INCUSE, MONETE
. Categoria di monete antiche, di varî metalli, che hanno sul rovescio la figura (o un semplice quadrato in luogo di questa) anziché in rilievo, affondata e come incavata nel metallo. Esse si suddividono in due grandi gruppi: le monete col quadrato incuso e le monete col rovescio incuso.
Al primo gruppo appartengono in generale tutte le serie arcaiche, che risalgono al di là del sec. VI e del V a. C., uscite dalle zecche dei paesi ellenici ed ellenizzati del Mediterraneo orientale. Le monete si presentano ancora di forme irregolari, tozze, allungate, e spesso con un tipo in rilievo su una sola faccia, mentre sull'altra faccia, che denominiamo rovescio, sono una o più depressioni, di forma solitamente quadrangolare o rettangolare, con superficie rugosa, prodotte dall'affondamento nel metallo dei punzoni che hanno servito da conio. In progresso di tempo il quadrato o rettangolo incuso assume forma più regolare, e viene prima intersecato da linee rette, quindi occupato da una piccola figurazione in rilievo, la quale finisce per predominare eliminando del tutto il quadrato incuso.
Le monete col puro e semplice quadrato incuso sono le più arcaiche di tutte le serie greche; presentano questa caratteristica: le primitive serie anepigrafi d'elettro e d'argento di zecche incerte della Ionia meridionale, attribuite a Focea, Lesbo, Cizico, Lampsaco, Chio, Samo, Teo, ecc., i criseidi d'oro e d'argento persiani; i darici d'oro e d'argento di Dario e di Serse; le serie primitive di Sinope di Panticapeo, dei dinasti della Licia; le tartarughe di Egina, i primitivi pegasi di Corinto; le primitive serie di Atene col tipo del cavallo, dell'anfora e della ruota; le grandi monete d'argento delle tribù tracio-macedoni, i pezzi di Acanto, di Abdera, di Paro, di Nasso, di Melo, della Cirenaica, ecc.
In progresso di tempo, là dove le serie continuano, in tali depressioni compare il tipo vero e proprio: a Samo una testa taurina, a Lesbo una testina di Pallade, a Tenedo la bipenne, a Cnido la testina di Venere, nella Licia la triquetra, a Mallos la pietra piramidale sacra, ad Eretria il polipo, a Caristo il gallo, ad Atene la civetta, a Corinto la testa di Pallade, in Tessaglia il cavallo, a Cirene l'effige di Zeus, ecc. Alcune poche zecche hanno conservato più a lungo delle altre questa caratteristica arcaica, esclusivamente per ragioni pratiche; così Focea e Cizico. Può dirsi però che dovunque, altrove, tale caratteristica sia scomparsa circa la metà del sec. V a. C. Delle tante zecche della Sicilia e della Magna Grecia che iniziarono la loro monetazione ancora nel periodo arcaico (metà del secolo VI a. C.) tre sole hanno adottato questa caratteristica tecnica di coniazione: Siracusa, che presto vi ha imposto la testina femminile che poi doveva costituire il tipo della sua moneta d'argento; Selinunte e Imera che però presto v'impongono anch'esse un tipo, l'una la foglia trilobata, l'altra la ruota, la gallina, il granchio.
Nella Magna Grecia le colonie achee hanno adottato per le loro monete arcaiche un'altra tecnica, che doveva distinguerle del tutto da quelle ovunque contemporaneamente coniate altrove: la tecnica del rovescio incuso; il quale riproduce, più o meno esattamente, in incuso il tipo che appare in rilievo sul dritto, mentre il tondello si presenta subito perfettamente circolare, piatto e fine. Tali sono le primitive monete di Taranto, di Metaponto, di Sibari, di Crotone, di Reggio, di Messina, di Posidonia, ecc. Alcune volte il rovescio è arricchito di piccoli particolari che appaiono in rilievo, a dimostrazione che si sono usati due conî distinti; qualche altra volta il tipo in incuso è del tutto diverso dal tipo del dritto, come a Taranto che accoppia a Taras l'Apollo Iacinzio, a Metaponto che accoppia alla spiga il bucranio; a Crotone che al tripode contrappone il toro. Può dirsi che questa tecnica della Magna Grecia sia stata in generale abbandonata all'inizio del sec. V a. C., perdurando un poco più a lungo solo a Metaponto.
In bronzo si conosce una sola complessa serie di pezzi a rovesci incusi, varî: la serie etrusca di zecca incerta, anepigrafe, della fine del IV e il princ. del III sec. a. C. (v. etruschi: Numismatica).
Bibl.: E. Babelon, Traité des monnaies grecques et romaines, I, i, Parigi 1901; G. F. Hill, Tecnica monetale antica, trad. dalla Numism. Chron. di S. L. Cesano, in Atti e memorie dell'Istituto ital. num., V (1925), p. 209 segg.