Misure urgenti per la Corte di cassazione
Con un decreto legge estivo, convertito con modificazioni dalla l. n. 197/2016 (in G.U. 254/16), sono state introdotte nuove disposizioni sul pensionamento dei magistrati aventi incarichi direttivi presso la Corte di cassazione e innovazioni nel procedimento camerale.
Il d.l. 31.8.2016, n. 168 ha introdotto considerevoli novità sulla Corte di cassazione, innovazioni ampliate in sede di conversione con l’introduzione di un nuovo rito camerale.
Il decreto legge conteneva soltanto disposizioni per il trattenimento in servizio dei titolari di incarichi direttivi e l’applicazione alle sezioni dei magistrati del Massimario.
L’art. 1 ha inserito nell’ordinamento giudiziario (art. 115 r.d. 30.1.1941, n. 12 – ord. giud.) la facoltà del Primo Presidente di applicare alle sezioni della Corte i magistrati del Massimario. Essi sono, secondo regola, destinati alla Corte con funzioni di giudice di tribunale, per svolgere le funzioni proprie dell’Ufficio del Massimario, principalmente:
a) redazione delle massime estratte dalle sentenze e ordinanze;
b) predisposizione delle relazioni per le Sezioni Unite civili e penali.
In passato i magistrati del Massimario si distinguevano tra applicati alla Cassazione con funzioni di giudice di tribunale e applicati con funzioni di appello. I secondi potevano comporre i collegi giudicanti. Con la riforma dell’ordinamento giudiziario varata nel 2006 la figura dei magistrati applicati d’appello è stata soppressa e ope legis essi, previa valutazione di idoneità, sono stati assorbiti nei ranghi dei consiglieri.
Con il d.l. 21.6.2013, n. 69 (art. 74) l’organico del Massimario è stato ampliato di trenta unità, onde introdurre la figura degli assistenti di studio. Essi possono assistere alle camere di consiglio della sezione della Corte cui sono destinati, senza possibilità di prendere parte alla deliberazione o di esprimere il voto sulla decisione. L’esperienza ha rapidamente dimostrato che si può trarre maggiore utilità se i più esperti componenti del Massimario vengono direttamente impiegati nell’attività giudicante.
La nuova modifica dell’art. 115 ord. giud. stabilisce quindi che i magistrati del Massimario aventi almeno due anni di anzianità di servizio possono essere temporaneamente impiegati presso le sezioni. L’applicazione può riguardare un solo magistrato per collegio giudicante. Il C.S.M. dovrà in breve tempo varare le istruzioni per recepire la novità nelle tabelle di organizzazione della Corte.
Suscitando non poche polemiche (cfr. G. Bianconi, in Corriere della Sera, 31 agosto 2016), il d.l. n. 168/2016 ha differito di un altro anno gli effetti del d.l. 24.6.2014, n. 90, che aveva fatto salvo fino al 31 dicembre 2015 il trattenimento in servizio dei magistrati ultrasettantenni, termine già prorogato, con limitazioni, al 31 dicembre 2016 dal d.l. 27.6.2015, n. 83.
Il d.l. n. 168/2016 quanto alla magistratura ordinaria limita il campo di applicazione della proroga ai soli magistrati della Corte che ricoprono funzioni apicali, direttive superiori o direttive presso la Suprema Corte e presso la Procura generale, poiché la finalità della norma è di assicurare la continuità negli incarichi direttivi. In sede di conversione la disposizione è stata mantenuta inalterata, senza estenderla ai consiglieri della Corte. È quindi evidente l’incoerenza con la disposizione di cui all’art. 1, giacché le medesime esigenze di «celere definizione dei procedimenti pendenti» che avevano giustificato l’applicazione dei magistrati del Massimario sussistevano per il trattenimento in servizio anche nel 2017 dei circa dieci consiglieri settantenni in servizio presso la Corte nel 2016, il cui apporto sarebbe stato prezioso.
Anche la prospettata estensione agli altri dirigenti di uffici giudiziari di merito vicini ai settanta anni è stata disattesa; di qui il sospetto di incostituzionalità, apertamente avanzato dall’Associazione nazionale magistrati nel comunicato del 19 ottobre 2016, per l’introduzione di una impropria differenziazione nello statuto dei magistrati, i quali secondo l’art. 107, co. 3, Cost. si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.
La legge di conversione (l. 25.10.2016, n. 197) ha riconfigurato il procedimento in camera di consiglio davanti alla Suprema Corte, rendendolo il procedimento con il quale di regola vengono trattati i ricorsi per cassazione. Ha inciso significativamente sul concreto impiego del pubblico ministero e ha modificato il rito per la decisione dei regolamenti di competenza, la correzione degli errori materiali e la revocazione delle sentenze di cassazione.
Le nuove disposizioni si applicano ai ricorsi depositati a partire dal 30 ottobre 2016, giorno successivo alla entrata in vigore della legge di conversione (art. 1 bis, co. 2) e ai ricorsi già depositati, ma giacenti in cancelleria in attesa di fissazione. I ricorsi per i quali al 29 ottobre risulti già fissata pubblica udienza in sezione, o fissata adunanza camerale presso la sezione semplice o la Sesta sezione, seguono invece il vecchio rito.
Di rilievo generale è la modifica delle modalità di discussione dei ricorsi in pubblica udienza. L’art. 379 c.p.c. prevede ora che il pubblico ministero non prenda la parola dopo gli avvocati, ma subito dopo la relazione. Successivamente il presidente del Collegio invita i difensori a svolgere le loro difese, restando abrogata l’ormai inutile facoltà di replica scritta che era prevista dal co. 4.
Il pubblico ministero è presente solo in sede di pubblica udienza. In camera di consiglio la Corte, a mente dell’ultimo inciso della disposizione di nuovo conio denominata art. 380 bis-1, giudica infatti senza il suo intervento. Altrettanto avviene nel procedimento camerale per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza, per effetto del co. 3 del novellato art. 380 ter c.p.c.
Viene così esplicitato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’intervento del pubblico ministero nelle cause dinanzi alla Corte di cassazione è necessario, dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. 9.8.2013, n. 98, solo nei casi previsti dalla legge (Cass., 5.9.2016, n. 17613) e non è più obbligatorio (Cass., 20.1.2014, n. 1089 e Cass., 17.3.2014, n. 6152) in tutte le udienze che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’art. 376, co. 1, c.p.c., siano esse adunanze camerali od udienze pubbliche, queste ultime ora non più concepibili davanti alla Sesta sezione.
Il decreto n. 136 sulla motivazione dei provvedimenti civili, emanato il 14 settembre 2016 dal Primo Presidente, impegna la Corte a decidere con motivazione sintetica i provvedimenti privi di valore nomofilattico. In coerenza con esso, la l. n. 197/2016 introduce una distinzione tra le pronunce della Corte, che corrisponde a una tripartizione del metodo di trattazione.
Per effetto della riforma si riduce il ruolo della Sesta sezione, la quale, invece di essere la sezione che ex art. 376, co. 1, tendenzialmente «definisce il giudizio» seguendo il rito ex art. 380 bis c.p.c., quindi con relazione preliminare comunicata ai difensori, diviene una sezione di primo esame e smistamento.
Deve infatti limitarsi a sommario esame del ricorso, in esito al quale o rimette gli atti alla sezione semplice o lo trattiene e decide.
Questo spoglio sommario implica che verranno trattenuti solo i ricorsi che presentano con chiarissima evidenza decisoria ipotesi di:
a) inammissibilità del ricorso principale e incidentale;
b) manifesta fondatezza o manifesta infondatezza (art. 375, nn. 1 e 5, c.p.c.).
Il decreto del presidente che fisserà l’adunanza della Corte indicherà soltanto quale delle tre ipotesi anzidette il relatore proponente avrà ravvisato (art. 380 bis, co. 1, c.p.c.), lasciando le parti all’oscuro delle ragioni della opzione prescelta e così costrette talvolta a immaginare ipotesi di inammissibilità o di evidenza nel merito non emergenti dai rispettivi atti. Ciò a meno che la prassi non induca i presidenti a esplicitare, sia pur icasticamente o per relationem, le ragioni di inammissibilità, ad esempio indicando inammissibilità per tardività del ricorso di Tizio o manifesta infondatezza per le ragioni di cui al paragrafo a) o c) del controricorso di Caio o di Sempronio.
Le parti non hanno facoltà di essere sentite, essendo caduto con la novella l’ultimo inciso del co. 2 dell’art. 380 bis c.p.c.
Il passaggio dalla Sesta sezione alla sezione semplice, lungi dal precludere la trattazione camerale in sezione (così Cass., 8.1.2013, n. 219) schiude ora le porte, di regola, alla decisione in camera di consiglio, prevista dall’art. 380 bis-1 c.p.c.
Il rito camerale in sezione è fissato con decreto comunicato quaranta giorni prima ai difensori (non venti come continuerà ad accadere per il procedimento in Sesta sezione), i quali non ricevono alcuna indicazione sulle ragioni della trattazione camerale. L’adunanza ha luogo senza partecipazione di pubblico ministero e parti, che hanno soltanto facoltà di depositare memorie rispettivamente venti e dieci giorni prima.
Di notevole rilievo per il buon andamento della vita delle Sezioni sarà la selezione dei fascicoli da trattenere in sede camerale. Al fine di incrementare il numero di ricorsi esaminati e di poter riservare adeguato esame a quelli di interesse nomofilattico sarà indispensabile un attento spoglio dei ricorsi e la fissazione di criteri che rendano fluido il lavoro. È prevedibile che ogni sezione, in relazione alle peculiarità delle materie trattate, che involgono maggiore o minore serialità o valore ponderale dei ricorsi, sceglierà il sistema per distinguere cosa trattare in pubblica udienza e cosa esaminare in camera di consiglio.
In pubblica udienza non andranno trattati soltanto i ricorsi aventi valenza nomofilattica (art. 375, co. 1, c.p.c.), ma anche quelli rimessi alla sezione in esito all’adunanza camerale della Sesta sezione (art. 380 bis, co. 3, c.p.c.). È da ritenere che anche la sezione semplice possa, qualora il ricorso, a seguito del confronto collegiale, si riveli di particolare complessità, rinviare a pubblica udienza.
Si può infatti ipotizzare che in pubblica udienza perverranno i ricorsi nei quali sorgano questioni di diritto su materie non ancora del tutto arate dalla giurisprudenza e i ricorsi che pongano molti quesiti in cui profili di fatto e di diritto sono intrecciati e sono numerosi e complessi. In tal caso la tempistica della camera di consiglio, che vede normalmente fissato un alto numero di fascicoli, non si coniuga con le esigenze di collegialità nella decisione e completezza della motivazione che sono indispensabili per salvaguardare il diritto del cittadino a una decisione congrua e, nel medesimo tempo, il ruolo della Corte.
Un eccessivo incremento delle cause poste in decisione non è pensabile, giacché altrimenti verrebbe meno la possibilità di dedicare allo studio preparatorio e all’esame collegiale il tempo necessario in sede di legittimità. È quindi indispensabile un periodo di rodaggio durante il quale sarà decisivo l’affermarsi della tecnica redazionale propugnata nei decreti sulla motivazione semplificata o sintetica dei provvedimenti e negli studi, già avviati in sede ministeriale e di Osservatori per la giustizia civile, sugli atti difensivi che ad essi si devono raccordare.