mitigazione
Nella lingua quotidiana, il termine mitigazione, applicato a un evento o a uno stato, ha un presupposto negativo: quel che viene mitigato è un fenomeno atmosferico avverso (ad es., i rigori dell’inverno, da un vento caldo), una pena (col riconoscimento di attenuanti), una crisi economica (con misure correttive). Nel linguaggio della ➔ pragmatica, a cui il concetto di mitigazione appartiene, il termine (introdotto da Fraser 1980 con riferimento all’inglese), mantenendo il presupposto di negatività dell’oggetto mitigato, indica l’insieme di strategie con cui i parlanti riducono i rischi in qualche modo connessi alle loro enunciazioni, ad es. rimuovendo preventivamente il tono coercitivo o categorico di un enunciato, e così allontanando conseguenze sgradite o possibili reazioni negative da parte dell’interlocutore. Sottesa al concetto è perciò l’idea che ogni presa di parola comporti un’assunzione di responsabilità, sia cioè, oltre che un dire, un fare. Si tratta di uno degli assunti fondamentali dell’attuale pragmatica, secondo cui il linguaggio è una forma di azione.
Fino a oggi la mitigazione è stata vista soprattutto come un aspetto della cortesia (➔ cortesia, linguaggio della; Brown & Levinson 1978). Ha prevalso cioè una visione ristretta della mitigazione, centrata soprattutto sugli atti illocutivi direttivi (➔ illocutivi, tipi), e in particolare sulla richiesta. In una definizione più estesa, invece, mitigazione (sinonimo di attenuazione) è intesa come indebolimento di valori su due dimensioni: su quella dell’efficienza interazionale, la mitigazione agevola il raggiungimento degli scopi dell’interazione; sulla dimensione della costruzione del sé in un determinato tipo di attività, è funzionale al monitoraggio delle distanze emotive fra gli interlocutori.
Nell’es. (autentico, tratto da un corpus di conversazioni medico-paziente: Caffi 2001; 2007):
(1) le do uno sciroppino da prendere
il medico, sul piano pratico, strumentale, con il mezzo morfologico mitigante rappresentato dal ➔ diminutivo, rende più probabile il raggiungimento del suo scopo, dell’obiettivo perlocutivo. Tale mitigazione innesca una serie di implicature: attenua la prescrizione terapeutica, quindi implicitamente la gravità della patologia, e quindi la possibile preoccupazione per essa, rendendo più leggero il compito. Sul piano interpersonale, con questa scelta il medico accentua il tono colloquiale, contraddistinto da familiarità, anche se paternalistica, in modo da diminuire la propria distanza relazionale con il paziente.
Alla base dell’idea di mitigazione è l’idea di adattamento: la prima è una forma del secondo. Il parlante adatta continuamente il suo dire, e il suo agire dicendo, alla situazione comunicativa e al destinatario. Che comunicando gli interlocutori si adattino continuamente l’uno all’altro, costruendo cammin facendo il senso delle loro azioni linguistiche e il consenso rispetto a esse, è del resto fra i pochi assunti condivisi dalle teorie del linguaggio.
Per cogliere la dimensione stilistica delle enunciazioni, definibile in parte come la loro intensità, alla quale afferiscono le due direzioni opposte di intensificazione o di indebolimento, è stato proposto il concetto sovraordinato di modulazione: i parlanti mettono in atto un lavoro di modulazione per adeguare le loro enunciazioni ai contesti reali basandosi sulla loro consapevolezza pragmatica (Caffi 1994), in un certo gruppo sociale in una data fase della sua storia. La decisione sulla scelta ‘appropriata’ investe la struttura linguistica anche in modi molto sottili: è così, ad es., che si determina il grado in cui un atto linguistico è diretto o indiretto (Searle 1975), su una scala che va da a. a d. degli esempi in (2) (Blum-Kulka, House & Kasper 1989):
(2) a. chiudi la finestra!
b. potresti chiudere la finestra?
c. ti spiacerebbe chiudere la finestra?
d. che freddo qua dentro!
E in tale decisione avrà un ruolo importante l’insieme di saperi condivisi, per es. la conoscenza dello stile comunicativo di un parlante, il grado di familiarità instaurato all’inizio di un dato scambio, ecc. Tutti questi diversi saperi fanno scattare una serie di legittime aspettative rispetto alle quali ogni deviazione, rafforzata o indebolita, sarà valutabile e interpretabile.
Nella definizione proposta in Caffi (1999; 2001; 2007) la mitigazione riduce gli obblighi degli interlocutori favorendo così il raggiungimento dei diversi scopi interazionali. Essa è dunque funzionale a uno sviluppo interazionale ‘morbido’, senza scosse, riducendo i rischi per i partecipanti a vari livelli: il rischio di autocontraddizione (a livello di discorso), il rischio di ricusazione o rifiuto, di conflitto, di perdita di faccia, ecc. (a livello di comportamento). Questa definizione consente di spiegare perché i mezzi linguistici della mitigazione nelle lingue naturali, almeno quelle studiate finora, siano molto più numerosi dei mezzi del rafforzamento.
Mitigazione può designare sia la strategia mitigativa, il processo, l’azione di mitigare, sia il suo risultato. Può porre in primo piano una strategia, e in secondo piano il risultato, o porre in primo piano un risultato e in secondo piano la strategia usata per ottenerlo.
I mezzi linguistici della mitigazione sono eterogenei sia da un punto di vista grammaticale – appartengono cioè a categorie diverse – sia da un punto di vista semantico e pragmatico, in quanto sono di volta in volta centrati su aspetti diversi dell’atto linguistico. Da un punto di vista formale è possibile elencare i seguenti mezzi della mitigazione in italiano.
(a) Per le richieste o atti direttivi:
(i) mezzi lessicali (ad es., un attimo, magari, un po’, un pochino, pure);
(ii) mezzi prosodici (ad es. l’➔ intonazione sospensiva, in combinazione con mezzi sintattici come, per es., la protasi libera: v. oltre; ➔ periodo ipotetico);
(iii) mezzi morfologici (➔ dativo etico; ➔ condizionale);
(iv) mezzi sintattici (domande preliminari; premesse ipotetiche, ad es. se vuoi, se passi dal centro; protasi libere, ad es. se me lo può tenere, se mi dà il numero; costruzioni negative, con funzione interrogativa, ad es. non è che mi potreste fare un permesso);
(v) mezzi testuali (precedenti o successivi all’atto: motivazioni, giustificazioni e spiegazioni preparatorie della richiesta, ad es. il panettiere non ne aveva più, per chiedere due panini alla vicina).
(b) Per gli atti assertivi:
(i) mezzi lessicali (avverbi modali, come probabilmente; verbi parentetici, ad es. penso, credo, immagino; ➔ segnali discorsivi e approssimatori, ad es. diciamo, magari, praticamente o in pratica, su per giù; indicatori di vaghezza o di incertezza, ad es. quasi, circa, un certo, una specie di, e quant’altro in chiusura di elenco; avverbi di punto di vista, ad es. clinicamente, tecnicamente, teoricamente; interiezioni (➔ interiezione) con particolari enfasi e intonazioni; la formula bene o male … in apertura di enunciato);
(ii) mezzi morfologici: diminutivi (➔ diminutivo); ➔ futuro epistemico; condizionale;
(iii) mezzi sintattici: negazione; ➔ litote; può darsi che + congiuntivo; interrogative di richiesta di accordo, ad es. cosa dici?, ti pare?, non trovi? (➔ interrogative dirette);
(iv) mezzi frasali (sintagmi preposizionali e avverbiali di limitazione, ad es. secondo me, a mio giudizio; formule di negoziato, ad es. se ho capito bene, sbaglio o ...?, mi passi il termine; locuzioni idiomatizzate, ad es. va’ a sapere, cosa vuole);
(v) mezzi intonazionali (come un tono ‘tranquillizzante’ in combinazione con mezzi frasali, ad es. cosa vuole ...);
(vi) mezzi testuali (ad es., precisazione introdotta dal connettivo di riformulazione nel senso che; assegnazione di una ridotta rilevanza a un dato argomento, ad es. tramite l’impiego del connettivo oltre a tutto).
In molte lingue per mitigare gli atti direttivi li si sostituisce con i cosiddetti atti linguistici indiretti (Searle 1975). Le mitigazioni per gli atti assertivi sono invece tendenzialmente di addizione.
Dai dati emerge una bipartizione dei mitigatori (cioè dei mezzi linguistici per mitigare), dal punto di vista funzionale, in due gruppi fondamentali: da un lato, i mitigatori specializzati per una specifica funzione illocutiva; dall’altro i ‘tuttofare’, che possono essere usati in diversi tipi di atti illocutivi, dei quali modificano aspetti diversi. Nell’ambito dei mezzi della mitigazione per gli atti assertivi, un intero gruppo è costituito da quei mitigatori (dagli avverbi modali ai verbi parentetici) che sono simultaneamente indicatori di mitigazione e di illocuzione.
Si può ipotizzare che i due gruppi di mitigatori si includano l’uno nell’altro: l’insieme di indicatori di mitigazione include un sottoinsieme di segnali discorsivi specializzati, che sono anche indicatori di illocuzione. Mitigatori quali un attimo, un po’, per caso, magari, ecc., sono basati su meccanismi semantici molto generali, in particolare su operazioni temporali o logiche: ad es., l’incertezza introdotta con espressioni quali per caso e magari (o, in varietà più basse, delle volte; vedi un po’, ecc.).
La costruzione di un repertorio di risorse linguistiche al quale attingere per attenuare qualche aspetto delle proprie enunciazioni si scontra con una difficoltà fondamentale, data dal fatto che qualcosa è ‘mitigato’ rispetto a qualcos’altro entro un dato tipo di attività ed entro un dato contesto. Si passa così da un’ottica di stilistica della lingua che individua mezzi espressivi codificati (Bally 19705) a un’ottica che mette a fuoco strategie discorsive ricorrenti, a diversi gradi di convenzionalizzazione.
Questa seconda prospettiva fu inaugurata, con uno studio che anticipava molte idee della pragmatica attuale, da Spitzer (2007). Spitzer mise anche in rilievo l’ambivalenza della mitigazione, osservando come, da un lato, i segnali espressivi che oggi chiameremmo ‘di cortesia’ indichino tatto, considerazione, rispetto, intenzione di andare incontro all’interlocutore; dall’altro lato, come essi indichino calcolo, mancanza di naturalezza, manipolazione dell’altro per i propri fini. È un’ambivalenza che Spitzer vedeva come tensione, nel messaggio, fra le due fondamentali e contrastanti esigenze del linguaggio: l’espressione di sé e la volontà di influire sull’altro.
Bally, Charles (19705), Traité de stylistique française, Genève, Georg & Cie., 2 voll. (1a ed. Heidelberg, Winter, 1909, 2 voll.).
Blum-Kulka, Shoshana, House, Juliane & Kasper, Gabriele (edited by) (1989), Cross-cultural pragmatics. Requests and apologies, Norwood, Ablex.
Brown, Penelope & Levinson, Stephen (1978), Universals in language usage: politeness phenomena, in Questions and politeness. Strategies in social interaction, edited by E.N. Goody, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 56-311 (rist. Politeness. Some universals in language usage, 1987).
Caffi, Claudia (1994), Metapragmatics, in Encyclopedia of language and linguistics, edited by R. Asher & J. Simpson, Oxford, Pergamon Press, vol. 5º, pp. 2461-2465 (2a ed. Boston - Oxford, Elsevier, vol. 8º, pp. 82-88).
Caffi, Claudia (1999), On mitigation, «Journal of pragmatics» 31, 7, pp. 881-909.
Caffi, Claudia (2001), La mitigazione. Un approccio pragmatico alla comunicazione nei contesti terapeutici, Münster, LIT Verlag.
Caffi, Claudia (2007), Mitigation, Amsterdam - London, Elsevier.
Fraser, Bruce (1980), Conversational mitigation, «Journal of pragmat-ics» 4, pp. 341-350.
Searle, John R. (1975), Indirect speech acts, in Syntax and semantics, edited by P. Cole & J.L. Morgan, New York - London, Academic Press, vol. 3º (Speech acts), pp. 59-82 (trad. it. in Gli atti linguistici. Aspetti e problemi di filosofia del linguaggio, a cura di M. Sbisà, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 252-280).
Spitzer, Leo (2007), Lingua italiana del dialogo, a cura di C. Caffi & C. Segre, Milano, Il Saggiatore (ed. orig. Italienische Umgangs-sprache, Bonn - Leipzig, Schroeder, 1922).