Modifiche in materia di orario di lavoro*
La disciplina dell’orario di lavoro viene esaminata alla luce delle novità introdotte dalla legge 4.11.2010, n. 183, con particolare riferimento al regime delle sanzioni.
Il tempo di lavoro si conferma come una materia che non riesce a trovare una sistemazione definitiva nel nostro ordinamento, pur a fronte della emanazione di una disciplina, quale quella contenuta nel d.lgs. 8.4.2003, n. 66, che nutriva la dichiarata ambizione di «dare attuazione organica» (così l’art. 1 d.lgs. cit.) alle varie direttive comunitarie che regolano la materia. Con l’art. 7, co. 1, lett. b), l. 4.11.2010, n. 183 (c.d. «collegato lavoro»), infatti, viene riformato (per la quarta volta in un arco di tempo di soli sette anni) il sistema sanzionatorio posto a presidio delle più importanti disposizioni imperative contenute nel d.lgs. stesso. A dispetto della veste apparentemente marginale con cui si presentano le norme, il provvedimento viene ad incidere profondamente sulla disciplina della durata massima della prestazione lavorativa, nonché del diritto al riposo giornaliero e alle ferie annuali, così da porre in essere una sostanziale delegificazione della materia, posto che le sanzioni che potranno trovare ora applicazione, anche in caso di gravi e ripetute violazioni delle disposizioni di legge, sono così modeste da rendere, per molte delle imprese di maggiori dimensioni, più conveniente il loro mancato rispetto. Non si tratta, invero, di un fulmine a ciel sereno, ma della ultima (e forse estrema) manifestazione di una tendenza all’edulcorazione dei precetti legislativi, manifestatasi dopo la riforma del 2003 anche per iniziativa degli apparati di vigilanza amministrativa preposti alla applicazione di quelle disposizioni1, che in molti casi hanno avallato una interpretazione evolutiva, praeter se non contra legem, che tuttavia si è poi tradotta in successivi provvedimenti legislativi, che hanno così definitivamente consolidato gli orientamenti applicativi che si erano manifestati in quelle sedi.
1.1 Il progressivo sgretolarsi dell’apparato di vigilanza
L’approccio sanzionatorio che l’ordinamento italiano aveva originariamente riservato alla materia del tempo di lavoro, attraverso il R.d.l. n. 692/1923 e i provvedimenti ad esso collegati, prendeva a evidente modello la legislazione francese. Si individuavano delle norme imperative, il cui rispetto veniva imposto ad entrambe le parti del contratto, anche in contrasto alla volontà da loro manifestata; si prevedeva una attività ispettiva diretta ad accertare eventuali violazioni e a sanzionare il datore in conseguenza di esse; si stabilivano oneri di pubblicità (mediante affissione sui luoghi di lavoro) e di comunicazioni all’autorità amministrativa (per esempio in tema di straordinario), così da rendere più agevole la vigilanza circa il rispetto delle norme. A distanza di oltre un secolo, può dirsi che gli anni siano passati senza grandi modifiche per l’ordinamento d’oltralpe. Attualmente, l’art. L. 3171-1 del code du travail impone, infatti, l’affissione nei luoghi di lavoro dell’orario di inizio e fine della prestazione, prevedendo che, quando manchi un orario collettivo identico per tutti i lavoratori, l’imprenditore debba predisporre registri e documenti dai quali risulti per ciascuno dei prestatori l’orario di lavoro e che, in caso di ispezione, tali documenti debbano essere posti a disposizione dell’Ispettorato del lavoro. L’art. L. 3171-4 stabilisce infine che, in caso di controversia, spetti al datore fornire al giudice elementi idonei a dimostrare l’orario effettivamente rispettato dal lavoratore. Le norme ora richiamate incarnano un principio, quale quello della contemporaneità della prestazione di tutti i lavoratori, che risale ai primordi dell’industrializzazione e di cui l’ordinamento francese ritiene di non poter fare a meno, nella consapevolezza che apparirebbe altrimenti impossibile un controllo effettivo da parte dell’autorità amministrativa sulla durata della prestazione, atteso che non vi è sul punto una vera contrapposizione di interessi fra le parti del contratto (il lavoratore, in genere, ottiene comunque una retribuzione più elevata in caso di violazione delle soglie orarie minime). È solo la pubblicità dell’orario, quindi, che rende possibile un effettivo controllo da parte o dei rappresentanti sindacali aziendali (o della stessa collettività dei lavoratori) o dell’autorità di vigilanza. Il nostro legislatore, invece, in nome della semplificazione degli adempimenti amministrativi (e forse di una malintesa valorizzazione dell’autonomia collettiva), sembra oramai aver abbandonato l’approccio più antico, cosicché si ha quasi l’impressione che l’intero sistema di vigilanza sia prossimo ad essere del tutto smantellato, quanto alla vigilanza in tema di durata della prestazione, grazie a norme collocate nell’ambito di provvedimenti omnibus e alla riscrittura, spesso ermetica, delle disposizioni previgenti. E così, prima il d.lgs. n. 66/2003 ha disposto (implicitamente, all’art. 19) l’abrogazione di quella semplice norma (art. 12 del regolamento n. 1955/1923) che, in passato, imponeva l’affissione di una tabella contenente l’indicazione dell’orario sui luoghi di lavoro; poi l’art. 41 d.l. 25.6.2008, n. 112 ha eliminato i pochi obblighi di comunicazione residui che gravavano in capo all’impresa, modificando altresì le sanzioni; ora, il «collegato lavoro», riprendendo il contenuto di quel provvedimento, riduce quasi al nulla le pene applicabili in caso di violazione, depotenziando gravemente il sistema sanzionatorio contenuto nell’art. 18 bis del d.lgs. n. 66/2003. Una simile azione ha coinvolto financo norme di derivazione comunitaria, come l’obbligo di informare l’autorità amministrativa che grava sul datore di lavoro che faccia ricorso regolare al lavoro notturno, di cui all’ormai abrogato art. 12, co. 2, d.lgs. 66/2003, che costituiva invero una precisa trasposizione dell’art. 11 della dir. CE n. 88/2003. In questo senso, non si può omettre di rilevare come il sistema di vigilanza amministrativa costituisca un caposaldo dello strumetario comunitario soprattutto quando vengano in rilievo disposizioni che coinvolgano interessi generali alla sicurezza del lavoro o al rispetto di norme imperative2. Ed anche la Corte di giustizia, chiamata a pronunziarsi per iniziativa di una impresa sull’eventuale effetto discriminatorio conseguente alle annotazioni che nell’ordinamento belga vengono apposte sui libri aziendali in relazione all’orario dei lavoratori part time, ha recentemente riconosciuto, con ordinanza del 7.4.2011 (Dai Cugini NV c. Rijksdienst voor Sociale Zekerheid, in causa C-151/10), che la redazione e la conservazione obbligatoria, a pena di sanzione penale o amministrativa, di documenti che menzionano l’orario esatto delle prestazioni di ciascun lavoratore non configura di per sé un ostacolo amministrativo idoneo a limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale. Viene così confermato, seppure con riguardo ad una direttiva diversa da quella che propriamente contiene la disciplina del tempo di lavoro, che gli obblighi di informazione e comunicazione sono del tutto congruenti al disegno di tutela presupposto dal legislatore europeo, cosicché, proprio al fine di garantire parità di condizioni concorrenziali nel mercato unico, il nostro ordinamento resta vincolato al mantenimento di un sistema di vigilanza amministrativa sulle imprese per quanto attiene al rispetto della disciplina sociale3.
Nell’iniziale testo del d.lgs. n. 66/2003, l’apparato sanzionatorio preesistente veniva lasciato del tutto inalterato, attraverso una disposizione di rinvio contenuta nell’art. 194. Dopo poco più di un anno, attraverso il d.lgs. 19.7.2004, n. 213 veniva però introdotta una nuova disciplina sanzionatoria, grazie all’inserzione di un art. 18 bis5. Le modifiche non si fermavano qui, poiché l’art. 41 d.l. 25.6.2008, n. 1126 (poi convertito, con modifiche, nella l. 6.8.2008, n. 133), nel novellare molte altre previsioni del precedente d.lgs. n. 66/2003, ridefiniva ai co. 8-10 la disciplina delle sanzioni7. L’art. 7 l. n. 183/20108 si colloca nella stessa linea, modificando però solo i co. 3 e 4 dell’art. 18 bis e lasciando, quindi, inalterati, sia i co. 1, 2 e 7 relativi al lavoro notturno, che ancora conservano la lettera del 2004, sia il co. 6, in materia di straordinario, la cui disciplina attuale è conseguente all’intervento del 2008. L’ampia revisione dell’art. 18 bis, attuata dall’art. 41 l. n. 133/2008, è conseguente anche al fatto che la tecnica adottata dal legislatore del 2004 non sempre consentiva una univoca identificazione della fattispecie protetta, poiché le norme sanzionatorie si limitavano a richiamare le disposizioni di legge, raccordando ad ognuna di esse una certa sanzione, senza configurare però l’illecito in termini di fattispecie sostanziale, lasciando così spazio a non pochi dubbi applicativi, specie in relazione alle disposizioni, come tipicamente il co. 3 (ma v. anche il co. 6), che accomunano sotto il profilo sanzionatorio più di una violazione9. Non sembra, invero, come subito si dirà, che il legislatore del 2008 abbia preso insegnamento dal passato, poiché anche nella formulazione attuale manca una precisa individuazione delle fattispecie, con effetti invero paradossali. La parte più rilevante della disposizione del 2010, tuttavia, è quella che riguarda le sanzioni e che ulteriormente modifica le previsioni di cui all’art. 41 d.l. n. 122/2008. Quella disposizione aveva profondamente inciso sulle sanzioni, non tanto ridefinendo i limiti edittali che si riferiscono alle ipotesi di violazione delle disposizioni10, ma soprattutto intervenendo nella determinazione degli elementi della fattispecie vietata in tema di durata massima della prestazione e di ferie annuali. La formula introdotta dal d.lgs. n. 213/2004, infatti, prevedeva che la sanzione amministrativa sarebbe stata applicata «per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione» e, dunque, per ogni singola infrazione. Dopo la riscrittura del 2008, al contrario, la norma stabilisce ora che la sanzione amministrativa trovi applicazione «per ogni lavoratore, per ciascun periodo di riferimento … a cui si riferisca la violazione ». La differenza è enorme: mentre in passato per «periodo» si doveva intendere la singola giornata di lavoro, cosicché, in caso di reiterate violazioni, la sanzione avrebbe raggiunto un importo multiplo delle violazioni11, dopo il 2008 la sanzione viene ad essere applicata in relazione alla durata del «periodo di riferimento», cosicché, con riguardo ad esempio alla durata massima settimanale della prestazione, essa, pur in caso di macroscopiche e protratte violazioni dell’orario, potrà ascendere, nel corso di un anno, sino a non più di tre volte il massimo edittale (posto che, essendo la durata minima del periodo di riferimento, di cui all’art. 4, quadrimestrale, non potranno sussistere più di tre periodi sanzionabili in un anno). La disposizione ora esaminata, che riprende una indicazione che già proveniva dal Ministero attraverso una risposta ad interpello12, lasciava però nell’incertezza le violazioni relative al diritto al riposo settimanale di 24 ore ininterrotte, di cui all’art. 9, co. 1, d.lgs. n. 66/200313, e al diritto alle ferie annue, di cui all’art. 10 d.lgs. cit., poiché, in nessuno dei due casi, il «periodo di riferimento», in relazione al quale verificare la sussistenza di un illecito, sarebbe potuto essere quello di cui all’art. 4, come pure la norma disponeva, essendo tali diritti collegati ad uno specifico periodo di riferimento (di sette, ed ora 14, giorni, per il riposo settimanale, ovvero di durata annuale – o anche pari a 18 mesi – per il diritto al godimento delle ferie). La norma del 2010 interviene così, per un verso, a razionalizzare le precedenti previsioni e, per un altro, ad ammorbidire ulteriormente il rigore sanzionatorio del legislatore, anche a correzione dei differenti e più severi esiti che si andavano consolidando, nella giurisprudenza, con riguardo alla formulazione precedente14.
2.1 Le modifiche del 2010 al regime delle sanzioni: le fattispecie
L’art. 7 del «collegato lavoro», dunque, prevede la integrale sostituzione dei commi 3 e 4 dell’art. 18 bis del d.lgs. n. 66/2003, che disciplinano le sanzioni conseguenti alle violazioni relative ai precetti (art. 18 bis, co. 3, d. lgs. n 66/2003) di cui agli artt. 4 (durata massima settimanale media), 9 (riposo settimanale) e 10 (ferie annuali), nonché dell’obbligo di rispettare un intervallo di undici ore fra una prestazione ed un’altra (artt. 7 e 18 bis, co. 4, d. lgs. n. 66/2003). Si è detto nel paragrafo precedente come l’intervento del 2008, riunendo in un’unica disposizione più ipotesi, ne rendeva difficile l’individuazione15 e parimenti si è accennato al fatto che anche la correzione del 2010 non risolve del tutto il difetto anzidetto, pur eliminando il riferimento contenuto in coda al co. 3, a «ciascun periodo di riferimento di cui all’art. 4, co. 3 o 4», che appariva come del tutto incomprensibile in relazione alla violazione degli artt. 9 e 10 del decreto, pure richiamate in quella disposizione sanzionatorie. Il co. 3 dell’art. 18 bis, prevede oggi che: «in caso di violazione delle disposizioni previste dall’articolo 4, comma 2, e dall’articolo 9, co. 1, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 750 euro». Nell’ambito dello stesso comma viene peraltro scorporato il richiamo all’art. 10, di modo che il terzo alinea si indirizza ora a sanzionare tre diverse violazioni, attraverso due blocchi semantici. Tuttavia, poiché dalla norma in tema di durata settimanale massima della prestazione è stato espunto il rinvio ai co. 3 e 4 dello stesso art. 4, che – per l’appunto – consentono di considerare la soglia prevista al co. 2 (il solo che sia richiamato nella disposizione sanzionatoria) anche come un valore medio, da riferire a periodi di 4, 6 e 12 mesi, è solo grazie ad una interpretazione sistematica che si può oggi escludere l’applicazione della sanzione anche ai casi di flessibilizzazione dell’orario su base pluri-settimanale, atteso che, a ragionare diversamente, si giungerebbe al risultato di una contraddizione evidente fra la disciplina sostanziale e quella sanzionatoria16.
Le modifiche del 2010 interessano marginalmente i limiti edittali e riguardano soprattutto le ipotesi di violazioni plurime, che vengono regolate separatamente per il caso sia di reiterazione della violazione, sia di coinvolgimento di più lavoratori. Si tratta, lo si ripete, di un aggiustamento inteso a rendere meno rigoroso il sistema sanzionatorio per i contravventori, poiché i limiti massimi ora previsti sono ben inferiori a quelli che, nel vigore della vigente previsione, avrebbero potuto trovare applicazione in caso di una ampia pluralità di infrazioni. Infatti, dopo aver enunziato le sanzioni per le ipotesi di violazione dell’art. 4 e dell’art. 9 d.lgs. 66/2003 il legislatore prevede ora che: «se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno tre periodi di riferimento di cui all’articolo 4, co. 3 o 4, la sanzione amministrativa è da 400 a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno cinque periodi di riferimento di cui all’articolo 4, commi 3 o 4, la sanzione amministrativa è da 1.000 a 5.000 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta». Analoga tecnica sanzionatorie si adotta per la violazione dell’art. 10, in tema di ferie, e per il mancato rispetto dell’intervallo di 11 ore di cui all’art. 7 d.lgs. n. 66/2003 (co. 4 dell’art. 18 bis). Un esempio può valere a chiarire perché si afferma che l’attuale disciplina della recidiva, o della continuazione, contiene disposizioni di favore in caso di violazioni plurime e prolungate: il co. 4 dell’art. 18 bis prevede ora, in caso di violazione dell’art. 7 (id est mancata concessione del riposo giornaliero), l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 150 euro. Se però la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno tre periodi di ventiquattro ore, la sanzione amministrativa è da 300 a 1.000 euro (e i limiti sono innalzati sino ad un massimo di 1.500 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori). È evidente come solo in alcuni casi le sanzioni amministrative aggravate sono superiori a quelle che troverebbero applicazione in assenza di una disposizione specifica, mentre nei casi in cui sia coinvolto un numero assai elevato di lavoratori, lo «sconto» che il legislatore pratica all’impresa è quanto mai elevato. Infatti, la sanzione massima (1.500 euro) equivale a quella che altrimenti troverebbe applicazione in caso di violazione che riguarda contemporaneamente più di trenta soggetti, anche in caso di semplice applicazione dei minimi. Ed è anche evidente come nei maggiori complessi industriali e commerciali siano spesso occupati ben più di trenta dipendenti, di modo che per tali casi la nuova previsione viene ad introdurre un regime assai più vantaggioso di quello passato17. In questo senso, la norma appare contraria a non poche disposizioni costituzionali, sia lì dove sembra ledere il principio di ragionevolezza (art. 3), punendo meno severamente le ipotesi più gravi18, sia lì dove non scoraggia una condotta di, sia pur tardiva, ottemperanza del trasgressore (art. 36), applicando la stessa sanzione a più violazioni, successivamente perpetrate nel medesimo periodo di riferimento e, dunque, implicitamente spingendo alla reiterazione della violazione. Né al riguardo appare legittimo invocare il principio del cumulo giuridico di cui all’art. 8 della legge di depenalizzazione degli illeciti (n. 689/1981), per l’evidente ragione che, come ha evidenziato la giurisprudenza, «il diritto al riposo giornaliero e settimanale è riconosciuto individualmente a ciascuno »19. In questo modo non si può negare che le disposizioni del 2010 finiscono per depotenziare quasi ogni capacità dissuasiva delle norme che impongono tetti massimi quanto alla durata della prestazione giornaliera, settimanale media ed annuale, tanto da far dubitare della corretta trasposizione della direttiva europea che disciplina la materia, per contrasto con il principio di effettività della tutela. Insomma, come sempre più spesso avviene, l’intero provvedimento normativo, lungi dal denotare un carattere sistematico, appare dettato dall’esigenza di risolvere attraverso l’intervento del Parlamento stesso le aporie che la prassi applicativa fa nascere20, così sovvertendo radicalmente il rapporto fra fonti di legge e ruolo della giurisprudenza, secondo un modello di legislazione provvedimentale, che mal si concilia con le previsioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e con ogni più elementare senso di giustizia21.
* Legge 12.11.2011, n. 183. Novità in tema di part-time. Mentre la presente opera era in bozze è stata approvata la legge di stabilità per l’anno 2012, che contiene alcune disposizioni specifiche relative alla disciplina del lavoro a tempo parziale. In particolare l’art. 22, co. 4 abroga le modifiche introdotte a riguardo dalla l. n. 247/2007, di modo che riacquista efficacia il testo di cui all’art. 3, co. 7 e 8 del d. lgs. n. 61/2000, in tema di clausole elastiche e flessibili. Parimenti viene modificato l’art. 5, co. 1, d.lgs. n. 61/2000 di modo che, per la trasformazione del rapporto da tempo pieno in tempo parziale, è ora sufficiente un accordo scritto fra le parti, senza che sia più necessaria la convalida della Direzione provinciale del lavoro.
1 Per analoghe ipotesi, nelle quali indirizzi amministrativi poco rigorosi hanno trovato poi avallo in successive modifiche di legge, rinvio al mio Nuove modifiche alla disciplina dell’orario di lavoro, in Magnani-Pandolfo- Varesi (a cura di), Previdenza, mercato del lavoro, competitività, Torino, 2008, 422 ss., ove si richiama, ad esempio, la risposta ad interpello n. 2 dell’11.2.2008, in tema di riposo settimanale, e analogo provvedimento del 9.11.2006, in tema di lavoratori mobili. Per ulteriori riferimenti al provveddimento inibitorio di cui all’art. 14 d.lgs. n. 81/2008, v. Pascucci, 3 agosto 2007- 3 agosto 2009. Due anni di attività legislativa per la salute e la scurezza dei lavoratori, Fano, 2011, 127 ss.
2 V. ad es. gli artt. 9, lett. d), 11.6 e 13, lett. e) della dir. CE 89/391 e punti 7.1 e 10 della dir. CE 92/85; a riguardo v. altresì le conv. OIL n. 81 del luglio 1947, ratificata con l. 2.8.1952, n. 1305 e la conv. n. 129 dell’aprile 1981, ratificata con l. 10.4.1981, n. 157, sulla ispezione del lavoro, rispettivamente nell’industria e commercio e nell’agricoltura.
3 Non si può peraltro fare a meno di notare l’apparente contraddizione che si registra fra l’iniziativa di sviluppo del sistema di controlli amministrativi, di cui al d.lgs. n. 124/2003, e la parallela attenuazione delle sanzioni amministrative in tema di orario.
4 Bernardo, Disposizioni transitorie ed abrogazioni, in Cester-Mattarolo-Tremolada (a cura di), La nuova disciplina dell’orario di lavoro, cit., 590 ss.
5 Ferrante, Commento al 18 bis, in Napoli (a cura di), L’orario di lavoro tra ordinamento interno e disciplina comunitaria, in Nuove leggi civ., 6, 2004, 1418 ss.; Lella, Disciplina transitoria, abrogazioni, sistema sanzionatorie, in Leccese (a cura di), L’orario di lavoro, cit., 513 ss.; Pennesi, La nuova disciplina sanzionatorie in materia di orario di lavoro, in, Orari e tempi di lavoro: le nuove regole, cit., 197.
6 Si tratta di un provvedimento omnibus, intitolato: «disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria».
7 Per un commento a quelle disposizioni, oltre alla mia Nuove modifiche, cit., v. Bellomo, Orario di lavoro: le modifiche introdotte dalla legge n. 133 del 2008 e le prospettive di riforma della normativa europea, in Mass. giur. lav., 2008, XI, 830 ss.; Gazzetta, Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro, in Miscione, Garofalo (a cura di), Commentario alla legge n. 133/2008, Milano, 2009, 559 ss.; Lella, Orario di lavoro: il nuovo apparato sanzionatorio, inDir. e prat. lav., 2008, 2137 ss.; Corvino-Rausei, Il nuovo regime sanzionatorio in materia di orario di lavoro, in Tiraboschi (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, Milano, 2009, 291 ss.
8 A riguardo v. Mattarolo, Modifiche alla disciplina dell’orario nel Collegato lavoro 2010, in Lav. giur., 2011, 49 ss.
9V. ad esempio la risposta ad interpello n. 56 del 10.7.2009.
10 V. ad esempio l’art. 41, co. 9, l. n. 133/2008, che riduce le sanzioni per quanto attiene alle ipotesi di mancata concessione dell’intervallo di riposo di 11 ore.
11 Come già ho altrove sostenuto (Commento all’art. 18 bis, cit., 1423), si deve ritenere, a motivo della formulazione indifferenziata utilizzata dal legislatore, che la norma intenda colpire sia il mancato godimento delle ferie da parte del lavoratore (o il godimento di ferie in misura inferiore al minimo stabilito dall’art. 10, d.lgs. n. 66/2003), sia l’ipotesi in cui, pur essendo state concesse le ferie nella misura dovuta, non siano state comunque retribuite.
12 É la risposta n. 2 dell’11.2.2008, facilmente rinvenibile al sito www.dplmodena.it, o a quello del Ministero.
13 Si noti, peraltro, che il testo del d.l. n. 112/2008 reca un riferimento, poi corretto in sede di conversione, al co. 3, in luogo del co. 1.
14 Trib. Milano, 26.11.2009, n. 4958 (est. Beccarini), in Dir. rel. ind., 2010, 1148 (con nota Messineo), anche al sito www.dplmodena.it, nonché la pronunzia n. 3219/2009 dello stesso Tribunale (est. Sala), richiamata nella motivazione della stessa sentenza.
15 Per un esempio della indeterminatezza che connota le previsioni del legislatore rinvio alla nota 13.
16 Analogamente, Mattarolo, Modifiche alla disciplina dell’orario, cit., 51.
17 A conferma di quanto si espone nel testo circa l’attenuarsi dell’effetto deterrente della norma, si tenga conto che la sentenza n. 495, cit. applicando i minimi edittali del tempo (ridotti rispetto a quelli attuali), arrivava a condannare il convenuto al pagamento di euro 71.449,00 a titolo di sanzione amministrativa, mentre oggi, a fronte di una violazione analoga (mancata concessione del riposo giornaliero e settimanale ad una ampia pluralità di lavoratori), non si supererebbe probabilmente l’importo di 6.500,00 euro.
18 Per una fattispecie che presenta una qualche analogia, v. C. cost. n. 236/1987.
19 Così la sent. Trib. Milano, 4958, cit.; ammette, seppure in limitate ipotesi l’applicazione della norma in tema di cumulo Mattarolo, Modifiche alla disciplina, cit., 52.
20 L’impressione è vieppiù rafforzata dalle norme di cui al co. 2 dell’art. 7 della legge stessa, che vengono a consolidare gli effetti di una delle tante ipotesi di deroga pattizia alle norme europee, abrogando la previsione che richiedeva un intervento ministeriale di approvazione e così di fatto aggirando quanto ritenuto, in relazione ad un accordo «separato », da parte della giurisprudenza amministrativa. V. TAR Liguria, 2.4.2007, n. 722, in Lav. giur., 2007, con nota di Gazzetta; nello stesso senso v. altresì l’opinione dell’Autore da ultimo cit.
21 A riguardo, v. Massa, Contro la norma «antiprecari», limiti costituzionali e internazionali alla legislazione retroattiva in materia lavoristica, in Riv. giur. lav., 2009, I, 101 ss. ed ivi ultimi ampi riferimenti alla questione.