Moda
La parola moda (dal francese mode, derivato del latino modus, "maniera, foggia, misura") designa l'usanza o il gusto del momento che cambia a causa di una continua ricerca del nuovo. È un fenomeno sociale che consiste nell'affermarsi, in un dato contesto storico, geografico e culturale, di modelli estetici e comportamentali condivisi da gruppi più o meno estesi di persone, che trovano in essi un elemento di coesione interna e un segno di distinzione e riconoscibilità rispetto agli altri. La moda comprende ambiti disparati (artistici, letterari, sportivi ecc.) e, più genericamente, abitudini, preferenze, stili di vita. Senza specificazioni particolari, il termine è di solito riferito all'abbigliamento.
Nel significato di novità vestimentarie e ornamentali, il termine moda appare in uno scritto del 1648, Della carrozza da nolo overo del vestire & usanze alla moda, di A. Lampugnani. Il fenomeno della moda tuttavia non coincide storicamente con l'uso della parola, è a esso anteriore. Era, per es., già presente nelle corti rinascimentali, ove le informazioni in tale ambito venivano scambiate attraverso bambole chiamate 'pue' che, abbigliate secondo le ultime novità del luogo, costituirono veri e propri modelli di abbigliamento e le prime forme della loro pubblicizzazione, anche se limitata al mondo aristocratico. Mentre l'abbigliamento è una costante antropologica e risponde a un bisogno universalmente sentito dall'essere umano fin dagli albori della sua storia, riconducibile all'esigenza tipicamente ed esclusivamente umana di evidenziare la propria singolarità rispetto all'uniforme nudità iniziale, nonché alla capacità dell'individuo di esprimere simbolicamente l'appartenenza a un gruppo, l'abbigliarsi secondo la moda è invece il risultato di varianti socioeconomiche e culturali che interagiscono con tali motivazioni fondamentali. Ciò spiega perché la moda si sia manifestata in un preciso momento storico, come fenomeno dapprima circoscritto ad alcune categorie di persone e a particolari società, e poi estesosi gradualmente, con caratteri nuovi rispetto all'abbigliamento. Presso i popoli primitivi, secondo quanto viene testimoniato da antropologi ed etnologi, non esistevano differenze determinate dallo status, dalla proprietà o da un qualche privilegio, ma vigeva il principio dell'uguaglianza dei diritti di tutti i membri adulti. Le poche disuguaglianze erano quelle dovute alla natura, relative all'età, al sesso, alle abilità personali che venivano evidenziate visivamente attraverso tipi piuttosto stabili di decorazione del corpo. Solo con il soddisfacimento del bisogno primario di sopravvivenza e più tardi con la divisione della società in classi, i sistemi ornamentali e vestimentari del corpo, oltre a mantenere un significato di differenziazione individuale e di appartenenza etnica, divennero anche segni, rigidamente codificati, di distinzione e rivalità sociale. Lo stretto rapporto esistente tra struttura sociale e modalità di cura dell'aspetto esteriore è stato posto in luce, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, da vari studiosi. Già H. Spencer, trattando dei segni esterni di distinzione, accennava a "certe qualità incomode e talvolta penose, che si possono acquistare solo da coloro, a cui l'abbondanza dei mezzi permette di vivere senza lavoro" (Spencer 1877-96, trad. it., 1° vol., p. 1040). È tuttavia T. Veblen il primo a formulare una teoria della dipendenza dei fenomeni di consumo e di moda dalla struttura sociale e non dai bisogni naturali.
La moda è stata in origine un'immediata ed efficace manifestazione di 'sciupio vistoso', di ostentazione di forza economica e di distanza da tutto ciò che è lavoro, necessità. "Gli abiti eleganti [...] sono le insegne dell'agiatezza. Non soltanto fanno vedere che chi li porta è capace di consumare un valore relativamente grande, ma svelano nel contempo che egli consuma senza produrre" (Veblen 1899, trad. it., pp. 158-59). A sua volta G. Simmel (1895) definisce la moda come un prodotto della divisione in classi e, a conferma della sua tesi, porta l'esempio di due popoli tra loro confinanti: i cafri, caratterizzati da una stratificazione sociale molto articolata e da un cambiamento piuttosto rapido nella moda abbigliamentaria, e i boscimani, presso i quali non esistevano forme di divisione in classi e non si ravvisavano interessi per il mutamento di abiti e ornamenti. La nuova funzione simbolica assunta dall'abbigliamento a motivo della stratificazione sociale è stata sottolineata più recentemente da E. Thiel. Con la differenziazione della società umana, si svilupparono anche privilegi nel costume: ornamento e distinzione nel vestito assunsero un nuovo carattere, quello sociale, che andava oltre il loro significato originario, in quanto erano rivolti a evidenziare il rango, il grado di importanza all'interno della società. Da qui derivò l'impulso decisivo per lo spreco eccessivo e per quella costante competitività nel 'taglio e rifinitura' di cui riferisce la storia della moda. "Il tipo di moda fu in genere determinato dagli strati sociali superiori, così che la moda 'dominante' in fondo fu propriamente la moda dei dominanti" (Thiel 1960, p. 7). Proprio la presenza di questo tratto elitario nella moda vestimentaria dei secoli scorsi spiega la sua successiva diffusione nelle varie fasce sociali in senso verticale, dall'alto al basso, con 'effetto a caduta' (trickle effect). Ciò che rese infatti la moda un fenomeno socialmente rilevante non fu la sua imitazione a livello di ceti elevati, quanto la possibilità reale e nuova per le classi inferiori, dischiusa dall'ascesa economica della borghesia, di competere con l'aristocrazia del tempo anche nella cura dell'aspetto esteriore. Emulando il modo di abbigliarsi delle classi superiori, i ceti inferiori vollero segnalare sia l'appartenenza a una categoria più elevata, sia la differenziazione dagli strati socialmente ancora più bassi. L'imitazione assunse il carattere di rivendicazione, che tuttavia non escludeva l'accettazione della gerarchia, ma ne esigeva una diversa rappresentazione. Importanti concetti al riguardo vengono espressi da Spencer, secondo cui la moda vestimentaria attraverso un'imitazione competitiva con l'élite, di rivalità più che di ammirazione, ha cercato di raggiungere una condizione di parità e, offuscando o cancellando i segni di distinzione di classe, "ha favorito lo sviluppo dell'individualità" e in tal modo ha indebolito "il cerimoniale, nel quale è implicita la subordinazione dell'individuo" (Spencer 1877-96, trad. it., 1° vol., p. 1048). Simmel, richiamandosi a tale analisi, colloca le radici della moda in due tendenze presenti nell'essere umano, l'una volta all'imitazione o all'eguaglianza sociale, l'altra alla differenziazione individuale o al mutamento. Quella della moda risulta essere in tal modo "la storia dei tentativi di adeguare sempre più l'appagamento di queste due opposte tendenze al contemporaneo livello della civiltà individuale e sociale" (Simmel 1895, trad. it., p. 14). Secondo Veblen, con la trasformazione della società moderna e l'attenuarsi delle differenze di classe, la moda si diffonde verticalmente lungo i ceti agiati per successive tappe dell'emulazione fino al basso della struttura sociale. "I membri di ogni strato accettano come loro ideale [...] lo schema di vita in auge nello strato immediatamente superiore" (Veblen 1899, trad. it., p. 84).
Nel passato, alla tendenza di conformistica emulazione dei segni esteriori, dettata dalla moda, ossia "dal bisogno di novità e cambiamento", dal "desiderio [...] di dominare per mezzo della ricchezza o dell'apparenza della ricchezza" (Squillace 1912, pp. 55 e 153) e che rischiava di annullare le differenze simboliche sartoriali, i ceti più elevati della società reagirono o con l'emanazione di leggi suntuarie che fissavano per le classi sottostanti i limiti nelle modalità d'abbigliarsi, o, per lo più, adottando una nuova forma di vestiti e ornamenti che consentiva loro di recuperare il valore simbolico di distinzione sociale. Tale duplice e consecutivo movimento di imitazione e innovazione, che costituisce anche al giorno d'oggi l'essenza della moda, fu la molla determinante di una sempre più celere creazione di nuovi prodotti e di un loro consumo sempre più generalizzato. La radice storica di tale fenomeno va individuata nella mutata realtà economica e sociale del Tardo Medioevo. Quando alla dissoluzione dell'economia naturale subentrò la nuova e rivoluzionaria economia monetaria che favorì il formarsi di una ricca borghesia o aristocrazia del denaro, fondata sul talento, sulla capacità del singolo e non più sui privilegi dinastici, iniziarono infatti ad affermarsi come valori culturali, strutturalmente connessi con l'irruzione della società moderna, l'esaltazione dell'individualità, la sua emancipazione dall'ordine immutabile della tradizione e il desiderio, sconosciuto in precedenza, per il nuovo, non più osteggiato con diffidenza ma cercato come fonte di appagamento delle passioni. La valorizzazione dell'originalità personale e del mutamento fu il fattore determinante del sorgere della moda nella seconda metà del 14° secolo: minando le barriere fino ad allora invalicabili della diversità di classe, essa liberò l'individuo dai vincoli imposti in precedenza dalla tradizione ed estese in senso egualitario la possibilità di soddisfare il bisogno di novità ed eleganza. Il cambiamento divenne espressione della creatività, delle aspirazioni e dei capricci del singolo, della sua autonomia di volere a cui, pure in materia di gusto, veniva lasciato sempre più libero spazio, anche per l'audacia e la trasgressione nella cura dell'aspetto esteriore. A proposito dell'incidenza che tale 'estasi frivola dell'Io' ha avuto sulla cultura occidentale, G. Lipovetsky scrive: "la moda è storicamente fondata sulla rivendicazione, l'affermazione e la legittimazione della identità personale.
Una caratteristica importante dell'uomo moderno si è affermata nel cuore di un mondo dominato dai valori gerarchici: l'individualismo del gusto, coevo dell'individualismo economico e religioso, precedente l'individualismo ideologico dell'era egualitaria" (Lipovetsky 1987, trad. it., p. 46). Sull'importante ruolo dell'economia monetaria per l'affermarsi della moda, intesa nell'accezione più moderna, si sofferma già Simmel a fine Ottocento. La sua analisi va oltre il paradigma interpretativo classico che ne individuava la nascita e la diffusione, il suo costante mutamento, esclusivamente nella dinamica sociale radicata nelle due tendenze proprie della natura umana che, come accennato, sono l'imitazione e la differenziazione individuale. Egli sottolinea ora lo stretto rapporto tra il fenomeno della moda e un fattore fondamentale per la comprensione dei suoi tempi, l'affermazione cioè dell'economia monetaria, determinante per il sorgere della modernità, della cui cultura la moda è l'espressione più pregnante. È l'economia monetaria infatti che consente di accelerare "in modo rilevante" tale processo, da una parte ravvicinando tra loro i diversi strati della società e dall'altro rendendo "più frenetica" tanto "la caccia all'imitazione" nei ceti inferiori quanto "la fuga verso il nuovo" in quelli superiori. Un articolo soggetto al rapido variare della moda implica l'aumento della sua domanda a buon mercato, sia in funzione del potere d'acquisto delle grandi masse a cui le industrie orientano la produzione, sia perché solo con articoli relativamente a buon mercato i ceti superiori possono far fronte ai repentini mutamenti della moda loro imposti dalla spinta degli strati inferiori. Ci si trova così dinanzi a una reazione circolare che Simmel descrive in termini ancora molto attuali: "quanto più rapidamente cambia la moda, tanto più gli oggetti devono diventare economici e, quanto più gli oggetti diventano economici, tanto più invitano i consumatori e costringono i produttori a un rapido cambiamento della moda" (Simmel 1895, trad. it., pp. 19 e 54). In contrasto con il carattere personale, con il capriccio o l'esigenza particolare di singoli individui e di gruppi che nel passato avevano dato origine alla moda, egli pone in evidenza come la sua diffusione è invece sempre più integrata nell'economia moderna. Simmel interpreta la moda "come un movimento autonomo" di innovazioni estetico-formali, "come una potenza oggettiva che si sviluppa con forze proprie" (Simmel 1900, trad. it., p. 651), come "tendenza culturale" e non più essenzialmente come risposta a un meccanico determinismo rappresentato dalla dinamica psicologico-sociale di imitazione e distinzione. I ritmi frenetici del tempo della moda, le sue incessanti stravaganze, "il fascino della novità e contemporaneamente quello della fragilità" che la caratterizza, sono tipici del ritmo "impaziente" dei moti spirituali dell'uomo moderno, e vengono definiti "la condensazione di un tratto psicologico del nostro tempo" (Simmel 1895, trad. it., pp. 27-29).
La struttura sociale ha perso oggi l'inflessibilità che l'aveva caratterizzata nel passato. La moderna società di massa e del consumismo si presenta essenzialmente mobile, dinamica ed egualitaria, al punto che alcuni sociologi ritengono che, con la scomparsa delle forme sociali preconsumistiche, i ceti medi siano divenuti i veri innovatori e protagonisti della vita economica contemporanea. Il superamento del capitalismo ottocentesco descritto da Veblen e l'avvento del capitalismo maturo hanno consentito un generale miglioramento delle condizioni di vita dei ceti inferiori, un affinamento del loro gusto estetico e anche una maggiore democratizzazione dei processi economici, tuttavia non hanno comportato la scomparsa del modello di diffusione dei beni di consumo dall'alto verso il basso. Nella società di massa, infatti, il controllo sulla diffusione del gusto e delle mode è esercitato in forma indiretta, il potere perde la vistosità e riconoscibilità tradizionali, si mimetizza, diventa astratto, anonimo, senza con ciò alterare la sua posizione strutturale. Il livellamento degli status e dei simboli di status tradizionali ha significato la ricomposizione delle differenze a livelli qualitativamente diversi, in genere meno appariscenti, e l'adesione alle sollecitazioni al consumo quantitativo da parte delle categorie sociali di retroguardia.
Nei segni relativi all'ambito vestimentario e ornamentale, nel passato convenzionali e fissi, in cui i ruoli erano immediatamente riconoscibili e le scelte personali del tutto condizionate, si possono oggi constatare un individualismo e un'indifferenziazione che tendono a neutralizzare tutte le distinzioni di tipo sociale, di stato civile, di età e perfino di sesso, come nella moda androgina. Le esigenze di mercato hanno cancellato i riferimenti alle condizioni ambientali, alla tradizione, alla particolare realtà socioculturale, un tempo direttamente leggibili nei vari elementi dell'abbigliamento. Questi accomunano oggi, in una generale uniformità dell'aspetto esteriore determinata dall'espansione del consumismo, in cui i richiami alle proprie radici appaiono tutt'al più a livello di 'citazione' in alcuni dettagli, popoli tra loro culturalmente diversi. Il fenomeno della moda, nella moderna società dominata dalla sempre più celere produzione/distruzione di beni, è l'ambito in cui il nuovo e il vecchio, in una forma quanto mai repentina e corale, vengono vissuti, rispettivamente, come obiettivamente bello e brutto. La sua essenza è definita dalla dialettica del mutamento, ossia dal fatto che la moda, inizialmente praticata solo da alcuni, raggiungendo la più ampia diffusione, viene a perdere il suo peculiare carattere di distinzione, e conseguentemente cessa di essere moda.
La pubblicità, indispensabile alleata dell'impresa, attraverso i mass media agisce come potente strumento di socializzazione al nuovo, ai prodotti di moda, attribuendo a essi significati che rispondono a esigenze e aspettative presenti a differenti gradi di consapevolezza. Proprio la valenza simbolica spiega, per es., la forte suggestione che le mode esercitano sugli adolescenti, i quali, a causa dello stato di insicurezza tipica dell'età e dell'assenza di modelli stabili di riferimento, vivono più intensamente la seduzione e l'esaltazione del nuovo, recepito anche quale elemento di differenziazione dalle generazioni meno giovani e come segno di appartenenza a un gruppo. Lo stesso rifiuto della moda vestimentaria può tradursi in atteggiamenti di conformità ad alcuni modelli di identificazione e trasformarsi, da fenomeno marginale, in una nuova moda la quale, estendendosi, viene a perdere il suo significato originario. L'analisi semiotica recente, caratterizzata da una relativa stabilità di significati ma da una moltiplicazione, uno spostamento e un'usura di significanti creati da una moda che si rinnova continuamente, ha sottolineato il fatto che i beni, per poter divenire oggetti di consumo, devono diventare latori di messaggi, assumere una valenza segnica. Per effetto di un occulto processo di educazione permanente, essi vengono quindi acquistati non a motivo del valore tecnico-pratico, ma piuttosto per il loro valore simbolico, per la loro capacità, come osserva R. Barthes (1967), di 'far significare l'insignificante'. Il consumo infatti è definibile "come sistema di comunicazione e di scambio, come codice di segni continuamente emessi, ricevuti e reinventati, come linguaggio" (Baudrillard 1970, trad. it., p. 123). La funzione utilitaria viene sostituita dai messaggi dei beni, i quali vengono sovraccaricati di significati di natura sociale, psicologica ed estetica, ossia di attributi che, molto più delle caratteristiche oggettive, sono soggetti a una rapida usura. E "l'usura comunicativa, che svuota il prodotto di quei significati per cui si era imposto all'attenzione del consumatore [...] crea i presupposti [...] per una generale accelerazione dei consumi" (Fabris 1970, p. 629). Proprio a motivo della funzione simbolica e psicologica di sicurezza e rimozione dell'ansietà, sfruttando questo iperinvestimento emotivo e irrazionale, l'industria pubblicitaria associa i nuovi prodotti, tra cui quelli riguardanti la cura del proprio aspetto esteriore, all'avvenenza, alla sensualità, presentandoli come indispensabili. La giovinezza, sinonimo di vitalità e bellezza, nell'attuale cultura dell'immagine, rappresenta un imperativo sociale, una componente irrinunciabile, da curare e prolungare oltre i limiti biologici. Si assiste a un fenomeno di feticizzazione del corpo: dopo il lento processo di 'disgregazione storica' dell'anima come valore fondamentale a favore del corpo, questo vive oggi un'ulteriore trasformazione: sta perdendo la dimensione sovversiva.
La sua scoperta, che fu per lungo tempo una critica del sacro, verso una maggiore libertà, verità ed emancipazione, si attua ora sotto il segno della 'risacralizzazione'. "Il culto del corpo non è più in contraddizione con quello dell'anima: semplicemente gli succede ereditando così la sua funzione ideologica" (Baudrillard 1970, trad. it., p. 193). In forma più o meno esplicita l'individuo è sollecitato dai mass media a piacersi e a compiacersi, ed è quindi fortemente motivato all'acquisto di capi di vestiario, di elementi ornamentali e di tutto quanto può contribuire a porre in risalto le sue parti più seducenti o al loro recupero estetico. La moda, lasciando spazio al gusto personale, consente oggi di variare e migliorare costantemente il proprio aspetto che, in un'abile arte del reinventarsi, tende a significare il 'corpo ideale' attraverso la trasformazione del 'corpo reale', di cui non si è mai pienamente soddisfatti. In tale mistificazione delle apparenze, la moda, se assolutizza il suo carattere estetizzante, fa sì che le apparenze non rimandino più alla realtà ma diventino esse stesse realtà; rischia di ridurre il corpo a mannequin, asessuato, omologo ad altri oggetti di consumo, il cui fascino è tutto nelle qualità effimere, di superficie, di favorire inconsapevolmente la rimozione di ciò che non è nuovo e forse l'indifferenza nei confronti di chi non è giovane, bello, seducente. Il tipo di individuo che emerge dall'attuale società sembra essere fondamentalmente antisociale, caratterizzato dal culto prioritario della propria immagine, del suo successo, dalla ricerca non tanto di stima quanto di ammirazione, evanescente come la moda stessa. "Il concetto di narcisismo ci dà modo di spiegare l'impatto psicologico dei recenti cambiamenti sociali [...] ci fornisce un ritratto della personalità 'liberata' del nostro tempo" (Lasch 1979, trad. it., p. 64). La vita quotidiana è mediata, a tutti i livelli, dalla proliferazione e dal consumo di immagini, al punto che l'individuo ha appreso inconsapevolmente a presentarsi agli altri, attraverso l'abbigliamento, come se il suo aspetto avesse un ruolo attivo nella 'società dello spettacolo'. Il sé risulta consistere essenzialmente nella propria immagine riflessa negli occhi degli altri. In una serie di autorappresentazioni, l'individuo non solo cerca di esibire il meglio di sé, ma anche di controllare le risposte altrui. Per essere 'comprato' e 'venduto', al pari della merce, ha bisogno di un involucro accattivante, che tenda a catturare il consenso degli altri agendo sulla suggestione.
La valenza magica, la gratificazione emotiva e libidica associate all'acquisto di nuovi capi di vestiario e poi al loro indossarli, nonché il carattere ludico che accompagna la propria messa in scena, annullando temporaneamente la fredda e livellante razionalità che caratterizza l'attuale stile di vita, assolvono, in forma surrogatoria, un'importante funzione catartica. L'accresciuta coscienza di sé come attore e il bisogno di approvazione sociale spingono tuttavia l'uomo moderno a vivere la forma come contenuto, lo inducono a sottoporsi a un rigoroso controllo di conformità estetica e comportamentale ai modelli vincenti proposti dai mass media, nell'intento non solo di abbellire ed enfatizzare la propria immagine corporea, ma anche di nascondere con arte tutte le dissonanze fisiche e psichiche che potrebbero interferire. Ciò gli consente ogni giorno di 'entrare in scena' in pubblico, mentre in privato, stando solo con sé stesso, riesce forse ad accettarsi nella propria verità. Il senso profondo dell'abbigliarsi in genere, e della moda in particolare, sta in tale caratterizzazione dialettica, ambivalente, propria dell'esistenza umana: essa implica quella 'seduzione del confine', quell''essere e non essere' di cui parla Simmel, la consapevolezza cioè della simultanea e conflittuale presenza della 'maschera' (l'Io ideale) e della nudità (l'Io reale) così come è simbolicamente espressa nel gioco allusivo di occultamento e di disvelamento dei vestiti (Squicciarino 1986). Nella sua incessante dinamica di nascita e di morte, la moda costituisce l'espressione più pregnante del ritmo impaziente dei mutamenti del moderno stile di vita, caratterizzato da sempre più brevi intervalli di tempo nel cambiamento delle impressioni. Il fuggevole, il transitorio, il fortuito, il momentaneo, la vittoria dell'istante, la seduzione e l'esaltazione del nuovo, in Simmel, ma già prima in Ch. Baudelaire, e poi in W. Benjamin, costituiscono i tratti essenziali della modernità. Ciò spiega l'importanza fondamentale assegnata da questi autori a un fenomeno come la moda, che meglio di altri racchiude tali motivi, ne è la manifestazione simbolica più significativa. Il potente dominio che essa oggi esercita sulle coscienze, può anche essere spiegato con "il progressivo indebolirsi delle convinzioni grandi, tenaci, incontestabili. Gli elementi effimeri e mutevoli della vita occupano uno spazio sempre più ampio" (Simmel 1895, trad. it., p. 28). In quanto espressione di un particolare periodo storico, l'attuale fenomeno della moda non solo rifletterebbe il cambiamento socioeconomico dovuto all'avvento della società dei consumi, ma si armonizzerebbe anche con la diffusa convinzione, propria della nostra cultura, di poter contare, come scriveva F. Nietzsche, soltanto su 'verità provvisorie', e di provare gioia per il 'mutamento' e la 'transitorietà'. Il carattere di temporalità e precarietà della moda, il suo 'essere per la morte', anziché declassarla è invece motivo di maggior seduzione. "Il vero fascino della moda sta nel contrasto fra la sua diffusione ampia e onnicomprensiva e la sua rapida, fondamentale caducità, nel diritto all'infedeltà nei suoi confronti" (Simmel 1895, trad. it., p. 60).
R. Barthes, Système de la mode, Paris, Éditions du Seuil, 1967 (trad. it. Torino, Einaudi, 1970).
J. Baudrillard, La société de consommation, Paris, Denoël, 1970 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1976).
G. Fabris, Il comportamento del consumatore, Milano, Angeli, 1970.
C. Lasch, The culture of narcissism, New York, Norton, 1979 (trad. it. Milano, Bompiani, 1981).
G. Lipovetsky, L'empire de l'ephémère, Paris, Gallimard, 1987 (trad. it. Milano, Garzanti, 1989).
G. Simmel, Zur Psychologie der Mode, "Die Zeit", 1895, 5 (trad. it. Roma, Editori Riuniti, 1985).
Id., Philosophie des Geldes, Leipzig, Duncker & Humblot, 1900 (trad. it. Torino, UTET, 1984).
H. Spencer, Principles of sociology, 3 voll., London, Williams and Norgate, 1877-96 (trad. it. 2 voll., Torino, UTET, 1967).
N. Squicciarino, Il vestito parla, Roma, Armando, 1986.
F. Squillace, La moda, Milano, Sandron, 1912.
E. Thiel, Geschichte des Costüms, Berlin, Henschel, 1960.
T. Veblen, The theory of the leisure class, London, Macmillan, 1899 (trad. it. Torino, Einaudi, 1949).