MONACO LA VALLETTA, Raffaele
– Nacque a L’Aquila il 23 febbr. 1827 da Domenico e da Maria Maddalena De Felici-Umani, in una ricca famiglia borghese originaria di Chieti.
Il secondo cognome fu aggiunto dal padre, magistrato regnicolo, discendente da un La Valletta gran maestro dell’Ordine di Malta.
Dopo aver frequentato le scuole e il seminario del capoluogo abruzzese, il M. nel 1849 si recò a Gaeta per rendere omaggio a Pio IX, colà rifugiatosi dopo la fuga da Roma nel novembre 1848. In quell’occasione il papa stesso lo ordinò sacerdote. Spirito sinceramente religioso, appartenente all’Ordine dei teatini, nel 1854 a Chieti durante l’epidemia colerica il M. si adoperò per soccorrere i malati e intervenire in favore dei più bisognosi, elargendo loro parte del suo cospicuo patrimonio familiare.
Pio IX lo chiamò a Roma, dove il M., pur non essendo di origine patrizia, completò la sua istruzione nell’Accademia dei nobili ecclesiastici, l’istituto che sfornava i futuri diplomatici della S. Sede. Il M. tuttavia non intraprese questa carriera: soltanto nel 1856 si recò all’estero in qualità d’inviato del papa a Parigi in occasione del battesimo del principe imperiale.
La carriera ecclesiastica del M. si realizzò tutta all’interno della Curia romana. Nel 1854 fu nominato prelato referendario e nel 1857 prelato aggiunto della S. Congregazione del Concilio. Il 25 genn. 1859 Pio IX lo nominò pro-assessore della Congregazione del S. Uffizio e il 20 dicembre successivo assessore. In questa qualità coadiuvò il prefetto, cardinale L.M. Bilio, nella stesura del Sillabo che accompagnava l’enciclica Quanta cura (8 dic. 1864), formulando le cinque tesi relative alla libertà di culto e di stampa e alla coazione materiale per fini religiosi. Partecipò quindi ai lavori di una nuova commissione istituita da Pio IX il 2 marzo 1864 con l’incarico di preparare, su alcune indicazioni dei vescovi, un nuovo elenco di errori. La collaborazione al Sillabo era il segno della vicinanza del M. a Pio IX, che il 16 marzo 1868 lo creò cardinale con il titolo di S. Croce in Gerusalemme.
Il M. ottenne dal papa altri importanti incarichi e riconoscimenti, tra cui il 30 marzo 1868 quello di protettore della chiesa di S. Spirito dei Napoletani di Roma, il 30 giugno 1869 di deputato protettore dell’Ordine degli olivetani, il 2 nov. 1870 di segretario del Memoriale, il 20 marzo 1873 di abate commendatario dell’Abbazia dei Ss. Benedetto e Scolastica di Subiaco, l’8 ag. 1873 di protettore dell’Ordine dei frati minori cappuccini e del Collegio Polacco di Roma e il 4 genn. 1877 di protettore del Collegio Capranicense.
All’indomani di Porta Pia, tra il gruppo ristretto di cardinali più vicini a Pio IX interpellati dallo stesso pontefice attraverso il cardinale vicario C. Patrizi se si dovesse rimanere a Roma o abbandonare l’antica sede del Papato, il M. si pronunciò decisamente per la seconda soluzione. Riteneva infatti che la presenza del pontefice a Roma non avrebbe impedito gli attacchi del governo italiano contro la Chiesa e che anzi tale presenza avrebbe nuociuto, secondo le sue testuali parole, «non solo alla causa del ristabilimento della potestà temporale della S. Sede, ma anche al libero esercizio dell’apostolico ministero in tutta la Chiesa». Riguardo al luogo dove il papa e il S. Collegio avrebbero potuto trovare rifugio, il M. indicò l’isola di Malta o, in alternativa, il Belgio, «due paesi neutrali, tutti e due abitati nella maggior parte da cattolici» (Fiorentino, La questione romana …, p. 240).
Il consiglio non fu accolto da Pio IX, in quanto la maggioranza dei cardinali interpellati si era mostrata restia ad abbandonare Roma, e lo stesso segretario di Stato, cardinale G. Antonelli, la ritenne una soluzione azzardata per gli interessi della Chiesa e contraria alla sua linea diplomatica temporeggiatrice. L’anno successivo il M. redasse insieme ai cardinali Bilio e A. Capalti l’enciclica Ubi Nos arcano Dei consilio, pubblicata il 15 maggio 1871, con cui Pio IX respingeva recisamente ogni possibilità di addivenire a un compromesso con il Regno di Vittorio Emanuele II sulla base della legge delle Guarentigie approvata due giorni prima dal parlamento italiano.
Il 21 dic. 1876 Pio IX nominò il M. cardinale vicario di Roma, carica nella quale subentrò al cardinale Patrizi, scomparso da pochi giorni. Tra i vari compiti che il M. dovette svolgere vi fu anche quello di porre un argine alla politica di secolarizzazione attuata in Roma dal governo italiano, in particolare di opporsi all’azione di espropriazione per pubblica utilità (l. 3 febbr. 1871, n. 33) e di soppressione delle corporazioni religiose (l. 19 giugno 1873, n. 1402) che riduceva chiese e conventi a uffici di pubblica amministrazione, scuole, caserme e carceri.
In qualità di stretto collaboratore di Pio IX il M. ebbe un ruolo di un certo rilievo nella questione della nomina dei vescovi, che in base alla legge delle Guarentigie dovevano esibire al ministro guardasigilli o al procuratore del re la bolla originale di nomina per poter ottenere l’exequatur dal governo italiano e prendere possesso dei beni temporali della diocesi. A questa imposizione del governo italiano i vescovi, su indicazione di Pio IX, avevano opposto resistenza, ma tale irrigidimento si mostrava controproducente agli stessi interessi della Chiesa e delle diocesi in particolare. Per ovviare a questa situazione il 9 dic. 1875 Pio IX insediò una commissione composta dai cardinali Antonelli, Bilio, P. Caterini, A. Franchi, P. Giannelli, Patrizi e dallo stesso M. incaricata di ricercare una soluzione a questa annosa questione. La linea adottata dalla commissione fu quella del compromesso: si autorizzarono i vescovi a chiedere al governo italiano l’exequatur, ma con la precisa indicazione di farlo in segreto dopo il placet della Penitenzieria e senza neanche comunicarlo agli altri vescovi interessati.
Il M. fece parte anche della ristretta commissione dei membri del S. Uffizio nominata da Pio IX nell’aprile 1876 per pronunciarsi sulla partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche. La commissione concluse i lavori nel novembre successivo convenendo all’unanimità sulla liceità della partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche, «riservandosi però», come si legge nella ponenza a stampa, «di definire la convenienza e l’opportunità dopo aver dato corso ad alcune pratiche tendenti a predisporre il terreno e la pubblica opinione» (Ciampani, Da Pio IX a Leone XII …, p. 69). Tale indirizzo fu ribadito sotto Leone XIII, nel 1879, e anche in quell’occasione il M. si espresse in un’apposita commissione in favore della partecipazione al voto dei cattolici, ma da procrastinare più avanti nel tempo, quando sarebbero maturate le condizioni politiche. Tuttavia, in qualità di segretario del S. Uffizio il M. si oppose recisamente a ogni sollecitazione in tal senso che proveniva dalla stampa clericale. Ancora nel luglio 1886 biasimò severamente monsignor G.B. Scalabrini, vescovo di Piacenza, per aver invitato i cattolici a recarsi alle urne.
L’ultimo incarico affidato al M. da Pio IX fu quello di componente della commissione speciale «De Faciendo Conclavi», che doveva redigere un nuovo regolamento sul conclave in relazione alla situazione in cui si trovava la S. Sede a Roma dopo il 20 settembre. La commissione si riunì dodici volte dal 25 nov. 1877 al 3 genn. 1878 e alla fine dei lavori produsse la costituzione Consulturi ne post obitum nostrum, datata 10 genn. 1878 e sottoscritta dai cardinali M. Simeoni e A.M. Panebianco, la quale riassumeva precedenti atti pontifici sull’argomento. Nell’importante documento, in cui si dava un valore relativo alle assicurazioni rilasciate ripetutamente dal governo italiano e dalla stessa diplomazia internazionale, si esprimevano riserve sulla possibilità di tenere liberamente il conclave a Roma, prendendo quindi in seria considerazione la sua sospensione e il trasferimento all’estero.
La presenza del M. nelle commissioni che furono chiamate a discutere le più delicate questioni che riguardavano gli interessi della Chiesa nei suoi difficili rapporti con il Regno d’Italia stava a testimoniare come egli fosse uno dei prelati più stimati da Pio IX e a lui più fedeli. Lo stesso pontefice lo attestò nominandolo unitamente ai cardinali T. Mertel e Simeoni erede di una parte dei suoi beni personali.
Nel conclave che seguì la morte di Pio IX, avvenuta il 7 febbr. 1878, il M., il cui fratello Gaspare era senatore del Regno, fu inizialmente inserito nel ristretto gruppo dei papabili graditi all’Italia (con G. Pecci, A. De Luca e Simeoni), grazie al favore che si era guadagnato presso l’opinione pubblica per le sue qualità religiose e per la sua moderazione politica, avendo mostrato in diverse occasioni un’attitudine conciliativa, come per esempio nel gennaio 1878 in occasione dei funerali di Vittorio Emanuele II e dell’inumazione delle sue spoglie mortali al Pantheon (S. Maria ad Martyres). E ciò malgrado il fatto che egli fosse ritenuto dal maggior vaticanista del tempo, il liberal-moderato R. De Cesare, «un intransigente senza equivoci», il quale, «spirito e ingegno limitato», apparteneva «a quella categoria di persone, pur numerose nel clero italiano, le quali credono che basti debellare materialmente la rivoluzione per tornare all’antico» (De Cesare, Il Conclave di Leone XIII e il futuro conclave, p. 516).
Secondo monsignor T. Bellà, informatore dei governi italiano e francese, il M. aspirava alla tiara, ma gli faceva difetto la gioventù (non aveva ancora compiuto cinquantuno anni, benché da dieci fosse cardinale), mentre il S. Collegio era orientato per un papato di transizione, che durasse pochi anni, in attesa di tempi migliori per la Chiesa. Peraltro, nella prima congregazione dei cardinali dell’8 febbraio per decidere dove tenere il conclave, il M. opinò per una città fuori d’Italia, e in quella del giorno successivo, dopo la insistenza del cardinale C. Di Pietro per scongiurare questo evento che non avrebbe avuto il consenso della diplomazia europea, propose di eleggere il nuovo pontefice immediatamente, praesente cadavere, onde evitare possibili violenze da parte del governo italiano.
L’andamento del conclave confermò le previsioni di mons. Bellà: soltanto ai primi due scrutini il M. ebbe quattro voti, ma nei successivi due dei suoi elettori si orientarono sul cardinale Pecci, che fu elevato al soglio pontificio con il nome di Leone XIII. A tale decisone del S. Collegio il M. non aderì, in quanto il suo voto andò al cardinale T.M. Martinelli, candidato dei cardinali più tradizionalisti, ma fu tra coloro che ne lodarono l’elezione come segno della volontà divina.
Il nuovo pontefice ebbe per il M. la stessa stima che gli aveva manifestato il suo predecessore, anche se con minore sintonia dal punto di vista del carattere e della visione politica. Fu forse per questo motivo che nel 1884 il papa gli preferì come vicario di Roma il cardinale L.M. Parrocchi. Il 12 febbr. 1884, tuttavia, lo promosse all’importante carica di penitenziere maggiore e tre giorni dopo lo nominò segretario della Congregazione del S. Uffizio.
Il 24 marzo 1884 il M. fu nominato vescovo di Albano, il 18 dic. 1884 protettore dell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici di Roma, il 4 marzo 1885 arcipresbitero patriarcale della basilica di S. Giovanni in Laterano, il 29 marzo 1888 amministratore della diocesi tuscolana durante l’infermità del cardinale E.H. Howard, il 24 maggio 1889 vescovo di Ostia e Velletri e il 18 luglio 1888 (verificare data) responsabile dell’archivio del concilio Vaticano.
Verso la fine degli anni Ottanta cominciò a circolare sulla stampa qualificata il nome del M. come il più papabile dei cardinali in un conclave che, data l’età avanzata di Leone XIII, si riteneva prossimo. Tuttavia il M. aveva perso il favore del governo italiano, in quanto sotto il profilo politico, dopo la nomina a penitenziere maggiore, aveva inasprito il suo atteggiamento intransigente. Si ritenne, anzi, che fosse proprio il M., interprete presso Leone XIII del malcontento del S. Collegio, a opporsi alla politica conciliatorista promossa in special modo da monsignor G. Bonomelli, vescovo di Cremona. Peraltro, una controprova della eleggibilità del M. a successore di Leone XIII non vi fu, perché quest’ultimo gli sopravvisse ben sette anni.
Il M. morì ad Agerola, presso Napoli, il 14 luglio 1896.
Le sue spoglie furono trasferite a Roma, dove nella chiesa dei teatini di S. Andrea della Valle si svolse la cerimonia funebre alla presenza di molti esponenti della Curia e di diplomatici accreditati presso la S. Sede. Fu sepolto nel cimitero monumentale del Verano.
Fonti e Bibl.: Archivio segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Cardinali, Monaco La Valletta, b. 1; Roma, Arch. storico del Vicariato, Atti della Segreteria, 1876-1884; Decreta, 1876-1884; L’Illustrazione Italiana, 16 marzo 1884, p. 166; La Civiltà cattolica, XLVI (1896), p. 359; La voce della verità, 22 e 23 luglio 1896; R. De Cesare, Il Conclave di Leone XIII ... e il futuro conclave, Città di Castello 1888, pp. 11, 134, 156, 159, 172, 180, 192, 195-198, 205, 237, 244-249, 261, 271, 394, 502, 513-526, 542, 545, 554 s., 559; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I-III, Milano 1932-33, ad ind.; G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma 1955, p. 207; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana, Bari 1966, p. 250; C. Marongiu Buonaiuti, Non expedit. Storia di una politica (1866-1919), Milano 1971, pp. 77, 79, 83, 85, 87; G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano, 1870-1901, saggio introduttivo di A.C. Jemolo, Milano 1971, pp. 433, 508, 578, 585, 592, 595; C. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und Vatikanischen Politik unter Leo XIII., Tübingen 1973, ad ind.; Id., Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, Stuttgart 1978, pp. 268, 302 s., 349, 353, 488, 691, 729, 740, 748, 752; B. Lai, Finanze e finanzieri vaticani fra l’800 e il 900. Da Pio IX a Benedetto XV, Milano 1979, pp. 80, 114; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma, 1986, pp. 322, 336, 338; Id., Pio IX (1867-1878), Roma, 1990, ad ind.; C.M. Fiorentino, Chiesa e Stato negli anni della Destra storica. 1870-1876. Il trasferimento della capitale e la soppressione delle Corporazioni religiose, Roma 1996, pp. 47, 95, 310-312, 351, 547, 554 s.; Id., La questione romana intorno al 1870. Studi e documenti, Roma 1997, pp. 75, 240; Id., P. Generoso Calenzio e il «Diario del Conclave di Leone XIII», in Archivio della Società Romana di storia patria, CXVIII (1995), pp. 234, 251, 268, 272, 276; A. Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti. La «questione di Roma» tra politica nazionale e progetti vaticani (1876-1883), Roma 2000, ad ind.; Id., Da Pio IX a Leone XIII: il dibattito nella Curia romana dopo l’Unità d’Italia, in La moralità dello storico, Indagine storica e libertà di ricerca. Studi in onore di Fausto Fonzi, a cura di A. Ciampani - C.M. Fiorentino - V.G. Pacifici, Soveria Mannelli 2004, pp. 58, 62-65, 67-69, 71-78, 81-83, 85; Hierarchia Catholica, VIII, p. 18.