Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con l’ascesa della borghesia aumenta l’interesse per la moda, e il settore dell’abbigliamento contribuisce considerevolmente allo sviluppo dell’economia. Nell’Ottocento l’abito, apparentemente più semplice rispetto ai secoli precedenti, affida ai dettagli il compito di mantenere ed esibire le differenze sociali. La parure maschile si differenzia da quella femminile e diventa tanto più severa quanto la seconda resta frivola; tuttavia a fine secolo austerità e praticità finiranno per contrassegnare anche la moda femminile.
La parure ha un’evidente componente esibizionistica, diretta ad attrarre l’altro sesso; tuttavia la differenziazione tra la moda maschile e quella femminile non esaurisce la funzione sociale del vestiario. Il sistema della moda segnala infatti, oltre al sesso, l’appartenenza dell’individuo a una determinata area politica, la sua posizione sociale, la provenienza geografica, l’età, registra i cambiamenti delle mentalità, delle aspettative e dei desideri, scandisce il tempo della vita quotidiana e della festa.
Gli ultimi decenni del Settecento rappresentano un periodo di svolta anche per quanto riguarda la moda. In primo luogo l’abito, che fino a quell’epoca aveva una spiccata connotazione etnica, diventa in Europa molto più uniforme che nel passato, sia a causa della più veloce circolazione degli uomini e delle idee, sia perché cade un forte elemento di coesione all’interno degli Stati e di differenziazione verso l’esterno, costituito – almeno da parte dei ceti elevati – dall’imitazione del sovrano. La società ha infatti acquisito una nuova indipendenza dal potere politico e negli stessi anni si distacca anche dalla gravità della morale religiosa, che prospetta una fissità dei ruoli ormai inaccettabile per chi ricerca la mutevole felicità terrena. L’individualismo, il gusto di seguire l’inclinazione personale, cui corrisponde una moda più colorata e vivace, accompagna la nascita della società civile.
Il numero di coloro che sono interessati alla moda aumenta soprattutto nelle città, ma timidamente anche nei villaggi. La magnificenza dell’abito, che aveva segnalato in modo evidente le distinzioni sociali, lascia così il posto a un abbigliamento più razionale e più semplice che tende ad accomunare i ceti. L’abito finisce per essere sempre meno una messa in scena delle gerarchie esistenti e sempre più un elemento di sovversione di quell’ordine, un oggetto di desiderio e un segno di ascesa sociale.
Da queste premesse si sviluppano i cambiamenti che hanno luogo nell’Ottocento. Con l’ascesa della borghesia il desiderio di seguire la moda si estende nelle città e nelle campagne; aumenta il giro di interessi legato al settore dell’abbigliamento; accelera il ritmo con cui si sostituiscono gli abiti e si diffondono – insieme ai prodotti fatti a macchina – nuovi tessuti come il popeline, le “indiane” o le mussole di cotone.
Inoltre, la maggiore omogeneità delle vesti rende meno evidenti non solo le cesure sociali e la provenienza geografica, ma anche le diverse funzioni degli individui. Solo alcune occupazioni, come quelle di magistrato o di sacerdote, si avvalgono ancora dell’autorità conferita dalla tradizionale parure. Alcuni segni dell’abbigliamento sono piuttosto utilizzati per indicare l’appartenenza politica: alla fine del secolo, in Italia i democratici portano il cappello morbido, i borghesi quello duro, gli aristocratici il cilindro, gli anarchici la cravatta nera a fiocco e i socialisti la cravatta rossa e il garofano all’occhiello. Si tratta però di episodi che non incidono sull’andamento generale della moda che si muove su scala europea. Così anche quando, sull’onda del nuovo spirito nazionale, il “Corriere delle Dame” di Milano tenta a più riprese di lanciare una moda italiana che argini quella dominante di Parigi. Il progetto non ha alcun successo.
Come dimostra la crescente circolazione delle riviste di moda comparse per la prima volta nel XVIII secolo – oltre all’importanza acquisita dai grandi sarti, dalle sfilate e dalle collezioni stagionali – la moda non è più orientata dai sovrani e dalle corti (l’imperatrice di Francia Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III, sarà l’ultima tra i regnanti a influire in modo sostanziale sulla moda), ma da un meccanismo complesso che supera le frontiere e, nell’epoca delle nazioni, segnala l’unità culturale del Vecchio Continente.
Malgrado la tendenza generale verso una nuova uniformità, nell’Ottocento l’abito dei borghesi rimane ancora molto diverso da quello delle classi inferiori. Inoltre, il rapido ricambio sociale rende più accentuata rispetto al passato l’ansia di distinguersi da coloro che si presentano solo ora sul palcoscenico della moda; una serie di barriere vengono erette mettendo in atto una molteplicità di strategie. L’abito varia molto più di prima a seconda delle ore e delle occasioni: abiti da casa, da passeggio, da viaggio (in colori scuri o scozzesi), da visita, da sera, da ballo o per la villeggiatura (di cotone a pois o a fiori, oppure, a fine secolo, con una camicetta chiara sulla gonna scura). Anche la nuova passione per lo sport moltiplica gli abiti: non solo quello da amazzone con la gonna larghissima per coprire le gambe, ma anche i più recenti vestiti, appena più corti di quelli usuali, per lo yachting, il pattinaggio, il tennis, la spiaggia e quelli da bagno con i calzoni prima alla caviglia e poi al ginocchio; compaiono inoltre maniche e stivaletti.
Gli abiti, apparentemente modesti, rivelano in realtà una grande attenzione per il taglio, la qualità della stoffa, le sfumature di colore, i particolari e gli accessori: si diffondono ad esempio le scarpe in pelle, che sostituiscono sempre più quelle in seta, i guanti, i ventagli, gli ombrellini appesi al polso, i mazzolini di fiori freschi, i fazzoletti, i colletti di pizzo e i fichus. L’uso della biancheria intima ricamata o ornata di merletto è uno dei segni più significativi che separano la buona società dalla povertà delle classi inferiori e dallo sfarzo della vecchia nobiltà: la camicia accollata, le mutande (che nei primi anni del secolo sbucano sotto all’abito e il cui uso si generalizza), le calze (da quelle ricamate e traforate alle calze di filo di Scozia, dalle calze di seta bianca a quelle nere che mettono in evidenza le gambe) e le sottovesti che verso la metà del secolo vengono mostrate sotto l’orlo dell’abito rialzato. Più tardi la sottoveste si lascerà soltanto indovinare sotto il tailleur dal frusciare della seta, che alla fine dell’Ottocento impreziosisce ancor più la biancheria. Per la notte si usano cuffie e camicie lunghe, mentre di giorno i capi di biancheria vengono indossati come abiti da casa: peignoir, saut-de-lit e matinée consentono alle donne una nuova comodità nel corso della giornata, come pure la vestaglia – il cui uso viene dall’Inghilterra – che può essere utilizzata per ricevere gli amici più intimi e permette finalmente di non usare il busto.
Anche la maggiore rapidità con cui la moda cambia rispetto ai secoli precedenti – seguendo peraltro le vicende politiche e sociali – contribuisce a mantenere la distanza che separa la borghesia dalle classi inferiori. All’inizio del secolo si portano tuniche a vita corta, con le maniche a palloncino e la scollatura quadrata; i capelli si rifanno invece alle acconciature greche, mentre i cappelli a larghe tese si piegano intorno al viso e si allacciano sotto il mento oppure si irrigidiscono a cilindro. Ma già a partire dall’epoca della Restaurazione – per considerare solo i cambiamenti più rilevanti – i vestiti tornano a essere più ricchi: le gonne si allargano, la vita si abbassa, i corsetti scollati sono ornati da grandi maniche, le pettinature si alzano, i cappelli vengono arricchiti da piume di struzzo e da fiori. Poco dopo le agitazioni rivoluzionarie del 1830 e del 1848, invece, gli abiti – almeno quelli da giorno – acquistano un tono severo, con maniche lunghe e strette e corsetto aderente accollato (sia per quello staccato dalla sottana, sostenuta dalla crinolina, sia per la redingote intera allacciata davanti), i colori si smorzano e i cappelli – a capote o a coulisse – si rimpiccioliscono o vengono sostituiti da una cuffia. Con il Secondo Impero in Francia gli abiti si allargano ancora e alle crinoline si aggiungono cerchi d’acciaio, mentre compare la princesse, senza cuciture in vita e con l’orlo larghissimo. Dopo la metà del secolo i vestiti tendono poi ad assumere una linea verticale che si gonfia solo posteriormente con la cosiddetta cage Régente e i cappelli diventano piccolissimi. Negli ultimi decenni, infine, la moda cambia ancora più rapidamente, ondeggiando tra una tendenza alla linearità e frequenti ritorni a ornamenti e drappeggi.
Il rapido mutare della moda diventa il segnale della cura spasmodica che le donne del XIX secolo riservano alla parure.
Anzi si legge nella voce di Olivier Burgelin “Abbigliamento” dell’Enciclopedia Einaudi: “l’arte di adornarsi, e di conseguenza tutta l’estetica dell’abbigliamento, finiscono per divenire quasi esclusivamente appannaggio femminile. Nel medesimo tempo la donna della borghesia viene posta in una situazione che oggi appare estremamente ambigua: da una parte è adornata, ammirata, incensata, adorata come una dea; dall’altra è più che mai estromessa dall’universo serio degli affari e della vita politica, e ridotta alle funzioni di rappresentante del marito nell’ambito della vita privata in generale e dei valori di apparato che l’abbigliamento esprime in particolare. Questa condizione ambigua, quella della frivolezza, doveva per più di un secolo caratterizzare la donna”.
Nell’Ottocento i tratti più innovativi della moda riguardano l’abbigliamento maschile. Mentre nel secolo precedente la parure degli uomini e quella delle donne avevano avuto molti punti in comune, in questo secolo l’abito maschile si differenzia nettamente da quello femminile e procede sulla via di una sempre maggiore semplificazione. Si affermano i pantaloni lunghi, la giacca, il cappello a cilindro, il soprabito, mentre scompaiono le parrucche e vengono in auge i baffi; i colori si scuriscono (al nero e al grigio si affiancano tutt’al più il bruno, il verde inglese o le stoffe a quadretti), si riducono gli ornamenti e la moda propone modelli sempre più lineari e uniformi. Contemporaneamente all’affermazione dell’egemonia inglese, Londra diventa il centro da cui si diffonde la moda maschile, così come Parigi lo è per quella femminile. E inglesi sono i personaggi che costituiscono un modello di eleganza, da Byron a George Brummel.
La popolazione europea sembra divisa in due parti: una protesa verso la vita attiva e la costruzione del futuro e l’altra, quella femminile, condannata a perpetuare le glorie del passato di cui la capitale francese è il simbolo.
L’abbigliamento degli uomini cambia molto più lentamente rispetto a quello femminile ed evidenzia così un preteso disinteresse per la superficialità delle apparenze. I cambiamenti, infatti, riguardano soprattutto i dettagli; i gilet, ad esempio, possono essere aperti a forma di A e di V, diritti e accollati o decorati, in seguito soprattutto bianchi e neri o della stessa stoffa della giacca; i pantaloni possono essere tubolari e corti all’americana oppure stretti con alcuni bottoni alla caviglia, alla tirolese con le tasche ai lati, a zampa di elefante, stretti e tesi con il sottopiede o larghi e cascanti. Solo dopo la metà del secolo appare una vera e propria novità: la giacca corta senza code, il cui uso si prolungherà nel Novecento.
Anche per gli uomini, dietro l’apparente uniformità, le distanze sociali sono segnalate dal taglio, dalla qualità delle stoffe e dalla cura per i dettagli. Per le camicie sono importanti il numero dei bottoni, lo jabot, le pieghe, i colletti, i polsi inamidati e l’apparecchiatura quotidiana (si arriva persino a inviare a Londra le camicie da stirare); molto importante è il modo in cui vengono annodate le cravatte di batista, avvolte intorno al collo, e una grande attenzione è dedicata anche al fazzoletto che spunta dalla tasca, ai guanti, alle calze, al garofano bianco o, la sera, alla gardenia all’occhiello, agli occhiali a pince-nez o a monocolo, al cappello (di feltro d’inverno e di paglia d’estate), al bastone, ai pochi ma raffinati gioielli (come l’orologio appeso alla catena) e al frustino che per un certo tempo è tenuto in mano quando si passeggia.
Nel corso del secolo l’abito maschile finisce per diventare un modello anche per le donne.
Accanto al gusto per la frivolezza comincia a comparire, prima timidamente e poi sempre più decisamente, l’aspirazione a uno stile di vita dinamico che sarà più propriamente quello del secolo successivo. Gli abiti usati per gli sport sono i primi a conformarsi a questa tendenza: si diffonde ad esempio la tenuta da velocipedista, con i calzoni stretti alla caviglia, accompagnati a volte da una gonnellina.
Nell’ultimo decennio, per la vita quotidiana si impone il tailleur, che nasce in Inghilterra (e che viene tagliato da un sarto da uomo), e la blusa, che si ispira alla camicia maschile, con il suo colletto alto e la cravatta. L’abito, anche quello più sportivo, è però spesso accompagnato da una novità che resisterà a lungo: la veletta che ombreggia il viso, ambigua barriera che sembra negare l’incipiente indipendenza della donna e alludere al suo tortuoso procedere sulla via dell’emancipazione.
Lo stesso soprabito passa dall’abbigliamento maschile a quello femminile, ma questa tendenza registra già il deciso affermarsi del gusto per la comodità che caratterizza in generale l’Ottocento e sarà destinato a durare a lungo. Gli indumenti confortevoli si moltiplicano: si diffondono le douillette (soprabiti imbottiti incrociati davanti), le redingote di panno, le pellicce, i manicotti, le mantelline, gli scialli di cachemire e i fazzoletti piegati a triangolo, i fichus incrociati sul petto, le pellegrine, le palatine di pelliccia, fino ai boa di piume di struzzo o di marabù. Pratici sono anche i Macintosh, dal nome del loro inventore inglese (soprabiti di tela gommata impermeabile), gli impermeabili leggeri, gli ombrelli resi maneggevoli dalla sostituzione delle stecche di legno con quelle di acciaio e gli ombrellini che si piegano verso il sole.
La nuova attenzione per l’infanzia determina la creazione di una moda particolare per i bambini: per i più piccoli si usa una veste con lo sprone quadrato che lascia scorgere le mutande; per i più grandi compaiono invece vestiti e cappelli alla marinara. Si adotta la divisa del collegio di Eton come abito elegante per i maschi, con giacca corta tagliata a punta dietro e calzoni lunghi, mentre negli ultimi decenni del secolo le bambine indossano vestiti – anche questi di origine inglese – a vita bassa, con un nastro di seta sui fianchi chiuso da un fiocco.
La moda è ancora dettata dall’alta società, ma in qualche caso viene considerato già elegante adottare abiti informali – fino ad allora usati solo per la loro funzionalità – come il paletot, che deriva da un tipo di giacca portato dai marinai inglesi. Proprio questa ricerca di semplicità e di funzionalità finiranno per minare il predominio francese anche nel campo della moda femminile, già minacciato dal prevalere del modello inglese nell’abbigliamento maschile e infantile, e incrinato dalla sporadica ma significativa introduzione di indumenti di provenienza inglese adeguati al nuovo ruolo che le donne tendono ad assumere nella vita attiva. Alla fine del secolo, con l’affermarsi della potenza economica degli Stati Uniti, anche l’America entra nel mondo della moda europea, per esempio con i pratici vestiti all’americana, grigi e lunghi fino ai piedi per i bambini, o con indumenti come le scarpe impermeabili in caucciù foderate di tela, che presuppongono innovazioni tecnologiche quali la vulcanizzazione della gomma, realizzata da Goodyear nel 1843.
Alla fine dell’Ottocento, iniziato nel segno dell’influenza quasi esclusiva di Parigi, si assiste dunque alla crescita del prestigio dell’Inghilterra e delle terre d’oltreoceano, oltre ai nuovi valori di cui esse sono portatrici.
La curva della moda, trascurando i cambiamenti di minore durata, si rivela così un indice attendibile delle tendenze di fondo operanti nella società.