buona amministrazione, in AA.VV., L’interesse pubblico tra politica e amministrazione, Napoli, 2010; Francario, F., Profili evolutivi dell’autotutela (decisoria) amministrativa, Relazione al Convegno AIPDA, Campobasso, 8 aprile 2016, in diritto-amministrativo.org; Galetta, D.U., Autotutela decisoria e diritto comunitario, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 2008, 42; Immordino, M., I provvedimenti amministrativi di secondo grado, in Scoca, F.G., a cura di, Diritto amministrativo, Torino, 2014; Pajno, A., L’autotutela tra tradizione e innovazione, in Federalismi.it, 2017; Sinisi, M., Il potere di autotutela caducatoria, in Sandulli, M.A., a cura di, Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2015; Sinisi, M., La nuova azione amministrativa: il “tempo” dell’annullamento d’ufficio e l’esercizio dei poteri inibitori in caso di s.c.i.a. Certezza del diritto, tutela e falsi miti, in Federalismi.it, 24/2015; Sinisi, M., La doverosità dell’esercizio del potere di autotutela in presenza di un atto amministrativo contrastante con regolamenti comunitari, in Foro amm. TAR 2007, 10; Sandulli, M.A., La segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) (artt. 19 e 21 l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in Sandulli, M.A., a cura di, Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2017; Sandulli, M.A., Il codice dell’azione amministrativa: il valore dei principi e l’evoluzione delle sue regole, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 3 ss.; Sandulli, M.A., Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi, in Federalismi.it, 14/2015; Sandulli, M.A., a cura di, Le nuove regole della semplificazione amministrativa, Milano, 2016; Sandulli, M.A., Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela, in Federalismi.it, 17/2015.
12 Tale ipotesi è quella presa in considerazione della sentenza n. 8 del 17.10.2017 dell’Adunanza plenaria.
13 La pubblica amministrazione è tenuta ad agire secondo la logica della non contraddizione, nel senso che, se sussistono concrete ragioni per adottare un atto non coerente con una pregressa determinazione amministrativa, vi deve essere una puntuale ed articolata motivazione. Non sembra, quindi, possa negarsi la tutela dell’affidamento del privato quando, oltre al decorso del fattore temporale, sussista anche il mancato rispetto del dovere di coerenza che deve caratterizzare l’azione amministrativa. TAR Umbria, I, 21.1.2010 n. 23, in Foro amm. – TAR, 2010, 131, sottolinea, in relazione al profilo esaminato nel testo, che l’opera abusiva «deve essere stata ritenuta, anche implicitamente, regolare dalla stessa amministrazione in occasione dell’esame di precedenti pratiche edilizia, di attività di vigilanza sul territorio o di altre attività amministrative».
14 Secondo Otranto, P., Decorso del tempo e tutela della sanzione urbanistica: il Consiglio di Stato arricchisce la casistica, in Riv. giur. ed., 2007, 592 ss., per poter riconoscere un “affidamento” meritevole di tutela bisogna dare rilievo «al consolidamento della delle situazioni di fatto per effetto del decorso del tempo, ai comportamenti tenuti dalle parti ed in particolare all’inerzia della p.a. (che abbiamo connotato come “significativa” e che in talune pronunce è definita “colpevole”) quando l’amministrazione abbia omesso di adottare tempestivamente la misura nonostante la conoscenza o la concreta conoscibilità dell’avvenuta commissione dell’illecito. A tale conclusione a maggior ragione dovrà pervenirsi quando sia lo stato destinatario della misura a portare a conoscenza dell’amministrazione la realizzazione dell’intervento (senza che essa ne abbia dichiarato mai l’illegittimità) ovvero quando questi, confidando nel perdurare dell’atteggiamento di tolleranza tenuto dall’Autorità, utilizzi l’immobile abusivo (per esempio come abitazione o ai fini commerciali o industriali)».
15 Cass., III, 19.5.2011 (ud. 14.4.2011), n. 19736, in Riv. giur. ed., 2011, 1110.
16 Cass., III, 11.4.2014 (ud. 26.2.2014), n. 16035, in Riv. giur. ed., 2014, 6.
17 Sulla differenza tra la nozione di affidamento e quella di buona fede si rinvia a Merusi, F., L’affidamento del cittadino, cit., 25 ss.
18 Spena, M.C., La repressione degli abusi edilizi tra doverosità dell’operato della pubblica Amministrazione e legittimo affidamento del privato, in Riv. giur. ed., 2015, I, 753 ss., rileva che, a fronte dell’orientamento secondo cui l’attività di repressione degli abusi edilizia natura vincolata e non è soggetta ad alcun termine di prescrizione o decadenza ed a fronte di forme qualificate di affidamento del privato al mantenimento dell’ opera abusivamente realizzata, può essere corretto riconoscere al privato, leso da una misura ripristinatoria disposta a notevole tempo dalla commissione dell’abuso, una tutela di tipo risarcitorio per lesione del legittimo affidamento alla conservazione di quella situazione. L’Autrice afferma anche che la pubblica amministrazione, poi, potrà rivalersi nei confronti dei dirigenti e funzionari che sarebbero stati istituzionalmente tenuti ad assicurare l’esercizio tempestivo del potere di vigilanza e sanzionatorio.
19 In questi termini Cons. St. A.P., 17.9.2017, n. 8. Nello stesso senso Cons. St., VI, 27.9.2016, n. 3975. Cons. St. A.P., 17.9.2017, n. 9, ha affermato che l’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica solo se esso rivesta un carattere incolpevole, invece la realizzazione di un’opera abusiva costituisce una volontaria attività contra legem: nello stesso senso cfr., ex multis, Cons. St., IV, 28.2.2017, n. 908; Cons. St., VI, 13.12.2016, n. 5256.
20 Mele, V., Inconsumabilità del potere e affidamento legittimo, cit., 2012, II, 157, rileva come nelle ipotesi di permesso di costruire o di aggiudicazione dell’appalto il danno ingiusto non derivi dal primo atto «che, anzi, è ampliativo della sfera giuridica del privato; né dal secondo atto (ossia dal ritiro a seguito di annullamento giurisdizionale ovvero in autotutela) , il quale, essendo legittimo, non è idoneo ad arrecare un danno ingiusto; bensì dal comportamento complessivo della p.a.». L’Autrice, poi, arriva alla conclusione che pure nei casi in cui la condotta della p.a. consista in mere omissioni e inerzie nell’esercizio di attività doverose sembra esserci spazio per la risarcibilità del danno ingiusto derivante dalla lesione del legittimo affidamento ingenerato nel privato da parte di quella condotta omissiva.
21 Cass., SU., 23.3.2011, n. 6595. In merito si rinvia a Sandulli, M.A., Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni ( brevi note a margine di Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011 n. 3, in tema di autonomia dell’azione risarcitoria e di Cass. S.S. U.U., 23 marzo 2011 nn. 6594, 6595 e 6596, sulla giurisdizione ordinaria sulle azioni per il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti favorevoli ) , in Federalismi.it, 7/2011. Tale Autrice rileva opportunamente che il succitato indirizzo delle Sezioni Unite ha avuto il merito di aprire le porte alla tutela del cd. legittimo affidamento riposto dagli amministrati nell’operato (attivo od omissivo) dei pubblici poteri.