MONETA
Nel Medioevo, il termine m. designava tanto la zecca (è anzi questo il significato originario della parola, dovuto al fatto che la prima zecca romana si trovava presso il tempio di Giunone Moneta), quanto il prodotto della stessa; oggi per m. si intende un oggetto di metallo, a forma di disco, coniato per favorire gli scambi commerciali e recante immagini e/o iscrizioni su entrambi i lati: segni che ne garantivano ufficialità, autenticità e valore; più raramente le m. recavano impronte a rilievo su uno solo dei lati, come nel caso dei c.d. bratteati (v.). I principali metalli utilizzati erano oro, argento e leghe di argento (dette mistura o biglione), bronzo o rame puro, ma si conoscono anche m. di piombo e perfino di cuoio.I due lati sono definiti dai numismatici con i termini di dritto e rovescio: di solito si considera dritto il lato recante il tipo principale, avente per lo più riferimento all'autorità emittente, spesso ivi ritratta. Si può indicare anche come dritto il lato prodotto dal conio di incudine; tuttavia non sempre il tipo e la leggenda principale sono impressi sul conio (v.) di incudine, così che la definizione di dritto e rovescio spesso dipende dalla scelta dello studioso.Un aspetto fondamentale della m. è quello di costituire il primo manufatto in serie della storia. Il numero di esemplari prodotti da una sola coppia di coni poteva peraltro variare enormemente, in media da cinquemila a trentacinquemila (Grierson, 1984, pp. 162-163).L'arte monetale romana trovò nei secc. 4° e 5° nuove forme di espressione, adeguandosi al gusto e allo spirito del nuovo impero cristiano. La monetazione dei regni barbarici, consistente in solidi e tremissi aurei e raramente in nominali di bronzo e argento, raccolse quelle forme, privilegiando sempre il simbolismo cristiano, e le elaborò in modi diversi con la ripetizione imitativa, progressivamente deformata, di busti o leggende; tale pratica portò in alcuni casi forme di sfigurazione, simili a quelle già espresse nelle m. celtiche, come il c.d. porcospino di alcune m. anglosassoni, dove gli aculei sono in realtà i capelli di un busto di profilo ormai scarsamente riconoscibile. Non mancano momenti interessanti sotto il profilo iconografico-artistico, come l'utilizzazione del tipo della lupa con i gemelli su una m. di rame dei Goti (v.), e poi ancora su un tremisse merovingio di Tolosa e su uno sceatta anglosassone. Notevole è in questo senso il multiplo di solido noto come medaglione di Teodorico (Roma, Mus. Naz. Romano, Medagliere, Coll. Gnecchi), che presenta un ritratto in posizione frontale. Simile a quest'ultimo nel carattere celebrativo - quasi 'medaglia' - è l'aureo di Ludovico il Pio (814-840), di pure forme classiche (v. Carolingia, Arte).Dalla fine del sec. 7° al 1200 ca. il denaro d'argento fu la m. dominante in tutta Europa, mentre le m. auree restarono in uso nelle aree periferiche, ai margini del mondo islamico (Sicilia, Italia meridionale, Spagna). I denari argentei, di peso variabile tra gr 1 e 2, senza multipli e raramente con frazioni (oboli o 'medaglie' nella terminologia medievale), sono caratterizzati dal basso spessore e dallo scarso rilievo: il tipo dominante è la croce, accompagnata da busti - rari ovunque a eccezione dei denari anglosassoni -, monogrammi, la facciata di un tempio, leggende nel campo.Con la creazione dei primi grossi argentei verso la fine del sec. 12° - quello di Venezia è del 1200 ca. - si apre un nuovo periodo della produzione monetaria europea. I grossi sono m. di buon argento e di largo modulo, multipli effettivi del denaro, spesso all'origine aventi il valore di un soldo, vale a dire di dodici denari, o di due soldi, come nel caso del grosso di Venezia. In questi grandi esemplari la maggiore ampiezza del campo offriva nuove possibilità figurative e immagini più complesse comparvero da allora sul supporto monetale, con figure di sovrani e immagini a carattere religioso.Il ritorno all'oro nell'Occidente duecentesco si fa datare dal 1252, con la creazione del genovino d'oro di Genova e del fiorino di Firenze, che a loro volta diedero inizio a una nuova serie di m. molto rappresentative. Prima del 1252 si deve comunque ricordare la creazione dell'augustale (v.) di Federico II nel 1231, nonché di varie m. auree di imitazione araba, emesse in Spagna e nel regno di Sicilia. Dopo la metà del Duecento i sistemi monetari dei vari paesi europei si presentavano differenziati, con m. d'oro, d'argento e di mistura (una lega di argento e rame, con argento in quantità inferiore al 50%), e di vari tagli, con grande varietà di tipi, che ne consentivano l'identificazione e la caratterizzazione.La m. è insieme misura e segno del valore, nonché merce in se stessa, come oggetto manufatto 'segnato' di un determinato metallo, che richiedeva tra l'altro costi e procedure di produzione che si aggiungevano al valore del metallo grezzo. Questi aspetti sono legati indissolubilmente: da un lato il ruolo economico di una m. dipende almeno in parte dalle immagini che porta impresse come segni dell'autorità emittente; dall'altro il valore del messaggio di queste immagini e la loro potenzialità politica sono legati al ruolo economico della moneta. Da ciò si può valutare l'importanza dei tipi monetali, ovvero di quanto vi è raffigurato o scritto su entrambi i lati. I tipi principali identificavano immediatamente la m. e ne consentivano una pronta attribuzione a questo o quel sovrano o stato, mentre la presenza di questo o quel dettaglio era elemento determinante per riconoscere una certa emissione.Le m. potevano essere indicate con il nome della città di emissione (parigino d'oro; frisiacensi, denari argentei di Friesach, in Austria, e loro imitazioni) o con quello del sovrano (carlini, alfonsini), o ancora con il nome di uno dei tipi: fiorino, dal fiore di Firenze, o gigliato, dalla croce decorata di gigli; ambrosino dal santo sulle m. di Milano; agnello (o mouton) dall'Agnus Dei di alcune m. francesi; baldacchino da un tipo dello Hainaut raffigurante un cavaliere il cui cavallo è coperto da un ricco 'baldacchino'.Spesso tuttavia queste definizioni non solo non bastano a un lettore moderno per identificare una m., ma erano insufficienti anche all'epoca, e quando vari tipi della stessa m. erano entrati in circolazione si doveva aggiungere ulteriore specificazione: così per es., come riporta Francesco Balducci Pegolotti nella Pratica della Mercatura, i "fregiachesi dell'aquila e della torre e dello giglio e della luna" non sono denari di Friesach, ma simili denari di Aquileia e di Trieste (Grierson, 1957). Non vi erano regole di definizione e non stupisce che alcune m. menzionate dalle fonti non siano ancora state identificate. Del resto non è raro il caso di m. descritte solo in base a un dettaglio, senza menzione del tipo principale, dato per scontato.È utile osservare come il messaggio politico 'di propaganda' sia stato affidato a volte a m. di vile metallo, per la circolazione minuta, a volte a m. d'oro di alto valore, per l'uso internazionale: necessità diverse potevano determinare simili scelte. Come esempio del primo caso possono essere ricordati i sovrani normanni in Italia meridionale, che posero la loro immagine sulle m. di rame (Ruggero I raffigurato a cavallo, Ruggero II seduto in trono), continuando a battere m. auree locali (tarì), secondo i modelli epigrafici tradizionali della Sicilia araba, forse per non alterare i tipi dei tarì, che avevano una diffusa circolazione internazionale. È tuttavia evidente che la m. di rame aveva per i primi sovrani normanni una grande potenzialità di diffusione della loro immagine nella Sicilia appena sottratta agli Arabi, dove il loro messaggio era in primo luogo diretto (Travaini, 1995). Come esempio del secondo caso può essere ricordato Federico II, che nel 1231, al culmine del potere, fece emettere l'augustale d'oro, con il suo ritratto in alto rilievo, secondo modelli augustei: Federico era a quel punto una figura centrale nella scena politica internazionale alla quale l'augustale era diretto, mentre i tarì di origine araba continuarono a essere emessi con tipi tradizionali e con pseudo-leggende arabe deformate.In quest'ambito si collocano anche le questioni relative all'immobilizzazione dei tipi e alle leggende monetali. L'immobilizzazione dei tipi assunse nella m. forme estreme, poiché ogni trasformazione di m. esistenti o introduzione di nuovi sistemi monetari con l'imposizione di nuovi rapporti di cambio era - ed è ancora - generalmente considerata con sospetto se non con avversione. Il ducato d'oro di Venezia restò immutato nei tipi per cinque secoli. Proprio nei casi di immobilizzazione, tuttavia, si possono meglio cogliere variazioni di stile.Se una m. si affermava con successo in una regione, veniva spesso imitata dagli stati vicini, che volevano uguagliarne anche il successo e il profitto, ma che rischiavano di andare al di là della semplice imitazione, e finire nella falsificazione, a rischio di fratture politiche o di vere e proprie guerre. Nel sec. 12° Pisa emetteva denari che imitavano letteralmente quelli di Lucca e l'imperatore Federico I Barbarossa dovette intervenire a più riprese, nel 1155, nel 1175 e nel 1181, a protezione della m. lucchese. Più tardi, nel 1318-1319, a voler imitare la m. aquilina pisana d'argento furono i lucchesi, i quali dovettero sottoporre all'esame del governo pisano un modellino di gesso - "signum sive modulum cunei designatum in quadam tabulella gissata" - per averne autorizzazione (Banti, 1978). Si possono citare in merito le imitazioni poco gradite dai fiorentini che papa Giovanni XXII (1316-1334) fece del fiorino a Pont-de-Sorgues: Giovanni Villani parla al proposito di 'dissimulazione', accusando il fiorino papale di essere praticamente identico a quello di Firenze (Nuova cronica, X, 171, 278).Se l'alterazione di m. esistenti era di solito malvista, diverso poteva essere il caso dell'introduzione di m. del tutto nuove, che segnavano magari l'inizio di attività di una zecca. I Comuni italiani sono un punto di osservazione privilegiato del comportamento verso la moneta. Il diritto di battere m. era forse la più alta espressione dell'autorità emittente e le zecche furono uno specchio dell'autorità e del prestigio del Comune. Federico I Barbarossa, distrutta Milano nel 1162, subito proibì l'uso delle m. milanesi e impose i suoi denari imperiali come caput monetae, ossia m. di riferimento, in Lombardia; Villani scrive che il fiorino di Firenze fu creato nel 1252 "per onore del comune" (Nuova cronica, VII, 53). Come esempio estremo dell'identificazione tra m. e città si possono ricordare alcune 'coniazioni per dispetto' nell'Italia medievale, specialmente in Toscana, che rendono bene l'idea del valore psicologico e simbolico della m. e dei suoi segni: nel 1343, per es., i perugini presero Arezzo e coniarono nel duomo stesso m. con i tipi di Perugia; lo stesso fecero i veneziani nel corso di un'incursione a Genova nel 1299 e pure i fiorentini contro i pisani e viceversa (Grierson, 1979a).Se dunque la m. era portatrice di tanto simbolico messaggio, la scelta dei suoi tipi era determinante. I tipi, come si è detto, possono essere assai variati, con elementi figurativi e/o ornamentali e leggende, disposte in modi diversi e con equilibri mutevoli.Le leggende hanno importanza notevole, in senso descrittivo, decorativo, nonché simbolico e in alcune fonti si parla di litterare monetam, come in altre di figurare monetam. Ci si può chiedere se e quanto le spesso complicate leggende delle m. medievali fossero effettivamente lette dal pubblico e non è facile rispondere; il pubblico di certo riconosceva di ogni emissione alcuni dettagli particolari, con criteri variabili. Le cancellerie, se trascurarono spesso di indicare il numerale relativo a un sovrano, pure curavano il messaggio scritto aggiornando la titolatura, che costituisce dunque un elemento chiave di attribuzione. Ma vi sono casi di sovrani che rinunciarono del tutto a porre il proprio nome sulla m., per motivi religiosi, come per i folles anonimi bizantini del sec. 11°, o per conservare i tipi tradizionali, come per le m. inglesi di Riccardo Cuor di Leone, Giovanni Senza Terra ed Enrico III, dal 1180 al 1247, che portano i tipi e il nome di Enrico II. La leggenda poteva contenere un riferimento al tipo, come il nome del re o di un santo o un'invocazione religiosa, ma vi sono, specialmente nell'Alto Medioevo, casi in cui le leggende sono del tutto indipendenti dal tipo, come nelle m. merovinge, che portano il busto del re, ma il nome del monetiere e della zecca (Arslan, 1992, p. 834).Le immagini del sovrano sulle m. medievali furono in genere idealizzate e prive di caratteri individuali, almeno fino alla rinascita duecentesca con i ritratti sugli augustali di Federico II e di Carlo I d'Angiò. Tali immagini sono identificate dalle vesti e dagli attributi (corona, scettro, globo), il cui studio può offrire molte informazioni (Schramm, 1928). Il sovrano è raffigurato sia frontalmente, in trono, sia in busto di profilo, oppure a cavallo o in ginocchio di fronte a una figura religiosa. Nel caso di sovrani associati o affiancati da una figura religiosa, non vi sono regole fisse per indicare la posizione del personaggio più importante: si trovano la Vergine o il Cristo o S. Demetrio o il sovrano nel campo a destra, volti verso il personaggio minore che si trova a sinistra, ma anche S. Marco a sinistra di fronte al doge inginocchiato verso di lui nella parte destra del campo sui ducati di Venezia (ma sui grossi argentei il santo è a destra e il doge a sinistra). Tra i rari casi di figure di autorità femminili raffigurate sulle m. si possono ricordare le badesse di Quedlinburg, in trono o sedute sulle mura della loro abbazia (Berger, 1993, nrr. 1398-1437).Le immagini religiose rappresentano uno dei più diffusi soggetti dell'iconografia monetale: il Cristo, in busto o seduto in trono o in mandorla e perfino raffigurato sul dorso dell'asino sulla via di Gerusalemme (denaro merovingio di Aquitania; Grierson, Blackburn, 1986, nr. 590); la Vergine, orante, o con il Bambino in braccio o al centro delle mura di Costantinopoli, viste dall'alto, o in scene di Annunciazione; e poi numerosi santi, scelti e raffigurati secondo criteri precisi di funzione e di simbolo, numerosi specialmente là dove mancò una forte e precoce unità nazionale. Mentre infatti i tipi monetali reali in Inghilterra e in Francia assunsero presto caratteri omogenei e unitari, ripetitivi nel sottolineare la continuità dinastica, in Germania e in Italia le tante e frammentarie autorità locali trasmettevano attraverso le m. immagini estremamente variate, con un repertorio di santi veramente notevole, che, a partire dai più antichi esempi con S. Michele sulle m. longobarde, S. Gennaro sui folles di Napoli, S. Pietro su molti antiquiores papali, include santi importanti come Stefano, Lorenzo, Martino, Michele o Giorgio nell'atto di uccidere il drago, fino a santi minori e locali (Wörterbuch der Münzkunde, 1930).I numerosi santi vescovi sono un riflesso evidente del ruolo dei vescovi nelle città medievali: del resto molti privilegi di zecca erano stati concessi dall'imperatore al vescovo; le città poi fecero del santo vescovo cittadino la figura di mediazione del trapasso dell'autorità al Comune. Tra le raffigurazioni di santi si possono segnalare (Berger, 1993, nrr. 1275, 2040) le vivaci scene del Martirio di s. Lorenzo sulla graticola su bratteati di Merseburg (1151-1170) e della Lapidazione di s. Stefano su bratteati di Halberstadt (1149-1160). Tra i soggetti religiosi si può ricordare il sudario posto come piccolo segno sui ducati d'oro del Senato romano (Corpus Nummorum Italicorum, 1910-1971, XV, p. 161). Con l'eccezione di Maria, le presenze femminili tra le m. con santi sono rarissime: si può ricordare la Maddalena su m. auree angioine di Provenza del sec. 15° (magdalon d'or di Tarascona; Engel, Serrure, 1891-1905, III, p. 1016). Un altro tipo religioso è su un fiorino di Davide di Borgogna vescovo di Utrecht (1455-1494), raffigurante Davide che suona l'arpa (harpes d'or; Engel, Serrure, 1891-1905, III, p. 1145).Frequenti sono anche le rappresentazioni architettoniche, sia come cornice di busti o figure intere di santi o sovrani sia come tema principale: vedute della città sono raffigurate sui follari di Salerno del sec. 11°, sui denari di Bergamo a nome di Federico II; architetture complesse, ricamate e turrite, sono uno dei caratteri più affascinati dei bratteati tedeschi dell'11° e 12° secolo. Uno stilizzato castello compare sui denari e grossi tornesi; una porta cittadina su quelli di Genova dal 1139 (IANVA); un ponte fortificato sui quattrini di Ascoli Piceno; l'imponente acquedotto compare come segno di zecca sulle m. di Segovia. Più tardi furono i santi a tenere in mano i modellini delle loro basiliche o delle città: si veda l'esempio del grosso argenteo battuto nel sec. 14° ad Aquisgrana con il nome di Carlo Magno, raffigurante il 'santo' imperatore in ginocchio nell'atto di tenere in mano la basilica (Grierson, 1991, p. 163); oppure le m. quattrocentesche di Pesaro con S. Terenzio che reca il modellino della città (Corpus Nummorum Italicorum, 1910-1971, XIII, pp. 426, 432). Nelle m. gotiche d'Oltralpe i troni si trasformano in complesse architetture o in scenografiche cornici, come nel pavillon d'or di Filippo VI di Valois, emesso nel 1339, dove il re siede sotto un padiglione decorato di fiordalisi (Lafaurie, 1951, nr. 254).Le personificazioni di tipo classico sono rare: la Vittoria sulle m. longobarde si trasformò in S. Michele Arcangelo, mentre un caso eccezionale è costituito dalla personificazione di Roma caput mundi sulle m. argentee del Senato romano.Tra gli altri motivi presenti sulle m. si trovano animali: leoni e aquile, cavalli e agnelli, ma anche un delfino sui denari del Delfinato, un falcone sui bratteati dei signori di Falkenstein in Germania, il mostruoso biscione sulle m. dei Visconti e perfino mucche, nello stemma dei duchi di Bearn. Fiori e alberi trovano anch'essi largo spazio, dal giglio di Firenze all'albero sulle rarissime m. di Arborea in Sardegna, e perfino l'albero proibito dell'Eden con il serpente e Adamo ed Eva su un bratteato della contea di Falkenstein (1142-1174). Quest'ultima rappresentazione avrebbe un legame con quella simile sulle porte di bronzo della cattedrale di Novgorod, commissionate alla metà del sec. 12° dall'arcivescovo di Magdeburgo, quindi non lontano dalla zecca del bratteato, offrendo un buon esempio del rapporto tra le m. e altre forme d'arte (Grierson, 1977, p. 49).La questione della raffigurazione di m. in opere d'arte di epoca medievale non è ancora stata studiata a fondo. Le m. si trovano comunque rappresentate in pittura e miniatura, anche se spesso come simbolo del denaro offerto in elemosina oppure come versamento delle imposte o anche in scene di operazioni mercantili e bancarie nel Basso Medioevo. Si dovrebbero approfondire i modi e i momenti della presenza o meno di raffigurazioni simili, per es. nella raffigurazione di Avaritia o Liberalitas, o nelle scene di distruzione del Tempio di Gerusalemme (Yamey, 1986; Huiskamp, de Graaf, 1994; Petrocchi, 1995).Per quanto riguarda infine gli aspetti legati agli usi non monetali, va rilevato che la m., piccola òpera d'arte' in sé e soggetto d'arte seppur sporadico, ha conosciuto molti usi diversi e quindi si può parlare di m.-oggetto, utilizzata come ornamento o come oggetto metallico particolare. Uno dei più comuni di tali usi era quello dell'obolo' di Caronte, che si realizzava ponendo una o più m. in una sepoltura per assicurare il trapasso del defunto; si tratta di un uso pagano ben consolidato in età cristiana in tutta Europa, fino a tempi recenti, anche se spesso non si può distinguere tra òbolo' e offerta funeraria in senso lato (D'Angela, 1983). Altro uso era quello di porre m. nelle fondamenta di edifici (più tardi m.medaglie speciali furono coniate appositamente per tale scopo). M., o imitazioni di m., erano usate costantemente come ornamenti personali ed è frequente il rinvenimento di m. forate, evidente segno dell'uso ornamentale (Moneta e non moneta, 1993).
Bibl.:
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