Modelli sperimentali nella ricerca biomedica
La ricerca biomedica è multidisciplinare, e spesso utilizza approcci integrati che si servono di modelli sperimentali molto diversi e con funzioni complementari. Per limitarci all'ambito farmacologico, l'attività biologica di una sostanza è indagabile ad almeno tre livelli: molecolare, cellulare e organismico. Ciascuno di questi livelli si caratterizza per l'utilizzo di propri modelli in grado di dare risposte specifiche ai problemi che di volta in volta lo sperimentatore si pone. In generale è possibile raggruppare i moderni paradigmi sperimentali impiegati in biologia e medicina in due grandi categorie: metodi in silico (dry lab), basati sull'utilizzo del computer e dell'informatica, e metodi biologici (wet lab), basati sull'utilizzo di molecole purificate, colture cellulari, organi isolati e perfusi, nonché organismi animali, uomo incluso. I metodi biologici sono a loro volta distinti in modelli in vitro e in vivo. Nell'accezione più ampia, che è anche quella qui impiegata, gli esperimenti in vitro sono tali perché non richiedono l'utilizzo di organismi interi (esperimenti in vivo) o di organi isolati e perfusi (esperimenti ex vivo).
I sistemi biologici sono complessi, ed è quindi importante ricordare che soltanto l'uso integrato e complementare di differenti modelli sperimentali consente di ottenere informazioni utili e globali. I modelli, in silico, in vitro o in vivo, sono intrinsecamente caratterizzati da vantaggi e limitazioni, di cui lo sperimentatore dovrebbe sempre essere consapevole. Ciò comporta che raramente in biologia e medicina si può parlare di metodi e di modelli alternativi: più propriamente si parla di metodi e modelli complementari. Il concetto di complementarità è di fondamentale importanza in una discussione obiettiva e razionale sulla sperimentazione animale e su quella clinica nell'uomo. Sono pochissimi i problemi specifici interamente affrontabili al computer (di norma sono problemi relativi agli studi di natura molecolare), mentre il supporto informatico è di grande aiuto per organizzare, analizzare e interpretare i dati sperimentali. Analogamente, è altrettanto raro che un problema biologico o farmacologico possa essere affrontato nella sua interezza attraverso l'utilizzo di soli modelli in vitro o in vivo.
I progressi dell'informatica a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere. È chiaro che gli sviluppi di questa disciplina hanno avuto un forte impatto anche nell'ambito della biologia e della medicina. La quantità di informazioni e di dati che può essere immagazzinata e analizzata è infinitamente superiore a ciò che ci si poteva aspettare anche solo cinque anni fa. L'accesso pubblico a questa massa di dati è ora molto più facile, soprattutto in conseguenza dell'avvento di internet e della creazione di banche dati on-line di ogni genere. Grazie a quelle pubbliche di tipo genetico e proteico, oggi è estremamente facile avere a disposizione la struttura primaria di qualsiasi gene o proteina di interesse biologico nell'uomo e in diverse specie animali. Inoltre, la cristallizzazione di un certo numero di proteine permette di visualizzare una ragionevole quantità di strutture tridimensionali sulle quali effettuare esperimenti al computer.
Lo sviluppo di hardware e di software adeguati ha oggi reso possibile simulare, in maniera statica o dinamica, processi cellulari o fisiologici anche complessi. Si pensi, per esempio, ai modelli matematici che permettono di studiare la meccanica dei fluidi del sistema cardiovascolare e del microcircolo. Si pensi ancora all'implementazione di modelli al computer che permettono di predire la cinetica e la distribuzione tessutale di un farmaco sulla base di pochi punti sperimentali. È utile, infine, ricordare quanto la computeristica sia importante nel campo del videoimaging e della ricostruzione tridimensionale delle immagini che sono alla base di molte tecnologie usate in diagnostica umana.
In questa sede è cruciale sottolineare quanto l'analisi in silico integri ma non sostituisca i modelli sperimentali, che siano in vitro o in vivo. Essa, in generale, permette l'analisi di grandi quantità di dati, ma molto raramente può rappresentare il surrogato di esperimenti che devono essere effettuati su materiale biologico. Per esempio, è attualmente impensabile che il computer possa sostituire l'animale da esperimento negli studi farmacologici in vitro e in vivo. Necessariamente, prima di essere analizzati i dati devono essere raccolti, e per esserlo devono essere generati nei modelli biologici più adeguati allo specifico problema che si propone allo sperimentatore.
Riteniamo che, in ambito biomedico e farmacologico più specificamente, il computer abbia grande importanza soprattutto per gli studi di tipo molecolare. Alcune categorie di questi possono essere largamente completate in silico, anche se la valutazione dei risultati ottenuti richiede quasi sempre esperimenti di tipo wet lab. Esiste un certo numero di proteine per le quali sono conosciute le coordinate cristallografiche e per le quali è disponibile la struttura tridimensionale. Queste informazioni permettono di avere a disposizione modelli predittivi ragionevolmente accurati anche della disposizione nello spazio di proteine a struttura primaria (sequenza amminoacidica) simile. La disponibilità di modelli tridimensionali consente di effettuare in silico esperimenti di interazione molecolare di tipo sia statico sia dinamico. Con questo tipo di tecniche () è possibile, per esempio, disegnare molecole organiche in grado di interagire con il sito catalitico di un enzima. È possibile, inoltre, individuare (potenziali farmaci) capaci di interagire con il sito di legame di recettori cellulari di interesse. Il docking molecolare ha portato allo sviluppo di alcuni inibitori delle proteasi che vengono attualmente utilizzati per il trattamento dell'AIDS. Infine, la modellistica al computer è ampiamente utilizzata per migliorare le caratteristiche chimiche di composti attivi su determinati bersagli molecolari, individuati grazie a strategie di screening che implicano l'uso di modelli sperimentali in vitro o in vivo. Queste metodologie permettono notevoli risparmi in termini di tempo e di lavoro, favorendo un disegno più mirato e razionale di molecole farmacologicamente attive. Per tali ragioni l'industria farmaceutica si è dotata, ormai da diversi anni, di gruppi di bioinformatici e chimici addetti al disegno ab initio e all'ottimizzazione della struttura molecolare dei farmacofori.
Molta della sperimentazione in ambito biomedico viene effettuata su modelli costituiti da colture cellulari di origine umana o animale. Attualmente esistono protocolli sperimentali che permettono la crescita e il mantenimento in coltura di praticamente qualsiasi tipo di cellula. È possibile mantenere 'colture primarie', per tempi più o meno lunghi, a partire da cellule appena isolate dagli appropriati tessuti od organi. Pensiamo, per esempio, alla coltura di cellule leucemiche umane da campioni di sangue periferico e di midollo osseo, oppure di cellule epidermiche da espianti cutanei. Evidentemente, tutto ciò che può essere fatto in coltura a partire da campioni di origine umana viene fatto anche per campioni di origine animale. Accanto alle colture primarie, abbiamo anche a disposizione un gran numero di linee cellulari 'immortalizzate', in grado di ricapitolare più o meno fedelmente le caratteristiche delle cellule d'origine. Si tratta di cellule adattate alla crescita in vitro e in grado di replicarsi e di automantenersi in maniera sostanzialmente continua. Rispetto alle colture primarie, le linee immortalizzate sono più maneggevoli, più facili da coltivare, e spesso liberamente disponibili per l'intera comunità scientifica perché presenti in apposite banche cellulari.
Le colture in vitro permettono di studiare diversi aspetti della funzione cellulare in maniera largamente indipendente dal contesto ambientale, rappresentato dall'organismo, dal tessuto e dall'organo all'interno del quale le cellule operano in condizioni fisiologiche o patologiche. Ciò costituisce un vantaggio in quanto semplifica i problemi, ma dà luogo anche a un'approssimazione spesso grossolana della realtà. L'uso delle colture in vitro è aumentato in maniera esponenziale e si è venuto affermando con l'avvento della biologia molecolare e dell'ingegneria genetica. La modificazione specifica dell'assetto genico delle cellule in coltura è ormai alla portata di qualsiasi laboratorio mediamente attrezzato. Infatti, è ragionevolmente facile inserire a piacimento nuovi geni, ed è altrettanto facile bloccare selettivamente la funzione di qualsiasi gene presente e attivo nella cellula di interesse.
È possibile dare un'idea dei vantaggi e dei limiti delle colture cellulari attraverso una breve discussione delle problematiche associate all'uso di questi modelli sperimentali in ambito farmacologico. Sistemi basati su colture cellulari vengono largamente utilizzati nei programmi di screening di molecole ad attività farmacologica diversa, a causa della facilità e della velocità con la quale è possibile studiare effetti specifici e diretti. È chiaro che sistemi di questo tipo sono di grande utilità quando sia necessario vagliare un gran numero di molecole nel più breve lasso di tempo possibile. L'identificazione di molecole interessanti va, però, successivamente validata in altri modelli sperimentali, prima che le stesse possano divenire farmaci. Per esempio, sono sempre necessari ulteriori studi su pannelli più o meno numerosi di linee cellulari o colture primarie di derivazione simile o diversa rispetto alle cellule inizialmente utilizzate nel programma di screening. Ciò permette di stabilire la generalizzabilità o la peculiarità dell'effetto farmacologico osservato, e la sua eventuale rilevanza in una prospettiva terapeutica. A questo punto, però, raramente si può fare a meno di valutare l'effetto della molecola su un modello sperimentale in vivo di tipo preclinico, poiché molecole fortemente attive in vitro possono poi risultare molto meno attive o addirittura inattive in vivo.
La necessità di passare dalle colture cellulari a un sistema più complesso è legata ai limiti intrinseci degli studi farmacologici in vitro. Infatti, l'attività di un farmaco è funzione di diversi parametri di cui non si tiene conto in un sistema cellulare, quali l'assorbimento, la distribuzione, le concentrazioni ottenibili nell'organo e nella cellula bersaglio, il metabolismo e l'escrezione. In generale, le colture cellulari sono sistemi statici in cui spesso la concentrazione intra- ed extracellulare della molecola in esame non varia significativamente nel corso del periodo di osservazione. È quindi del tutto possibile che le concentrazioni e i tempi di esposizione ai quali un'attività farmacologica è osservabile non abbiano grande relazione con la situazione in vivo. La storia dello sviluppo di nuovi farmaci è costellata di molecole attive in vitro che non hanno avuto sviluppo successivo a causa della loro inefficacia già a livello dei modelli preclinici nell'animale. Raramente le colture cellulari possono fornire informazioni utili riguardo al metabolismo di potenziali farmaci. Ciò è di particolare importanza in quanto il metabolismo, e quindi la modificazione strutturale della molecola originale, può dare luogo a nuove specie molecolari che, a loro volta, possono avere rilevanza sia per gli effetti terapeutici sia per quelli collaterali di tipo tossico. Esistono numerosi esempi di farmaci metabolizzati, e quindi attivati o inattivati a livello epatico, prima che siano in grado di raggiungere i loro organi o le loro cellule bersaglio. Appare evidente che l'attività di farmaci di questo tipo può essere fortemente sovra- o sottostimata in un modello cellulare in vitro. È altrettanto chiaro che lo stesso modello non può essere minimamente predittivo riguardo potenziali problemi di tossicità, legati o disgiunti che siano da fenomeni metabolici.
I problemi associati alle colture cellulari non si limitano all'ambito della farmacologia, ma sono ampiamente generalizzabili a diverse altre branche della biologia. Supponiamo, per esempio, di trovarci di fronte a una situazione ormai classica nel mondo della moderna biologia in era 'post-genomica': si è clonato e isolato un nuovo gene a funzione ignota ed è necessario comprenderne il significato fisiopatologico. Oggi, l'ingegneria genetica e la biologia cellulare e molecolare ci permettono di generare linee cellulari che sono in grado di produrre sostanzialmente qualsiasi tipo di prodotto genico (proteina) attraverso tecniche di trasfezione e/o di infezione con adatti vettori di tipo plasmidico o retrovirale. Inoltre, metodi specifici di (RNA antisenso, small interfering RNA) consentono di inibire facilmente e selettivamente l'attività di singoli geni. Entrambe le strategie vengono largamente utilizzate per studiare gli effetti a livello morfologico e funzionale associati all'attività di singoli geni. È chiaro però che anche questo tipo di modello sperimentale è soggetto alle limitazioni associate a tutti gli esperimenti effettuabili in vitro su sistemi cellulari. Per esempio, valutare l'effetto esercitato da un gene sulla pressione arteriosa di un individuo è sostanzialmente impossibile attraverso l'utilizzo di modelli in vitro. In maniera del tutto analoga, il coinvolgimento di un gene nei processi della memoria o dell'apprendimento dovrà essere studiato in un organismo intero e non attraverso l'utilizzo di colture cellulari di qualsivoglia natura.
Gli organi isolati e perfusi rappresentano un modello sperimentale intermedio tra le colture cellulari e l'organismo intero. Infatti, alcuni organi ‒ quali il fegato, il cuore, il rene, l'intestino, i muscoli scheletrici e persino il cervello ‒ di animali da esperimento possono mantenere la loro funzione fisiologica, per periodi di tempo più o meno lunghi, anche in condizioni di parziale o completo isolamento dal resto dell'organismo. Questo tipo di modello è particolarmente appropriato quando si vogliano effettuare studi che richiedono l'integrità anatomica e funzionale dell'organo di interesse ma si intendano valutare fenomeni locali e indipendenti dall'interazione con altri organi, sistemi e apparati. Dal punto di vista anatomico, gli organi isolati e perfusi mantengono le interazioni esistenti tra le diverse popolazioni cellulari che li costituiscono. Nel fegato è quindi possibile studiare fenomeni che implicano interazioni tra la componente cellulare degli epatociti e la componente cellulare parenchimale, incluse le cellule dei dotti biliari, quelle connettivali e quelle dell'endotelio capillare. Nel rene è possibile analizzare le interazioni tra le popolazioni cellulari che costituiscono il glomerulo, quali le cellule dell'endotelio capillare, i podociti e le cellule della capsula di Bowman. L'intestino isolato e perfuso rappresenta un ottimo modello per studiare la peristalsi e gli effetti sul sistema nervoso locale.
In tutti questi modelli sperimentali si mantiene un'adeguata perfusione di sangue o di miscele isotoniche, che permette di controllare o studiare parametri fisiologici quali la pressione sanguigna, la velocità di perfusione, ecc. È inoltre possibile raccogliere e analizzare i fluidi di perfusione, cambiarne la composizione e manipolare le condizioni sperimentali in molti modi. In ambito farmacologico, l'organo isolato e perfuso è utilizzato quando si vogliano studiare problemi di efficacia farmacologica, tossicità o metabolismo a livello locale. Anche questo tipo di modello deve essere comunque visto come un buon sistema in grado di integrare le osservazioni e i risultati che sono stati ottenuti mediante altri paradigmi sperimentali sia in vitro sia in vivo.
Lo studio di fenomeni fisiologici complessi relativi a organi o sistemi nella loro interezza richiede l'utilizzo di modelli adeguati, che in questo momento possono essere forniti soltanto dall'animale da esperimento. A titolo puramente esemplificativo, parametri fisiologici quali la pressione arteriosa non sono esaminabili a livello preclinico se non nell'animale. Altresì, non si vede come fenomeni comportamentali possano essere studiati in sistemi cellulari. È praticamente impossibile studiare i meccanismi alla base di sensazioni quali l'appetito e la sazietà, il dolore, la sedazione, o di situazioni psicologiche quali la depressione, senza utilizzarre modelli in vivo che riproducano questi stati fisiologici o patologici. La ricerca e l'utilizzo di modelli sperimentali animali adeguati sono stati alla base dello sviluppo di intere classi di farmaci. Gli anti-ipertensivi di utilizzo clinico non esisterebbero se non avessimo avuto a disposizione modelli che ci permettessero di esaminare i meccanismi alla base dei fenomeni pressori arteriosi e venosi. Gli studi sull'attività di integrazione tra la funzione del cervello e la periferia non possono che essere affrontabili nell'organismo intero. Inoltre, come è possibile studiare le vie di trasmissione neuronale degli stimoli motori o degli stimoli dolorifici senza utilizzare l'animale da esperimento? Come sviluppare farmaci in questo ambito? Si può discutere sulla bontà e la predittività di certi modelli animali quando i dati ottenuti debbono essere trasposti all'uomo; resta comunque il fatto che, per certi tipi di indagini, l'animale da esperimento è ancora la migliore se non l'unica approssimazione disponibile.
La necessità di modelli sperimentali in vivo è cruciale nell'ambito dello studio della patologia umana sia per ciò che si riferisce alla eziopatogenesi sia per ciò che concerne la terapia. L'avere a disposizione modelli sperimentali di patologia nell'animale che siano il più possibile vicini alla situazione umana permette di valutare l'effetto di sostanze farmacologiche sperimentali in maniera molto più completa e significativa rispetto a quanto consentirebbe un ipotetico modello cellulare. Tanto più in considerazione del fatto che, molto spesso, modelli cellulari di patologia umana non sono né disponibili né tantomeno ipotizzabili. Non è assolutamente possibile, per esempio, pensare a modelli cellulari di ipertensione, diabete, malattia di Alzheimer, Parkinson o malattie psichiatriche che permettano anche solamente di riprodurre una parte della sintomatologia osservabile nell'uomo. In tutte queste condizioni, avere a disposizione un modello sperimentale animale può fare la differenza nell'ambito dello sviluppo di strategie terapeutiche. In realtà, lo sviluppo di molecole innovative è spesso limitato dalla relativa carenza di modelli animali di patologia umana. Soltanto la disponibilità di un possibile modello animale permette, poi, allo sperimentatore di porsi domande riguardo l'adeguatezza e la predittività di quest'ultimo rispetto alla situazione patologica umana.
I modelli sperimentali di patologia umana nell'animale da esperimento si distinguono in due grandi gruppi: naturali e indotti. Per modelli naturali si intendono popolazioni o linee di animali da esperimento selezionate, con mutazioni spontanee a livello di particolari geni che riproducono in maniera più o meno fedele situazioni patologiche umane. Per esempio i topi NOD/LtJ sono un modello naturale di iperglicemia associata a diabete di tipo I, i topi nudi e gli SCID riproducono forme diverse di immunodeficienza, i topi MK/ReJ Nramp2mk/+ mimano il quadro clinico dell'anemia microcitica. Si potrebbero fare moltissimi altri esempi che includono modelli sperimentali di obesità, turbe degli apparati vestibolari e acustici, malattie renali, quali la nefrite lupica nel topo, ed epatiche. Per ciò che si riferisce ai modelli indotti, la letteratura scientifica è molto ricca di esempi di patologia ricreata con mezzi chirurgici, farmacologici e, più recentemente, attraverso l'implementazione in vivo della biologia molecolare e dell'ingegneria genetica.
La chirurgia nell'animale da esperimento ha permesso la creazione di modelli abbastanza realistici di ischemia a livello di organi importanti quali il cuore e il cervello. La legatura degli appropriati vasi arteriosi permette di determinare situazioni di ischemia transiente o continua, reversibile o irreversibile, nei distretti corporei più diversi. Modelli come questi vengono utilizzati per la messa a punto di interventi farmacologici a valenza terapeutica. È attraverso l'utilizzo di modelli sperimentali simili che, recentemente, è stato possibile dimostrare l'effetto cardioprotettivo della somministrazione di eritropoietina ricombinante e di suoi derivati non eritropoietici. Modelli di ischemia chirurgica a livello del cuore e del sistema nervoso centrale sono attualmente di grande importanza per lo studio di strategie terapeutiche basate sull'utilizzo di cellule staminali di diversa origine. A quest'ultimo proposito, è abbastanza intuitivo che non si possano ipotizzare studi di terapia cellulare condotti soltanto in vitro e che gli stessi debbano passare necessariamente attraverso esperimenti in vivo.
Trattamenti farmacologici con agenti specifici sono spesso in grado di riprodurre patologie umane in maniera abbastanza attendibile. Per esempio, è possibile ottenere lesioni selettive a livello della substantia nigra mediante iniezioni dell'agente tossico 6-idrossi-dopammina. Il danno indotto a livello di quest'area del sistema nervoso centrale produce un quadro clinico molto simile a quello osservabile nel parkinsonismo, con tremori muscolari e alterazioni importanti delle capacità motorie dell'animale. L'ablazione chimica relativamente selettiva delle isole di Langherans, nel tessuto pancreatico, attraverso trattamento acuto del ratto con streptozotocina, è un classico esempio di diabete di tipo sperimentale. Il modello è stato ampiamente utilizzato in passato per lo sviluppo di farmaci antidiabetici. Infine, si può ricordare il modello di sclerosi a placche rappresentato dall'encefalite allergica autoimmune sperimentale (EAE nella letteratura scientifica inglese) del ratto; essa è ottenibile mediante iniezioni di MBP (Myelin basic protein) eterologa, che è una componente importante della mielina. L'EAE, con tutti i suoi limiti, costituisce a tutt'oggi l'unico strumento a disposizione per lo sviluppo di terapie in grado di contrastare la gravissima malattia neurodegenerativa.
L'avvento delle tecniche di ingegneria genetica nell'animale ha determinato notevoli progressi e nuove prospettive nello studio delle malattie ereditarie e delle patologie a forte componente genetica. In questo senso, i e gli modelli preclinici di grande interesse. Per animali knock out si intendono animali da esperimento ingegnerizzati in maniera tale da perdere selettivamente la funzione di un singolo gene. Al momento, la generazione di knock out è limitata al topo, che rappresenta l'unica specie in cui esperimenti di questo tipo possano essere realizzati. Gli animali transgenici sono, invece, caratterizzati dall'inserzione all'interno del genoma di uno o più geni (transgeni) funzionalmente attivi che normalmente non gli appartengono. In questo senso, il transgene può essere la versione mutata e patologica di un corrispondente gene murino, oppure un gene eterologo (di altra specie animale), per esempio di origine umana. Nononostante il topo rappresenti ancora una volta il principale animale da esperimento sul quale condurre questo tipo di studi, sono stati descritti, tra gli altri, anche ratti e suini transgenici.
Per ciò che concerne gli animali transgenici, ricordiamo soltanto che essi sono ampiamente utilizzati come modelli sperimentali di patologia tumorale. Un esempio illustrativo in questo senso è rappresentato dal topo transgenico che esprime PML-RARα, una proteina prodotta nei blasti leucemici del 99% dei pazienti affetti da leucemia acuta promielocitica (APL). L'APL è una forma di leucemia relativamente rara e rappresenta circa il 10% di tutte le leucemie mieloidi acute dell'adulto. La malattia è determinata da un riarrangiamento cromosomico specifico coinvolgente i due geni, PML (un oncosoppressore) e RARα (il principale recettore nucleare per l'acido retinoico presente nelle cellule ematopoietiche). In conseguenza della traslocazione, si genera un gene chimerico in grado di produrre la proteina PML-RARα, la quale è responsabile dell'espansione del blasto leucemico. Sono stati recentemente sviluppati topi transgenici ingegnerizzati in maniera tale da presentare il gene PML-RARα umano all'interno del loro genoma. Questi animali riproducono in maniera assai fedele le principali caratteristiche cliniche dell'APL, sviluppando la leucemia nel giro di qualche mese. Il modello è di grande utilità nello studio della eziopatogenesi e della progressione della malattia. Data la rarità della patologia, esso si configura, inoltre, come paradigma sperimentale unico per lo studio di nuove opzioni terapeutiche. Sono disponibili modelli animali di questo tipo per diversi tipi di leucemia e di tumore solido.
Per ciò che concerne gli animali knock out, un esempio interessante di sviluppo di un modello animale di patologia umana è rappresentato dal topo knockout per il gene Cftr. Una descrizione della generazione di questo modello è di grande utilità, in quanto ci permette di comprendere la logica, le strategie e l'enorme quantità di lavoro che sta dietro a un risultato finale di questo tipo. La storia inizia con la scoperta del gene che è responsabile nell'uomo della fibrosi cistica, una malattia coinvolgente l'apparato respiratorio e associata a una grave sintomatologia già in epoca postnatale. Il gene in questione (CFTR) viene identificato e clonato attraverso studi genetici complessi effettuati su famiglie di individui affetti dalla malattia, che si sapeva essere causata dal deficit di un singolo gene (malattia ereditaria monogenica). Studi successivi indicano che il gene CFTR codifica per una proteina che ha le caratteristiche di un canale ionico. Il corrispondente gene murino (Cftr) viene identificato e clonato sulla base della sua similarità strutturale con il corrispettivo umano, attraverso metodologie standard di biologia molecolare. Il gene Cftr murino clonato viene utilizzato per la delezione genetica dello stesso in cellule staminali embrionali (cellule ES) di topo. Le linee cellulari staminali derivate vengono utilizzate per ottenere topi knock out con deficit selettivo del gene Cftr. Tali animali presentano i segni caratteristici della patologia umana a partire dalla nascita, configurandosi come un buon modello sperimentale per lo sviluppo di strategie terapeutiche mirate. Esistono altri esempi di questo tipo riguardanti geni diversi e malattie ereditarie monogeniche differenti, quali, per ricordarne una di interesse generale, l'anemia falciforme. Il completamento del sequenziamento genomico umano e murino accompagnato dai progressi nel campo dell'ingegneria genetica animale, fa prevedere una crescita esponenziale del numero di modelli sperimentali animali di patologia umana ‒ soprattutto ereditaria, ma non solo ‒ nel giro di pochi anni. In questo senso, è importante ricordare che esistono programmi di ricerca internazionale mirati alla generazione di collezioni pubblicamente disponibili di linee cellulari ES caratterizzate da deficit selettivi di singoli geni. All'interno di tali collezioni, costituite da migliaia di cloni cellulari, il ricercatore potrà trovare la linea ES di suo interesse e generare il relativo topo knock out, con notevole risparmio di tempo e di risorse economiche.
In certe condizioni, l'uomo può essere considerato un modello sperimentale in vivo vero e proprio, per ciò che concerne sia i processi fisiologici sia quelli di carattere patologico. È evidente che lo studio sperimentale dell'uomo è fortemente limitato da considerazioni di ordine etico. Per esempio, ricerche di carattere fisiologico da effettuarsi nel volontario sano hanno necessariamente limiti che sono rappresentati dalla non invasività delle metodiche di studio o dalla ragionevole mancanza di tossicità associata a eventuali trattamenti farmacologici. È possibile anche effettuare studi di tipo sperimentale su pazienti affetti da malattie diverse, sia a scopo conoscitivo sia a scopo terapeutico. Anche in questo caso esistono limiti etici molto precisi e regole molto restrittive, che sono codificate e vengono applicate a qualsiasi protocollo clinico di studio mirato, per esempio, allo sviluppo di nuovi farmaci. Tutti i protocolli sperimentali relativi all'uomo devono essere approvati da comitati etici che decidono riguardo la fattibilità e l'eticità degli studi proposti.
Parecchie delle nostre informazioni riguardanti l'elettrofisiologia del cervello sono state ottenute direttamente nell'uomo. Le aree cerebrali responsabili dell'elaborazione degli stimoli visivi, tattili, olfattivi e sensoriali sono state mappate attraverso la misurazione dei potenziali elettrici di superficie. Studi di questo tipo sono stati effettuati anche con tecniche più moderne ma altrettanto poco invasive, quali la risonanza magnetica nucleare. Le aree del cervello in cui hanno sede fenomeni complessi quali l'apprendimento e la memoria, a breve e lungo termine, sono state anch'esse largamente studiate nell'uomo. Peraltro, va ricordato che il progresso scientifico in questi ambiti è quasi sempre il frutto dell'integrazione tra i dati ottenuti nell'uomo e i risultati di ricerche effettuate in altri modelli animali più o meno evoluti. Infatti, come spesso accade, l'uomo rappresenta il termine ultimo e la conferma di un processo conoscitivo, spesso lungo, basato su osservazioni e ipotesi di lavoro generate in altri modelli sperimentali.
Le ultime fasi del processo di sviluppo di un farmaco o di una qualsivoglia terapia passano attraverso i cosiddetti 'studi clinici controllati', che ne rappresentano la certificazione d'efficacia. Essi vengono evidentemente effettuati non su individui sani ma su pazienti affetti dalla patologia di interesse. Gli studi clinici controllati necessitano di esperienze precedenti effettuate nell'animale da esperimento (studi preclinici), che costituiscono la base per trasferire un farmaco all'uomo. Tali esperienze sono di grandissima importanza per orientare lo sperimentatore riguardo le dosi da utilizzare e gli effetti secondari a cui sono esposti i pazienti trattati. Con tutti i limiti associati, esse rappresentano un'importante garanzia per il paziente che si sottopone a trattamenti sperimentali.
Gli studi clinici controllati servono per determinare le dosi ottimali di utilizzo di un nuovo farmaco o di una nuova combinazione di farmaci, per valutare eventuali effetti tossici associati (studi di fase I) e per stabilire in maniera statisticamente significativa la presenza dell'effetto terapeutico voluto (studi di fase II e III). È infatti importante determinare quali siano le dosi all'interno delle quali muoversi per ottenere il massimo effetto terapeutico senza incorrere in problemi di tossicità. Va ricordato che l'utilizzo di qualsiasi farmaco è caratterizzato, sempre o quasi sempre, da effetti collaterali indesiderati, e che l'indice terapeutico (il rapporto tra efficacia e tossicità) è sempre funzione della dose. Il caso dei farmaci antitumorali citotossici è emblematico. Questo tipo di composti, che è utilizzato in ambito chemioterapico, colpisce le cellule in fase di attiva proliferazione indipendentemente dal fatto che esse siano di origine neoplastica o normale. Gli antitumorali hanno, nella maggior parte dei casi, effetti tossici sul midollo osseo e sul sistema gastrointestinale, producendo piastrinopenia, leucocitopenia e diarrea o vomito. È, quindi, importante determinare le dosi massime alle quali è possibile somministrare il farmaco senza provocare disturbi seri al paziente. Individuata una serie di dosi utili e ragionevolmente prive di tossicità, si disegnano esperimenti in grado di dimostrare l'efficacia del trattamento rispetto a un gruppo di pazienti non trattati, oppure trattati con la migliore terapia già disponibile. Ciò richiede sempre l'utilizzo di un numero di pazienti che permetta di ottenere dati significativi da un punto di vista statistico.
Da quanto illustrato appare chiaro che l'uomo rappresenta il modello sperimentale ultimo nel caso dello sviluppo di nuove modalità terapeutiche. Risulta però altrettanto evidente che esso deve essere utilizzato soltanto in condizioni di massima sicurezza, e dopo aver valutato molto attentamente il rapporto tra il potenziale beneficio e il sicuro rischio che è associato a qualsiasi intervento sperimentale. In ambito farmacologico è necessario che il cammino di sviluppo di un nuovo farmaco passi attraverso studi preclinici accurati effettuati in modelli in vivo. L'attuale tendenza a proporre studi clinici di nuove molecole sulla base di semplici studi in vitro non è nell'interesse del malato.
La biologia e la medicina sono scienze sperimentali, e sono quindi necessariamente basate sullo sviluppo e sull'utilizzo di modelli sperimentali. Come già accennato, lo sviluppo e la scelta dei modelli più appropriati per la risoluzione di un determinato problema rappresentano gran parte del lavoro del ricercatore in ambito biomedico. La buona ricerca sperimentale è quella che utilizza i modelli più idonei e che ottiene risultati riproducibili e significativi da un punto di vista conoscitivo e/o applicativo. La ricerca moderna è quasi esclusivamente multidisciplinare, integrativa e complementare. Come tale, essa richiede quasi invariabilmente l'utilizzo integrato di modelli in silico, in vitro e in vivo, con i vantaggi e i limiti scientifici propri di ciascuno. Nonostante i risvolti etici associati, di cui si tiene peraltro ben conto nella legislazione sulla sperimentazione animale sia nazionale che internazionale, i modelli animali sono ancora in larga parte insostituibili. Anzi, il progresso nell'ambito dello sviluppo degli animali geneticamente ingegnerizzati promette la creazione di nuovi e importanti modelli sperimentali di patologia, dei quali esiste notevole carenza. L'utilizzo dell'uomo come modello sperimentale pone problemi etici ancora maggiori, la cui risoluzione richiede informazione corretta e sviluppo di spirito critico da parte del pubblico.
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