Modi di gestione dei servizi pubblici locali
Il referendum popolare celebrato il 12-13 giugno 2011 ha determinato l’abrogazione delle norme sulle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, contenute nell’art. 23 bis del d.l. 23.6.2008, n. 112 convertito in l. 6.8.2008, n. 133 e successive modifiche ed integrazioni. Tuttavia, con il d.l. 13.8.2011, n. 138 convertito in l. 14.9.2011, n. 148, adottato per introdurre misure finalizzate a fronteggiare la grave crisi dei mercati finanziari, sono state riprodotte le stesse norme abrogate con il referendum, escludendo solamente la loro applicabilità al servizio idrico integrato.
L’art. 4 del d.l. 13.8.2011, n. 138, conv. in l. 14.9.2011, n. 148 ha fatto seguito all’abrogazione dell’art. 23 bis del d.l. 25.6.2008, n. 112 convertito in l. 6.8.2008, n. 133 e successive modifiche ed integrazioni, quale determinata dall’esito del referendum popolare del 12-13 giugno 2011. L’intervenuta abrogazione è stata dichiarata con d.P.R. 18.7.2011, n. 113, pubblicato nella G.U. n. 167 del 20.7.2011. Si deve, peraltro, ricordare che l’art. 113 del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, recante il t.u.e.l., è tuttora vigente nelle parti non abrogate dal predetto art. 23 bis e conseguente regolamento d.P.R. 7.9.2010, n. 168. Invece, le parti del cit. art. 113 abrogate con l’art. 23 bis e regolamento cit. non rivivono a seguito dell’esito referendario1. In generale, a proposito delle nuove disposizioni, pressoché interamente riproduttive dell’abrogato art. 23 bis, sono state già avanzate numerose critiche e dubbi di costituzionalità per avere il legislatore non rispettato gli esiti della volontà popolare2. L’art. 4 del d.l. n. 138/2011 rappresenta la più recente tappa delle riforme ordinamentali sui servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il legislatore statale nel presupposto della propria competenza esclusiva (art. 117, co. 2, lett. e, Cost.) in materia di «tutela della concorrenza», detta norme molto puntali sulla gestione di tali servizi pubblici. Diversamente, e come si ricava dalle pronunce della Corte costituzionale3, per i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, il legislatore statale non può imporre la disciplina delle relative forme di gestione, che sarà dunque di fonte regionale ed anche locale, non sussistendo peraltro specifici vincoli comunitari al riguardo4. L’esternalizzazione gestionale del servizio pubblico di rilevanza economica è oggi divenuta scelta obbligata; ciò si ricava dal confronto tra i co. 1, 8 e 12 dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 ed il relativo co. 13, sui quali si veda Procedure per l’affidamento dei servizi pubblici locali. La soluzione oggi adottata (riconfermata) dal legislatore statale era stata già anticipata con l’art. 35 della l. 28.12.2001, n. 448 e con l’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008, risultando solo parzialmente temperata dall’art. 14 del d.l. 30.9.2003, n. 269 convertito in l. 24.11.2003, n. 3265. Si tratta di una impostazione che supera quanto invece stabilito dalla precedente legislazione sui servizi pubblici locali e non solo da quella risalente, rappresentata dalla l. 29.3.1903, n. 103 e dal r.d. 15.10.1925, n. 2578, ma pure da non lontane leggi (l. 8.6.1990, n. 142 e d.lgs. n. 267/2000 nel testo storico anteriore alle successive novellazioni). Nel passato e normalmente, il legislatore si limitava ad indicare agli enti locali i modi (o forme) di gestione cui poter ricorrere, senza peraltro dettare tutti i profili attuativi della disciplina. Tale tipizzazione dei modelli di gestione dei servizi pubblici locali era giustificata dalla finalità di garantire una sufficiente omogeneità organizzativa anche per la conseguente confrontabilità dei risultati nei vari contesti territoriali, ma essa non si traduceva, poi, nella imposizione di specifici modelli perché gli enti locali ricevevano dal legislatore l’indicazione di più modelli alternativi, sulla base dei quali effettuare la propria scelta, decidendo nella loro autonomia di ricorrere a questo o quel modello. Le norme oggi vigenti pongono sostanzialmente nel nulla l’autonomia dell’ente locale nella scelta della forma di gestione, che venga ritenuta più adeguata allo specifico servizio pubblico ed al contesto territoriale, così come alla situazione che si riscontra nei casi di specie, perché la legge statale indica puntualmente i presupposti e le condizioni al verificarsi delle quali l’ente locale deve organizzare il servizio pubblico di rilevanza economica secondo la modalità stabilita dal legislatore. In particolare, e come si vedrà più avanti, l’ente locale non può autonomamente scegliere se ricorrere alla gestione in house providing, neppure se sono sussistenti le condizioni richieste dal diritto comunitario. Si tratta di una soluzione che peraltro è stata ritenuta conforme a Costituzione perché se ne è ravvisato il fondamento nella finalità di «tutela della concorrenza»6. Peraltro, ci si trova di fronte ad una scelta propria del legislatore interno e niente affatto imposta dal diritto comunitario7.
Si passano di seguito in rassegna talune significative questioni interpretative emerse sul tema dei servizi pubblici locali e delle relative forme di gestione.
Il carattere restrittivo della normativa interna rispetto alle previsioni comunitarie, che invece non priverebbero gli enti locali di autonomi poteri per l’organizzazione dei servizi pubblici, si coglie bene ricordando gli enunciati della Corte di giustizia, che peraltro erano stati già anticipati da una perspicua giurisprudenza amministrativa8: «un’autorità pubblica ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi»9. Si tratta di un principio che trova conferma nei trattati europei (v. ora art. 14 TFUE e relativo prot. n. 26). Comunque, vista la scelta restrittiva del legislatore interno e il vincolo posto agli enti locali quanto ai modi di gestione dei «servizi pubblici locali» con rilevanza economica, ci si potrebbe anche chiedere se la locuzione definitoria sia ancora appropriata dovendosi forse e più semplicemente parlare di «servizi pubblici erogati a livello locale» (sulla base di una disciplina pressoché interamente statale). Del resto, il quesito referendario non riguardava solamente la gestione del servizio idrico integrato, ma quella di tutti i servizi pubblici locali con rilevanza economica quali disciplinati dall’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008, come espressamente rilevato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza sull’ammissibilità del referendum10. Sicché dall’espressione della volontà popolare si poteva ricavare il desiderio che gli enti esponenziali delle collettività locali potessero conservare, fermo il rispetto dei principi comunitari, un adeguato margine di autonomia nell’organizzazione dei servizi pubblici locali; soprattutto perché le soluzioni imposte dal legislatore dell’art. 23 bis e conseguente d.P.R. n. 168/2010, interamente riprodotte nel nuovo art. 4, non rappresentano l’unico modo per migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, per non gravare sulla finanza pubblica e per rilanciare lo sviluppo a fronte della crisi dei mercati finanziari.
La definizione dei contorni del concetto di «servizio pubblico locale di rilevanza economica» di contro a quello «privo di rilevanza economica» sembra abbastanza semplice perché i primi riguardano sostanzialmente le attività di cui all’art. 2082 c.c. (e, per quanto di ragione, art. 2195 c.c.) o, per differenza, ciò che non vi può essere ricompreso. In sostanza occorrerà anzitutto verificare quale sia la modalità tipica o prevista per l’espletamento delle prestazioni del servizio pubblico di volta in volta in questione. Pertanto, saranno privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo. La distinzione di cui si sta parlando può anzitutto derivare da due presupposti, in quanto non solo vi può essere un servizio che ha rilevanza economica o meno in astratto, ma anche uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato nel caso di specie, presenta o non presenta tale rilevanza economica. Esemplificando, vi sono servizi pubblici per i quali la legislazione impone una tariffa economica ed invece servizi pubblici che per essere tali devono necessariamente venire erogati con oneri a totale carico dell’ente locale o sottocosto. Ancora, vi sono servizi pubblici che presentano tipologicamente un carattere neutro e che acquisiscono rilievo economico o meno a seconda del modo e conseguentemente del tipo di organizzazione che l’ente locale ha scelto11.
L’art. 4 del d.l. n. 138/2011 supera il principio dell’art. 113 del t.u.e.l. secondo il quale sono gli enti locali ad assicurare i servizi pubblici locali, concedendoli in gestione a terzi o avvalendosi di propri strumenti organizzativi. Le nuove disposizioni devono essere lette in relazione a quanto prevede il precedente art. 3 dello stesso d.l., del quale si ricorda, in particolare il co. 1: «Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge ... ». Dunque, il legislatore muove da una interpretazione ampia dell’art. 118, ult. co., Cost., presupponendo evidentemente che la sussidiarietà orizzontale ivi contemplata non si riferisca solo al privato sociale ma anche all’iniziativa economica: tutte le volte in cui non sussistono superiori ragioni di interesse pubblico, deve essere consentito il pieno esplicarsi della libera iniziativa economica privata, senza che l’ente territoriale venga ad effettuare interventi indiretti (per la concessione o regolazione del servizio pubblico) ovvero diretti (partecipazione alle imprese di gestione). Pertanto, la stessa e più limitata concorrenza per il mercato (indizione di gare per la concessione o l’affidamento di servizio pubblico) viene vista come ipotesi da superare. Contemplando quale soluzione normale la gestione dei servizi pubblici locali lasciata alla libera iniziativa economica privata, le nuove norme sono ancora più incisive di quelle contenute nell’abrogato co. 14 dell’art. 113 t.u.e.l., ove si prevedeva che i soggetti privati proprietari di reti e impianti impiegati per la gestione dei servizi pubblici potessero essere autorizzati dall’ente locale a gestire i servizi stessi. L’ente locale deve pertanto preliminarmente verificare se il servizio pubblico sia liberalizzabile e cioè se la libera iniziativa economica privata risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. Solo nel caso in cui la verifica sia negativa, l’ente locale può procedere ad organizzare la presenza del servizio pubblico (art. 4, co.1-8). Se la liberalizzazione non è possibile, il legislatore indica quale modo di gestione del servizio pubblico locale il «conferimento» del relativo esercizio, con individuazione dell’attributario mediante procedure competitive ad evidenza pubblica (co. 8). Si tratta dunque di una concessione di servizio pubblico12. Si può notare che le locuzioni «concessione», «affidamento» o «conferimento» del servizio pubblico locale possono oggi ritenersi sinonimi. Nel passato si doveva, invece, preferire la distinzione tra «concessione » e «affidamento», riferendosi la prima – esattamente – all’attribuzione del servizio pubblico a terzi (rispetto all’ente locale) e la seconda all’affidamento ad una struttura espressione dell’ente locale (azienda speciale, società a prevalente capitale pubblico locale). L’affidamento in senso stretto riguardava dunque la cd. gestione diretta da parte dell’ente locale tramite proprie strutture specializzate; oggi, se si vuole ancora utilizzare la locuzione «gestione diretta», essa si può riferire solamente ai casi in cui ricorrano i requisiti, indicati dal diritto comunitario, della gestione in house providing. A proposito dei principi che devono reggere le procedure di gara per l’affidamento in concessione, l’art. 4 applica quanto si ricava dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario 2000/C-121/02, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia13. Una norma generale sulle procedure ad evidenza pubblica per l’attribuzione delle concessioni si rinviene nell’art. 30 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163, il quale presuppone la differenza tra concessioni e appalti e pertanto determina che alle prime non si applicano le normali procedure per l’assegnazione di questi ultimi (salva la volontaria applicazione anche parziale di esse da parte di una Amministrazione che voglia autolimitarsi).
I co. 12 e 16 dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 riguardano la particolare figura della società a partecipazione mista pubblica e privata. Essa è stata prevista per la prima volta in modo organico con il d.P.R. 16.9.1996, n. 533 il quale, pur non formalmente abrogato, si può ritenere riferibile alle sole società miste costituite nel passato, ad esempio per quanto riguarda l’applicazione del periodo transitorio per i gestori esistenti (cfr. il successivo co. 32). Le regole proprie delle nuove società miste da costituire sono quelle stabilite nella Comunicazione interpretativa della Commissione sui partenariati pubblico privati istituzionalizzati (PPPI) 2008/C-91/0214, nonché dalla Corte di giustizia15. E’ molto importante anche la giurisprudenza del giudice amministrativo16. Nella società mista la gara per la scelta del socio privato sostituisce la gara per l’affidamento del servizio; ciò non esclude, ovviamente, che vi possa essere una società con soci pubblici e privati che si sottomette ad una gara integrale per l’affidamento (in questo caso la società non sarà vincolata a seguire le altre regole proprie delle società miste). Il socio privato della società mista è un socio ad tempus perché la sua permanenza nella società è garantita solo per la durata del servizio affidato e le procedure per la sua sostituzione vanno rinnovate alla scadenza del periodo di affidamento. In relazione a ciò, come stabilito dalla lett. c) del co. 12, negli atti di gara dovranno essere previsti criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione. Come ormai acquisito, il socio privato della società mista riveste il ruolo di socio operativo o industriale17. Rimane aperto il problema relativo alla misura percentuale dell’impegno operativo del socio privato, se cioè egli svolga compiti operativi relativi ad una fase del servizio pubblico e/o del tutto proporzionali alla sua partecipazione alla società ovvero se esso sia il gestore integrale del servizio e la società in quanto tale un semplice modulo di coordinamento e cioè una società senza azienda (la quale sarebbe, invece in capo al socio privato).
Il co. 13 dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 rappresenta una delle disposizioni che fanno sorgere maggiori perplessità. Con il referendum popolare del 12-13 giugno 2011, si era manifestata una volontà degli elettori nel senso della possibilità per gli enti locali di ricorrere alle gestioni in house providing con il rispetto dei principi comunitari ma senza ulteriori limitazioni. La nuova norma ha sì eliminato il controllo dell’AGCM sulle deliberazioni degli enti locali intenzionati ad adottare il modello in house providing, ma ha introdotto una soglia assai bassa al superamento della quale il ricorso all’in house non è mai ammesso (se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento è pari o inferiore alla somma complessiva di 900.000 euro annui). Si tratta di una limitazione del tutto assente nel diritto comunitario e che non tiene conto della necessità di verificare concretamente l’adeguatezza delle soluzioni da adottare nei vari casi di specie. Resta aperto il problema del profilo al quale si deve riferire la soglia di valore economico oltre la quale al modello in house providing non si può ricorrere. Nel caso di una società pluriservizi la soglia si riferisce ad ogni singolo servizio pubblico da gestire ovvero al valore complessivo dei servizi gestiti? Inoltre, nel caso di società pluricomunale la soglia si riferisce al valore economico del servizio in ogni singolo Comune servito ovvero all’intero ambito territoriale servito dalla società? Per quanto concerne i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario perché una società possa dirsi in house providing, si ricorda che essi erano riassunti nel testo, oggi abrogato, dell’art. 113, co. 5, lett. c), del t.u.e.l.: «società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano». Si tratta della sintesi delle indicazioni contenute nella giurisprudenza della Corte di giustizia18. Come è noto, la normativa comunitaria invece non disciplina l’in house providing, se non nel Regolamento relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia (n. 1370/2007/CE del 23.10.2007).
Invero, la nuova disciplina generale, modificata a più riprese, è stata affiancata e si applica in combinato disposto con numerose discipline di settore che, tra il 1997 ed il 2006, hanno riguardato: il trasporto pubblico locale, l’accertamento e la riscossione dei tributi e delle entrate locali (ricondotti dal legislatore alla disciplina delle forme di gestione dei servizi pubblici), la distribuzione del gas naturale, il servizio idrico integrato e la gestione dei rifiuti urbani. Ciò per tacere delle numerose leggi regionali dettate per i servizi pubblici locali, anche esse qualificabili come «norme di settore», in conformità alla definizione qualificatoria fornita dalla sentenza C. cost., 27.7.2004, n. 27219. Sul piano della attuale non completezza e della mancata stabilizzazione della normativa, si aggiunga che l’art. 4 del d.l. n. 138/2011 non si applica affatto ad alcuni importanti servizi pubblici gestiti a livello locale, che vengono espressamente sottratti alle nuove disposizioni (la distribuzione di gas naturale, la distribuzione di energia elettrica, le farmacie comunali, il trasporto ferroviario regionale)20. Questa delimitazione di settori nell’applicazione delle nuove norme non è, di per sé, un fattore negativo (perché non sempre è opportuno o utile ricondurre ad un’unica categoria tutti i regimi di diversificate attività che pure presentano alcuni caratteri comuni), ma è tuttavia segno di una indefinizione della disciplina complessiva. Si deve poi considerare che l’art. 4 del d.l. n. 138/2011 è intervenuto senza che sia ancora giunta a completamento la riforma delle autonomie locali nella prospettiva del federalismo fiscale. Insomma ci si trova di fronte ad una disciplina sul ruolo degli enti locali nei servizi pubblici, quando ancora non è definito l’assetto ed il modo di funzionamento degli enti, in particolare per quanto riguarda l’esercizio associato delle funzioni e dei servizi pubblici. La rilevata incompletezza della attuale disciplina di legge sui servizi pubblici locali di rilevanza economica e la conseguente circostanza che non si è ancora pervenuti ad un assetto finale delle riforme, che pure il legislatore insiste a voler introdurre (seppure secondo linee che mutano in brevi lassi di tempo), lascia presagire ulteriori e forse prossimi interventi normativi.
1 Cfr. C. cost., 26.1.2011, n. 24, in www.giustamm.it.
2 Sul tema cfr. Lucarelli, Primissime considerazioni a margine degli artt. 4 e 5 decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 e relativo impatto sui servizi pubblici locali, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2011; Masetti, La nuova (?) disciplina dei servizi pubblici locali dopo il referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011, in www.giustamm.it; Rossi, Ricomporre il quadro normativo delle società di gestione dei servizi pubblici locali. Alla ricerca del filo di Arianna, in www.giustamm.it.
3 Cfr. C. cost., 27.7.2004, n. 272, in www.dirittodeiservizipubblici.it, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 113 bis del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, recante il t.u.e.l.
4 Cfr. C. giust. CE, 17.2.1993, in cause C-159/91 e C-160/91, Poucet, in Foro it., 1994, IV, 113; 17.6.1997, in causa C-70/95, Sodemare, in Riv. dir. pubbl. com., 1998, 683; 25.10.2001, in causa C-475/99, Ambulanz Glöckner, in Raccolta. Peraltro se le prestazioni da parte del gestore sono da esso organizzate come attività economiche non si può parlare di servizi sociali in senso proprio, cfr. Cartei, Servizi sociali e regole di concorrenza, in Riv. dir. pubbl. com., 2007, 627 ss.
5 Per approfondimenti sulle discipline dettate da tali fonti normative, susseguitesi nel tempo, si rinvia a Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in Gabriele (a cura di), Il governo dell’economia tra «crisi dello Stato» e «crisi del mercato », Bari, 2005, 89 ss. nonché Caia, I servizi pubblici locali di rilevanza economica (liberalizzazioni, deregolazione ed adeguamento alla disciplina comunitaria), in Follieri-Iannotta (a cura di), Scritti in ricordo di Francesco Pugliese,Napoli, 2010, 515 ss. Sull’evoluzione, in questi anni, della normativa in materia di servizi pubblici locali v. Cavallo Perin, Il modulo “derogatorio”: in autoproduzione o in house providing; Le regole dell’organizzazione e della gestione, nonché Scotti, I principi informatori dei servizi pubblici locali, entrambi in Bonura-Cassano (a cura di), L’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica. Percorsi e disciplina generale, Torino, 2011, 119 ss. e 3 ss.; De Nictolis, Le riforme dei servizi pubblici locali, in Urb. app., 2008, 1109 ss.; Mastragostino (a cura di), La collaborazione pubblico-privato e l’ordinamento amministrativo. Dinamiche e modelli di partenariato alla luce delle recenti riforme, Torino, 2011; Staiano, I servizi pubblici locali nel decreto-legge n. 138 del 2011. Esigenza di stabile regolazione e conflitto ideologico immaginario, in www.federalismi. it (n. 16/2011); Villata (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali, Torino, 2011; Volpe, Appalti pubblici e servizi pubblici. Dall’art. 23-bis al decreto legge manovra di agosto 2011 attraverso il referendum: l’attuale quadro normativo, in www.giustamm.it.
6 Cfr. da ultimo C. cost. 17.11.2010, n. 325 in www.giustamm.it.
7 Si ricordi, ad esempio, che C. giust. CE, 6.4.2006, in causa C-410/04, Anav, in www.giustamm.it, aveva dichiarato che l’art. 113, co. 5 del t.u.e.l. risultava conforme al diritto comunitario. Le forme di gestione ivi previste erano collocate sullo stesso piano: tutte astrattamente utilizzabili e da scegliersi da parte dell’ente locale in relazione alla maggiore adeguatezza nei casi di specie.
8 Ad esempio, Cons. St., sez. V, 23.4.1998, n. 477, in Urb. app., 1998, 1328, aveva con molta chiarezza affermato che «La tutela comunitaria del mercato non interferisce sino a disconoscere ai singoli apparati istituzionali ogni margine di autonomia organizzativa nell’approntare la produzione e l’offerta dei servizi e delle prestazioni di rispettiva competenza. ...Il ricorso alla produzione privata, disciplinato da regole di salvaguardia della concorrenza, e l’esercizio del potere di organizzazione, sottratto ai vincoli, concorsuali o concorrenziali validi per il ricorso al mercato, costituiscono due schemi distinti che vanno preservati da ogni equivoca commistione».
9 Così C. giust. CE, 10.9.2009, in causa C-573/07, Sea, in Foro amm. - Cons. St., 2009, 2233; negli stessi termini C. giust. CE, 11.1.2005, in causa C-26/03, Stadt Halle, ivi, 2004, 3023; 13.11.2008, in causa C-324/07, Coditel Brabant, ivi, 2008, 2899; 9.6.2009, in causa C-480/06, Commissione c. Repubblica Federale di Germania, ivi, 2009, 1402.
10 C. cost., 26.1.2011, n. 24, in www.giustamm.it.
11 Questi concetti sono efficacemente illustrati dal giudice amministrativo, che parla di insufficienza dell’«astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo o meno» e della maggiore rispondenza di un criterio «relativistico e contestualizzante» che tenga conto delle peculiarità del caso concreto; cfr. Cons. St., sez. V, 10.9.2010, n. 6529, in www.dirittodeiservizipubblici.it.
12 Sull’istituto v. per tutti Severini, L’affidamento dei servizi pubblici locali: caratteri e procedure, in Servizi pubblici e appalti, 2003, 178 ss.
13 La Comunicazione è pubblicata in G.U.C.E. n. C 121/2 del 29.4.2000. Per le indicazioni giurisprudenziali sui principi comunitari da applicare alle concessioni di servizi pubblici, v. C. giust. CE, 21.7.2005, in causa C-231/03, Coname, in Foro amm. - Cons. St., 2005, 2001, nonché C. giust. CE, 6.4.2006 in causa C- 410/04, Anav, cit. 21.7.2005, in causa C-231/03, Coname, in Foro amm - Cons. St., 2005, 2001 nonché 6.4.2006 in causa C-410/04, Anav, cit. Circa la configurazione soggettiva dell’aspirante gestore, la norma fornisce applicazione a C. giust. CE, 18 dicembre 2007, in causa C-357/06, Frigerio Luigi, ivi, 2007, 3348.
14 In G.U.C.E. C 91/4 del 12.4.2008.
15 C. giust. CE, 15.10.2009, in causa C-196/08, Acoset, in Foro amm - Cons. St., 2009, 2211; 6.5.2010, in causa C-145/08, Club Hotel Loutraki, ivi, 2010, 923; 22.12.2010, in causa C-215/09, Mehiläinen Oiy, ivi, 2010, 2589.
16 Cfr. Cons. St., A.P., 3.3.2008, n. 1, in Foro amm. - Cons. St., 2008, 756 e le altre che saranno successivamente citate.
17 Cfr. Cons. St., sez. II, 18.4.2007, n. 456, in Foro it., 2007, III, 611; Cons. St., A.P., 3.3.2008, n. 1, cit .
18 Si ricordano perché significative e riepilogative della precedente giurisprudenza in argomento, le sentenze 9.6.2009, in causa C-480/06, cit. e 10.9.2009, in causa C-537/07, cit.
19 Cit. supra, nota 3.
20 Per un approfondimento dei rapporti fra norme generali e discipline di settore, v. Colombari, La specialità della disciplina amministrativa sulle farmacie comunali, in Dir. amm., 2011, 419 ss. .2.1