Moda
L'essenza dell'haute couture
sono i segreti sospirati di generazione in generazione
(Yves Saint-Laurent)
Il futuro della haute couture
di Sara Gay Forden
7 gennaio
Yves Saint-Laurent, dopo 40 anni di successi, annuncia la chiusura del suo atelier, perché "l'industria della moda antepone ormai il guadagno alla creatività artistica". Quella che si terrà il 22 gennaio al Centre Georges Pompidou di Parigi sarà la sua ultima sfilata. Il ritiro del famoso stilista francese scuote il mondo dell'alta moda e accende un vivace dibattito su quale ne sarà il futuro.
L'addio dell'ultimo grande couturier
La sera del 22 gennaio 2002, la scena che si presentava a Place Beaubourg, la piazza sotto il Centre Pompidou a Parigi, era più consona a un concerto rock che non all'attesa della retrospettiva di uno dei più grandi stilisti dei nostri tempi. In mezzo a una folla di fashionists che speravano di entrare all'ultima sfilata di Yves Saint-Laurent, c'erano 2000 eletti con i biglietti d'ingresso saldamente in mano. Appena due settimane prima, Saint-Laurent, nell'unica conferenza stampa della sua vita, aveva annunciato la sua intenzione di ritirarsi dopo 44 anni di lavoro. La notizia ha colpito il mondo della moda come una bomba. Il ritiro di Saint-Laurent - definito già alcuni anni fa da Pierre Berge, socio, protettore ed ex compagno di vita dello stilista, come "l'ultimo dei grandi couturier" - ha chiuso infatti un capitolo importante nella storia della moda e in particolare della haute couture, e ha scatenato un'accesa polemica sulle sue prospettive future. "Io credo assolutamente nella morte della haute couture - ha detto Berge durante la conferenza stampa - questo modo di vivere non esiste più".
Lo stilista, nato in Algeria nel 1936 da genitori francesi, già da bambino si dilettava a tagliare i vecchi vestiti della madre per ricucirli in bambole di stoffa. All'età di 21 anni diventò il successore di Christian Dior, prima di fondare la propria maison nel 1962. Coco Chanel stimava tanto il suo lavoro da chiamarlo il suo 'erede spirituale'. Nel corso della sua carriera, in cui momenti di immensa inventiva si sono alternati a fasi di grande crisi e depressione, ha creato i pilastri del guardaroba femminile moderno: i pantaloni, l'abito a trapezio, lo smoking, la giacca sahariana e quella da motociclista, per citarne alcuni. Di lui si diceva: "Coco Chanel ha liberato la donna, Yves Saint-Laurent le ha dato il potere". Tutte le sue creazioni più importanti, ognuna rivoluzionaria nel momento in cui era presentata, furono pensate per le sfilate di haute couture. Spesso gli viene erroneamente attribuito anche il merito di avere inventato il prêt-à-porter, con la collezione Rive Gauche, ma questo non è esatto, perché se il lancio di Rive Gauche fu sicuramente un motore importante per lo sviluppo del prêt-à-porter (perché consentì alla donna un nuovo approccio nei confronti della moda e la possibilità di comprare i vestiti nei negozi con una fascia di prezzi più bassi), Saint-Laurent in questo tipo di collezioni era stato preceduto sia da Pierre Cardin sia da Christian Dior.
Nella conferenza stampa del 7 gennaio, Saint-Laurent ha espresso il convincimento che il lavoro dello stilista debba essere al servizio della donna e ha dichiarato di aver incontrato negli ultimi tempi crescenti difficoltà in un contesto sempre più decadente e asservito da una parte al marketing dei grandi marchi e dall'altra all'ego dei giovani stilisti. "Ho creduto per molto tempo che la funzione della moda non sia solo quella di abbellire le donne - ha affermato - ma che essa sia anche un modo per renderle più sicure, dare loro fiducia in sé stesse e permettere loro di farsi valere. Allo stesso tempo, respingo assolutamente le fantasie di chi cerca di soddisfare attraverso la moda il suo ego. Al contrario, io ho cercato di servire le donne, i loro corpi, i loro gesti, i loro atteggiamenti, la loro vita". "Viviamo in un mondo disordinato e decadente" ha ancora spiegato in un'intervista al quotidiano francese Le Monde. "La lotta per l'eleganza e la bellezza mi hanno causato molta tristezza ... mi sono sentito così solo e marginale". Quali sono le cause del ritiro? Non è cambiato il talento di Yves Saint-Laurent ma il mondo intorno a lui. La richiesta di abiti preziosi, tagliati e cuciti su misura, si è ristretta negli anni a un'élite, mentre i grandi marchi della moda hanno continuato a usare le sfilate di haute couture come occasioni per promuovere l'immagine esclusiva e abbagliante di un mondo che, sebbene al tramonto, è tuttavia utile alla vendita di prodotti diversificati dello stesso marchio, come profumi, accessori e prêt-à-porter. Yves Saint-Laurent ha vissuto in prima persona, nella sua vita e nel suo lavoro, la trasformazione della ragione d'essere della haute couture da servizio unico e insostituibile per le donne a veicolo di comunicazione di lusso per alcune grandi firme. Già negli anni prima del ritiro, la maison di haute couture di Yves Saint-Laurent era diventata sempre più isolata operativamente dal resto del business, gestito dal gruppo Sanofi Beauté, l'azienda che dal 1993 deteneva il controllo del marchio. La separazione definitiva della haute couture da fragranze, cosmesi e prêt-à-porter avvenne alla fine del 1999 con la vendita di Sanofi Beauté al gruppo Gucci. All'acquisizione da parte di Gucci si poté arrivare solo grazie all'accordo con il magnate francese François Pinault.
Pinault mirava a creare un polo del lusso in grado di sfidare il suo grande rivale, Bernard Arnault (Arnault, che a partire dal 1985 ha iniziato a creare il gruppo LVMH - Louis Vuitton-Moët Hennesy -, oggi possiede la più vasta gamma di marchi famosi nella moda e nei generi di lusso, nomi come Christian Dior, Louis Vuitton, Givenchy, Christian Lacroix e Céline, nonché Veuve Cliquot, Moët & Chandon, Dom Perignon, Hennesy e Château d'Yquem, per citarne alcuni). Durante la serrata trattativa, senza risparmio di colpi di scena, il presidente della Gucci, Domenico De Sole, insistette molto sull'opportunità di scorporare la maison di haute couture, ritenendola non essenziale al rilancio del marchio Yves Saint-Laurent, per il quale aveva un piano preciso insieme allo stilista texano Tom Ford.
Nell'ultimo decennio, la moda era stata fortemente condizionata dall'ascesa di grandi marchi come Gucci e Prada, la cui strategia punta sull'investimento su un unico marchio e linea di prêt-à-porter, con il controllo diretto su negozi e una gamma di offerta completa di prodotti, dagli accessori all'abbigliamento. Per De Sole, la haute couture di Yves Saint-Laurent non solo faceva parte di un mondo sorpassato ma era anche di problematica gestione (Saint-Laurent e Berge avevano personalità molto forti) e, non da ultimo, perdeva intorno ai 12 milioni di dollari all'anno su un fatturato di 6 milioni. Per salvare l'accordo con Gucci, Pinault accettò di assorbire la maison di 5, Avenue Marceau nella sua holding, Artémis, mentre Ford e De Sole si mettevano al lavoro per salvare il marchio Yves Saint-Laurent senza il grande maestro. Nonostante l'accordo gli permettesse di continuare con la couture (ma con costi stratosferici e perdite irrecuperabili perché mancavano le sinergie con fragranze e prêt-à-porter), Yves Saint-Laurent per primo capì che il mondo da cui proveniva non lo riconosceva più. "Neanche se uno possedesse tutto il talento del mondo sarebbe possibile oggi essere Yves Saint-Laurent - come oggi non sarebbe possibile essere Elvis Presley - neanche se sei Saint-Laurent" ha commentato il settimanale americano The New Yorker.
Nei giorni che hanno preceduto l'ultima sfilata, che era stata regolarmente fissata nel calendario della settimana della haute couture parigina, la richiesta di biglietti è diventata così intensa che le segretarie hanno dovuto smettere di rispondere al telefono. Il 22 gennaio i controlli alla porta d'ingresso sono stati così severi che chi non aveva un invito con nome e cognome e un documento d'identità non è potuto entrare (persino Gwyneth Paltrow, che si aggirava in mezzo alla folla con le sue guardie del corpo, ma non aveva biglietto, è rimasta fuori). È stato un momento esclusivo, riservato solo ai fedelissimi: fra gli invitati c'erano anche alcuni creatori di moda, come lo stilista di Chanel, Karl Lagerfeld, Jean Paul Gaultier, Sonia Rykiel, Hubert de Givenchy e Vivienne Westwood, ma soprattutto i devoti come Jeanne Moreau, Lauren Bacall, Bianca Jagger, Paloma Picasso, Nan Kempner, Diane von Fürstenberg, Loulou de la Falaise, Betty Catroux e la musa per eccellenza di Saint-Laurent, Catherine Deneuve. Per gli esclusi, tenuti sotto controllo dalla polizia, è stato allestito un maxischermo in Place Beaubourg. È cominciata a scendere una leggera pioggia. Molti degli spettatori piangevano. L'evento a cui stavano per assistere rappresentava la chiusura di un'epoca nella storia della moda e l'apertura di una nuova.
La passerella si è aperta con un completo sportivo del 1962: giacca blu e pantaloni larghi bianchi stile marinaio. Nell'ora successiva (di solito un défilé dura circa 20 minuti) è sfilato il lavoro di una vita insieme alle nuove creazioni. C'erano abiti che rendevano omaggio a Picasso, Matisse, Braque, Dalí e Warhol, una giacca ispirata a un quadro di Van Gogh coperta di perline ricamate a mano con un lavoro durato non meno di 700 ore. C'erano regine africane, mugiki russi, matador castigliani, corteggiane dalla Città Proibita. C'erano baby dolls e la rigorosa camicia bianca che ha reso famosa Catherine Deneuve nel film Belle de jour di Luis Buñuel. Centosette modelle hanno presentato 300 abiti tra modelli nuovi e d'archivio, con un finale straordinario di 60 smoking di tutti i tipi immaginabili, da quello classico al modello avant-guarde. Hanno sfilato tutte le grandi indossatrici del momento, insieme a Claudia Schiffer e a Naomi Campbell, ma c'erano anche tutte le grandi interpreti del passato, da Jerry Hall a Mounia a Katousha. Quando il maestro è uscito per il suo ultimo saluto, con una smorfia in faccia e un atteggiamento a mezza strada tra la resistenza e la rinuncia, l'atmosfera sembrava quasi quella di un funerale imperiale.
L'alta moda oggi
Il forte dibattito innescato dal ritiro di Yves Saint-Laurent si impernia su una questione fondamentale: l'alta moda è un'impresa anacronistica destinata a scomparire, come sostiene Berge, o ha una nuova strada legata alle esigenze di comunicare di alcuni dei marchi più prestigiosi sul mercato?
A Parigi negli anni d'oro il numero delle case di haute couture arrivava quasi a 90, oggi ne sono rimaste soltanto 12: Balmain, Chanel, Christian Dior, Louis Féraud, Givenchy, Christian Lacroix, Hanae Mori, Jean-Louis Scherrer, Torrente, Emanuel Ungaro, Valentino e Versace. L'industria della haute couture attualmente impiega intorno a 4500 persone (di cui circa 2000 sarte) mentre prima della Seconda guerra mondiale dava lavoro a 35.000 persone. I costi degli abiti partono da 10.000 dollari per un tailleur e arrivano anche a 300.000 dollari per abiti da sera importanti. Anche se nessuna delle maison pubblica dati economici ufficiali sulle attività di haute couture, secondo gli analisti, il settore ha un giro d'affari che si attesta intorno ai 50 milioni di euro. "Oggi ricorre alla haute couture una piccolissima nicchia, ricca e opulenta, di donne che, a parte le celebrities, sono generalmente poco opinion leader. Una volta, le donne attive e in vista andavano da Dior, Chanel e Givenchy per vestirsi" dice Salvo Testa, responsabile del Sistema Moda per la SDA (Scuola di direzione aziendale) all'Università Bocconi di Milano. Per parte sua, Didier Grumbach, l'attuale presidente della Fédération française de la couture, du prêt-à-porter, des couturiers et des créatures de mode, spiega: "Nel 1945, quando i francesi cominciarono a regolamentare la haute couture, questa era l'unica fonte di creatività nella moda". Grumbach, signore elegante con l'atteggiamento da professore, già presidente di Thierry Mügler, docente all'Institut français de la mode e autore del libro Histoires de la mode, è una sorta di cardinale dell'alta moda francese ed è diventato oggi uno dei più autorevoli sostenitori del suo modello 'moderno'. Egli ricorda gli anni in cui Madame Givenchy volava regolarmente a Detroit per incontrare Rachel Lambert Mellon, amica di Jacqueline Kennedy Onassis, e prendere le misure non solo a lei ma a tutto il suo staff, ivi compresi i giardinieri, ma riconosce che "quei tempi sono finiti. Le grandi signore di oggi si vestono principalmente con il prêt-à-porter". Negli anni Sessanta e Settanta, con l'ascesa del prêt-à-porter, la clientela tradizionale della haute couture ha cominciato infatti a scomparire, preferendo gli abiti di serie a quelli dei couturier. "Basta vedere le donne famose oggi fotografate su Tatler e su Vogue" osserva Armando Branchini, vice presidente di Intercorporate, società di consulenza del lusso con base a Milano. "Tutte le donne ormai si vogliono vestire con il prêt-à-porter. Anche le trophy wives piene di soldi preferiscono avere tante borse e scarpe e il prêt-à-porter di lusso anziché pochi abiti di straordinaria distinzione". Le clienti vere di haute couture, che nel 1947 erano circa 15.000, oggi sono circa 1500. Sono mogli e compagne di politici e imprenditori, esponenti dell'alta società internazionale, principesse arabe e un piccolo gruppo di donne d'affari (fra queste figurano Liliane Bettencourt, erede di L'Oréal e una delle donne più ricche d'Europa; Jessica de Rothschild; Yemima Kahn; l'ex modella Tatiana Sorokko e Rose Anne de Pamplonne, e ancora le 'principesse' di Park Avenue come Deeda Blair o Nan Kempner).
Le donne del mondo dello spettacolo che vestono haute couture fanno immagine e abitualmente ricevono i vestiti in dono o in prestito, di solito per occasioni speciali molto seguite dalla stampa internazionale, come quella degli Oscar. Maestro del rapporto tra moda e celebrità è sempre stato Gianni Versace, il quale ha lanciato la sua linea di haute couture, Atelier, a Parigi nel 1990, come un laboratorio di creatività sperimentale. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1997, il suo talento nel riuscire ad avere il personaggio più in vista e importante del momento seduto nel parterre è stato ereditato a pieno dalla sorella Donatella. "Come si può calcolare il valore di avere a gennaio 2002, in prima fila alla nostra sfilata di haute couture a Parigi Chelsea Clinton, Madonna e Gwyneth Paltrow fotografate dai giornali di tutto il mondo?" osserva un portavoce della maison Versace.
Secondo gli analisti, nessuna delle case che oggi producono haute couture riesce a ottenere un vero profitto, ma la haute couture è diventata piuttosto un efficace veicolo di comunicazione i cui costi sono sostenuti dagli introiti della vendita di profumi e delle linee di prêt-à-porter. "È vero che la haute couture da sola non avrebbe alcun senso oggi - afferma ancora Grumbach - è un 'plus' che rimane al di sopra di un business diversificato". Per Grumbach, la vera forza della haute couture oggi consiste nell'essere rimasta il veicolo più importante per il rinnovamento, l'istituzionalizzazione e l'internazionalizzazione di un nome: "Le donne di oggi non si vestono dove si vestivano le loro madri e domani le figlie di oggi non si vestiranno dove si vestono le loro madri. Ogni generazione deve creare e identificare i propri marchi. La haute couture diventa una piattaforma straordinaria di prestigio e visibilità per lanciare i nomi di domani. Martin Margiela era assistente di Gaultier, Gaultier era assistente di Cardin, Cardin era assistente di Dior, Dior era assistente di Robert Piguet e Piguet era assistente di Paul Poiret. Abbiamo sempre bisogno di creare il nuovo". Pochi anni fa Grumbach si è incaricato di aggiornare le regole della Chambre Syndicale per permettere ai giovani stilisti emergenti di partecipare ai défilé di haute couture. Grazie a questi cambiamenti, ogni stagione 12 'ospiti' sono invitati a sfilare per due anni, senza dover uniformarsi alle consolidate norme relative alle dimensioni delle maison. Dopo due anni, i nuovi stilisti possono essere cooptati dai soci a membri della Chambre, come è avvenuto l'anno scorso con Jean-Paul Gaultier. "Se Gaultier non fosse stato votato come socio della Chambre per la haute couture, il suo marchio sarebbe diventato vecchio - dice Grumbach - la haute couture arricchisce una firma di una qualità immortale, senza tempo".
Fra i giovani che si sono lanciati nella haute couture spiccano alcune storie di successo, grazie anche alle modifiche istituite da Grumbach. È questo per es. il caso degli stilisti olandesi Viktor & Rolf, i quali hanno stupito il mondo della moda quando hanno lanciato una collezione di haute couture come ospiti della Chambre Syndicale nel 1998. I due hanno siglato nell'aprile 2002 un accordo importante per il quale nel 2005 debutterà con il loro nome un nuovo profumo di L'Oreal, la prima fragranza di prestigio lanciata da questa ditta in 17 anni, dopo quelle di Giorgio Armani e Cacharel. Anche se Viktor & Rolf hanno sospeso la collezione di haute couture nel 2000, quando hanno lanciato una linea di prêt-à-porter, l'esordio è stato fondamentale per il loro riconoscimento e sviluppo. Anche lo stilista sardo Antonio Marras ha avuto successo dopo il suo debutto sulle passerelle dell'alta moda a Roma. "Erano anni che Marras tentava con il prêt-à-porter, ma nessuno lo guardava fino a che non ha sfilato durante l'alta moda - dice la storica del costume, Bonizza Giordani Aragno - ha fatto quattro collezioni e oggi è uno dei fenomeni italiani". Altri nomi giovani che si stanno affermando nella haute couture sono Elie Saab, Fred Sathal, Nicholas Le Cauchois, Dominique Sirop, Frederic Molenac, Anne Valerie Hash e i russi Seredin e Vasiliev. Alle sfilate parigine dell'8-11 luglio 2002 sfila anche Ralph Rucci dagli Stati Uniti, il primo americano invitato dalla Chambre a presentare la sua collezione di alta moda a Parigi. Questi sviluppi hanno dato fiducia e coraggio ai giovani che cominciano a far parte di quella che sarà la 'nuova' haute couture, quella dei giovani appunto, magari realizzata con pochi mezzi da chi non ha una grande industria alle spalle. "La haute couture è sempre esistita ed esisterà ancora - ha detto Sathal dopo la sua sfilata a gennaio - cambierà ed evolverà con i nuovi giovani, ma rimarrà sempre".
Una sfilata di haute couture ha il vantaggio di avere luogo all'inizio della stagione (a gennaio per l'estate e a luglio per l'autunno), per cui di fatto ha la possibilità di lanciare le nuove tendenze. Sfilano insieme solo 25 nomi davanti a circa 1000 giornalisti della stampa internazionale, a differenza delle sfilate di prêt-à-porter dove i nomi in calendario sono più di 150. "Una bella foto di un abito di haute couture che fa il giro del mondo vale come una campagna pubblicitaria miliardaria - è ancora Grumbach a parlare - rappresenta un momento di comunicazione irripetibile".
Bernard Arnault, presidente del gruppo LVMH, è stato uno dei primi a capire la trasformazione della haute couture da vero business a immagine e ad averla pienamente sfruttata, scegliendo stilisti controversi come John Galliano per Christian Dior, Alexander McQueen prima e Julian McDonald poi per Givenchy. Se le sue scelte inizialmente hanno scosso l'establishment francese della moda, lo ha ripagato ampiamente l'abbondante ripresa delle spettacolari sfilate del suo gruppo sui giornali internazionali.
Oltre al suo ruolo d'immagine, tuttavia, la haute couture oggi "rappresenta l'unico momento in cui lo stilista possa creare liberamente, senza restrizioni o condizionamenti da parte del mercato" come sostiene la Giordani Aragno. Mentre il prêt-à-porter è sempre più legato a considerazioni di costi e portabilità, la haute couture lascia allo stilista la possibilità di creare la sua visione ideale, senza limiti o doveri di risparmio sui tessuti e sui tagli. Per questa sua preziosa libertà, infatti, la haute couture "è come se fosse un animale in via d'estinzione che tutti proteggono".
Haute couture francese e alta moda italiana
La haute couture è sempre stata un fenomeno francese e infatti le sue origini si rintracciano nella Parigi del 1858, quando Napoleone III chiamò un sarto inglese di nome Charles Frederick Worth a disegnare il guardaroba per sua moglie, l'imperatrice Eugenia. Worth, poi, ideò vestiti anche per i reali di Austria, Italia e Russia, e fondò la sua attività e il suo marchio, che comprendeva lo stemma reale, diventando così la prima 'firma' di haute couture. Dieci anni dopo, nel 1868, fu costituita la prima entità istituzionale per regolare l'attività sia della haute couture sia della produzione: la Chambre syndicale de la haute couture et de la confection, che nel 1910 si divise in due sezioni. Negli anni Venti e Trenta, la vita sociale e culturale di Parigi incoraggiò la rapida affermazione di nomi oggi storici: Coco Chanel, Jean Patou, Robert Piguet, Paul Poiret e Madeleine Vionnet (gli ultimi due già in auge dall'inizio del secolo), insieme ad altri. La moda francese trovò subito i suoi appassionati anche all'estero ed entro il 1920 la moda diventò il secondo più grande settore di esportazione della Francia. La Chambre syndicale de la haute couture fu ricostituita nel 1935, approvando poi nel 1945 i regolamenti che hanno codificato l'attività della haute couture fino agli anni Novanta, definendo alcuni criteri minimi per qualificare una casa di haute couture: il couturier deve impiegare un minimo di 15 persone, presentare le sue collezioni alla stampa due volte all'anno (gennaio e luglio) e ogni collezione deve avere almeno 35 capi tra modelli per il giorno e la sera. Il periodo di gloria della haute couture sono stati gli anni Cinquanta, ma già nel 1941 il numero di maison di haute couture era arrivato a 85.
Dopo l'ascesa di Chanel, fu Christian Dior a rivoluzionare i concetti della moda stessa, introducendo nel 1947 il suo 'new look' che prevedeva la vita strettissima da cui partivano gonne lunghe e ampie, concetti che costituivano l'antitesi della mentalità di risparmio e razionamento sviluppata durante la guerra. Al lavoro di Dior arrise un successo istantaneo: già nel 1949 il 75% delle esportazioni francesi portava il suo marchio. In Italia, prima della guerra, avevano cominciato a lavorare sarte importanti come Germana Marucelli, Maria Antonelli e Jole Veneziani, le Sorelle Fontana, che impostavano il loro lavoro sul modello dei grandi couturier parigini. La loro moda era talmente condizionata da quella francese che nel 1936 si ritenne necessario promulgare una legge che decretava che almeno il 25% dell'ispirazione delle collezioni dovesse essere italiano. Nel dopoguerra, anche Giambattista Giorgini, il 'padre' della moda italiana che promosse le prime sfilate italiane a Firenze nel 1951, imponeva come condizione un'impostazione italiana. "Fece un patto con noi - ha ricordato recentemente Micol Fontana in un'intervista - potevamo sfilare ma non facendo la moda francese. Dovevamo essere noi stessi. La nostra moda poi era più pratica, lineare e informale. Potevi portarla in giro e nessuno ti guardava strano".
Gli anni Cinquanta furono fondamentali sia per la haute couture parigina sia per l'alta moda italiana, che trovò un altro grande impulso, oltre a quello datole da Giorgini, nell'ascesa del ruolo di Cinecittà e nell'affermazione del cinema italiano nel mondo. In questi anni emersero Emilio Pucci, Roberto Capucci e Pino Lancetti. A Milano, Mila Schön divenne famosa con i suoi abiti double-face, vincendo anche il Neiman Marcus Award nel 1966. Altri stilisti si sono affermati vestendo le dive, sia sul set sia nella vita privata. Così, per esempio, le Sorelle Fontana avevano un contratto per vestire Ava Gardner nei suoi film, mentre Fernanda Gattinoni forniva gli abiti a Ingrid Bergman davanti e dietro le telecamere, come anche a Kim Novak e ad altre donne di visibilità internazionale, come Claire Booth Luce e Elizabeth Arden. Irene Galitzine, arrivata a Roma dalla Russia, creatrice dei famosi pantaloni 'palazzo', vestiva donne come Babe Paley e Jacqueline Kennedy Onassis. L'alta moda romana non ha però mai avuto la forza o la visibilità di quella francese, in parte anche a causa della forte evoluzione del prêt-à-porter italiano negli anni Settanta e Ottanta, che ha velocemente trovato un grosso riscontro sui mercati internazionali. Nel tempo, molti nomi importanti dell'alta moda romana sono scomparsi, mentre Valentino si è trasferito sulle passerelle di Parigi, portandovi prima, nel 1968, il prêt-à-porter e successivamente, l'alta moda, in quell'anno 1989, in cui John Fairchild, il temuto re della 'bibbia' americana della moda, Women's Wear Daily, decretò che il suo giornale avrebbe smesso di seguire l'alta moda romana perché "non esisteva più".
Oggi, nonostante la volontà politica di rilanciarla, l'alta moda romana rimane un piccolo mondo circoscritto intorno a un esiguo gruppo di donne, esponenti dell'aristocrazia e della politica oltre a qualche principessa araba. "L'alta moda romana oggi vive male perché non si è mai evoluta - osserva la Giordani Aragno - vive della sartorialità e della cliente ma non ha grandi interessi alle spalle". Firme come Renato Balestra, Raffaella Curiel (invitata a gennaio a sfilare a Roma da Milano), Marella Ferrera, Egon von Fürstenberg, Gattinoni e Fausto Sarli continuano a presentare le loro collezioni, ma senza grandi evoluzioni. Roberto Capucci, considerato uno dei nomi storici dell'alta moda italiana, sfila per conto suo, facendo anche importanti mostre all'estero. Nonostante abbia 72 anni, produce circa 30 abiti per stagione e mantiene una piccola cerchia di clienti affezionate che vanno da Rita Levi Montalcini - per la quale ha fatto anche il vestito indossato nella cerimonia del conferimento del Premio Nobel - a esponenti dell'aristocrazia romana, come la principessa Melba Ruffo di Calabria, le principesse Colonna e Pallavicini, nonché il soprano Rajna Kabaiwanska. "Già 30 anni fa mi volevo staccare da un sistema fatto di date, calendari, sfilate, che non facevano parte del mio mondo. L'ho fatto e ho cominciato a essere indipendente", ha affermato Capucci durante una recente intervista telefonica rilasciata appena tornato dal Giappone, dove alla presenza della principessa ha consegnato nella 'Sala Bianca' un vestito dedicato a Giambattista Giorgini e destinato a una mostra. Per realizzare quell'abito, che vuole essere un omaggio ai cinquant'anni della moda italiana e contiene ben 87 colori diversi, hanno lavorato cinque ragazze per due mesi e mezzo.
Le prospettive
Uno dei fattori che maggiormente influenzerà la haute couture nei prossimi anni è legato all'età media degli stilisti: Karl Lagerfeld, che disegna Chanel dal 1984, ha 63 anni. Emanuel Ungaro, 68 anni, l'anno scorso ha passato parte delle sue responsabilità a un giovane allievo italiano, Gianbattista Valli, diventato il nuovo direttore artistico della maison. Da Balmain, Oscar de la Renta ha 68 anni e nel luglio 2002 ha deciso di ritirarsi, dopo dieci anni, per concentrarsi sulla sua collezione a New York. Quest'anno Valentino ne ha compiuti 70. Anche se Chanel ha continuato a disegnare fino a 87 anni, non c'è dubbio che i prossimi anni saranno di svolta per il settore. "Saremmo ridicoli a pensare che l'impresa della haute couture sia in crescita - ha commentato recentemente Oscar de la Renta - Quanti chiodi bisogna mettere sulla bara prima che si sia chiusa bene?"
Allo stesso tempo, molti di coloro che lavorano, soprattutto nelle maison storiche, sostengono che la haute couture rimane una parte fondamentale della loro identità. "La haute couture fa parte del nostro tessuto - spiega Marianne Tesler, presidente di Givenchy, le cui collezioni sia di alta moda sia di prêt-à-porter sono oggi disegnate dal giovane stilista Julian McDonald - È una parte talmente intrinseca del nostro spirito che i benefici sono difficili da calcolare, ma ci porta tanto, sia internamente sia esternamente". Givenchy (che l'anno scorso ha lanciato un nuovo profumo, Hot couture, con una campagna internazionale che raffigurava la modella Eva Herzegova, drappeggiata con una stoffa sontuosa come se stesse facendo una prova nell'atelier) oggi lavora nella haute couture con circa 250 clienti, che hanno un'età media di 35-40 anni; fra loro molte sono professioniste che "hanno bisogni specifici", spiega Tesler. Givenchy impiega circa 40 sarte e divide l'atelier in tre parti: Atelier Mode per i cappelli, Atelier Tailleur per tailleurs e giacche, Atelier Flou per bluse e abiti. Producono circa 50 completi di haute couture all'anno.
La situazione è analoga in altre case. "Da Versace, la haute couture è così legata al prêt-à-porter che non ha senso estrapolare i costi specifici" dice Santo Versace, il quale spiega che lo stesso staff che sviluppa le collezioni di prêt-à-porter lavora anche sulla creazione della collezione haute couture: "per noi, rappresenta un laboratorio di ricerca e sviluppo, oltre a essere un potente strumento di comunicazione. Ci permette di sperimentare nuove idee con una libertà e una fantasia che a volte manca nel prêt-à-porter". Alla Valentino, maison appena acquistata dal gruppo Marzotto di Valdagno, la couture fin dalle sue origini è una parte molto importante, come l'identità del marchio: concetti pienamente condivisi dai nuovi proprietari. "A mio avviso, la haute couture per un'azienda come la Valentino rappresenta un elemento di comunicazione indispensabile per la filosofia del prodotto - ha detto Michele Norsa, direttore generale dell'abbigliamento di Marzotto - Tutto il mondo di Valentino, dal prêt-à-porter agli accessori, trae evoluzione da questo concetto". In più, sempre secondo Norsa "Valentino è una delle poche aziende dell'alta moda efficienti, considerando il rapporto tra costi e ricavi, ovvero tra costi sostenuti per realizzare sfilate di alta moda e ricavi intesi come ritorno di immagine". I nuovi proprietari hanno anche affermato che Valentino, il cui contratto scade nel 2003, "è una figura irrinunciabile e vitale per la griffe".
Nonostante i grandi cambiamenti che hanno portato la haute couture a essere un lavoro di nicchia, le maison attualmente impegnate nella creazione di collezioni di haute couture confermano il loro impegno. Non solo. Nel 2004, grazie ai progetti d'espansione del gruppo IT Holding (Itierre spa), ci sarà un nuovo nome sulle passerelle di Parigi: quello di Gianfranco Ferrè. Lo stilista non è nuovo alla haute couture, avendo disegnato la collezione di Christian Dior dal 1989 al 1997, primo italiano nella storia della moda a essere chiamato a ricoprire questo ruolo in una casa francese, in particolare da Dior, l'essenza stessa della haute couture. Molti lo considerano l'ultimo grande couturier dopo l'uscita di Yves Saint-Laurent. "Ormai ci sono pochi creatori che abbiano non solo la cultura, ma anche la competenza di sviluppare la haute couture" ha detto Tonino Perna, presidente del gruppo IT Holding, che possiede oltre a Gianfranco Ferrè, marchi come Romeo Gigli, Malo ed Exté. Secondo Perna, oltre a sviluppare il marchio Ferrè, per il quale è predisposto un notevole piano di rilancio, la presentazione di una collezione haute couture Gianfranco Ferrè lascerà un segno forte, che pur conservando legami profondi con il passato si proietterà nel futuro. "La haute couture ci consentirà di mantenere la continuità di un lavoro che fa parte della nostra tradizione e che è parte della nostra stessa storia europea della moda e della creatività - ha detto Perna - Allo stesso tempo, la haute couture semina per il futuro. Se i ragazzi oggi trovano ispirazione dai grandi come Dior, Chanel e Yves Saint-Laurent, guai se noi, come industria di oggi, non lasciamo loro qualcosa a cui ispirarsi".
Il dibattito sulla morte o meno della haute couture deve poi tener conto di un elemento importante: non solo la haute couture è cambiata ma anche il suo futuro sarà fortemente condizionato dalla mancanza di lavoratori esperti nelle tecniche della grande sartoria, una lavorazione che non è stata nutrita per il futuro. "Haute couture è un binomio tra creatività e realizzazione artigianale del prodotto - afferma Beppe Modenese, presidente onorario della Camera nazionale della moda italiana - Non c'è più quel parco di mani che lavorava nella haute couture come nel passato".
Intanto, Pinault ha fatto un tentativo di salvaguardare il know-how e la mano d'opera che Yves Saint-Laurent aveva sviluppato nella sua carriera attraverso la vendita avvenuta a marzo scorso, per una cifra simbolica di 1 euro, della sua attività produttiva di haute couture a SLPB Prestige Services, un'impresa che vende alle grandi firme servizi di design, logistica, produzione e distribuzione. L'idea era di utilizzare le sarte per sviluppare nuovi progetti di haute couture, salvando 150 posti di lavoro, nonché un patrimonio di mano d'opera prezioso. Patrice Bouygues, il presidente di SLPB, ha detto che gli atelier di Yves Saint-Laurent saranno usati per aiutare stilisti, maison esistenti e giovani stilisti emergenti a "crescere, evolversi ed esprimersi". Dopo le proteste degli stessi lavoratori, il progetto è stato bloccato da un tribunale francese, in attesa di un accordo fra Yves Saint-Laurent e Pierre Berge per liquidare direttamente i dipendenti.
Nel frattempo, il ritiro di Yves Saint-Laurent ha di fatto scatenato un'ondata di acquisti della sua haute couture, non solo dei pezzi vintage (di vecchie collezioni), ma anche delle nuove collezioni presentate a gennaio. Contemporaneamente quasi tutte le maison che hanno sfilato a gennaio hanno riportato incrementi importanti. Christian Lacroix ha dichiarato che le vendite a gennaio sono raddoppiate, mentre Balmain ha registrato un incremento del 10%. "Forse il ritiro di Yves Saint-Laurent ha portato le persone a pensare che i grandi couturier si stanno avvicinando al loro tramonto - ha commentato Georgina Brandolini, direttore generale di Balmain - La gente pensa che la couture stia per finire e vuole comprare. Invece di limitarsi a un abito, ne acquista tre". Da Dior, dove disegna il giovane John Galliano, le vendite della collezione couture sono salite circa del 50%, da Ungaro del 25%. Anche Valentino e Jean-Paul Gaultier hanno registrato incrementi significativi. Forse si tratta di un'impennata momentanea, comunque dimostra ancora che le prospettive della haute couture oggi rimangono legate alla sua qualità rara e preziosa, distaccata dalle 'uniformi' presenti nelle collezioni di prêt-à-porter, coccolata dai grandi gruppi della moda moderna che hanno bisogno di mantenere l'immagine esclusiva e lussuosa che è capace di diffondere.
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Il significato sociologico della moda
Imitazione e innovazione
La parola 'moda' (che deriva, attraverso il francese mode, dal latino modus, "maniera, foggia, misura") designa l'usanza o il gusto del momento che cambia a causa di una costante ricerca del nuovo. Si tratta di un fenomeno sociale che consiste nell'affermarsi in un dato contesto storico, geografico e culturale, di modelli estetici e comportamentali condivisi da gruppi più o meno estesi di persone, che trovano in essi un elemento di coesione interna e un segno di distinzione e riconoscibilità rispetto agli altri. La moda comprende ambiti disparati (artistici, letterari, sportivi ecc.) o più genericamente abitudini, preferenze, stili di vita, ma in senso assoluto quando si usa questo termine senza specificazioni particolari, il campo cui si fa riferimento è quello dell'abbigliamento.
Con il significato di novità dei vestiti e degli ornamenti 'moda' compare per la prima volta in uno scritto del 1648, Della carrozza da nolo overo del vestire & usanze alla moda, di A. Lampugnani e poco dopo nelle Satire di S. Rosa. Il fenomeno però precede cronologicamente l'uso della parola. Era per es. già presente nelle corti rinascimentali, dove le informazioni in quest'ambito venivano scambiate attraverso bambole, 'pupe', che vestite secondo le ultime novità del luogo costituivano veri e propri modelli di abbigliamento. A differenza dell'abbigliamento che risponde a un bisogno universale e primordiale dell'essere umano di evidenziare la propria singolarità rispetto all'uniforme nudità iniziale e anche di rendere visivamente l'appartenenza a un gruppo, l'abbigliarsi secondo la moda è il risultato di varianti socioeconomiche e culturali che interagiscono con queste motivazioni di fondo. Ciò spiega perché la moda si sia manifestata in un preciso momento storico, come un fenomeno dapprima circoscritto ad alcune categorie di persone e a particolari società, che si è poi gradualmente esteso, con caratteri nuovi rispetto all'abbigliamento. La moda compare nelle classi più elevate delle società più progredite e complesse, man mano che le forme della vita collettiva si differenziano, i bisogni sociali si moltiplicano e la capacità estetica individuale prende il sopravvento. Con la divisione della società in classi, infatti, ornamenti e abbigliamento, oltre a mantenere un significato di differenziazione individuale e di appartenenza etnica, divengono anche segni, rigidamente codificati, di distinzione e rivalità sociale. Gli studi sociologici tra Otto e Novecento hanno posto in luce lo stretto rapporto esistente tra struttura sociale e cura esteriore del corpo e il valore simbolico assunto dall'abbigliamento a motivo della stratificazione sociale. Il sociologo ed economista statunitense T. Veblen fu il primo a formulare una teoria della dipendenza dei fenomeni di consumo e di moda dalla struttura sociale e non dai bisogni naturali; secondo tale teoria la moda è stata in origine un'immediata ed efficace manifestazione di 'sciupio vistoso', di ostentazione di forza economica e di distanza da tutto ciò che è lavoro e necessità: "Gli abiti eleganti [...] sono le insegne dell'agiatezza. Non soltanto fanno vedere che chi li porta è capace di consumare un valore relativamente grande, ma svelano nel contempo che egli consuma senza produrre". Il vestiario diviene manifestazione del rango, emblema dello status sociale ed è la presenza di questo tratto elitario nei secoli passati che spiega la sua successiva diffusione nelle varie fasce sociali in senso verticale, dall'alto al basso, con 'effetto a caduta'. Ciò che rese la moda un fenomeno socialmente rilevante non fu la sua imitazione a livello di ceti elevati, quanto la possibilità reale e nuova per le classi inferiori, dischiusa dall'ascesa economica della borghesia, di competere con l'aristocrazia del tempo anche nella cura dell'aspetto esteriore. Emulando il modo di abbigliarsi delle classi superiori, i ceti inferiori vollero segnalare sia l'appartenenza a una categoria più elevata, sia la differenziazione dagli strati socialmente ancora più bassi. La radice storica del fenomeno va ricercata nella mutata realtà economica e sociale del Tardo Medioevo con il formarsi di una ricca borghesia o aristocrazia del denaro, fondata sul talento del singolo e non più sui privilegi dinastici. Iniziarono allora ad affermarsi come valori culturali l'esaltazione dell'individualità e la sua emancipazione dalla tradizione. La valorizzazione dell'originalità personale e del mutamento fu il fattore determinante del sorgere della moda nel 14° secolo: minando le barriere fino allora invalicabili della diversità di classe, estese la possibilità dell'individuo di soddisfare il bisogno di novità. Alla tendenza di emulazione dei segni esteriori, che rischiava di annullare le differenze simboliche connesse con l'abbigliamento, i ceti più elevati reagirono o con l'emanazione di leggi suntuarie che per le classi sottostanti fissavano limiti nelle modalità di abbigliarsi oppure adottando una nuova foggia di vestiti, ornamenti e tessuti che consentisse loro di recuperare il valore di distinzione sociale. Così 'Regolamenti sopra il sontuoso vestire degli Huomini e Donne' compaiono nel Quattrocento, con minute disposizioni per i signori di feudi, dottori e cavalieri, scudieri, tesorieri, magistrati, licenziati in legge e medicina, borghesi e mercanti, contadini e salariati, e le donne di tutte le classi, mentre fino al Settecento vengono emanate, in articolate casistiche, leggi suntuarie con lo scopo di regolare con rigidezza la separazione tra le classi sociali, lasciando una netta preminenza di vistosa ricchezza a quelle nobiliari, e limitandola man mano fino ai ceti meno importanti. Distinzioni infamanti erano prescritte per 'meretrici e mezzani' (nel 14° secolo, cappuccio rosso, sonaglio attaccato al copricapo; nel 16° velo giallo, cintura rossa, e anche calzoni sotto le vesti, usanza particolarmente deplorata dalle donne 'oneste').
Il duplice movimento di imitazione e innovazione - che è l'essenza anche oggi della moda - fu la molla di una sempre più celere creazione di nuovi prodotti e di un loro consumo sempre più generalizzato.
La cultura dell'effimero
La struttura sociale ha perso oggi l'inflessibilità che l'aveva caratterizzata nel passato; la moderna società di massa e dei consumi si presenta mobile, dinamica ed egualitaria. L'avvento del capitalismo maturo ha consentito un miglioramento generale delle condizioni di vita, un affinamento del gusto estetico e una democratizzazione dei processi economici, ma non ha comportato la scomparsa del modello di diffusione dei beni di consumo dall'alto in basso. Nella società di massa, però, il controllo sulla diffusione delle mode è esercitato in forma indiretta: il potere, senza alterare la sua posizione verticale, perde la vistosità e la riconoscibilità tradizionali, si mimetizza, diventa astratto, anonimo. Il livellamento degli status e dei simboli tradizionali ha significato la ricomposizione delle differenze su piani qualitativamente diversi, in genere meno appariscenti, e l'adesione alle sollecitazioni al consumo quantitativo da parte delle categorie sociali di retroguardia. Nei segni relativi all'ambito vestimentario e ornamentale, nel passato convenzionali e fissi, in cui i ruoli erano immediatamente riconoscibili e le scelte personali condizionate, si manifestano oggi un individualismo e un'indifferenziazione che tendono a neutralizzare le distinzioni di tipo sociale, di stato civile, di età e anche di sesso. Le esigenze di mercato hanno cancellato i riferimenti alle condizioni ambientali, alla tradizione, alla particolare realtà socioculturale, un tempo direttamente leggibili nei vari elementi dell'abito. Questi, nell'attuale, accomunano popoli tra loro culturalmente diversi in una generale uniformità dell'aspetto esteriore tipica della società dei consumi, in cui i richiami alle proprie radici appaiono tutt'al più a livello di 'citazione' in alcuni dettagli. Il fenomeno della moda, in una società dominata dall'incessante produzione-distruzione di beni, è l'ambito in cui il nuovo e il vecchio, in una forma quanto mai repentina e corale, vengono vissuti rispettivamente come obiettivamente bello e brutto. La sua essenza è definita dalla dialettica del mutamento, ossia dal fatto che la moda, inizialmente praticata solo da alcuni, raggiungendo la più ampia diffusione, viene a perdere il suo peculiare carattere di distinzione, e conseguentemente cessa di essere moda. La pubblicità, alleata dell'impresa, attraverso i mass media agisce come potente strumento di spinta al nuovo. In forma più o meno esplicita l'individuo è sollecitato dai mass media a piacersi e a compiacersi, ed è quindi fortemente motivato all'acquisto di capi di vestiario, di elementi ornamentali e di tutto quanto può contribuire a porre in risalto le sue parti più seducenti o al loro recupero estetico. La moda, lasciando spazio al gusto personale, consente oggi di variare e migliorare costantemente il proprio aspetto che, in un'abile arte del reinventarsi, tende a significare il 'corpo ideale' attraverso la trasformazione del 'corpo reale' di cui non si è mai pienamente soddisfatti.
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Breve storia della moda: dal Medioevo alla nascita dell'haute couture
Il Medioevo e il Rinascimento
Nelle antiche civiltà mediterranee le variazioni della moda sono lentissime, poco appariscenti: non esistono molte differenze tra le fogge dell'abbigliamento maschile e femminile né tra i vari strati sociali, se si esclude il lusso nei dettagli ornamentali delle classi elevate. Il passaggio al Medioevo segna la fine del costume classico e l'affermarsi del costume barbarico, caratterizzato da ritmi della moda più rapidi e variabili secondo tempi e luoghi, da una più precisa distinzione sociale dell'abito e dal differenziarsi dell'abbigliamento maschile da quello femminile. Nei primi secoli la moda è modesta di linee, colori, stoffe. Su una camicia lunga e con maniche entrambi i sessi portano un tipo di veste intera che durerà a lungo nelle classi popolari: la gonna o cotta, sotto cui gli uomini cominciano a indossare le brache, completata dalla schiavina, un mantello a cappuccio ereditato da quello militare romano, e da copricapi del tipo a berretto frigio, cui le donne aggiungono la giumpe, sottogola bianco. Il centro della moda si sposta dall'Europa orientale a quella occidentale e vi si fissa con Carlomagno.
Nell'11° secolo nascono i primi laboratori di tessitura, ricamo, confezione di abiti e calzature, confluiti poi nelle corporazioni di arti e mestieri, che tra 12° e 13° secolo contribuiscono fortemente all'evoluzione della moda. Mentre si va affermando una differenziazione netta tra le vesti portate in casa e quelle destinate ai riti della socialità, le fogge si moltiplicano. Da una parte la massiccia severità dello stile romanico sembra riflettersi nelle gravi vesti medioevali che compaiono per es. nei dipinti di Giotto, dall'altra sotto l'influenza dello stile gotico, il verticalismo dell'architettura, con guglie e archi a sesto acuto, riverbera sulle acconciature a cono aguzzo, le scarpe lunghe e sottili, le scollature, gli strascichi a punta. Un'evoluzione significativa si manifesta in ambito maschile intorno alla metà del Trecento con l'allargarsi della partecipazione alla vita pubblica degli strati sociali emergenti. Il nuovo costume è costituito da una farsetto corto, aderente e imbottito, indossato su calze attillate spesso bicolori, sopravvesti lunghe, mantelli o guarnacche corte al ginocchio, scarpe allungate, copricapo rotondo, arma al fianco. I capelli sono moderatamente lunghi e pettinati con semplicità, ma vi è anche una cura per i ricci acconciati sulla fronte. Per le donne si consolida il verticalismo del secolo precedente e si evidenziano gli attributi della femminilità: capelli intrecciati con nastri, perle, ghirlande, o nascosti in cuffie con soggolo, mentre entra in uso nell'Europa settentrionale l'hennin, copricapo a forma conica o a due corni completato da velo. Il seno è sottolineato da ampie scollature, le vesti aderenti ai fianchi si allargano con morbidezza verso il fondo e sono allungate dallo strascico. Si diffonde l'abitudine di lisciarsi e dipingersi il volto, una pratica ritenuta immorale dagli ecclesiastici.
Nel primo Quattrocento, tramontato il gotico fiorito con le sontuose ornamentazioni dei tessuti, la moda valorizza la figura sottile, con vesti ampie ma non esagerate, che fluiscono sulla persona senza alterarne la linea, riflesso della semplicità e armonia della coeva architettura. Il neoplatonismo porta a un visione idealizzata della donna: la fronte resa più ampia con la depilazione e l'abitudine di assottigliare le sopracciglia - anche per influsso classico sollecitato dal rinvenimento di sculture greco-romane - sublimano i tratti della fisionomia conferendo un aspetto algido e statuario. La moda maschile, che vuole gli uomini sbarbati con le zazzere fluenti, le giornee, corti mantelli aperti sul fianco, svolazzanti ma stretti in vita, le maniche larghe, presenta affinità con le linee femminili.
Successivamente la moda s'informa a maggior realismo, a contorni più corposi, mentre avviene il distacco definitivo del costume italiano da quello tardogotico d'oltralpe. La veste di scompone in due pezzi: corsetto scollato (falda) e sottana (faldiglio), di origine spagnola, che da questo momento sarà l'elemento che determinerà la linea e i volumi delle fogge femminili. Diventa di moda, per ambo i sessi, la camicia bianca che si mostra dalle ampie scollature o si intravede dai tagli delle maniche. Sono ornamenti di 'sciupio vistoso' le pellicce: l'ermellino, insegna regale, lo zibellino e già nel Trecento, il vaio, indumento distintivo di magistrati, dignitari, dottori e ordini cavallereschi; e poi le faine, i lattizi (pelli di agnello appena nato), l'oro, le perle, le gemme, foggiate in gioielli o intessute o applicate agli abiti. Nei panni più fini in velluto e damasco si fondono qualità del tessuto e purezza del colore (il termine 'scarlatto' in origine classificava la finezza della stoffa e il nitore cromatico, e vi era il bianco scarlatto, il nero scarlatto ecc.). Anche la singolarità di certe fogge è considerata negli statuti segno di superiorità sociale, come nel caso delle scarpe a punte lunghe e sottili dette ad poleynam (citate in un Regolamento suntuario del 1430), di cui è proibito l'uso ai cittadini, agli abitanti dei borghi, agli artigiani e ad alcune categorie di mercanti, o del robone e della cioppa, sopravvesti signorili.
Mentre nel contado si fissano in quell'epoca molti dei costumi oggi detti popolari, la moda cittadina moltiplica i modelli e la terminologia, che già nel Decameron (1349-53) di Boccaccio conta più di cinquanta vocaboli tecnici. Fino ai primi decenni del Cinquecento all'Italia si guarda da tutti i paesi d'oltralpe non solo per le lettere e le arti, ma anche per la raffinatezza del vivere e l'eleganza del vestire. Nel 1515 Francesco I di Francia scrive a Isabella d'Este perché gli mandi una 'pupa' abbigliata e acconciata a suo modello, per rifare quegli abiti e donarli alle donne del regno. Alla stessa Isabella si rivolge la regina Bona di Polonia per chiedere consigli, chiamandola "fonte et origine di tucte le belle fogge d'Italia" (R. Levi Pisetzsky, Moda e costume, in Storia d'Italia, vol. 5°, Einaudi, Torino 1973, p. 970). Isabella, Caterina de' Medici, Beatrice Sforza, per cui disegnava i figurini Leonardo da Vinci, imprimono una fisionomia alla moda come più tardi faranno la marchesa di Pompadour o R. Bertin, stilista di Maria Antonietta.
Il Seicento e il Settecento
Nel tardo Cinquecento, in conseguenza della Riforma e Controriforma, le fogge si fanno più austere, i colori scuri; il costume subisce l'influsso della moda spagnola. Si diffonde uno schema astratto che irrigidisce la figura femminile entro chiuse vesti scampanate, corpetti a punta, pettinature a cono, colli cinti da gorgere inamidate; l'uomo adotta capelli corti, folte barbe, giubboni imbottiti con rigida gorgera e brache rigonfie, berretti piumati, usati anche dalle donne. Nel diffuso clima antiedonistico, scompaiono le scollature e il mento affonda in collari pieghettati e insaldati, di rigidezza mascolina. Dettagli dell'abbigliamento, questa volta di distinzione politica, valgono a esplicitare, tra Cinque e Seicento, in un'Italia oggetto e non più soggetto della politica europea, l'inclinazione filofrancese (calze bianche) o la propensione filospagnola (calze rosse).
La decadenza politico-economica dell'Italia nel corso del Seicento fa sì che il primato della moda e delle industrie relative passi a Spagna, Olanda e soprattutto Francia, che evolve in una crescente perizia sartoriale e diffonde le fogge dominanti attraverso manichini a grandezza naturale, le poupées de mode, mentre si accentuano le differenze tra classe agiata e popolo che indugia nel vestire rinascimentale.
Sull'abbigliamento si riverbera lo stile esuberante e curvilineo barocco: acconciature basse e rigonfie ai lati del viso, scollature ovali, vita serrata dal corpetto a lunga punta, sottana inferiore distesa su guardinfanti che nell'abito di corte aumentano in maniera smisurata il volume sui fianchi con appiattimento del davanti. L'influsso della corte francese e delle favorite del re, il gusto per la pompa formale si manifestano nell'adozione di petti bianchi di cartapesta che coprono le scollature. Con Luigi XIV la moda fissa a Parigi il suo centro e più avanti, sotto la reggenza di Luigi XV e Luigi XVI, vi elaborerà - non senza influsso dei sovrani e di artisti come J.A. Watteau e le sue 'pastorellerie'- le fogge del Settecento. L'enfasi barocca si riflette nell'immagine corrente della donna, che sottolinea i propri caratteri con il rossetto sulle guance e sulle labbra, le gonfie parrucche, le sopracciglia dipinte con l'inchiostro di China mediante un cartone sforato a lunetta, le ciglia finte fatte di peli di talpa, tinte anch'esse con inchiostro e incollate agli orli delle palpebre. L'abbigliamento seicentesco maschile, alla 'moschettiera', propone casacca lunga e svasata con maniche ad ampi paramani, grande collo e polsi bordati di pizzo, ampi calzoni tubolari al polpaccio, scarpe a punta larga con nastro, stivali e guanti con risvolti, e per l'uscita, mantello panneggiato sopra una spalla, largo feltro piumato sui capelli lunghi che si accompagnano a baffi e pizzo. I particolari dell'abbigliamento - le parrucche a riccioloni, le stoffe a fiori sbocciati, i bordi di pizzo a punte arrotondate, le rose di nastro e i ventagli di struzzo - richiamano nell'andamento sinuoso l'architettura del tempo, con conchiglie, tortiglioni, cartigli dai bordi arrotolati. Lo stile decorativo e fantasioso instaura una specie di simbiosi tra i due sessi, accomunati da guarnizioni, chiome lunghe, tinture.
Nella seconda metà del 17° secolo nel costume maschile si introducono quei cambiamenti che dureranno, nelle linee fondamentali, per oltre un secolo e determineranno i caratteri del vestiario del Settecento. L'abito si definisce nei tre elementi portanti dell'abbigliamento moderno: pantalone, giacca a lunghe falde (marsina o redingote), e farsetto (gilet) completamente abbottonato e guarnito da una gala di seta e di merletto (jabot); i calzoni sono fermati sotto il ginocchio e completati da calze di seta e scarpe di vernice. Come accessori, tabacchiere, occhialini, spadini, ventagli. La scomparsa della gorgera introduce prima l'uso di ciocche posticce, poi la moda generalizzata della parrucca. L'esuberanza seicentesca si ingentilisce nel rococò, con il suo gusto delicato per le acconciature incipriate, le stoffe leggere a tenui motivi floreali, i colori chiari, i tricorni, le parrucche alte per le donne e basse a codino per gli uomini, così come l'architettura alleggerisce la parte decorativa e dà un nuovo aspetto alle facciate con le strette e fitte finestre. Il clima galante del Settecento investe anche i conventi nell'uso da parte delle religiose di pur moderate scollature. La frivolezza e l'atmosfera di raffinata e 'capricciosa immoralità' si esprimono nell'artificio dell'acconciatura incipriata e dell'incarnato diafano, che viene ottenuto con pratiche igieniche ma ancora di più con la cerusa, biacca velenosa a base di piombo.
Si diffondono le riviste di moda (Il giornale delle mode, Milano 1755; Il giornale delle dame, Venezia 1767; il Cabinet des modes, Parigi 1790), che esaltano l'invenzione del busto divisorio, l'odierno reggiseno. Ma già gli articoli sulla moda e sulla sartoria dell'Encyclopédie oscillano tra sarcasmo e indagine tecnica, e gli illuministi radicali legano alla polemica contro il lusso le ragioni più generali delle riforme sociali.
L'Ottocento
Con la Rivoluzione francese i mutamenti nella maniera di vestire, che si adegua al costume del popolo, modificano radicalmente gli stili precedenti. Alla ricerca di novità o per ironia esorcistica o per sottolineatura del distacco tra moda e convinzioni politiche, tra gli aristocratici superstiti si diffondono fogge 'rivoluzionarie', come quelle alla 'ghigliottina' con un nastro rosso allusivo al taglio della mannaia e del 'cappello alla morte del Re' (cappellino ornato da un velo) creato a Parigi dopo la decapitazione di Luigi XVI. Quanti invece vogliono esprimere la loro fedeltà alle idee legittimiste seguitano a portare la parrucca incipriata con il codino.
Alle fogge eccentriche e frivole delle merveilleuses e degli incroyables, espressione della società del Direttorio (1795-99), si affiancano nel periodo napoleonico i modi più equilibrati dello stile impero, con impostazione verticale dell'abito. Il gusto neoclassico impone la linearità, le vesti si sgonfiano, diventano leggere tuniche a vita cortissima in un solo pezzo (en chemise), trattenute sotto il seno, di colori chiari anche a tonalità acida (verde cedro). Le braccia femminili, quasi sempre coperte fino alla metà del Seicento e al Settecento (quando si scoprono fino al gomito), si mostrano ora completamente nude; le grandi scollature si ispirano alle figurazioni greco-romane. All'abito si accompagnano scarpe a sandalo, gioielli di cammei, cappelli a larga visiera annodati sotto il mento. Gli uomini vestono giubbe militaresche, calzoni attillati, stivali.
In questo secolo vengono fissati nelle linee essenziali i caratteri della moda, che si modificheranno ma non subiranno più le trasformazioni profonde dei secoli precedenti: saranno i dettagli a subire precise tappe evolutive in rapporto al progresso industriale e alla produzione tessile.
In Inghilterra, G.B. Brummel, arbiter elegantiarum del tempo, indirizza il gusto maschile verso la sobrietà del vestire, in una nuova nozione di eleganza, e introduce l'arte di annodare la cravatta; compaiono i cappelli a cilindro, gli abiti da sera (smoking e frac). Nella fase romantico-borghese, il senso di 'responsabilità morale', associato al liberalismo e al movimento patriottico, induce le donne a mostrare 'visi pensosi' senza rossetto sulle labbra e sulle guance e senza trucco intorno agli occhi, al massimo ingentiliti da una leggera velatura di cipria: modo che contrasterà con la coloritura di fine secolo, quando si profila l'artificio di cambiare il colore naturale del capelli tingendoli in rosso, secondo la moda messa in auge dalle 'cocottes' del Moulin Rouge parigino. A metà Ottocento si stabilisce una netta rottura tra le vesti da portare quotidianamente o per la strada e quelle di gala ampiamente scollate, scelta su cui influiscono anche i moti popolari del 1830 e del 1848, che convincono a riservatezza, a non esporsi troppo in pubblico, a non ostentare privilegi di classe. Questa distinzione si accentua nel 1880, nella fase del 'pudore vittoriano' che adotta vestiti severi con colletti alti fin sotto il mento, irrigiditi da stecche di balena, esibendo solo la sera, per il ballo e per il teatro, profonde scollature. Le tendenze liberali e patriottiche si manifestano nell'uso, a metà secolo, di speciali cappelli alla Puritana o all'Ernani, simbolo di rivolta antiaustriaca, nel progetto di un vestito all'italiana che fosse testimonianza della rinnovata coscienza nazionale, nella sollecitazione ad abbandonare la capote francese e le 'contaminanti' mode straniere a favore del 'figurino italiano'. Sono i segni di un'ideologia politica affidata all'abito, come avverrà più tardi con i simboli socialisti o anarchici (garofano rosso all'occhiello, cravatta nera a fiocco) o irredentistici (margherita all'occhiello a Trieste).
Per l'influsso goticizzante del romanticismo, poi del realismo borghese, le vesti registrano ritorni al passato (adozione di corpetti attillati, maniche gonfie lavorate e di ampie gonne, crinoline sostenute da una gabbia a cerchi di vimini o ferro) o tentativi di moderne semplificazioni, ispirate comunque ai secoli precedenti. Nella moda, nell'arredo e nell'architettura dominano un certo eclettismo, la commistione di elementi di età diverse e una tendenza all'esotismo orientaleggiante.
Ma un dato costante percorre l'Ottocento: la norma vincente dell'abbigliamento tende a coincidere con la ragione borghese. L'etichetta si espande con tratti comuni nell'Europa dei proprietari, dei commercianti, dei finanzieri, dei militari. L'abito si adatta all'internazionalismo borghese e la moda si avvia a percorrere la strada dei valori 'universali', allo stesso modo in cui si va accreditando la democrazia parlamentare.
La creazione dei grandi magazzini, che impongono forme, tessuti, colori e accessori, determina un tipo di abbigliamento uniforme per la classe media. Il prêt-à-porter nasce a Parigi nel 1845, data della prima vendita di modelli di serie, prodotti in diverse taglie grazie all'impiego di misure graduate e di corpi meccanici conformabili. Durante il Secondo Impero, il sarto C.F. Worth introduce un autonomo sistema creativo, l'haute couture o alta moda, impone più rapidi cambiamenti di gusto e di stile, presenta per la prima volta modelli indossati da mannequins. La democratizzazione della moda, specchio della nuova società, contrappone così al mercato della confezione e dei grandi magazzini l'alta moda appannaggio assoluto delle classi superiori.