MODELLO
L'uso di copiare opere del passato costituì, durante tutto il Medioevo, uno dei momenti centrali della produzione artistica, riflettendo sia la natura artigianale dell'arte medievale sia il valore attribuito alla tradizione come garante delle consuetudini tecnico-operative della pratica artistica.Significativa, in tal senso, appare l'esplicita programmaticità d'intenti espressa, per es., dall'anonimo autore del Pictor in Carmine, del sec. 12°, il quale afferma che nel fornire soggetti e programmi adeguati per la decorazione di un edificio religioso si intendeva operare: "Ad moderandam itaque pictorum licentiam immo ad informandam eorum operam in ecclesiis ubi pingi permittitur" (James, 1951, p. 142).Molte opere d'arte derivavano direttamente da altre opere, per es., un documento del sec. 13° (Londra, Public Record Office Mus., Close Roll 33, Henry III, 3; Lewis, 1986) attesta come a St Albans venisse appositamente organizzata una bottega per provvedere a una copia dell'altare del re Enrico III (1216-1272).Più spesso, tuttavia, l'attività di copiare comportava alcuni elementi di mediazione, atti a facilitare la copia, variamente denominati: m., ἐντυπή, exemplum, forma, similitudo, patron e, più semplicemente, imago o pictura. Data la scarsa considerazione in cui erano tenuti tali strumenti, essi si sono conservati solo fortuitamente e di rado sono stati menzionati nei testi medievali; nonostante alcuni avessero carattere esclusivamente verbale e non figurativo, come nel caso delle liste dei tipi e degli antitipi nel Pictor in Carmine, ciò che è rimasto permette di ipotizzare che i m. dovevano essere per la maggior parte disegni. Questi ultimi comprendevano sia m. generici, come gli schemata citati da Vitruvio (De architectura, I, 6, 12), sia più elaborate copie di bottega, riprese da originali andati dispersi, sia quaderni di disegni raccolti da artisti itineranti. A giudicare dai primi riferimenti e dalle testimonianze conservate, i m. avevano per lo più lo scopo di veicolare e favorire la trasmissione delle immagini. Così alcuni tra i c.d. taccuini di m. maggiormente noti sono in realtà libri 'da viaggio', nei quali artisti itineranti registravano spunti o motivi interessanti da essi incontrati nel corso dei loro spostamenti.Il formato di tali taccuini mutava considerevolmente: si sono conservati infatti fogli sciolti, codici, rotuli e piccole tavole. Altrettanto varie sembrano essere state, del resto, le modalità con cui i m. venivano utilizzati nella produzione di nuove opere d'arte, così come le loro origini e la loro funzione. Metà delle scene contenute in un m. per bestiario, della metà del sec. 13° (Cambridge, MA, Harvard Univ. Lib., Houghton Lib., Typ. 101), è forata, a indicare che esse erano usate direttamente come matrici. Nella maggior parte dei casi, comunque, gli stessi m. dovevano essere copiati a mano libera.L'uso di m. artistici ha le proprie radici in epoca antica (Plinio, Nat. Hist., 35, 145), per poi risultare ben documentato per l'intero Medioevo; lo attesta per es. un frammento di lettera del sec. 2°, contenente la richiesta di un m. per tessitura (Horak, 1992, p. 31). I primi m. furono probabilmente fogli sciolti di papiro, utilizzati nelle botteghe fino al loro completo deterioramento; ma già nel sec. 6° Cassiodoro (Inst., I, 30; PL, LXX, coll. 1145-1146) descriveva una più durevole forma di m., un libro a uso degli artigiani esperti nel rilegare libri "Quibus multiplices species facturarum in uno codice depictas (ni fallor) decenter expressimus; ut qualem maluerit studiosus tegumenti formam ipse sibi possit eligere". E ancora nella Vita sancti Pancratii (Mango, 1972, p. 137), dell'inizio del sec. 8°, si fa riferimento a due volumi di raffigurazioni sacre, contenenti la decorazione della chiesa, cioè i cicli pittorici dell'Antico e del Nuovo Testamento, che vennero impiegati dai missionari in Sicilia per decorare nuove chiese ivi costruite.Il piano del monastero di San Gallo, risalente al sec. 9° (San Gallo, Stiftsbibl., 1092), attesta la diffusione e l'uso effettivo di m. elaborati. Disegnato su richiesta dell'abate Gozberto per il monastero poi effettivamente edificato durante il suo abbaziato (816-836), esso è tuttavia un'elaborazione utopica con limitato valore pratico, laddove in realtà il suo scopo principale parrebbe essere stato quello di imporre il rigore di una recente riforma monastica alla nuova costruzione (Horn, Born, 1979). Caratteri piuttosto diversi ha viceversa il foglio di pergamena, inserito successivamente in un manoscritto del sec. 8° con il De consensu Evangelistarum di s. Agostino (Parigi, BN, lat. 12190, c. Av), recante cinque esempi di intreccio, riproducenti i motivi usati nelle coeve coperte di codici: esso mostra in che modo si potesse configurare l'esempio a disposizione nel monastero di Cassiodoro e come esso potesse essere d'aiuto agli artigiani.Purtroppo non si conservano m. figurativi di epoca antica in grado di chiarire il riferimento contenuto nella Vita sancti Pancratii: è certo tuttavia che, anche in epoca successiva, i libri di m. contenenti un intero ciclo figurativo su tavolette e su pergamena dovettero essere molto rari; di fatto tutti gli esempi del genere, più di cinquanta, sono compilazioni di motivi e frammenti privi di logica iconografica.L'unica effettiva testimonianza di m. comprendente un coerente insieme di immagini - definita da Kitzinger (1960) 'guida figurativa o iconografica' - è un rotulo membranaceo del sec. 13° (Vercelli, Bibl. Capitolare) che rappresenta, disponendoli in sequenze narrative, diciotto episodi degli Atti degli Apostoli, resi mediante disegni al contorno. Esso potrebbe tuttavia aver costituito un sistema non caratteristico dei libri di m., giacché, come si evince da un'iscrizione, l'opera aveva comunque una funzione specifica, essendo stata realizzata come sistema-guida per coloro che dovevano restaurare i danneggiati affreschi del duomo di S. Eusebio a Vercelli. Analogamente, l'ampio insieme di disegni colorati, contenuti in un salterio degli anni settanta del sec. 12° (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab., 78.A.6), di produzione mosana, poteva in origine costituire un ciclo di miniature per il salterio stesso.Nonostante la scarsità e il carattere ambiguo del materiale conservato, esistono prove ben precise che attestano l'esistenza di vere e proprie guide iconografiche, come nel caso degli affreschi del sec. 13° della chiesa di S. Maria in Anglona, presso Tursi (prov. Matera), i quali sono esemplati in maniera così precisa sul ciclo figurativo dei mosaici - lievemente anteriori - della cattedrale di Monreale, da permettere di ipotizzare l'esistenza di un m. intermediario. Analogamente, un'analisi della decorazione delle prime chiese francescane lascia pochi dubbi circa il fatto che nell'Ordine mendicante circolassero m. contenenti schemi compositivi completi e che questi fossero rimasti in uso per più di un secolo (Blume, 1983).Assemblaggi di motivi ornamentali, figure e composizioni dal carattere frammentario, che Kitzinger (1960) ha definito motif books distinguendoli dalle 'guide iconografiche', costituiscono la gran parte del materiale conservatosi ed è possibile che siano stati il tipo più comune di m. durante il Medioevo. Essi erano utilizzati per la trasmissione di elementi stilistici, iconografici e compositivi e rendevano possibile, o addirittura provocavano, innovazioni all'interno di parametri tradizionali.Tre fogli risalenti alla seconda metà del sec. 12°, utilizzati per illustrare un evangeliario greco (Princeton, Univ. Lib., Garret 7), possono essere considerati come esempi caratteristici dei libri di m. bizantini, benché siano gli unici conservati. Le figure del Pantocratore e della Vergine Maria (c. 178r), sono rese con disegni colorati e, sebbene si possa chiaramente riconoscere in una Déesis la fonte iconografica, l'immagine appare scomposta nelle sue diverse componenti. Un foglio sciolto (Friburgo in Brisgovia, Augustinermus., inv. nr. G 23 I C), pressoché coevo, rivela un'eterogeneità ancora maggiore: nella parte superiore esso mostra infatti una rappresentazione di Cristo che parla a Zaccheo, articolata secondo uno schema compositivo che ricorda così strettamente scene analoghe dei mosaici di Monreale, da farne ipotizzare l'origine nell'ambiente delle maestranze attive in Sicilia nel sec. 12°, mentre nella parte inferiore Teodoro e un altro santo cavaliere sono raffigurati secondo un m. iconografico ben attestato nelle icone bizantine e crociate di S. Teodoro e di S. Giorgio. Il codice di Friburgo conserva inoltre parti della tavola dell'indice, da cui si evince che, in origine, il disegno era il settantacinquesimo tra i soggetti compresi nel libro di m.; un esame della lista rivela inoltre come i fogli perduti contenessero un insieme di composizioni tratte da fonti bizantine e latine, disposte secondo un ordine non più chiaramente ricostruibile. Una lista del genere si conserva in un evangeliario greco e latino realizzato a San Gallo verso la metà del sec. 9°, purtroppo senza alcuna delle relative illustrazioni (San Gallo, Stiftsbibl., 48; Mütherich, 1987).Risalente alla metà del sec. 9°, o forse a epoca successiva, il primo libro di m. interamente conservatosi per il Medioevo mostra in modo preciso quei caratteri già evidenziati nei frammenti isolati. Diviso in due codici (Parigi, BN, lat. 8318; Roma, BAV, Reg. lat. 596), esso contiene singole figure, frammenti di scene cristologiche, vari tipi di ornamenti e una serie di immagini tratte dalla Psychomachia di Prudenzio. Il libro di disegni (Leida, Bibl. der Rijksuniv., Voss.lat. 8°, 15, c. 1025r) del monaco benedettino francese Ademaro di Chabannes (988-1034), poeta e grammatico, è grosso modo analogo, comprendendo motivi ornamentali e figure copiate da un'ampia varietà di fonti relative a media artistici diversi, tra le quali nuovamente la Psychomachia di Prudenzio, l'Astronomicon di Igino, le Fabulae di Esopo, un testo di aritmetica, e scene tratte dalla Vita di Cristo, derivate da un avorio carolingio. Un esemplare risalente al 1210 ca. (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 507), il Reiner Musterbuch, non si differenzia molto nella sostanza, sebbene il contenuto sia qui ordinato in modo maggiormente sistematico: due serie di lettere ornamentali, scene quotidiane, illustrazioni tratte dal Physiologus, altri animali e vari disegni astratti.I due più famosi libri di m. conservatisi risalgono entrambi alla metà del sec. 13° e presentano anch'essi un analogo insieme di elementi figurativi. Dodici pagine contenute in una miscellanea didattica (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 61.2 Aug. 8°) costituiscono il Musterbuch, risalente al 1240 ca., probabile opera di un artista occidentale che viaggiò nei Balcani e a Venezia. Trenta figure ca. sono copiate da manoscritti, opere di scultura e decorazioni parietali, compresi i mosaici allora di recente completati nella chiesa di S. Marco a Venezia. L'artista, chiaramente interessato soprattutto alle qualità espressive della 'nuova maniera greca', si concentrò sulla complessità delle pose e sull'espressione dei volti: né le singole figure né le serie di composizioni hanno una coerenza dal punto di vista iconografico e quindi non è sorprendente che tali disegni, quando vennero utilizzati come fonte dal miniatore dei Vangeli di Goslar (Rathaus), furono ripresi per lo stile e per la disposizione delle figure e non per i soggetti specifici.Ancora più noto è il coevo Livre de Portraiture, un taccuino di disegni del 1235 ca., opera dello scultore e architetto francese Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093). Realizzati tra gli anni venti e gli anni trenta del sec. 13° in vari luoghi, i disegni sembrano avere avuto origine come schizzi occasionali con cui l'artista ritraeva oggetti che avevano destato il suo interesse, quali una tomba pagana o il nuovo rosone di Losanna; in seguito essi vennero organizzati, identificati e legati insieme, presumibilmente perché l'autore ne ritenne possibile l'utilizzazione. Effettivamente il taccuino venne conservato come una sorta di manuale di cantiere ed emendato in seguito, tra il 1250 e il 1260 e nuovamente alla fine del secolo. Come il Musterbuch di Wolfenbüttel, il taccuino di Villard de Honnecourt riporta le figure ricche di espressione e di solido impianto volumetrico, in voga durante il primo terzo del sec. 13°, prestando tuttavia particolare attenzione anche alle strutture architettoniche, comprese alcune esemplificazioni desunte dalla cattedrale di Reims, nonché diverse figure geometriche. Altrettanto interesse è rivolto, nel taccuino, alle forme naturali (per es. cavalletta, mosca, gatto, lepre, cinghiale, passero), in una sorta di anticipazione di una successiva fase dei modelli.Del periodo tra il 1250 ca. e il 1350 ca. si conserva soltanto un doppio foglio (Parigi, BN, lat. 11907) con disegni illustranti il Credo di Jean de Joinville: si tratta di una realizzazione di notevole completezza e, come nel caso del rotulo di Vercelli, non è da considerarsi tipica.I libri di m. che si conservano dopo tale iato cronologico denunciano un cambio nello status dei modelli. La tradizione medievale si conserva infatti solo in alcuni casi, mentre in altri, come in un esemplare risalente al 1367 (Bayonne, Mus. Bonnat, inv. nr. 446), attribuito a Bartolo di Fredi (1330 ca.1410), la precisione caratteristica dei primi libri di m. cede il passo a disegni con una spiccata configurazione di schizzi, dal carattere più frammentario e sperimentale. Una simile trasformazione della tipologia dei disegni riflette in realtà un cambiamento nella loro funzione. Sebbene durante il Trecento la maggior parte dei disegni venisse ancora tratta da opere d'arte e servisse come mezzo di trasmissione della pratica artistica tradizionale - con un procedimento al quale Cennino Cennini si appellava nel suo Libro dell'arte (XXVII), raccomandando di disegnare le opere d'arte -, i libri di m. tuttavia non erano più anonimi repertori di motivi cui qualsiasi membro di una bottega potesse attingere; essi non costituivano più mezzi di trasmissione di un patrimonio tradizionale quanto piuttosto personali aides mémoires. Lo stesso Cennini del resto proseguiva subito raccomandando all'artista di ritrarre direttamente la natura (Libro dell'arte, XXVIII).In effetti si sono conservati libri di m. contenenti studi sulla natura, così come raffigurazioni delle antiche architetture risalenti all'ultima parte del secolo. Tra questi il più notevole è il quaderno di disegni (Bergamo, Bibl. Civ. A. Mai, Cassaf. 1.21., già Delta 7-14) di Giovannino de Grassi (1389-1398). L'opera costituisce una ricca raccolta comprendente disegni di animali, figure umane, motivi per ricami e un alfabeto figurato. Sono rappresentati numerosi uccelli (falcone, passero, faraona, aquila) e un castoro, uno scoiattolo, un cervo, un mulo e un cavallo. Molti di questi m. di animali compaiono in opere d'arte del periodo seguente, quali l'Offiziolo Landau-Finaly (Firenze, Bibl. Naz., Landau Finaly 22) e le Très Riches Heures di Jean de Berry, del 1413-1416 (Chantilly, Mus. Condé, 1284), a testimonianza del fatto che il taccuino di Giovannino de Grassi fu effettivamente utilizzato. Come altri m. contemporanei, anche questi dovevano registrare ricerche personali ed erano quindi più immediati e precisi.Quando i m. divennero progressivamente un supporto per le idee originali dei singoli artisti e non più uno strumento di riproduzione per lo più meccanica, il loro valore crebbe sensibilmente. Nel 1379 il maestro fiammingo Jaquemart de Hesdin fu accusato di aver forzato uno scrigno appartenente a un altro artista per rubare colori e m., patrons (Scheller, 1995). E per coincidenza proprio allo stesso Jaquemart è attribuito un 'taccuino' in piccoli pannelli di bosso (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 346), che ben spiega le ragioni dell'alto apprezzamento in cui erano tenuti tali modelli. Come un analogo insieme di tavolette conservate a Vienna (Kunsthistorisches Mus., inv. nrr. 5003-5004), questo taccuino comprende diversi frammenti di motivi religiosi, profani e ornamentali, resi in un vivace stile personale. Quanto, dunque, era stato all'inizio uno strumento di carattere sostanzialmente conservativo, alla fine del sec. 14° si era trasformato in un mezzo di espressione individuale e di ricerca, in un disegno in senso moderno.
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