Monfiorito da Coderta
Podestà di Firenze nel primo semestre del 1299. Strumento della fazione donatesca, fece, secondo il Compagni (I 19) " della ragione torto e del torto ragione, come a loro paresse ". M. entra marginalmente nel mondo di D., pur essendone stato un protagonista: non abbiamo infatti notizia di suoi contatti diretti con il poeta, né c'è alcun accenno a lui o al suo operato nelle opere dantesche. Solo in Pg XII 104-105 è ricordato un misfatto di cui M. fu l'involontaria causa prima. Nel determinare infatti l'epoca in cui fu costruita la scalea che da Firenze portava al monte delle Croci fuori porta S. Miniato, D. la fa risalire ad etade / ch'era sicuro il quaderno e la doga, con preciso riferimento a uno scandalo che turbò la società a lui contemporanea.
Lo scandalo scoppiò in conseguenza della confessione resa dal M. allorché, per i suoi molteplici soprusi, fu esonerato dalla carica e sottoposto a processo. Durante la tortura M. rivelò molti misfatti da lui assecondati, che implicavano cittadini influenti; e uno di questi, Nicola Acciaiuoli, sembra con la complicità di Baldo d'Aguglione, alterò il libro notarile che conteneva la parte di confessione che lo riguardava. Quest'epoca di corruzione è quindi da D. contrapposta a quella della costruzione della scalea: un buon tempo antico a cui il poeta si rivolge sempre con rimpianto.
La podesteria di M. si concluse con il suo imprigionamento, né valsero le varie richieste dei suoi conterranei per fargli abbreviare la pena. Finalmente M. riuscì a fuggire insieme con un compagno di prigionia, tal Arrigucci, e se ne tornò a Treviso, sua città di origine (cade in errore infatti il Compagni, che lo dice padovano). Fervente seguace della signoria cominese, fu esiliato nel 1317 dopo la caduta di questi signori, ma fu ben presto richiamato e reintegrato nel possesso dei suoi beni; morì dopo il 1330, anno in cui testò in favore del figlio Gualpertino.
Bibl. - Davidsohn, Storia III, passim.