MOLECOLA
. La parola molecola (dal lat. molecula, diminutivo di moles "massa") sembra sia stata introdotta durante il 1700 nel linguaggio scientifico, dove è rimasta per lungo tempo sinonimo di atomo. Al principio del secolo scorso, dopo l'enunciazione della teoria atomica di I. Dalton (1805), il concetto di molecola si riferiva solo ai composti, mentre per gli elementi si ritenevano identiche le espressioni di molecola e di atomo.
La legge scoperta nel 1808 da L.-J. Gay-Lussac, sui rapporti volumetrici semplici secondo cui i gas si combinano, conduceva pertanto alla supposizione che volumi eguali di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contenessero egual numero di particelle, atomi o molecole. Ma tale supposizione doveva naturalmente porsi d'accordo con i risultati già noti di esperienze fondamentali; infatti, mentre, ad esempio, combinando un atomo (o un volume) d'idrogeno con un atomo (o un volume) di cloro, si sarebbe dovuto ottenere una molecola (e quindi un volume) di acido cloridrico, l'esperienza dimostra che si formano invece due volumi di acido cloridrico. Tale contraddizione scompare quando anche per gli elementi s'introduce il concetto di molecola distinto da quello di atomo e si ammette per alcuni gas elementari (ossigeno, idrogeno, cloro, azoto) la molecola costituita da due atomi. Allora tutto è chiarito perché invece di scrivere H + Cl = HCl, si scrive:
Analogamente si dica, ad esempio, per la sintesi dell'acqua da idrogeno e ossigeno, per quella dell'ammoniaca da idrogeno e azoto. Da ciò consegue che per le sostanze gassose o riducibili in vapore la parola volume diviene sinonimo di molecola.
Chi per primo riconobbe ed espose in modo chiaro questi concetti fu il piemontese Amedeo Avogadro che, mosso dall'intento di perfezionare e completare la teoria di Dalton corredandola, sono sue parole, "di un nuovo mezzo di precisione per il legame che vi abbiamo trovato col fatto generale stabilito da Gay-Lussac", rese nota nel 1811 la seguente legge che porta il suo nome: "Volumi eguali di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono egual numero di molecole". Enunciata però senza sufficiente corredo sperimentale, essa fu accolta con molta riserva e rimase a lungo quasi completamente ignorata.
Subito dopo la sua enunciazione, parecchi chimici, fra i quali principalmente lo svedese J. J. Berzelius, si posero all'opera per determinare i pesi atomici relativi degli elementi allora conosciuti, riferendoli a quelli dell'idrogeno, che, essendo il più leggiero di tutti, venne convenzionalmente fissato come unità. Nel precisare tali pesi s' incontrarono però, nei primi 60-70 anni del secolo scorso, gravi difficoltà, provenienti soprattutto dal poco o nessun conto in cui si teneva la regola di Avogadro; ne risultò che molti pesi atomici vennero erroneamente fissati. Derivò da ciò un senso di sfiducia sull'attendibilità dell'ipotesi atomica, tanto che J.-B. Dumas, caposcuola della chimica francese, nel 1836 giunse a scrivere che, se ne avesse avuto il potere, avrebbe cancellata la parola atomo dal vocabolario della scienza. Soltanto nel 1860, e cioè mezzo secolo dopo che Avogadro aveva enunciata la sua legge, allo scopo di giungere possibilmente a una comune intesa sulla scelta così aggrovigliata e incerta di queste costanti fondamentali degli atomi, i chimici delle varie nazioni si riunirono in apposito convegno a Karlsruhe in Germania. A tale riunione intervenne un giovane chimico italiano, Stanislao Cannizzaro, il quale, fra la sorpresa generale, vi espose trionfalmente, con galileiana chiarezza, le sue idee coordinatrici, disperdendo le nubi che velavano di oscura incertezza i criterî per la determinazione dei pesi atomici. Egli enunciò così la sua legge degli atomi, secondo la quale deve essere assunto come peso atomico di un elemento la minima quantità di esso che può entrare a costituire una molecola e pervenne a differenziare nettamente il concetto di atomo da quello di molecola. Soltanto per questa mirabile opera riformatrice del Cannizzaro si poté compiere una radicale, esatta correzione di molti pesi atomici fino allora errati, correzione che, poco dopo, nel 1869, ebbe l'altissimo pregio di permettere al russo D.I. Mendeleev la scoperta di quel sistema periodico degli elementi chimici che va indubbiamente annoverato fra le eredità scientifiche più importanti lasciateci dal secolo scorso.
Si giunse in tal modo a stabilire che mentre la parola atomo indica la più piccola particella di materia che può prendere parte a una reazione chimica, quella di molecola si riferisce a un aggregato di atomi, in numero assai vario, che da parecchie centinaia di atomi può scendere fino a uno. Si possono avere tanto molecole di un elemento formate da atomi omogenei (es., Cl2), quanto molecole di un composto, formate da atomi eterogenei (es., ClNa); l'espressione simbolo (es., Cl) si riferisce ai soli atomi, mentre quella di formula sia alle molecole degli elementi (es., Cl2) sia a quelle dei composti (es., ClNa).
La legge di Avogadro ci dà la possibilità di determinare i pesi molecolari relativi, perché, ammettendo che tutte le sostanze gassose, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole, basterà trovare il rapporto fra i pesi di volumi eguali di queste sostanze per avere i pesi molecolari relativi delle sostanze stesse. Naturalmente, per l'unità dei pesi molecolari ci si riferisce alla stessa unità dei pesi atomici; quindi se si prende come unità di peso atomico H = 1, avremo per i pesi molecolari H = 2 e se invece ci si riferisce (come si fa oggi) a O = 16 si prenderà O2 = 32. Determinando allora il volume di 32 g. di ossigeno, alla temperatura di 0° e alla pressione ordinaria di 760 mm., si trova che esso è di circa litri 22,4. Tale volume prende il nome di volume molecolare come quello che è occupato dalla grammimolecola ossia da un numero di grammi della sostanza corrispondente al peso molecolare. Il volume molecolare è una costante, vale a dire, la grammimolecola di ogni gas occupa a 0° e 760 mm. il volume approssimativo di litri 22,4. Da ciò consegue che determinare il peso molecolare di una sostanza significa dedurre qual'è il peso di essa.
Espressione della legge di Avogadro. - Collegando l'equazione fondamentale dello stato gassoso
con la legge di Avogadro, si ha per quest'ultima un'espressione che riesce molto utile nei calcoli.
Se si considera difatti una grammimolecola, il quoziente p0v0/273 in detta equazione diviene costante per tutti i gas, poiché p0 rappresenta la pressione di 760 mm., v0 il volume di litri 22,4. Ponendo la costante p0vo/273 = R, l'equazione fondamentale dello stato gassoso assume la forma pv = RT, nella quale R rappresenta il lavoro che la quantità considerata del gas compie nel dilatarsi, quando è riscaldata da 0° a 1°, e il cui valore dipende soltanto dalle unità con le quali si misura il volume e la pressione. Volendolo esprimere, ad esempio, in grammi-centimetri, essendo p0 la pressione normale ossia g. 1033,2 su 1 cmq., si ha approssimativamente:
Tenendo poi presente che l'equivalente meccanico della caloria è uguale a 42.600 g.-cm., si può esprimere R anche in unità termiche o calorie; si ha perciò
calorie, all'incirca, che per molti calcoli può in pratica essere arrotondato a 2 calorie.
La misura della densità gassosa o di vapore ha perciò una grande importanza perché, in base alla legge di Avogadro, conduce alla determinazione dei pesi molecolari. La densità delle sostanze gassose alla temperatura ordinaria, si determina pesando, con tutte le precauzioni che la fisica insegna, un pallone di vetro prima vuoto e poi riempito del gas in esame. Se si tratta di corpi che alla temperatura ordinaria sono liquidi o solidi, si possono impiegare diversi metodi, fra i quali particolarmente usati sono quelli di A.W. Hofmann e di V. Meyer che permettono di eseguire queste misure in modo rapido e sufficientemente preciso.
Con la determinazione delle densità gassose si è potuto stabilire il peso molecolare di molti elementi. Si è trovato che un certo numero di gas elementari e parecchi fra gli elementi importanti che vaporizzano con facilità, hanno la molecola costituita da 2 atomi, poiché si ha un peso molecolare doppio del peso atomico. Questo accade per l'idrogeno, ossigeno, azoto, cloro, che sono gassosi a temperatura ordinaria, per il bromo e lo iodio che non lo sono, ma che si gassificano facilmente; ossia le rispettive molecole sono H2, O2, N2, Cl2, Br2, I2. Il numero però degli elementi biatomici non è relativamente grande. Vi sono elementi aventi molecole più complesse come il fosforo e l'arsenico, per i quali si è trovato un peso molecolare quadruplo del peso atomico; lo zolfo e il selenio, per i quali è risultato un peso molecolare otto volte maggiore del peso atomico; ossia le loro molecole sono P4, As4, S8, Se8. Altri elementi hanno molecole più semplici; così le densità dei vapori di mercurio, cadmio e zinco mostrano che le loro molecole sono monoatomiche. In generale i metalli, cioè la grande maggioranza degli elementi, hanno molecole monoatomiche e anzi questa può ritenersi una caratteristica dello stato metallico. Lo stesso si è trovato per i gas nobili dell'aria (argo, elio, ecc.).
Dissociazione termica. - Per molti elementi la densità gassosa, ossia il peso molecolare, varia col variare della temperatura, nel senso che essi subiscono col riscaldamento una dilatazione molto più marcata di quella che corrisponde all'aumento della temperatura. Si manifestano cioè i cosiddetti fenomeni di dissociazione termica. Ciò accade, ad esempio, per lo iodio, la cui molecola, ad alta temperatura, da biatomica si riduce a monoatomica I2 ⇄ 2I; per il fosforo e lo zolfo, le cui molecole rispettivamente tetra- e ottoatomiche passano a biatomiche: P4 ⇄ 2P2; S8 ⇄ 4S2.
Tali fenomeni di dissociazione termica non avvengono solamente per le molecole degli elementi, ma anche per quelle di numerosi composti. In questo caso essi hanno anche un'importanza nella storia della chimica in quanto la loro esistenza ha impedito per oltre mezzo secolo l'accettazione della legge di Avogadro come base della chimica teorica moderna. Vi sono difatti certe sostanze per le quali, determinando il peso molecolare mediante la densità gassosa, si trova un valore minore di quello che si aspetterebbe dalla formula chimica. Ciò si verifica, ad esempio, nel caso del cloruro ammonico, la cui formula NH4Cl è dedotta dall'analisi chimica e il cui peso molecolare dovrebbe perciò essere non inferiore a 53,45 ossia alla somma dei pesi degli atomi che lo compongono. Eseguendo la determinazione del peso molecolare si trova invece un valore di circa 27, cioè poco più della metà, il che appariva assurdo, dato che la formula NH4Cl non è dimezzabile, contenendo un solo atomo di azoto e di cloro.
Prima di trovare la spiegazione di questi risultati anormali dovette passare lungo tempo, circa mezzo secolo dalla scoperta della legge di Avogadro, finché si giunse a chiarire che essi dovevano attribuirsi a fenomeni di dissociazione termica, come li chiamò E. Saint-Claire-Deville che li aveva per primo scoperti nel 1857 compiendo ricerche sul vapore d'acqua. Tale spiegazione fu resa nota per primo, nel 1858, da S. Cannizzaro e poco dopo anche da E. Kopp e da F. A. Kekulé. Si dimostrò così che una molecola di cloruro ammonico NH4Cl, ad alta temperatura, si dissocia in due molecole, una di ammoniaca (NH3) e l'altra di acido cloridriaco (HCl):
(occupando, appunto per la legge di Avogadro, un volume doppio del primitivo) e in tal modo (essendo la densità inversamente proporzionale al volume) si veniva a spiegare come, sperimentalmente, il peso molecolare risultasse la metà. Vennero in tal modo chiarite queste gravi anomalie che ostacolavano la piena accettazione della legge di Avogadro.
Mediante misure di densità si può adunque determinare la grandezza molecolare di tutte le sostanze gassose o riducibili inalterate allo stato di vapore. Moltissime sostanze non sono però accessibili a queste determinazioni o per insufficienza dei mezzi termici a nostra disposizione (come ad es., nel caso di CaO, Al2O3, SiO2) o perché per azione del calore si decompongono (es., amido, zucchero) o si dissociano (es., cloruro ammonico). A colmare grandemente tale lacuna è però intervenuto in seguito (1885-87) lo studio delle soluzioni diluite che ha rivelato come la materia allo stato di soluzione ubbidisca alle stesse leggi che valgono per lo stato gassoso. La teoria delle soluzioni diluite, creata da J. H. van't Hoff, dimostra infatti che la pressione esercitata dai gas, nella tendenza a occupare tutto lo spazio a loro disposizione, e la cosiddetta pressione osmotica che manifesta una sostanza disciolta nella tendenza a espandersi in maggior volume di solvente, sottostanno entrambe alle stesse leggi. Ciò ha permesso la seguente estensione della legge di Avogadro alle soluzioni diluite: "Volumi eguali di soluzioni, aventi alla medesima temperatura la stessa pressione osmotica, contengono egual numero di molecole". In linea generale consegue da ciò che si assume come peso molecolare la quantità di sostanza, espressa in grammi, che, occupando come gas o allo stato di soluzione diluita il volume di litri 22,4 (vol. molecolare), esercita a 0° la pressione, gassosa od osmotica, di un'atmosfera (ovvero, per la legge di Boyle, occupando il volume di un litro esercita a 0° la pressione di 22,4 atm.).
La misura diretta della pressione osmotica è difficilmente realizzabile, perché costituisce di per sé un'operazione lunga ed è inoltre difficile disporre di membrane perfettamente semipermeabili e al tempo stesso resistenti alle pressioni elevate che si tratta di determinare. Esistono però delle grandezze facilmente misurabili le quali sono proporzionali alla pressione osmotica, cosicché si può da esse risalire al valore di quest'ultima. Esse sono: l'abbassamento del punto di congelamento e l'innalzamento del punto d'ebollizione d'una soluzione rispetto al solvente che l'ha prodotta. Precisamente, per soluzioni contenenti disciolta in egual volume dello stesso solvente la grammi-molecola d'una sostanza (soluzioni equimolecolari), assume valore costante, caratteristico per ogni solvente:
1. l'abbassamento del punto di congelamento, che si suole indicare con K e dicesi costante crioscopica o di abbassamemo molecolare.
2. l'innalzamento del punto di ebollizione che s'indica parimenti con K e dicesi costante ebullioscopica o d'innalzamento molecolare.
Indicando perciò con M la grammimolecola della sostanza disciolta, con Δ l'abbassamento del punto di congelamento o l'innalzamento del punto di ebollizione prodotto da 1 g. della sostanza in esame sciolta in 100 g. (o 1000 g.) di solvente, si ha K = MΔ, da cui M = K/Δ. Per determinare quindi il peso molecolare M, conoscendo il valore di K, basta trovare sperimentalmente il valore di Δ. Tali metodi di determinazione dei pesi molecolari diconsi genericamente osmotici e particolarmente l'uno crioscopico e l'altro ebullioscopico.
Ma il parallelismo ora accennato fra le soluzioni diluite e i gas si spinge oltre. Come per alcuni gas e vapori (es. ClNH4) si ha il fenomeno sopra ricordato della dissociazione termica (che conduce a pesi molecolari minori dei normali), analogamente in soluzioni diluite di molte sostanze si hanno pressioni osmotiche maggiori delle teoriche, donde risultano parimenti dei pesi molecolari minori dei normali. Come la dissociazione termica è la causa dei pesi molecolari anormali nei vapori, così la dissociazione elettrolitica è la causa dei pesi molecolari anormali che si riscontrano nelle soluzioni. Vale a dire tali anomalie nei metodi osmotici si hanno soltanto per le soluzioni capaci di condurre la corrente elettrica e sono tanto più accentuate quanto più spiccato è il carattere elettrolitico delle sostanze disciolte, ossia per gli acidi e le basi forti, per i sali in generale. Si manifestano perciò in un grandissimo numero di casi.
Così, mentre con una determinazione crioscopica in acqua è possibile precisare il peso molecolare dello zucchero comune (saccarosio), non lo è invece per il cloruro sodico. Ciò si spiega col fatto che mentre la soluzione acquosa dello zucchero non conduce la corrente elettrica, la conduce invece quella del cloruro sodico, perché questo sale, sciogliendosi nell'acqua, a differenza dello zucchero che vi rimane inalterato, subisce la dissociazione elettrolitica ClNa⇄Cl- + Na+, si scinde cioè più o meno (a seconda della concentrazione della soluzione e della temperatura) nei due ioni Cl- e Na+, i quali, dal punto di vista della pressione osmotica, funzionano come molecole. A dissociazione completa la pressione osmotica è quindi doppia di quella teorica, di quella cioè che si avrebbe se il sale non si dissociasse in ioni; sperimentalmente risulta quindi doppio il valore di Δ, per cui, in base all'equazione M = K/Δ, risulta un peso molecolare metà del teorico, dal quale, come nel caso della dissociazione termica, non è possibile fare deduzioni circa la grandezza di quello originario posseduto dalla sostanza in esame.
La determinazione dei pesi molecolari, per quanto estesa dai gas e vapori alle soluzioni diluite, è dunque sottoposta a grandi limitazioni. Per realizzarla occorre difatti che la sostanza in esame sia gassosa o riducibile inalterata in vapore, ovvero solubile in acqua o altro solvente senza subire dissociazione ionica o alterazioni di altro tipo. Ne consegue che sono in grande prevalenza le sostanze delle quali non si riesce ancora a determinare sperimentalmente il peso molecolare.
In tutti questi casi il chimico deve limitarsi a rappresentare tali sostanze con le rispettive formule chimiche, a peso molecolare minimo possibile. Così, per citare una fra le sostanze più note, si rappresenta l'acido solforico con la formula SO4H2, quale deriva dall'analisi chimica, ma di tale acido non si conosce il vero peso molecolare. Infatti esso subisce entrambe le dissociazioni surricordate, e cioè la termica (SO4H2 ⇄ SO3 + H2O) e, in soluzione acquosa, quella ionica (SO4H2 ⇄ SO4″ + 2H). I chimici lo rappresentano perciò con la formula SO4H2 che, contenendo un solo atomo di zolfo, è quella che fra le possibili (SO4H2)x ha il peso molecolare minimo.
Numero di Avogadro e peso assoluto delle molecole. - Si è sopra ricordato come la grammimolecola di un gas occupi, a 0° e 760 mm., un volume di circa 22.400 cc. e come dalla legge di Avogadro risulti che le grammimolecole di qualunque gas contengono egual numero di molecole. Si presenta perciò di molto interesse lo stabilire il numero reale di molecole contenuto nella grammimolecola, valore che s' indica con N e prende il nome di numero o costante di Avogadro, a ricordo del nostro grande scienziato.
Sono qui sotto elencati alcuni fra i più importanti metodi che hanno condotto alla determinazione dei valori di N.
Come si vede, pur avendo preso in esame fenomeni di natura tanto diversa, la concordanza di questi valori è sorprendente, superiore a ogni aspettativa e tale che conferisce all'entità molecolare una verosimiglianza che confina con la certezza. Assumendo il valore 6,09•1023, più comunemente ammesso, si ha che la grammimolecola di un gas contiene il fantastico numero di 609 mila miliardi di miliardi di molecole.
Il peso assoluto di una molecola di idrogeno, cioè dell'elemento più leggiero, essendo H2 = 2,016, sarà perciò
e il peso dell'atomo la metà cioè gr. 1,65•10-24. Naturalmente quello dell'idrogeno è il più piccolo fra tutti i pesi assoluti delle molecole; così ad esempio, le molecole dell'azoto (N2 = 28) e dell'ossigeno (O2 = 32) pesano rispettivamente
Forma delle molecole. - Le molecole delle varie sostanze s'indicano comunemente per mezzo di formule che stabiliscono quali e quanti atomi entrano nella loro costituzione. Così, per esempio, l'acido solforico s'indica con H2SO4, il che significa che la molecola di questa sostanza è costituita di 2 atomi di idrogeno, 1 atomo di zolfo e 4 di ossigeno. Assai spesso, specialmente nella chimica organica, si usano le cosiddette formule stechiometriche, le quali non solo stabiliscono quali e quanti atomi sono necessarî per formare una molecola, ma fissano inoltre le loro posizioni nello spazio. La formula stechiometrica dell'etano, per es., è la seguente:
ossia s' immagina che i 6 atomi d' idrogeno e i 2 atomi di carbonio siano tenuti insieme da forze - rappresentate nella (1) da tratti rettilinei - in modo tale da assumere una disposizione spaziale analoga a quella dei simboli corrispondenti nella formula. Notiamo fin d'ora che tale rappresentazione non è in generale del tutto fedele alla realtà perché gli atomi che costituiscono una molecola non giacciono in un piano, eccetto in casi particolari.
Queste formule, fino a qualche decina di anni fa, venivano considerate come un comodo metodo simbolico per lo studio delle proprietà delle varie sostanze, senza attribuire loro alcun significato speciale. Oggi però esse hanno acquistato un valore assai notevole perché dallo studio delle molecole si sono potute stabilire, per vie assai diverse, non solo le posizioni che occupano i varî atomi nello spazio, ma anche, in moltissimi casi, le distanze che li separano e le forze con cui essi sono legati fra loro.
I progressi fatti negli ultimi anni dallo studio delle molecole sono dovuti sia allo sviluppo di nuovi metodi d'indagine sperimentale, sia alla conquista d' idee e concezioni alla luce delle quali è stato possibile interpretare i varî fenomeni molecolari. Si accennerà soltanto ai metodi principali d'indagine sperimentale, in base ai quali si è potuto raccogliere un vastissimo materiale di dati relativi alla costituzione delle molecole.
Livelli energetici. - Il metodo spettroscopico, la cui potenza si è rivelata nello studio degli atomi, è stato fecondo di risultati anche nel campo delle molecole. Le cose si presentano però in questo caso in una forma assai complicata, tanto che oggi solo per le molecole biatomiche si può dire che i loro spettri siano decifrati. Per le molecole poliatomiche, pur essendo ancora assai lungi da un'interpretazione completa dei loro spettri, è tuttavia stato possibile raccogliere un abbondante materiale di dati di grande importanza.
Per orientarsi nel mondo delle molecole, si cominci a considerare il caso più semplice di una molecola biatomica; essa si deve immaginare come un manubrio in cui i nuclei dei due atomi si trovano in condizioni di equilibrio, a una distanza fissa. Attorno ai due nuclei si muovono gli elettroni, descrivendo orbite assai complicate. I due atomi poi che costituiscono la molecola, e che per il momento si sono supposti fermi l'uno rispetto all'altro, potranno in realtà eseguire oscillazioni attorno alla posizione di equilibrio. Infine, tutta la molecola, considerata come rigida, potrà ruotare attorno a un asse baricentrale perpendicolare alla congiungente dei due nuclei.
Da questa schematica descrizione, si comprende come sia possibile scrivere l'energia totale W di una molecola come la somma di tre termini che rappresentano:1. l'energia dovuta al moto degli elettroni, We; 2. l'energia relativa al moto di oscillazione dei due atomi, l'uno rispetto all'altro, Wo; 3. l'energia relativa al moto di rotazione della molecola, Wr:
Osserviamo fin d'ora che l'energia Wo dovuta all'oscillazione è proporzionale alla frequenza con cui i due atomi vibrano l'uno rispetto all'altro, e che l'energia di rotazione Wr, è inversamente proporzionale al momento d'inerzia baricentrale della molecola.
I valori che può assumere l'energia totale W prendono il nome come nel caso degli atomi, di livelli energetici della molecola. Senza addentrarci in considerazioni ampiamente trattate nella voce Spettroscopia, basti ricordare che, secondo la meccanica quantistica, l'emissione o l'assorbimento di un quanto di luce è sempre dovuto al passaggio del sistema in questione da un livello energetico W a un livello energetico W′: la frequenza della radiazione è data dalla formula
dove h = 6,54•10-27 erg/sec. è la costante di Planck.
Dato il numero straordinariamente grande sia dei livelli energetici sia delle transizioni possibili, si comprende facilmente che lo spettro di una molecola biatomica debba essere estremamente complicato. Tale spettro ha un aspetto caratteristico che lo rende assai facilmente distinguibile dallo spettro di un atomo, perché in esso le righe sono raggruppate in sistemi che per la loro struttura hanno preso il nome di bande (fig.1). Dal loro studio è possibile in generale dedurre i valori che assumono i tre termini della (2) in modo da poter calcolare il momento d'inerzia baricentrale, la distanza fra i due atomi e la frequenza propria con cui essi oscillano l'uno rispetto all'altro, frequenza che misura in certo modo la tenacia del legame che li unisce. Come esempio, daremo i dati numerici ottenuti per questa via per l'acido cloridrico:
dove v è la frequenza di oscillazione, ro la distanza di equilibrio dei due nuclei, e J il momento d'inerzia baricentrale.
Da ciò che si è detto finora, si comprende senz'altro che le cose si presentano sotto una forma assai più complicata nel caso delle molecole poliatomiche: anche per queste si può scrivere, con buona approssimazione, l'energia totale come somma di tre termini, corrispondenti agli addendi della (2), se non che il problema di risalire dallo spettro alla determinazione dei caratteri costruttivi della molecola è estremamente intricato.
Si pensi, infatti, che per le molecole poliatomiche non si è ancora riusciti a stabilire in che modo vada trattato il problema del moto degli elettroni, e che solo in questi ultimi tempi si è cercato di fare una classificazione dei diversi valori che può assumere Wr. D'altra parte, l'energia di rotazione Wr dipende, nel caso più generale, da tutti e tre i momenti principali d'inerzia, mentre l'energia di oscillazione viene espressa in funzione di più costanti che rappresentano le frequenze caratteristiche della molecola.
Per sapere il numero delle frequenze con cui possono vibrare gli atomi di una molecola poliatomica, basta calcolare il numero dei gradi di libertà interni, ossia il numero totale dei gradi di libertà degli atomi che costituiscono la molecola, diminuito dei tre gradi di rotazione e dei tre gradi di traslazione della molecola come insieme: così, per es., nel tetracloruro di carbonio CCl4 che è formato da 5 atomi, si hanno
frequenze. Non è detto però che tutte queste frequenze siano differenti fra loro, poiché potrà darsi che alcune coincidano, secondo le proprietà di simmetria della molecola.
Senza dilungarci in tali questioni, basti dire che oggidì è stato possibile ottenere, per mezzo dello studio degli spettri, i momenti d'inerzia e le frequenze di oscillazione di parecchie molecole poliatomiche, aventi in generale particolari caratteri di simmetria.
Diffusione dei raggi X. - Per quanto copioso ed esatto, il materiale spettroscopico è pur sempre indiretto e si capisce come una conferma, proveniente da un genere di fenomeni del tutto diverso e fondata su metodi diretti debba avere un alto valore. Il merito della scoperta di questi nuovi metodi d'indagine è dovuta al fisico olandese P. Debye.
Il primo metodo, basato sulla diffusione dei raggi X, realizza in certo qual modo un microscopio per lo studio delle molecole. Si immagini di mandare un sottile pennello di raggi X di lunghezza d'onda nota su un gas e di misurare l'intensità della radiazione diffusa sotto un dato angolo θ: in tali condizioni è facile osservare che vi sono delle direzioni privilegiate in cui l'intensità è maggiore. La fig. 2 dà un'idea schematica dell'apparecchio. Attraverso alla fessura F passa un sottile fascio di raggi X i quali vengono diffusi dal gas in esame che si trova nella cella C; nella parte inferiore di quest'ultima è praticata una finestra A chiusa con una foglia molto sottile di alluminio o di cellofania. La radiazione diffusa dal gas contenuto nella cella, passando attraverso alla finestra A, va a colpire una pellicola P disposta a semicerchio. Nella fig. 3 si dà una riproduzione di una tale pellicola ottenuta per il tetracloruro di carbonio, nella quale si vedono chiaramente che vi sono delle direzioni in cui l'intensità è maggiore. Per mezzo di un fotometro si ottiene la curva che rappresenta l'annerimento in funzione dell'angolo e da questa si può facilmente risalire all'intensità dei raggi X nelle varie direzioni.
Per rendersi conto della natura di questo fenomeno d'interferenza si consideri il caso di una molecola biatomica. Nella fig. 4 tale molecola è rappresentata schematicamente da una specie di manubrio. I raggi incidenti vengono diffusi dai due atomi a e b che noi supponiamo stiano a una distanza fissa r0: se si osserva la radiazione diffusa nella direzione θ si trova che il raggio proveniente da b ha percorso il cammino cbd in più di quello diffuso da a: se ora questa differenza di cammino è eguale a un multiplo dispari di mezza lunghezza d'onda, i due raggi interferiranno e si avrà un minimo d'intensità. Naturalmente, le molecole del gas sono poi orientate in tutti i modi possibili, ma se si eseguono i calcoli tenendo conto di questo fatto, si trova che l'intensità diffusa ha un andamento in funzione dell'angolo come quello della fig. 5 e che la posizione dei massimi dipende dal rapporto r0/λ tra la distanza dei due atomi e la lunghezza d'onda dei raggi X. Se si conosce quindi λ si può misurare direttamente r0. In pratica le cose sono un poco più complicate e inoltre la distanza non è costante, ma varia continuamente a causa del moto di oscillazione: anche di tutto questo però si tiene conto in modo tale da poter fare una teoria completa del fenomeno.
Con questo metodo è stato possibile determinare le dimensioni di molte molecole: si è, per es., potuto stabilire che nel CCl4 i 4 Cl occupano effettivamente i vertici di un tetraedro regolare nel cui centro si trova il C: lo spigolo del tetraedro è risultato da tali misure di 31•10-8 cm.
Un altro metodo, del tutto analogo al precedente e che si è sviluppato solo in questi ultimi anni, è basato sulla diffusione da parte di un gas degli elettroni anziché dei raggi X. È noto infatti che uno dei risultati più notevoli della meccanica quantistica è la scoperta, ottenuta per via teorica e poi confermata sperimentalmente, che elettroni di velocità v si comportano, sotto molti aspetti, come gruppi d'onde di lunghezza d'onda
(h = 6,54•10-27 erg/sec. è la costante di Planck, e m = 0,9•10-27 g. è la massa dell'elettrone).
Si capisce quindi che essi possano dare dei fenomeni d'interferenza del tutto analoghi a quelli che si ottengono coi raggi X. Nella fig. 6 è riprodotta una lastra ottenuta per mezzo della diffusione degli elettroni da parte di un gas. Vi si scorgono assai chiaramente degli anelli nei quali l'intensità è maggiore. Il fatto che in questa figura, a differenza della fig. 3 ottenuta coi raggi X, si abbiano degli anelli completi d'interferenza, è dovuto solo alla differente disposizione sperimentale: il fenomeno del resto si presenta in modo del tutto analogo. Per lo studio delle molecole si può decidere solo, caso per caso, se è preferibile lavorare con raggi X oppure con elettroni: la scelta è sempre suggerita da sole considerazione pratiche.
Molecole polari. - Un altro metodo d'indagine della struttura delle molecole, pure dovuto a P. Debye, è basato sullo studio dei loro momentì elettrici. Come è noto si chiama costante dielettrica ε di una sostanza, il rapporto fra la capacità di un condensatore avente come dielettrico quella sostanza e la capacità dello stesso condensatore avente per dielettrico il vuoto. Tale costante si può scrivere
dove x = M/E è il rapporto tra il momento elettrico M dell'unità di volume del dielettrico polarizzato e il campo E che produce la polarizzazione. Si comprende che M dipende dal momento elettrico medio delle molecole della sostanza in esame. Nel caso di un gas, le molecole sono così lontane fra loro da poter trascurare le azioni delle une sulle altre, in modo che il campo elettrico agente su ciascuna di esse coincide col campo elettrico esterno. Ora ci si può convincere facilmente che il momento elettrico medio delle molecole di un gas è composto di due parti: una prima parte, indipendente dalla temperatura, è dovuta alla deformazione che esse subiscono sotto l'azione del campo elettrico esterno; la seconda parte ha invece origine in un effetto di orientazione provocato dal campo elettrico su molecole che avevano già prima un momento elettrico intrinseco; questa seconda parte è, con buona approssimazione, inversamente proporzionale alla temperatura: si comprende infatti che il momento elettrico dovuto all'orientazione del momento intrinseco delle singole molecole è tanto maggiore quanto minore è la temperatura poiché l'agitazione termica agisce come una forza disordinatrice che tende a disporre le molecole in una direzione qualsiasi. Da tutto ciò risulta chiaro come si possa determinare il momento elettrico intrinseco di una molecola eseguendo misure di costante dielettrica a differenti temperature. Tale metodo, che si è sviluppato moltissimo negli ultimi anni, specialmente a opera di P. Debye e della sua scuola, presenta anche il vantaggio di richiedere una tecnica sperimentale piuttosto semplice, tratta dalla radiotelegrafia.
Prima di mostrare come anche per questa via si sia giunti alla conclusione che le formule chimiche di struttura nello spazio corrispondono a una realtà concreta, occorre accennare brevemente a un altro metodo per la misura dei momenti elettrici molecolari, il quale, se da un lato presenta degl'inconvenienti dovuti alla maggiore difficoltà delle esperienze, ha, d'altra parte, il vantaggio di raggiungere, per così dire, la singola molecola. Si tratta del metodo dei raggi di vapore impiegato da W. Stern e O. Gerlach per la misura del momento magnetico degli atomi e da E. Wrede ed I. Estermann per la misura dei momenti elettrici delle molecole. Non ci diffondiamo qui su tali misure (per le quali v. molecolari, raggi); basti ricordare che i risultati così ottenuti confermano pienamente i dati ottenuti dalle misure di costante dielettrica.
La misura dei momenti elettrici ha notevolmente arricchito le nostre conoscenze sulla struttura delle molecole; fra i numerosi risultati ottenuti per tale via, vogliamo ricordare che, per es., si sa oggi con sicurezza che la molecola dell'acqua, H2O ha la forma di un triangolo isoscele.
Un'osservazione che ha un'importanza fondamentale per questo genere di studî, è che un gruppo chimico conserva pressoché inalterato il proprio momento elettrico anche quando entra in combinazione, e che questo momento si somma vettorialmente con quelli già presenti. Un esempio caratteristico si ha nel caso del clorobenzolo e del diclorobenzolo.
Come è noto, al benzolo si attribuisce una struttura esagonale come mostra la fig. 7. Per evidenti ragioni di simmetria, tale molecola ha momento elettrico nullo. La molecola del clorobenzolo, che si ottiene dal benzolo sostituendo un atomo di H con un atomo di Cl e che indicheremo, per semplicità, nel modo seguente:
ha un momento elettrico eguale a 1,50•10-18 u. e. s. Tale momento elettrico si dovrà naturalmente attribuire al gruppo C-Cl.
Se si considerano i composti
ossia i diclorobenzoli orto, meta e para, e si compongono i momenti elettrici dei singoli gruppi C-Cl come se fossero dei vettori diretti verso il centro dell'esagono, si trova che queste tre molecole dovrebbero avere rispettivamente i momenti 2,70•10-18; 1,56•10-18; 0, mentre sperimentalmente si trova 2,25•10-18; 1,48•10-18; 0. Qualora si pensi che i gruppi C-Cl si perturbano un poco tra loro, si vede come le formule di struttura trovino anche per questa via una brillante conferma.
Bibl.: R. Lespieau, La molécule chimique, Parigi 1920; I. Perrin, Les atomes, ivi 1924; R. de L. Kronig, Band spectra and moelcular structure,. Cambridge 1930; W. Weizel, Bandspektren, Lipsia 1931; L. Bewilogua, in Physikalische Zeitschrift, XXXII (1931), pag. 265; F. Debye, Elektronen-Interferenzen, in Leipziger Vorträge, 1930; id., Dipolmoment und chemische Struktur, in Leipziger Vorträge, 1929; id., Polare Molekeln, Lipsia 1929.