molestare
. Come ‛ molesto ', anche m. ha in D. un valore assai più forte che nella lingua moderna, cioè quello di " essere gravoso, di grave tormento ": così la bufera infernal che molesta gli spiriti voltando e percotendo (If V 33); Bocca degli Abati, con perché mi moleste? (XXXII 81), si riferisce al calcio che lo ha percosso nel viso; il cieco va dietro alla sua guida per non dar di cozzo / in cosa che 'l molesti, o forse ancida (Pg XVI 12), che va quindi interpretato " cosa che gli faccia gran male ", e non " un po' di male " (Scartazzini). Il verbo ricorre soltanto nella Commedia e, sempre con lo stesso valore, in Fiore CLXXII 12, di solito in rima con l'eccezione di Pg XVI 12. (È anche nei versi interpolati tra il v. 90 e il v. 91 di If XXXIII " Poiché tu sai mie offese, / perché pur mi molesti? ", Petrocchi, Inferno 573).