Modernità
Sebbene il concetto di 'modernità' abbia fatto la sua prima comparsa nel discorso sociologico solo alla fine del XIX secolo, lo studio delle caratteristiche, della struttura e dei processi della società moderna ha inizio assai prima nell'ambito delle indagini sulla società civile. In diversi stadi del loro sviluppo le singole discipline umanistiche si sono poste il problema di individuare ciò che è nuovo nella società moderna. Ciò vale per l'economia politica di Adam Smith nel XVIII secolo, per la storiografia di Vico e per la sociologia di fine Ottocento. In particolare, gli sforzi della sociologia per imporsi come una disciplina autonoma spesso hanno coinciso con la sua pretesa di offrire un'analisi del presente (Gegenwartsanalyse), un'esplorazione e una diagnosi dei tratti distintivi e nuovi della società moderna. Così come è accaduto in altre discipline che si proponevano anch'esse di investigare gli aspetti, i processi o l'esperienza della società moderna, tale diagnosi ha assunto spesso la forma della proclamazione di uno stato di crisi. Il dibattito sulla modernità sembra dunque destinato a riaccendersi in periodi di crisi sociale e intellettuale, diventando particolarmente vivace in quei momenti storici in cui si crede di ravvisarne l'emergere oppure il declino. Di 'fine della modernità' parlano appunto alcune delle teorie più recenti, secondo le quali a essa sarebbe subentrata una condizione postmoderna.
Tutte le scienze sociali hanno elaborato, sia pure in tempi diversi, una propria teoria della modernizzazione: un'analisi ai vari livelli - sociale, economico, politico, psicologico e culturale - delle modalità e dei processi attraverso i quali è emersa quella che viene definita 'società moderna'. Si è trattato spesso di analisi formulate in termini etnocentrici, in quanto si proponevano di indicare il percorso che le altre società avrebbero dovuto seguire per modernizzarsi, portandosi al livello delle società 'avanzate' già modernizzate e proposte quindi come modello. Queste teorie etnocentriche si basavano su una contrapposizione tra società moderne e tradizionali, tra formazioni economico-sociali statiche e dinamiche, e ricercavano i fattori storici di cambiamento responsabili della transizione alla modernità. Spesso, inoltre, vi è stata la tendenza a considerare lo stadio attuale della società come una condizione finale e definitiva, come il punto d'arrivo di un processo di sviluppo o di un progresso la cui dinamica era confinata esclusivamente nel passato. Una concezione di questo tipo ignora inevitabilmente la natura transitoria del presente attuale e della società moderna.
Ogni teoria della modernità in cui questa è intesa come configurazione radicalmente nuova dell'esperienza analizza anch'essa i processi di transizione alla società moderna, senza peraltro ridursi a una teoria della modernizzazione. Così, le teorie estetiche della transizione alla società moderna e alla modernità sviluppatesi a partire dalla seconda metà del XIX secolo hanno dato luogo a una serie di modernismi estetici, spesso accompagnati da manifesti delle avanguardie artistiche che annunciavano la comparsa di movimenti modernisti radicalmente nuovi e miravano a esplorare sul piano estetico lo 'shock del nuovo'. Quelle teorie che indagano la modernità intesa come nuova configurazione dell'esperienza, anziché studiare la società moderna in generale nel complesso dei suoi rapporti economici, sociali e politici, privilegiano in genere la dimensione estetica.
Quando con 'modernità' ci si riferisce a un percorso temporale e strutturale che occorre seguire per acquisire le caratteristiche delle società 'moderne', ossia quelle del mondo occidentale industrializzato, il significato del concetto viene a coincidere con quello di 'modernizzazione'. Quando invece il concetto di modernità viene riferito al complesso delle modalità o delle qualità dell'esperienza sociale moderna, il suo significato viene a coincidere con quello di 'modernismo' estetico. Un terzo, più recente significato del concetto di modernità è quello di 'progetto storico' proposto da Habermas. Tutte queste accezioni della nozione di modernità - modernizzazione, modernismo e progetto storico - pongono problemi di ordine analitico e metodologico (v. Osborne, 1992).
L'analisi dell'etimologia e dell'uso storico del concetto di modernità (v. Gumbrecht, 1978) dimostra la notevole incertezza che circonda i concetti di moderno, modernità, modernizzazione, modernismo applicati a determinate epoche storiche, come ad esempio 'il fine secolo'; tale incertezza ha forse raggiunto il culmine negli ultimi decenni, in cui la nozione di modernità è arrivata a includere tutti questi concetti correlati o a confondersi con essi.La tendenza ad associare la modernità a un cambiamento nella coscienza storica, a porre l'accento su un processo di mutamento accelerato e a identificare la modernità col presente pone in effetti la questione di una periodizzazione storica.
La periodizzazione storica della modernità spesso si basa su cronologie e suddivisioni temporali astratte, nonché su una decontestualizzazione del presente. Fissare una cronologia della modernità - collocandone la data d'inizio nel tardo Rinascimento, intorno al 1500 (v. Berman, 1982), e indicando poi quali cesure successive il 1789 e il 1900 - significa basarsi su una concezione astratta delle epoche storiche. Far coincidere la modernità con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico è accettabile solo se si possono indicare i processi attraverso i quali la formazione economico-sociale capitalistica trasforma i rapporti e le esperienze sociali nel senso della modernità. Affermare, come fa Habermas, che la modernità intesa come progetto ha avuto inizio con l'illuminismo e con l'autonomia della ragione presuppone che si possa dimostrare la continuità di tale progetto intellettuale da Kant in poi. Anche la 'preistoria della modernità' di Walter Benjamin, che può essere considerata il tentativo più ambizioso di abbandonare ogni connessione con una periodizzazione storica per esplorare la modernità come processo nel passato e nel presente, conserva nondimeno alcuni elementi di una periodizzazione del capitalismo (Baudelaire viene definito come un poeta del 'capitalismo avanzato').
Se è vero che la sociologia alla fine del XIX secolo identificava il proprio compito nello spiegare, in modi diversi, la transizione alla modernità e nel delineare i processi chiave di tale transizione, è vero altresì che le teorie della modernità e le analisi del mondo contemporaneo elaborate nell'ambito delle scienze sociali sono sempre state associate a una critica piuttosto che a una celebrazione del presente. Tuttavia, soprattutto nei primi decenni del XX secolo, ciò non ha impedito la comparsa di teorie della modernità 'antimoderne' (v. Herf, 1984), nonché di progetti politici e mitologici post-storici associati al fascismo.
Le teorie che istituiscono una correlazione tra modernità e disgregazione di totalità preesistenti e postulano una radicale frattura tra il passato e il presente, estendendo tale disgregazione e tale discontinuità alle forme precedenti di analisi sociale, impongono l'abbandono del ricorso acritico a tradizioni, certezze e concezioni totalitarie. Se, come molti sostengono, la condizione moderna comporta una radicale frammentazione dell'esperienza, è necessario analizzare la modernità a partire da questi frammenti.
Introducendo il nuovo concetto di 'modernité' nel suo saggio del 1863, Le peintre de la vie moderne, Baudelaire la definì come ciò che è "transitorio, fugace, fortuito, la metà dell'arte di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile", accentuando in tal modo la contrapposizione di vecchia data tra antico e moderno. È la grande metropoli, secondo Baudelaire, il luogo per eccellenza in cui l'esperienza moderna si presenta in queste nuove dimensioni. La modernità è concepita sia come una 'qualità' della vita contemporanea che come un nuovo oggetto estetico, fondato sulla novità contingente ed effimera del presente, sulla metamorfosi costante delle cose alla superficie dell'esistenza quotidiana.
Sebbene Baudelaire fosse interessato preminentemente alle forme di rappresentazione estetica della modernità, il suo discorso sulla dimensione transitoria, fugace e fortuita dell'esistenza moderna può essere ampliato e trasposto a un livello più generale di rilevanza sociologica. Se la modernità viene concepita come esperienza discontinua e disgregatrice di un tempo transitorio (momenti di presente), di uno spazio fugace (mobile, frammentato), e di costellazioni fortuite o arbitrarie di eventi non più legati da nessi causali, tale concezione ha delle implicazioni significative anche per quanto attiene alla sfera dell'individualità, del soggetto; il rapporto tra modernità e identità soggettiva è appunto uno dei temi dominanti del recente dibattito sulla modernità (v. Giddens, 1992; v. Lash e Friedman, 1992). In questa lettura ampliata, la concezione baudelairiana della modernità trascende i confini di quello che Habermas ha definito 'modernismo estetico' e può costituire un quadro di riferimento all'interno del quale analizzare il rapporto tra modernità e coscienza storica, le trasformazioni dello spazio sociale, la fusione dello spazio e del tempo, nonché la messa in discussione delle categorie tradizionali di causalità, necessità storica e necessità naturale.
L'identificazione tra modernità e capitalismo (v. Sayer, 1991) è stata attuata forse nella forma più coerente da Karl Marx. Nel Manifesto del Partito comunista, che è stato definito il primo manifesto modernista (v. Berman, 1982), egli mette in luce la dinamica e gli aspetti distruttivi del capitalismo che plasmano la modernità. Qui come in altri scritti Marx incentra l'attenzione sull'incessante processo di 'rivoluzionamento della produzione' all'interno delle formazioni economico-sociali capitalistiche, cui si accompagna il costante sconvolgimento di tutti i rapporti sociali, uno stato permanente di incertezza e di agitazione. A questa distruzione rivoluzionaria del passato (che implica una distruzione della specificità storica) si accompagna un'altra caratteristica della modernità, l'incessante distruzione del presente (tutti i rapporti sociali appena formati "diventano obsoleti prima che si possano cristallizzare").
Ma laddove in questi primi scritti Marx parte dall'assunto che tale dinamica distruttiva, in cui "tutto ciò che è solido si dissolve in aria", svelerebbe le "condizioni reali" della vita sociale, nelle sue opere più mature (i Grundrisse, il primo volume de Il capitale), con la teoria del feticismo delle merci egli introduce una terza caratteristica della modernità, l'eterno riprodursi di quella "illusione socialmente necessaria" che è la forma di merce, la quale costituisce il principale ostacolo a un futuro qualitativamente diverso.Mentre Max Weber mette l'accento sul 'disincanto' (Entzauberung) del mondo come una delle caratteristiche della modernità, la teoria marxiana del feticismo delle merci e delle illusioni della forma di merce nella sfera della circolazione e dello scambio suggerisce l'idea del costante riprodursi di un incantesimo, che assume la forma di un processo di reificazione del "movimento che si svolge alla superficie del mondo borghese". Ciò implica la creazione di nuove illusioni, all'interno "del traffico quotidiano della vita borghese" quale si manifesta nella circolazione delle merci. La dinamica rivoluzionaria della formazione economico-sociale capitalistica e la sua dimensione costantemente distruttiva possono essere considerate funzionali alla sopravvivenza dei rapporti sociali capitalistici (v. Berman, 1982) e delle caratteristiche della modernità a essi associate. Analogamente, le illusioni socialmente necessarie nell'ambito delle forme fenomeniche in cui la società capitalistica si manifesta ai suoi membri fanno sì che il suo presente appaia eterno anziché transitorio, la sua economia naturale anziché storicamente data, i suoi rapporti sociali armoniosi anziché contraddittori.
Tuttavia Marx non dedica eccessiva attenzione all'esperienza quotidiana della modernità nella società capitalistica; egli è interessato piuttosto a individuare le 'leggi del movimento' del modo capitalistico di produzione, incentrando la sua analisi su questa formazione economico-sociale. Il rapporto tra modernità e società capitalistica (o società comunista) è raramente tematizzato da Marx, e solo la transizione alla modernità capitalistica viene da lui esaminata in modo approfondito.
Le analisi della transizione alla modernità sviluppate negli scritti sociologici di Ferdinand Tönnies e di Émile Durkheim mettono in luce un'importante caratteristica della riflessione sociologica su queste tematiche alla fine del XIX secolo. I tentativi di individuare ciò che è nuovo e moderno nella società contemporanea sono strutturati nei termini di una contrapposizione tra la modernità e il suo contrario. In questo senso Durkheim contrappone la solidarietà meccanica alla solidarietà organica, Tönnies la Gemeinschaft alla Gesellschaft. Introducendo questi ultimi concetti Tönnies mira a mettere in luce gli elementi costitutivi dell'esperienza moderna, presentando il passaggio dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft come un passaggio a rapporti sociali di tipo contrattuale e convenzionale, che trovano espressione nei rapporti di scambio capitalistici e nella vita nella grande città.
La Gesellschaft viene vista da Tönnies come 'un paese sconosciuto', come un fenomeno di transizione cui egli contrappone la Gemeinschaft quale centro di forze creative e formative. Sebbene ciò non fosse affatto nelle intenzioni di Tönnies, le implicazioni ideologiche e normative contenute in questi due concetti ne favorirono l'appropriazione da parte di movimenti reazionari che denunciavano la società moderna. La disgregazione della Gemeinschaft e della coscienza collettiva costituiscono un tema centrale nell'analisi durkheimiana dell'ordine morale della modernità nel contesto delle società basate su una divisione del lavoro avanzata e delle sue forme anormali. Col progredire della divisione specializzata del lavoro l'individuo acquista un'importanza crescente; la coscienza collettiva nelle società basate sulla solidarietà meccanica (caratterizzate da una struttura segmentaria, da una scarsa interdipendenza, da sentimenti e credenze comuni) lascia il posto a una coscienza collettiva più complessa e problematica, fondata sull'individualismo, tipica delle società moderne complesse basate sulla solidarietà organica (caratterizzate da una struttura differenziata, da un alto grado di interdipendenza, dal culto dell'individuo).
L'indebolirsi della coscienza collettiva nonché dell'integrazione e della regolamentazione dell'individuo determina una crisi nel rapporto tra individuo e gruppo e porta all'affermarsi di una società caratterizzata dal predominio dell'egoismo (indebolirsi dell'integrazione) e dall'anomia (indebolirsi della regolamentazione). L'egoismo dà luogo a un'intelligenza ipercoltivata, a un pensiero privo di oggetto, a un mondo di sentimenti e di rappresentazioni del tutto individuale; l'anomia dal canto suo è causa di un'emotività incontrollata, di passioni senza scopo e di desideri sfrenati. Tali patologie dell'individuo, secondo Durkheim, sono da mettere in relazione con un crollo del sistema di regole morali determinato da perturbazioni di ordine economico e sociale, oppure dalla disintegrazione dei rapporti sociali. Nella misura in cui la società capitalistica moderna favorisce un eccesso di consumismo per mantenere in moto la propria economia e un eccesso di individualismo, le tendenze negative scorte da Durkheim diventano endemiche e non costituiscono più mere deviazioni patologiche. In questo tipo di società, inoltre, gli individui tendono a investire parte della loro identità almeno in acquisizioni, ma si tratta di un investimento che non sarà mai realizzato. L'individualismo, e a maggior ragione l'eccessivo individualismo, non possono garantire l'identità personale. In questa visione della modernità, dunque, acquista un carattere problematico il rapporto tra identità personale, individualità e società moderna.
A differenza delle teorie che individuano le principali caratteristiche della modernità nelle trasformazioni del modo di produzione e nell'industrializzazione, la riflessione di Simmel sulla modernità si focalizza su due contesti diversi eppure interrelati: la grande metropoli e l'economia monetaria matura. La transizione alla modernità viene ricollegata da Simmel - in modo peraltro non del tutto convincente - allo sviluppo dell'economia monetaria matura e alle sue ripercussioni sulle altre sfere della vita. I momenti più validi dell'analisi simmeliana della modernità si ritrovano comunque nella sua indagine sulle trasformazioni intervenute nei rapporti sociali e sulle loro ripercussioni nella sfera dei sentimenti e dell'esperienza soggettiva nei due contesti chiave della modernità. In modo diverso eppure correlato la metropoli (come luogo della concentrazione e dell'intensificazione della modernità) e l'economia monetaria matura (come luogo della sua diffusione ed estensione) hanno come centro focale le sfere della circolazione (di merci e di individui), dello scambio e del consumo, e sono caratterizzate da un aumento della differenziazione sociale (e nello stesso tempo della indifferenziazione, come conseguenza dell'azione livellatrice del denaro quale equivalente universale di tutti i valori), da un incremento della funzionalizzazione (astrazione) dei rapporti sociali e da un divario crescente tra quelle che Simmel definisce cultura soggettiva e cultura oggettiva.
L'esperienza del presente immediato nella società moderna secondo Simmel è differenziata e discontinua (frammentata). Sia nella grande metropoli che nell'economia monetaria matura la cultura tende a trasformarsi in cultura di cose o oggetti. Questo processo di reificazione è al centro della teoria simmeliana del rapporto dialettico tra cultura oggettiva e cultura soggettiva, ove la cultura oggettiva diventa una sfera autonoma governata da proprie leggi di sviluppo che si contrappone alla cultura soggettiva, individuale. Proprio nella grande metropoli l'individuo sperimenta in forma estrema questo processo di autonomizzazione e di reificazione dei prodotti del proprio spirito, al quale reagisce attraverso processi di dissociazione, di separazione o di distanziamento sociale. La tendenza all'isolamento, l'atteggiamento ostile e l'indifferenza nei confronti degli altri che caratterizzano l'esistenza metropolitana (rappresentati in modo drammatico nell'espressionismo tedesco) costituiscono inoltre, secondo Simmel, le forme elementari di socializzazione (Vergesellschaftung) nell'economia monetaria, attraverso le quali l'individuo reagisce alla reificazione delle relazioni sociali di scambio e al flusso astratto e dinamico della circolazione delle merci. Nella società moderna, così come viene presentata da Simmel nella sua Filosofia del denaro, il valore perde il suo carattere sostanziale trasformandosi in un concetto relazionale, la teleologia mezzi-fini diviene elevazione del denaro a mezzo assoluto, la qualità viene ridotta a quantità, l'aumento della libertà individuale ha come contropartita una crescente funzionalizzazione delle relazioni sociali, i valori personali vengono ridotti a valori monetari e lo stile di vita, pur presentandosi ai nostri occhi come una totalità oggettiva, è in realtà composto di elementi frammentari.
In effetti, mettendo in rilievo la frammentazione dell'esperienza nella società moderna e analizzandone le ripercussioni sulla sfera psicologica, Simmel tra gli autori del suo tempo offre forse l'analisi più organica del mondo quotidiano della modernità, prestando attenzione ai "frammenti fortuiti di realtà", ai delicati, invisibili fili sociali che legano reciprocamente gli individui. La frammentazione e il flusso incessante del mondo delle apparenze che caratterizzano la modernità richiedono un approccio metodologico che focalizzi l'attenzione sulle relazioni tra individui, gruppi e cose. E difatti i concetti chiave della teoria di Simmel, quelli di interazione e di socializzazione, sono concetti relazionali.
Lo sviluppo del moderno razionalismo occidentale e le sue conseguenze, tra cui il capitalismo razionale, costituiscono il punto focale della teoria weberiana della modernizzazione e della modernità. La razionalità strumentale - le cui origini vengono individuate da Weber nell'applicazione e nella trasposizione sul piano pratico di alcuni aspetti della dottrina protestante, e che grazie alla sua dinamica interna domina tutte le principali sfere della vita: sociale, economica, artistica, giuridica, amministrativa e religiosa - ha affermato la propria superiorità in quanto si caratterizza come una razionalità puramente formale, basata su un preciso calcolo dei mezzi e dei metodi più efficaci per raggiungere un determinato fine. L'organizzazione (formalmente) razionale del lavoro salariato, delle aziende, dell'amministrazione, dei sistemi giuridici e dei sistemi di legittimazione dello Stato, della religione, ecc., e il predominio dell'azione razionale orientata allo scopo sugli altri tipi di azione razionale (orientata al valore, all'affettività, alla tradizione) possono essere visti come un processo universale globalizzante.
La creazione di una serie di sistemi e di sottosistemi dell'azione razionale orientata allo scopo in tutti gli ambiti sociali si accompagna secondo Weber a un progressivo 'disincanto' (Entzauberung) del mondo, in cui la razionalità formale ha affermato la propria superiorità su altri tipi di attribuzione di senso, alla creazione della irrazionalità nella sfera assiologica e valutativa (con il conseguente, irriducibile conflitto tra diversi sistemi di valori), e a una perdita di libertà e di significato dell'individuo in quelle sfere (burocratica, economica, giuridica, politica) in cui domina l'organizzazione razionale. Allorché il dominio della razionalità formale produce una situazione in cui i processi del mondo 'accadono' o 'sono' in modo del tutto oggettivo e impersonale, l'individuo può reagire cercando rifugio in una visione del mondo rassicurante, ossia con un ritorno alla mitologia e all'irrazionalità. Allorché la razionalità formale minaccia di colonizzare tutti gli ambiti della vita, l'uomo può reagire alla 'gabbia di ferro' della razionalizzazione e all'assenza di forze dinamiche facendo appello a una leadership carismatica in grado di superare questo stato di fossilizzazione. La teoria weberiana della modernità ipotizza il passaggio da una dinamica interna della nuova forma di razionalità a una situazione in cui il suo dominio è caratterizzato dalla costrizione e dalla compulsione esterne, nonché da una condizione di fossilizzazione. La dinamica della modernità porta a una situazione di crisi, che non può essere risolta attraverso formazioni sociali alternative.
Le critiche alla modernità contenute nelle teorie sociologiche di fine Ottocento sono state riformulate in forma più radicale ed estrema dagli esponenti della Teoria critica, che continua a influenzare in modo significativo il dibattito sulla modernità. Il primo e, sebbene incompiuto, il più coerente tentativo di sviluppare una teoria critica della modernità è quello offerto da Benjamin in Das Passagenwerk.
Due delle 'definizioni' della modernità date da Benjamin - "il mondo dominato dalle sue fantasmagorie [...] questa è modernità", e "il nuovo nel contesto di ciò che è sempre stato" - suggeriscono una possibile affinità con il pensiero di due autori precedenti: Marx e Nietzsche. La prima definizione infatti sembrerebbe riecheggiare la nozione marxiana di 'illusione socialmente necessaria', di mondo illusorio creato dalla forma di merce e dal suo feticismo. La seconda definizione potrebbe essere ricollegata anch'essa al discorso marxiano del volto sempre nuovo della merce, ma richiama del pari la teoria nietzscheana dell'eterno ritorno dell'eguale.
Il tratto distintivo della 'preistoria della modernità' di Benjamin risiede nel fatto che la sua esplorazione di Parigi, capitale del XIX secolo - con le sue strutture architettoniche, immagini, rappresentazioni, mezzi di comunicazione, ecc. - intende gettare luce sulla modernità attuale. Benjamin si serve inoltre di una serie di figure dialettiche - moderno e antico, le masse e la città, il nuovo e il sempre eguale - al fine di costruire una costellazione di dimensioni interrelate della modernità.
Egli rinuncia volutamente all'idea di uno sviluppo, di un progresso lineare, riconoscendo l'irruzione del passato nel presente, dell'antico nel seno della modernità stessa.Nel corso di questa ambiziosa ricostruzione della Parigi di metà Ottocento - dai passages ai panorami, ai grandi magazzini, alle stazioni ferroviarie, ai caffè, ecc. - Benjamin cerca di cogliere i mutamenti essenziali dell'esperienza e della percezione nella realtà urbana del capitalismo moderno, attraverso una ricognizione delle immagini e dei mezzi di rappresentazione della modernità (panorami, specchi, mode, ecc.), delle strutture architettoniche e delle strade della metropoli moderna, di certe figure - il flaneur, il giocatore d'azzardo, la prostituta, lo sfaccendato - che esemplificano alcune dimensioni chiave della modernità, e, infine, di ciò che egli definisce "il mondo estinto delle cose". L'esistenza fenomenica della merce come cosa avrebbe dovuto costituire il tema centrale dell'ultima parte, mai scritta, di quest'opera.
Benjamin cerca di costruire la sua 'preistoria della modernità' partendo dai frammenti, dalle immagini, dalle rovine della modernità. Il mondo della grande città moderna è un testo non ancora decifrato, un testo che può essere un sogno (che richiede un risveglio), un puzzle (che richiede una soluzione), o un geroglifico (che richiede una decifrazione). La modernità è esplorata anche dal punto di vista delle tecniche di riproduzione del nuovo, del continuo shock del nuovo (che nasconde il vecchio, il sempre-eguale). La merce, che diventa via via il punto focale del discorso di Benjamin, esprime sia il carattere fantasmagorico della modernità (il suo effetto allegorico), sia il presentarsi del nuovo nel contesto del vecchio, di ciò che è sempre stato.
L'analisi critica della modernità venne sviluppata da altri esponenti della Teoria critica, quali ad esempio Theodor W. Adorno, Siegfrid Kracauer ed Ernst Bloch. La dialettica di razionalizzazione e mitologia è stata esplorata segnatamente in La massa come ornamento di Kracauer e in Eredità del nostro tempo di Bloch, opera, quest'ultima, che si presenta come un'interpretazione dell'esperienza non contemporanea e della contraddittoria eredità del passato nella Germania del primo nazismo.Il rapporto problematico tra razionalità, mitologia e modernità era stato messo in luce già in precedenza da alcuni pensatori all'interno della tradizione filosofica tedesca, in particolare da Kant, Hegel e Nietzsche, ma sono stati Max Horkheimer e Theodor W. Adorno nella Dialettica dell'illuminismo a offrirne l'analisi più devastante. In quest'opera, nel quadro di una filosofia discorsiva della storia e del soggetto, i due autori sottopongono a una critica radicale la natura 'totalitaria' della ragione illuministica, l'intreccio tra illuminismo e mitologia, la progressiva alienazione dell'uomo borghese (spesso presentato da una prospettiva esclusivamente maschile) e la natura assolutamente illusoria del progresso scientifico (positivista).
Questo approccio critico, in cui sono evidenti le influenze di Hegel e di Nietzsche, impronterà le successive riflessioni sulla modernità di Adorno e, più recentemente, le teorie di Jürgen Habermas. L'identificazione tra illuminismo e modernità si basa su una interpretazione della filosofia kantiana quale luogo in cui si compie la dissociazione formale della ragione. Già la distinzione tra la ragione pura (cognitiva, strumentale) che attiene alla sfera della verità scientifica, la ragione pratica (morale) che attiene alla sfera dell'etica, e il giudizio (estetico, espressivo) che attiene alla sfera dell'autenticità e della bellezza, preannuncia la frammentazione della ragione e la separazione e l'autonomizzazione delle sfere della scienza oggettiva, dei concetti morali e del giudizio estetico. Tale dissociazione è stata radicalizzata in seguito nella filosofia dei valori elaborata da alcuni esponenti della scuola neokantiana. Per Hegel, tuttavia, l'esistenza di queste sfere autonome non era semplicemente il sintomo della disgregazione della totalità, ma era connessa anche allo sviluppo del soggettivismo e a una crisi di identità dell'individuo.
La tesi della disintegrazione di ogni forma di totalità assume accenti più radicali nella critica della modernità espressa da Nietzsche. La distruzione di tutti i fondamenti, che si dissolvono in un flusso incessante, la disgregazione della società in un conglomerato di singoli componenti, la dissoluzione delle forme culturali, una decadenza pervasiva, un presente saturo di illusioni storicistiche, l'eterno ritorno dell'eguale: sono questi gli elementi di fondo della critica nietzscheana della modernità. Allorché afferma che "la vita non vive più nelle totalità", Nietzsche intende dire che occorre dar valore alle cose più insignificanti, ai frammenti più minuscoli, alle forme più modeste. A questi aspetti del pensiero nietzscheano - l'esplicito riconoscimento della fine di ogni forma di totalità, la dissoluzione dei fondamenti, l'attenzione per i frammenti - si rifanno i teorici del postmoderno, che li rivendicano come elementi distintivi della condizione postmoderna.
Una difesa critica della modernità definita come progetto è al centro del pensiero di Habermas, che ha illustrato il discorso filosofico sulla modernità (con riguardo al presente) e della modernità (con riguardo al compito della filosofia), nonché lo sviluppo storico di essa (visto in larga misura in termini di sviluppo di sistemi e sottosistemi dell'agire razionale orientato allo scopo). Sul piano sociologico l'analisi del ruolo della razionalizzazione nella modernità condotta da Habermas rivela una forte influenza weberiana, in quanto la razionalizzazione viene considerata un processo universale che finisce per trascendere i confini dell'organizzazione razionale della produzione, dell'amministrazione, della tecnologia e di altri sistemi dell'agire razionale orientato allo scopo - sistemi che sono essi stessi lontani dall'ermeneutica della comunicazione quotidiana nel mondo della vita (Lebenswelt). Il processo di autonomizzazione e di specializzazione della scienza, della morale e dell'arte è del tutto compatibile con il mancato verificarsi di una sufficiente differenziazione nello sviluppo di queste sfere. La colonizzazione del mondo della vita da parte della ragione strumentale minaccia inoltre di annullare la 'sfera pubblica' borghese e la sua funzione critica, in quanto gli accumulatori di capitale cercano anche di accumulare e di controllare le sfere di rilevanza culturale.
Per quanto riguarda ciò che Habermas definisce modernità estetica, la sua analisi si incentra sul mutamento della coscienza del tempo. Il nuovo, il futuro, il presente e il passato sono le quattro dimensioni fondamentali evidenziate da Habermas a questo proposito. Il moderno costituisce un'espressione di contemporaneità, una manifestazione di ciò che è nuovo (sebbene si tratti di una novità destinata a essere distrutta). La modernità implica anche la trasformazione della coscienza del tempo, specialmente nell'ambito delle avanguardie artistiche che si avventurano in universi ignoti orientandosi verso un futuro non ancora realizzato. Tuttavia, la sopravvalutazione di ciò che è fugace, contingente ed effimero, l'esaltazione del suo carattere dinamico sono anche espressione del desiderio di un presente coerente e integro. Questo anelito segreto a un presente armonioso coincide con una opposizione astratta alla storia e di conseguenza favorisce un presente non più ancorato al passato.
È stata comunque la connessione tra modernità e illuminismo istituita da Habermas nella sua teoria della modernità quella che ha suscitato le discussioni e le polemiche più vivaci (v. Bernstein, 1985). In particolare, Lyotard ha affermato che Habermas si limita a creare un altro 'grand récit' storico, che però è stato reso obsoleto dalla impetuosa proliferazione dei giochi linguistici e dall'erosione di ogni forma di pensiero fondante. Questo è diventato uno dei temi centrali del dibattito tra i teorici della modernità e i teorici del postmoderno.
Il dibattito sulla modernità nei suoi sviluppi più recenti spesso si è configurato come una ripresa e un ampliamento di temi già presenti in autori precedenti. Alcuni hanno messo in luce la natura fondamentalmente ambigua e contraddittoria della modernità come progetto (v. Bauman, 1989; v. Cascardi, 1992), illustrandone le importanti implicazioni per la possibilità di una sopravvivenza della funzione critica, nonché per la sfera del soggetto e dell'identità personale (v. ad esempio Giddens, 1992; v. Lash e Friedman, 1992). Altri hanno criticato le tendenze globalizzanti di alcune teorie della modernità (che insistono sulla razionalizzazione totale, sulla riduzione a un'unica dimensione, ecc.), respingendo tali generalizzazioni sul terreno della politica (esemplare al riguardo è la riformulazione della nozione di potere e delle sue strategie attuata in Francia da Foucault). Analogamente, è stato messo in discussione l'assunto del carattere universale e inevitabile della modernità e della modernizzazione che sta alla base di alcune di queste teorie della globalizzazione, che finiscono per ignorare la diversità dei percorsi verso la modernità, le differenti esperienze della modernizzazione anche all'interno delle formazioni economico-sociali capitalistiche (v. Wagner, 1993), nonché il divario che sussiste tra il 'Nord' e il 'Sud' del mondo per quanto attiene all'esperienza della modernità. La necessità di adottare un approccio più differenziato emerge in modo particolarmente evidente per quanto riguarda il rapporto tra modernità e differenze legate al sesso, all'appartenenza etnica e alla classe sociale, che richiederebbe un'indagine storica specifica.La transizione alla modernità e il divario o la frattura tra società moderne e società tradizionali è stato esplorato dalla sociologia sin dai suoi inizi. L'idea della modernità come esperienza discontinua del tempo, dello spazio e della causalità è stata sviluppata in nuove direzioni con riguardo al distanziamento spazio-temporale (v. Giddens, 1992; v. Friedland e Boden, 1994).
Lo sviluppo dei luoghi cruciali della modernità - la grande città, lo Stato, l'impresa - caratterizzati da un mutamento dei rapporti spazio-temporali e dalla loro trascendenza, continua nel contesto della globalizzazione. Ciò implica un ripensamento del concetto di territorialità e dell'idea della società come temporalmente condizionata che vada al di là delle riflessioni sulla trascendenza dello spazio e del tempo sviluppate da Marx e Simmel a proposito di media come il denaro (v. Harvey, 1985).
Il dibattito sulla modernità negli ultimi anni è stato caratterizzato dalla rivalutazione del pensiero dei sociologi di fine Ottocento, da una riscoperta e da una riappropriazione di alcune opere chiave degli esponenti della Teoria critica, in particolare di Benjamin, dalla discussione sviluppatasi intorno alla difesa della modernità come progetto incompiuto proposta da Habermas (v. Bernstein, 1985), e infine dallo sviluppo di varie teorie del postmoderno. Sebbene queste ultime non abbiano proposto alcuna seria 'preistoria del postmoderno' nel senso di Benjamin, la storia della condizione postmoderna va collocata all'interno della modernità stessa. Secondo alcuni autori (v. ad esempio Calinescu, 1987), di fatto essa non sarebbe che un'altra, nuova 'faccia' della modernità, un'accentuazione o un'accelerazione di dimensioni dell'esistenza già presenti in essa. Questa tesi è stata rifiutata peraltro da quanti vedono nella condizione postmoderna una rottura radicale rispetto alla modernità.
Nella misura in cui vi è una stretta correlazione tra modernità e capitalismo, la tesi di una rottura radicale presuppone che nell'ultimo quarto del XX secolo la natura del capitalismo abbia subito sostanziali trasformazioni di ordine qualitativo. Tuttavia l'ipotesi di un passaggio a formazioni economico-sociali postcapitalistiche o postindustriali - o comunque di un passaggio dalla sfera della produzione a quelle della circolazione, dello scambio e del consumo - è in contrasto con la tesi della globalizzazione (inclusa l'idea della universalizzazione della forma di merce) che nei recenti dibattiti sulla modernità è risultata predominante (v. Giddens, 1990). Inoltre, poiché le teorie della modernità e del postmoderno si basano su una determinata concezione della natura e delle trasformazioni del capitalismo, diventa essenziale il modo in cui viene definita la sua evoluzione - come capitalismo maturo (Marx), come capitalismo avanzato (Benjamin) o come tardo capitalismo (Jameson). La fine della modernità potrebbe allora essere associata alla fine del tardo capitalismo. Se però si parte dall'assunto che la formazione economico-sociale capitalistica è appena ai suoi inizi, è legittimo considerare anche la modernità in questa prospettiva.Un analogo ripensamento sembra richiedere la tesi dell'avvento di una società postindustriale, che parte spesso da premesse etnocentriche, ignorando che il capitalismo come sistema-mondo (globale) è in grado di funzionare perfettamente quando la produzione delle merci avviene al di fuori del centro metropolitano.
Comunque, sebbene questa connessione tra capitalismo e modernità resti problematica, le stesse caratteristiche che alcuni pensatori avevano considerato distintive della modernità - il ruolo privilegiato delle sfere della circolazione, dello scambio e del consumo, il passaggio dalla differenziazione alla indifferenziazione (soprattutto nella sfera culturale), il problematizzarsi del rapporto tra significante e significato, il prevalere dell'immagine sulla parola (e la proliferazione di immagini), il passaggio a sistemi autoreferenziali (giochi linguistici, ma anche la sfera della circolazione delle merci), la fine della storia e della società e la centralità della sfera estetica - sono considerate anche dimensioni chiave della condizione postmoderna. Alla tesi secondo cui questa rappresenta una condizione radicalmente 'nuova' si potrebbe rispondere, con Benjamin e Nietzsche, mettendo in evidenza il carattere illusorio dell'assolutamente nuovo, sotto cui si nasconde l'eterno ritorno dell'eguale.
Il concetto di modernità, ampiamente utilizzato nelle scienze sociali, non ha perso il carattere problematico che presentava già alla sua comparsa agli inizi del XX secolo. Entrata in crisi l'ideologia del 'moderno' assoluto (condivisa forse negli anni cinquanta e sessanta), basata sull'identificazione tra modernità e progresso, l'attenzione tende ora a incentrarsi sulla specificità storica della modernità. Poiché il concetto di modernità continua a essere associato a certe caratteristiche essenziali delle formazioni economico-sociali capitalistiche, molti ritengono che nelle società socialiste non esistano le condizioni della modernità. Il fatto che l'esperienza della modernità si svolga principalmente alla superficie quotidiana della vita sociale, e soprattutto la sua collocazione entro le sfere della circolazione, dello scambio e del consumo, finiscono per oscurare le differenze legate al sesso, alla classe sociale e all'appartenenza etnica, che devono invece essere recuperate. Una maggiore differenziazione del concetto di modernità si rende necessaria non solamente al fine di distinguerlo da quelli di modernizzazione e di modernismo, bensì anche per evitare che esso diventi una designazione di tutto ciò che è 'presente' e che finisca per dissolversi nella nozione assai più generale di 'moderno'.
(V. anche Modernizzazione).
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