Modifiche processuali inerenti la vittima del reato
La crescente attenzione del diritto sovranazionale alla tutela delle vittime dei reati ha condotto alla creazione di un nuovo istituto di cooperazione giudiziaria, che presenta diverse peculiarità sia rispetto ai meccanismi tradizionali sia rispetto a quelli di conio recente: una misura protettiva penale “europea” emessa dall’autorità di un paese dell’Unione ma suscettibile di avere effetto anche nel territorio di uno stato diverso, tradotta in un provvedimento cautelare interno.
Il d.lgs 11.2.2015, n. 9 attua nel nostro ordinamento la direttiva n. 2011/99/UE sul reciproco riconoscimento degli effetti di misure di protezione in materia penale, che segna un altro passo avanti nella tutela “europea” delle vittime di reati, disegnata nel “programma di Stoccolma”. Scopo della direttiva è quello di rafforzare la tutela dei diritti delle vittime nel caso in cui queste si trasferiscano al di fuori del territorio nazionale.
Grazie al nuovo strumento, quando la persona offesa da condotte illecite oggetto di un procedimento penale, già titolare di una tutela giudiziaria contro il pericolo di ulteriori lesioni, abbia necessità di spostarsi anche temporaneamente dal paese d’origine, essa non deve rinunciare alla protezione attivata, ma può ottenere una tutela analoga nell’altro paese dell’Unione, chiedendo l’emissione di un ordine di protezione europeo (OPE).
La direttiva vuole che la tutela sia “trasferibile” attraverso procedure non complicate, e senza che «la persona protetta debba avviare un nuovo procedimento o fornire nuovamente prove nello Stato di esecuzione», cosicché le esigenze di protezione non siano di ostacolo alla libera circolazione nello spazio europeo. Sono “esportabili” le decisioni cautelari emesse da organi giudiziari in materia penale, con le quali si applichino divieti o restrizioni a tutela di una determinata persona contro «atti di rilevanza penale»1. Viene in considerazione soprattutto il fenomeno della violenza di genere (segnatamente, dello stalking) ma possono beneficiarne le vittime di qualsiasi reato ad evento “predatorio”.
La competenza appartiene alle autorità giurisdizionali nazionali, mentre all’autorità amministrativa spetta solo ricevere e trasmettere gli atti: una procedura tecnico-giudiziaria, che supera lo schema ormai desueto della doppia determinazione (giurisdizionale e politico-amministrativa), e si fonda sul mutuo riconoscimento delle decisioni e sul “dialogo diretto” tra i giudici, come per il mandato d’arresto europeo; quanto a funzionamento, però, il meccanismo cooperativo somiglia piuttosto al riconoscimento delle sentenze straniere2.
A differenza di quanto accade per strumenti similari, non è previsto un riconoscimento diretto della misura adottata nello Stato di emissione, ma un meccanismo “mediato”3: l’autorità dello Stato che riceve l’ordine, valutato il riconoscimento, adotta un provvedimento il piî possibile corrispondente alla misura adottata dallo Stato di emissione; con un certo margine di apprezzamento, non dovendo trattarsi di tutela coincidente (sarebbe impossibile, date le differenze nazionali quanto alle misure protettive e alle procedure di adozione).
D’altro canto, la particolarità di questo tipo di misure rende impossibile trasferire la protezione apprestata nello Stato di emissione senza un provvedimento che la adegui alla diversa situazione di fatto esistente nello Stato di soggiorno4.
Si prevede un’apposita disciplina sia per l’ipotesi in cui lo strumento sia emesso da un’autorità italiana, con riconoscimento di altro Stato membro, sia per il caso in cui sia il nostro paese a dovervi dare attuazione.
2.1 La procedura attiva
Secondo la direttiva, l’adozione dell’OPE presuppone l’emissione di un provvedimento coercitivo di fonte interna che abbia imposto certe forme di restrizione a tutela di una persona determinata (divieto o limitazione dei contatti e dell’avvicinamento): il decreto legislativo lo condiziona alla previa adozione di un «divieto di avvicinamento» o di un «obbligo di allontanamento dalla casa familiare» (artt. 282 bis e 282 ter c.p.p.).
L’autorità di pubblica sicurezza, in occasione della comunicazione dei provvedimenti alla persona offesa dal reato, avvisa la stessa della facoltà di richiedere l’emissione dell’ordine (art. 282 quater c.p.p.). Il giudice interviene solo su istanza dell’offeso che chiede protezione: in questo la tutela “europea” si differenzia da quella interna, assicurando prevalenza alle valutazioni della vittima del presunto reato, che potrebbe ritenere preferibile non ricorrervi. Ancorché la disposizione interpolata preveda che sia avvisato l’offeso, legittimato alla richiesta è piî ampiamente la “persona protetta”, compresi, per quanto riguarda la nostra normativa, “prossimi congiunti” dell’offeso e, nel caso del divieto di avvicinamento, le persone con questa conviventi o comunque legate da «relazione affettiva»; insomma, la “vittima del reato” secondo la nozione europea.
La richiesta va proposta al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare. Il riferimento normativo al «giudice che dispone» le misure dovrebbe radicare la competenza in tale organo pur quando, per il progredire del procedimento, esso sia ormai privo della competenza funzionale de libertate: può accadere che, applicata la misura, la persona protetta abbia necessità di spostarsi dopo un certo tempo, durante il quale il procedimento progredisce di fase. In realtà, la norma va riferita al «giudice che procede» (art. 279 c.p.p.) al momento della richiesta di emissione dell’ordine, ossia quello che ha la materiale disponibilità degli atti processuali; del resto, l’adozione del provvedimento richiede informazioni disponibili solo all’organo che è in possesso del fascicolo5.
Il richiedente deve indicare lo Stato in cui soggiorna o intende soggiornare, oltre alla durata e alle ragioni del trasferimento. Anche se l’ultima precisazione non era contemplata dalla direttiva, la previsione risulta comunque conforme, visto che tra i criteri da vagliare ai fini dell’emissione dell’OPE figura «il grado di necessità della protezione»: si tratta di valutazioni che attengono al doveroso controllo di proporzionalità nell’impiego dello strumento di cooperazione giudiziaria (cfr. art. 5 TUE).Ancorché non prevista dal decreto (ma solo dalla direttiva), la possibilità di presentare la richiesta all’autorità competente dello Stato d’esecuzione, con successiva trasmissione d’ufficio allo Stato di emissione: dovrebbe considerarsi ammessa, ove, doverosamente, si interpreti il decreto legislativo in modo conforme alla norma europea.
Se accoglie la richiesta, il giudice emette un’ordinanza, in conformità ad un “modello”, allegato alla direttiva. La necessità di un formulario comune risponde alle logiche del mutuo riconoscimento, garantendo l’applicazione uniforme della procedura in tutti gli stati dell’Unione.
Il nuovo strumento di cooperazione sollecita una riflessione su un profilo controverso delle nostre cautele ex artt. 282 bis e ter c.p.p., “costruite” dal giudice in base alle specificità del caso concreto: questa elasticità impone particolare accortezza in sede di confezionamento della misura, così da compensare la scarna tipizzazione legale dei contenuti e salvaguardare la “legalità” della restrizione. La giurisprudenza di legittimità ha talvolta ritenuto indispensabile l’individuazione specifica dei luoghi vietati6, altre volte sufficiente il riferimento a «tutti i luoghi abitualmente frequentati dall’offeso»7. La direttiva, nel definire il contenuto delle misure-presupposto dell’ordine di protezione, richiede la stessa “specificità” nell’individuazione dei luoghi interdetti. Ciò che, da un lato, fa apparire la normativa del codice a tutti gli effetti compatibile con quella europea e, dall’altro, conferma la valenza garantistica della precisa determinazione giudiziale della restrizione.
Va notato che la scarsa determinatezza nuoce alla proiezione all’estero del titolo cautelare il quale, a causa della sua genericità, potrebbe non consentire al giudice di emettere un OPE rispettoso delle indicazioni europee (nel modello della direttiva «si prega di indicare con esattezza per quali località, luoghi o zone definite vige il divieto di frequentazione imposto alla persona che determina il pericolo»). ove fosse ugualmente attivato il procedimento di cooperazione, il giudice dello Stato d’esecuzione sarebbe costretto a chiedere l’integrazione del titolo restrittivo, che altrimenti si esporrebbe al rischio del mancato riconoscimento in quegli Stati che (come l’Italia) abbiano introdotto un motivo di rifiuto per gli ordini di protezione incompleti rispetto al modello.
Questo dovrebbe suggerire alla nostra giurisprudenza un’interpretazione delle norme interne che le armonizzi a quelle europee. C’è da augurarsi che il nuovo strumento di cooperazione inneschi un circolo virtuoso, portando ad una piî attenta conformazione delle restrizioni cautelari in questione.
Il provvedimento che nega l’emissione dell’ordine è ricorribile in Cassazione «anche per il merito», secondo le medesime regole previste per decisioni sulla consegna della persona raggiunta da mandato d’arresto europeo. Si applica l’art. 22 l. 22.4.2005, n. 69, salvo che per l’effetto sospensivo dell’impugnazione, in ragione della specificità della materia8.
2.2 La procedura passiva
Quanto all’esecuzione dell’ordine emesso dall’autorità di un altro Stato membro, la competenza spetta alla Corte d’appello nel cui distretto la persona protetta ha dichiarato di soggiornare o risiedere, o di avere intenzione di trasferirsi. La decisione è assunta entro dieci giorni senza formalità, e dunque senza contraddittorio con gli interessati (in caso di informazioni incomplete, la Corte può richiedere integrazioni).
Se l’ordine viene riconosciuto, la Corte applica una delle nostre misure di cui agli artt. 282 bis e ter c.p.p.: si noti che in questi casi il provvedimento coercitivo non sottende le “ordinarie” valutazioni che il giudice compie in ordine ai presupposti di legittimità dell’intervento restrittivo (indizi, pericolo cautelare, adeguatezza del vincolo) per le quali il sistema si affida a quelle effettuate dal giudice dello Stato di emissione.
questo provvedimento ha un regime di validità ed efficacia del tutto particolare, per il suo condizionamento alla misura adottata nello Stato di emissione e posta alla base dell’OPE. La Corte d’Appello può modificare il contenuto del provvedimento ove quelle vengano modificate (e solo in quel caso); deve farlo ove le stesse vengano annullate o revocate, o modificate in modo da non coincidere piî con le prescrizioni di cui agli artt. 282 bis e 282 ter del nostro codice. Inoltre, la Corte deve dichiarare cessati gli effetti del riconoscimento e «interrompere la protezione» in presenza di alcune circostanze indicative di “cessato pericolo” (l’allontanamento dal territorio nazionale della persona protetta, l’esecuzione di una misura detentiva a carico della persona pericolosa) e in caso di superamento dei termini di durata che, in relazione ai reati da cui è scaturito l’OPE, riqualificati secondo la normativa nazionale, sono stabiliti dal nostro art. 308 c.p.p. per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare.
Si può dire che le misure disposte in base all’OPE, rappresentando una proiezione degli effetti di quelle adottate dal giudice dello Stato di emissione, sono “governate” da quest’ultimo: l’autorità giudiziaria italiana, una volta riconosciuto l’OPE, si limita a prendere atto delle determinazioni assunte da quel giudice, senza poter sindacare il merito dell’iniziativa cautelare e interviene solo nei casi eccezionali prima accennati. Come se fosse, appunto, organo meramente esecutivo del provvedimento giudiziario dello Stato d’emissione, con compiti di sorveglianza (sulla falsariga di quanto accade nell’istituto, di prossima attuazione, del riconoscimento di misure alternative alla detenzione cautelare: cfr. infra, nota 2).
quest’ultima caratteristica, legata alla logica del mutuo riconoscimento e della fiducia reciproca tra ordinamenti, si riverbera piî in generale sull’applicabilità ai provvedimenti de quibus delle nostre regole codicistiche in tema di misure cautelari e sulle possibilità di difesa consentite alla “persona che genera il pericolo”.
Il prevenuto può contrastare le ragioni del riconoscimento attraverso il ricorso per cassazione, «anche per il merito» ex art. 22 l. n. 69/2005. Ma in caso di riconoscimento, una volta emesso il provvedimento restrittivo, questi può contestare la permanenza del bisogno cautelare, o l’adeguatezza delle restrizioni, solo rivolgendosi al giudice che ha la “responsabilità” della misura, quello dello Stato di emissione dell’OPE. A tacer d’altro, la Corte non dispone degli atti del procedimento penale in seno al quale è stata disposta la protezione, ma delle sole informazioni fornite dal modulo.
All’autorità giudiziaria nazionale il prevenuto può soltanto sollecitare la modifica della restrizione, ove ciò sia stato disposto dal giudice dello Stato di emissione, o la dichiarazione della “cessazione d’efficacia” del riconoscimento in presenza delle ipotesi normativamente contemplate (a fronte del diniego, può proporre ricorso per cassazione, anche nel merito).
Secondo la medesima logica, sono inapplicabili davanti al giudice nazionale le norme sull’interrogatorio di garanzia e gli istituti collegati a tale adempimento: la ratio di tali incombenti – che è tipicamente quella di assicurare alla persona in vinculis un tempestivo contatto col giudice – va assolta infatti nella procedura applicativa della misura cautelare che, nello Stato di emissione, ha condotto all’OPE.
Contro la decisione sul riconoscimento è esperibile ricorso per cassazione, anche per il merito, secondo le regole previste per il MAE. Per quanto riguarda invece il provvedimento cautelare emesso in esecuzione dell’OPE, non sono applicabili le impugnazioni previste dal codice per i corrispondenti provvedimenti applicati nel corso di un procedimento penale “interno”. Come per il mandato d’arresto europeo, il regime dei controlli sulle misure esecutive dell’ordine di protezione è tutto nella disposizione speciale che prevede il ricorso per cassazione anche per il merito.
2.3 La trasgressione delle misure di protezione
Anche in caso di trasgressione della misura adottata dal giudice italiano, le determinazioni conseguenti spettano all’autorità competente dello Stato d’emissione: se la persona che genera il pericolo viola le prescrizioni la Corte d’appello puí applicare una misura coercitiva più grave rispetto a quelle applicate, che in tal caso interviene (ma eccezionalmente, e solo evitare pericoli imminenti) sulla tutela apprestata dal giudice che ha emesso l’OPE.
L’aggravamento ha gli effetti brevi propri degli interventi urgenti, affidati ad un organo diverso da quello “naturalmente” competente. Per non interferire con le valutazioni dell’autorità dello Stato emittente, cui sola spetta valutare le modalità di reazione alla violazione dell’ordine di protezione, la misura piî grave applicata dalla Corte perde efficacia dopo trenta giorni (o prima, non appena l’altro giudice abbia provveduto).
Si noti che, in questo caso, la Corte non si limita ad eseguire il titolo europeo, ma esercita pleno iure ï sebbene in via d’urgenza ï un potere coercitivo, valutando il grado e la consistenza del bisogno di una misura restrittiva piî severa. Ecco perché a questo provvedimento si applicano, pur se nei limiti della compatibilità, le nostre regole codicistiche in materia di misure cautelari personali. Tra queste è menzionato l’interrogatorio di garanzia: la precisazione è utile, in quanto la giurisprudenza ne esclude la necessità in tutte le ipotesi di aggravamento conseguente a trasgressione9. A prescindere dalla opinabilità dell’assunto, la differente indicazione normativa sembra qui comunque giustificata dalla peculiarità del caso.
Il legislatore ha riprodotto la disciplina dell’art. 276 c.p.p. per le violazioni delle misure cautelari, così prevedendo – poco ragionevolmente – la possibilità di applicare un tipo di misura piî grave e non anche quella di inasprire la misura in corso (nel nostro caso si potrebbero moltiplicare i luoghi interdetti, o aumentare le “distanze di sicurezza”), né quella di aggiungere alla misura originaria una ulteriore ma non “piî grave” (una presentazione periodica alla polizia, o una misura interdittiva)10.
La direttiva pretende che, prima che sia emesso l’ordine, venga garantita alla persona che determina il pericolo la possibilità di essere ascoltata e di contestare la misura, «se questi diritti non sono stati concessi nel procedimento che ha portato all’adozione» della stessa (art. 6, § 4). La regola mira a contemperare le esigenze di protezione della persona in pericolo e i diritti garantiti al prevenuto, ed evitare che, per la rapidità del meccanismo di cooperazione, quest’ultimo si trovi destinatario del titolo restrittivo europeo senza aver avuto modo di contestare la misura protettiva originaria davanti al giudice che l’ha applicata (e che ha dunque “deciso” la questione cautelare). Il mancato ascolto, in questo caso, non è “compensato” dal contraddittorio consentito nella procedura cautelare esecutiva dell’OPE, perché le valutazioni sulla necessità e proporzionalità della restrizione sono e restano del giudice dello Stato di emissione.
Il nostro legislatore, però, a differenza di quello di altri Stati, non ha previsto alcuna forma di contraddittorio in sede di emissione dell’ordine, neppure in via sussidiaria (ossia per il caso in cui il prevenuto non abbia avuto modo di farsi ascoltare durante la procedura cautelare interna). Ciò può creare qualche problema di rispetto della normativa europea nelle ipotesi in cui, ad es., l’emissione dell’OPE venga richiesta contestualmente o a breve distanza dall’applicazione della misura cautelare, in pendenza dei termini di espletamento dell’interrogatorio di garanzia, e questo non si sia ancora svolto. In relazione a simili ipotesi, l’attuazione della direttiva sembra effettivamente carente; in ogni caso, l’obbligo di interpretare la normativa interna in modo conforme alla direttiva dovrebbe condurre il giudice a ritardare, in casi del genere, l’emissione dell’OPE, fino all’espletamento dell’interrogatorio11.
Un problema di imperfetta attuazione della direttiva potrebbe evidenziarsi anche sul versante passivo, visto che il mancato ascolto della persona pericolosa non figura nel decreto tra le condizioni che ostano al riconoscimento dell’ordine di protezione. È ipotizzabile il caso in cui nello Stato di emissione la persona che genera il pericolo non abbia avuto la possibilità di essere ascoltata nella procedura cautelare (pensiamo ad un sistema in cui il contraddittorio sia assicurato solo con l’impugnazione, e al caso in cui l’OPE sia emesso prima di tale occasione difensiva). Per questa parte, la normativa di recepimento potrebbe ritenersi carente rispetto a quella recepita, salvo che questa si intenda direttamente applicabile12.
Anche in questo caso può soccorrere un’interpretazione “conforme” della normativa interna, in base alla quale la Corte d’appello riconosca l’OPE solo ove risulti che la persona in vinculis ha avuto modo di contestare la misura originaria, e non prima che tale possibilità sia stata concretamente offerta, considerando tale circostanza condizione di legittimità del titolo restrittivo europeo (giusto il citato art. 6, § 4 della direttiva). ove questo dato non emerga, la Corte dovrebbe considerare incomplete le informazioni fornite dalle autorità dello Stato emittente, e richiedere tramite Ministero le integrazioni del caso, con la connessa sospensione del termine a provvedere.
1 Eventuali misure civili ed amministrative (ordini di protezione contro abusi familiari ex art. 342 bis ss. c.c., ammonimenti amministrativi ex art. 8, d.l. 23.2.2009, n. 11, conv. nella l. 23.4.2009, n. 38) possono comunque essere, a seconda dei casi, “esportate” o “importate”, attraverso il veloce sistema del certificato previsto dal Regolamento UE n. 606/2013.
2 L’istituto somiglia molto a uno strumento del quale il nostro paese non è ancora dotato (non avendo ancora recepito Decisione quadro 2009/829/Gai del 23.10.2009): il reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare che consentirà al residente in uno Stato membro, processato in altro Stato, di essere sorvegliato dalle autorità dello Stato di residenza in attesa del processo.
3 Amalfitano, C., L’azione dell’Unione europea per la tutela delle vittime di reato, in Dir. un. eur., 2011, 670.
4 Volendo, cfr. amplius, Bronzo, P., La tutela cautelare ‘europea’ della vittima di reato, in Dir. pen e processo, 2015, 566.
5 Sull’analogo problema che si è posto per il M.A.E., cfr. Cass., S.U., 21.1.2014, n. 2850, Pizzata, in www.archiviopenale.it, 2014, con nota di Colaiacovo, G., Competenza all’emissione del mandato d’arresto europeo a fini cautelari. La soluzione delle Sezioni unite.
6 Cfr. Cass. pen., sez. VI, 7.5. 2011, n. 26819, in Giur. it., 2011, 418.
7 Cfr. Cass. pen., sez. V, 9.9.2013, n. 34887, in Cass. pen., 2014, 2207. In argomento v. volendo Bronzo, P., Ancora precisazioni sulla determinatezza del divieto di avvicinamento, in Cass. pen., 2013, 2720 ss).
8 Sui problemi di adattamento della disciplina del MAE, cfr. Ludovici, L., L’ordine di protezione europeo, in Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di G.M. Baccari-E. M. Mancuso-K. La Regina, Padova, 2015, 362 ss.
9 Cfr., Cass., S.U., 18.12.2008, Giannone, in Cass. pen., 2009, 2769 ss con nota critica di Giuliani, L., Il contraddittorio in ordine ad un provvedimento cautelare ex art. 276 c.p.p. tra interpretazioni lacunose ed argomenti di sapore rètro.
10 Difficile ritenere, in un sistema di stretta legalità, che soluzioni del genere possano ritenersi consentite attraverso un’interpretazione ispirata al principio generale del minor sacrificio necessario (v. Ludovici, L., L’ordine di protezione, cit., 371).
11 Cfr. Ludovici, L., op. cit., 362.
12 In caso di non corretta trasposizione della direttiva da parte dei uno degli Stati, il giudice nazionale, che ha obbligo di interpretazione conforme della normativa interna, puí prendere anche in considerazione direttamente le previsioni della direttiva (cfr. Damato, A., Un intervento diretto a garantire la libertà da ogni coercizione, in Guida dir., 2015, fasc. 13, 47).