Vedi MODENA dell'anno: 1963 - 1995
MODENA (v. vol. VI, p. 137)
Non è stato ancora chiarito se la città romana sia stata fondata sul sito di un precedente centro protostorico o etrusco. Il nucleo insediativo preromano - dovunque esso fosse - doveva in epoca etrusca far parte dell’hinterland agricolo di un centro maggiore, che gravitava soprattutto su Bologna-Felsina (necropoli della Galassina di Castelvetro), mentre al tempo dell'occupazione gallica consisteva forse in un piccolo villaggio, al pari degli altri - pochi, una decina in tutto, sparsi nel territorio - tra i quali solo dei nuclei di Castelnuovo Rangone e di Saliceta S. Giuliano conosciamo gli elementi più significativi delle necropoli con tombe sia di guerrieri boi che di donne di rango elevato. Nelle fonti le prime notizie su M. risalgono alla guerra tra Romani e Boi, definitivamente sconfitti nel 191 a.C. Da Livio (XXI, 25) e Polibio (III, 40) sappiamo che in coincidenza con la calata in Italia di Annibale (218 a.C.) Boi e Insubri attaccarono insieme i coloni di Piacenza, costringendo i triumviri venuti per l'assegnazione delle terre a rifugiarsi entro le mura di Modena. Il centro fungeva dunque da presidio militare fortificato ben prima della fondazione ufficiale della città come colonia optimo iure nel 183 a.C.
Tracce della cinta muraria di epoca repubblicana sono state segnalate alla profondità di 8 m nel corso della trivellazione per la fontana del mercato di Via Albinelli, dunque lungo il lato occidentale delle mura della città «quadrata», secondo la pianta più aggiornata, in gran parte però elaborata più per moltiplicazione analogica dei moduli che sulla base di elementi ben conosciuti.
Da vecchi scavi sono noti soltanto un tratto selciato del proseguimento occidentale extraurbano del decumano massimo (probabilmente la Via Aemilia) e lunghi tratti di due cardini a S di questo, tra Rua Pioppa e Corso Adriano, che racchiudevano, come a Bologna, la fascia di isolati destinata agli edifici pubblici e al foro. Un altro cardine, un tratto del quale è al Museo Lapidario Estense, è stato trovato più a E nel corso di scavi ottocenteschi che hanno messo in luce un grande edificio absidato e con mosaici, forse termale.
La città, i cui limiti sono tuttora determinabili soprattutto in base alla dislocazione delle necropoli, raggiunse in età augustea un'ampiezza di 42 ha, superati in seguito da quartieri residenziali extraurbani. Notizie di ritrovamenti di cortili lastricati in marmo, mosaici, colonne marmoree e basi di statue in bronzo si trovano nella cronaca cinquecentesca di Tommasino Lancellotti, nei passi dove menziona gli scassi eseguiti per il fossato delle mura orientali, mentre dell'arredo di una casa a peristilio repubblicana (metà del I sec. a.C.) rimangono splendide parti di mobilio (letti conviviali, un tavolino rotondo), recuperate in Via Università nel 1967 e da poco esposte al Museo Civico Archeologico con altri oggetti, come bocche di fontana in bronzo in forma di anatre in volo e altre a getto rotante da giardino. Il letto principale presenta quattro piedi bronzei niellati d'argento decorati con figure fuse con la tecnica della «cera persa» e successivamente saldate al montante. Il gruppo figurato risulta dalla combinazione di due diversi schemi iconografici di derivazione classica e tardoclassica, in cui il centauro Euritione combatte contro Eracle e contro Teseo. Le parti di tutti i letti, che portano cifre per l'assemblaggio, furono importate con gli altri bronzi probabilmente da Roma.
L'espansione urbana degli anni '60 ha portato alla scoperta di gruppi di tombe che si affacciavano sulla Via Aemilia anche a grande distanza dalla città antica, sia a E (necropoli di S. Lazzaro) che a O (necropoli di Palazzo Europa). Le iscrizioni e i monumenti principali di queste necropoli hanno arricchito il Museo Lapidario Estense, di fondazione ducale (1830) in corso di ristrutturazione. A esso appartiene anche una piccola ara proveniente dal territorio a S di Modena, i cui rilievi sono allo stesso tempo sia un'autentica e compiuta testimonianza del lealismo politico dei culti del primo impero sia una delle più vivide espressioni della c.d. arte plebea, che ricalca gli schemi figurati dell'arte colta senza tuttavia conservarne la grazia formale ellenistica.
Sui tre lati conservati del monumento sono effigiati i protagonisti di un rito celebrativo del culto imperiale, dal sacerdote sacrificante al piccolo assistente porta-suppellettili, al vittimario armato di ascia dietro il toro possente. L'iscrizione frammentaria attesta comunque che il personaggio con il capo velato ricopriva la carica di magister, in qualità di funzionario del villaggio o meglio di preside di un collegio sacerdotale, forse degli Apollinares, come troviamo nella stessa Modena. L'ara che proviene da Baggiovara, nei pressi di Magreta, dove gli studi collocano l'antico mercato ovino dei Campi Macri, ricordato da numerose fonti come particolarmente attivo in età repubblicana e poi decaduto verso l'età giulio-claudia, sembra testimoniare quel tipico fenomeno di assimilazione nel culto ufficiale romano delle divinità locali indigene e della natura intorno alle quali era frequente che si formassero piccoli insediamenti e luoghi di incontro dedicati allo scambio e al commercio.
Nel Museo Civico è esposta invece una pregevole lastra trovata come copertura di una tomba tardo-antica, ma anch'essa di origine funeraria a causa del soggetto del rilievo assai frequente sui sarcofagi romani: la strage dei Niobidi. Il pezzo, di marmo pentelico, era pertinente alla decorazione di un edificio funebre della necropoli di S. Lazzaro e riproduce - come su una serie di altre lastre, tredici in tutto, quasi identiche per tipo, stile e dimensioni, sparse tra l'altro a Roma, Firenze, Bologna, Pozzuoli, Isthmia - il mito dei figli di Niobe che cadono sotto le frecce di Apollo e di Artemide. Nel rilievo di M. la novità è rappresentata dalla figura di Anfione, marito di Niobe, seduto a destra su una roccia, nel cui grembo si rifugia una figlia morente. Questa figura sembra introdotta ex novo dai copisti neoattici, che amavano allargare con modelli del loro repertorio la redazione forse troppo contratta del mito creata da Fidia per i braccioli in avorio del trono dello Zeus di Olimpia. La copia modenese è genericamente databile tra il I e il II sec. d.C.
A studî recenti si deve anche l'analisi tipologica e la conseguente sistemazione cronologica dei grandi sarcofagi decorati con rilievi relativi ai personaggi defunti e alla loro vita pubblica e privata, conservati nel Museo Lapidario Estense. Essi furono scolpiti probabilmente da scultori modenesi - come rivelano numerosi indizî tecnici e stilistici - in marmo del Proconneso e nell'arco di poco più di un secolo, dall'età di Adriano a quella di Gallieno. I pezzi più tardi sono probabilmente importati. Le iscrizioni originarie rivelano la loro appartenenza a una committenza di militari e di piccoli nobili di provincia ancora ben radicati nella città. Nel IV e nel V sec. furono spesso riutilizzati da personaggi di più alto rango (senatori con legami parentali nel Modenese). Molti - riscoperti in epoca medievale e moderna - assunsero di nuovo la funzione di tombe gentilizie in Piazza Grande e sul sagrato del duomo romanico, giungendo così all'età moderna. Il duomo fu eretto in zona cimiteriale paleocristiana come basilica ad corpus presso la tomba del protovescovo Geminiano, divenendo cattedrale forse solo tra il VI e il VII sec.: è in questo periodo che qui si sviluppa, a O della città romana abbandonata, un nuovo centro urbano, che in epoca longobarda ebbe anche il nome di Civitas Geminiana. La ricerca archeologica ha di recente scoperto singolari attestazioni del travagliato periodo della guerra tra Bizantini e Goti e della successiva invasione longobarda, che dovette arrestarsi tra M. e Bologna, lungo la linea del fiume Panaro. Nella valle del Panaro risultano infatti concentrati alcuni pozzi romani, nel fondo dei quali sono state rinvenute intere dotazioni di attrezzi e di vasellame bronzeo e ceramico sistemate in bell'ordine, che gli abitanti delle case coloniche dei dintorni vi avevano nascosto senza poterle più recuperare. Da questi oggetti giungono preziose informazioni sugli scarsi contatti economico-commerciali e sul basso livello tecnologico degli ultimi gruppi latini stanziati nel territorio, prima che la guerra gotica e l'invasione longobarda lo rendesse per lungo tempo «terra di nessuno».
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