MONACI ITALO-GRECI
La valutazione della politica sveva nei confronti dei conventi greci dell'Italia meridionale, da parte degli studiosi, appare oscillante: da un lato, Federico II e i conventi greci sono visti come alleati naturali contro il papato (cf. per esempio Scaduto, 1947, p. 228), dall'altro, il declino delle istituzioni monastiche greche viene ascritto alla politica antigreca condotta dagli Hohenstaufen (cf. Raschellà, 1925, pp. 109 ss.).
Federico si riallacciò alla politica avviata dai suoi antenati e dai genitori nei confronti dei conventi. I normanni, dopo la conquista dell'Italia meridionale, di concerto con i pontefici e con i detentori del potere locale sottoposero l'organizzazione episcopale greca a un rapido processo di latinizzazione, mentre i possedimenti dei conventi greci furono di regola confermati e spesso addirittura ampliati. Questo vale soprattutto nel caso della Sicilia, dove nel quadro della ricristianizzazione dell'isola i conventi greci furono fortemente sostenuti per ragioni politiche: nel maggio del 1131, sotto re Ruggero II, fu creato l'archimandritato del SS. Salvatore di Messina, un'associazione di conventi che beneficiava dell'esenzione e comprendeva oltre trenta conventi greci. In epoca tardonormanna la situazione della popolazione greca peggiorò in seguito a cambiamenti demografici e forse anche all'incidenza di fattori di politica estera (per esempio, le spedizioni belliche contro Bisanzio). I conventi greci dovettero confrontarsi con tentativi di latinizzazione da parte dell'ambito latino locale e con lunghi processi, per cui numerosi abati cercarono di procurarsi documenti papali di esenzione, ma esistono parallelamente anche documenti reali (per esempio, a favore di S. Elia di Carbone o del SS. Salvatore di Messina). Dopo l'ascesa degli Hohenstaufen al potere nel Regno, Costanza riprese la politica avviata dai suoi predecessori. I numerosi documenti di questi anni destinati a conventi greci (bilingue per S. Elia di Carbone, dell'8 ottobre 1195; conferma dei diritti per il Ss. Salvatore di Messina, del gennaio 1196 e del marzo 1197, per S. Maria della Grotta a Palermo, dell'aprile 1196, per S. Maria del Patire, del maggio 1196; deperdita per S. Adriano, S. Filippo a Gerace e S. Nicola di Casole) mostrano l'aspirazione dei conventi a farsi garantire dai nuovi dominatori i propri diritti sulla base di scritture.
Intorno al 1200 il monachesimo greco è documentabile in Sicilia, nella regione nordorientale e a Palermo (S. Maria della Grotta con un metochion a Marsala), in Calabria nelle zone meridionali (Reggio Calabria, Seminara, Aspromonte), nel territorio di Gerace e di Stilo, nell'istmo di Catanzaro e intorno a Rossano, nella Basilicata lungo il confine con la Calabria, in Puglia nel Salento e infine nel Cilento. A quest'area si aggiunge, al di fuori della sfera di dominio degli Hohenstaufen, S. Maria di Grottaferrata. Questi territori coincidono con le aree di insediamento della popolazione di lingua greca. Una gran parte dei conventi fin dal principio fu di dimensioni molto modeste, sicché per motivi finanziari non potevano rivolgersi né alla corte reale né alla Curia papale per ottenere privilegi, tanto più che, in conformità con le tradizioni greche, di norma qui non si sviluppavano strutture caratteristiche degli Ordini. Federico II non promosse alcuna politica specifica nei confronti del monachesimo greco. In ogni caso nelle sue assise e costituzioni non se ne trova alcuna eco; la traduzione greca delle Costituzioni di Melfi, approntata nell'ambito della corte, mostra piuttosto che le linee giuridiche di fondo dovevano trovare applicazione anche tra la popolazione greca e nelle loro istituzioni. Di conseguenza i conventi greci ricevettero i documenti consueti, di norma la conferma dei diritti ottenuti in epoca normanna. Questo vale in particolare per gli anni Venti in seguito all'editto di revoca di Capua, quando ottennero privilegi di conferma S. Adriano (diocesi di Rossano) nel gennaio 1222 e nell'agosto 1224, S. Bartolomeo di Sinopoli (diocesi di Mileto) nel novembre 1222, S. Elia di Carbone nel settembre 1232, S. Nicola di Casole o S. Pietro di Spanopetra (diocesi di Mileto).
Malgrado le garanzie relative alla situazione giuridica si intensificarono le dispute patrimoniali con conventi e vescovi latini (per esempio tra Fiore e S. Maria del Patire), e in singoli casi si è a conoscenza di rimostranze contro funzionari imperiali. Nel 1223 l'abate Philotheos di S. Filippo di Fragalà presentò un documento di Federico, datato 22 ottobre 1222, in cui questi ordinava a tutti i funzionari del Regno di tutelare i diritti di possesso del convento (Cusa, 1868, pp. 443-445). Gli abusi evidentemente continuarono, come dimostra un altro documento dell'ottobre 1223: anche in questo caso è inserita una direttiva dell'imperatore in cui egli chiede che sia difeso il patrimonio del convento (ibid., pp. 446-448). Solo nell'agosto 1245 la disputa poté essere ricomposta grazie a un'esauriente descrizione dei confini: l'abate Philotheos aveva presentato un nuovo reclamo, infatti esibì una scrittura del gran secretus Oberto Fallamonica e richiese che fosse vietato ai funzionari locali tenere un comportamento scorretto (ibid., pp. 452-456).
I conventi greci cercarono contemporaneamente di ottenere privilegi papali. Innocenzo III rilasciò nel 1198 a S. Maria del Patire un privilegio di esenzione; il SS. Salvatore di Messina ottenne numerosi documenti. Onorio III perseverò in questa politica; comunque gli interventi papali si moltiplicarono nelle dispute che contrapponevano conventi greci e vescovi locali. Sotto Gregorio IX e Innocenzo IV i documenti destinati ai conventi greci si fecero molto più rari (tranne il caso di Grottaferrata); nella fase di tensioni fra papa e imperatore non sembra che molti conventi si siano rivolti alla Curia.
Solo per il SS. Salvatore di Messina la situazione delle fonti consente di ricostruire un quadro dettagliato. Durante il governo di Federico l'archimandritato ricevette quattro documenti di conferma: nel giugno del 1200 l'archimandrita Leontios, nel marzo 1211 e nel marzo 1216 Lukas, infine nel giugno 1233 Makarios. Fu senz'altro decisiva, oltre alla posizione strategicamente importante del convento sullo Stretto, anche la sua ricchezza. Negli anni di crisi, tra il 1200 e il 1202, il convento mise a disposizione della Corona oltre 21.000 tarì; Gualtiero di Palearia sottoscrisse la ricevuta di pagamento della somma nell'ottobre 1202. Come garanzia il SS. Salvatore ottenne diritti sul patrimonio della Corona a Tucchi (Reggio Calabria) e godette del particolare favore del giovane sovrano. L'arcivescovo di Messina come contromossa cercò di sfruttare il lungo soggiorno di Federico in Germania per impadronirsi di possedimenti e diritti del convento. Dal 1219 la disputa per l'esenzione passò al giudizio della Curia e il 14 luglio 1222 Onorio III concesse all'arcivescovo ampi diritti. Federico intervenne evidentemente in prima persona a favore del SS. Salvatore. Confidando nell'appoggio dell'imperatore, l'archimandrita Makarios si oppose al verdetto papale. Malgrado la scomunica che lo colpì nel maggio 1231, egli ottenne da Federico nel giugno del 1233 un ampio privilegio di conferma. Più volte funzionari imperiali decisero a favore del convento nelle dispute giuridiche che lo contrapposero all'arcivescovo di Reggio Calabria. Fino alla morte dell'imperatore il SS. Salvatore rimase schierato sul fronte filoimperiale. Dopo nel convento si costituirono due partiti, il primo favorevole al pontefice e il secondo allineato con gli Svevi. Mentre papa Alessandro IV nel 1260 confermò l'archimandrita Isaak scelto dall'arcivescovo di Messina, la maggioranza filoimperiale del convento aveva eletto il monaco Euthymios, che con il sostegno di re Manfredi poté mantenersi in carica fino al 1266.
Per concludere, si può affermare che i conventi greci dell'Italia meridionale (come una gran parte della popolazione greca) videro nell'imperatore e nell'amministrazione imperiale una sorta di garanzia contro i soprusi ecclesiastici e laici dell'ambiente latino e che rimasero fedeli alla causa degli Svevi anche negli anni del confronto con il papato. L'esempio migliore è fornito dai componimenti filoimperiali della cerchia di poeti di Otranto (v. Cultura greca). Sull'altro versante, la politica di Federico nei confronti dei conventi cercò di assicurare i diritti dei greci, senza far emergere particolari favoritismi. Il vistoso sostegno accordato al SS. Salvatore dev'essere considerato un caso unico e, oltre alla gratitudine per la consistente erogazione di denaro nei primi anni di governo, è da ricondurre soprattutto a motivi politici.
Nonostante ciò il declino del monachesimo greco nell'Italia meridionale continuò in età federiciana, come è dimostrato dal mandato di visita che Onorio III rilasciò all'abate Theodosios di Grottaferrata nel 1221 per i conventi greci sulla terraferma a causa della loro situazione in parte assai negativa in spiritualibus et in temporalibus.
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Traduzione di Maria Paola Arena