MONGOLI
. Il nome. - Il nome dei "Mongoli" (Monghol, plur. Monghod) compare per la prima volta in un testo cinese risalente a circa l'800 d. C., sotto la forma Mong-wu (*Mung-nguÑt), la quale, foneticamente, può rappresentare tanto il singolare quanto il plurale. L'etimologia di questo nome ci sfugge. La tarda spiegazione cinese con münggü "argento" è certo errata; quella, spesso addotta, con mong "impetuoso" (che d'altronde ha anche altri significati) è sinora priva di fondamento. Il nome, originariamente, si applica a una piccola tribù, e non all'insieme dei Mongoli.
Storia. - Epoca arcaica. - Sembra che tribù mongole siano vissute nella Mongolia orientale sin da prima dell'era volgare; ma agl'inizî del sec. II a. C. il primo impero delle steppe, quello degli Hiung-nu (*χiwong-nuo, dal nome identico agli Unni dell'epoca delle invasioni) si ritiene in genere, allo stato attuale delle nostre conoscenze, sia stato formato da Turchi più che da Mongoli. La situazione muta con l'impero dei Juan-juan o Avari (407-553), i quali, tanto i veri Avari quanto gli pseudo-Avari, debbono essere stati di lingua mongolica. Mongoli del pari furono i T'u-yü-hun (*T‛uo-i̯wok-γuÑn, *Toyoghun), emigrati sin dall'inizio del sec. IV nel SO. del Kan-su, nella regione del Kökö-nōr, dove il loro regno fu distrutto solo nel 663 dai Tibetani. Chi scrive ritiene Mongoli anche gli Eftaliti, o "Unni bianchi" degli storici bizantini, che verso il 500 si abbatterono sull'Afghānistān e devastarono il NO. dell'India. I T'u-küe (= *Türküt, Turchi), i quali, alla metà del sec. VI edificarono il loro impero sulle rovine di quello degli Avari, dovettero a questi ultimi, insieme alla loro organizzazione amministrativa, una parte della loro titolatura, come il titolo di qaghan (> khān), già noto agli Avari e ai T'u-yü-hun, quello di teghin, attestato poco dopo il 500 presso gli Eftaliti, e altri ancora come bagha, tarqan e shad; ed è forse per mezzo di questi predecessori mongoli che l'antico titolo di yabghu, noto sin da prima l'era nostra presso i Ta-hia di Battriana, penetrò nel sec. VI presso i Turchi T'u-küe. I T'u-küe si affermavano discendenti da un lupo, e una delle loro tradizioni asseriva che i loro avi erano stati rinchiusi in un circo sboccante su una grotta, durante un certo numero di generazioni; questa duplice leggenda si ritrova presso i Mongoli del sec. XIII, senza che la si possa affermare un recente imprestito dai popoli turchi.
Mong-wu e Tatari sotto i Tang. - Al tempo degl'imperi turchi dei T'u-küe (distrutti nel 745), e poi degli Uiguri (745-841), allorché i Mong-wu ("Mongoli" in senso stretto) non sono che una piccola tribù, il gruppo principale delle tribù mongole è designato col nome di Tatari, sia nelle iscrizioni turche dell'Orkhon sia nei testi cinesi. Questi Tatari vivono nella Mongolia orientale, nel sud-ovest della Manciuria, e trafficano lungo la Grande Muraglia, là dove nei secoli XII-XIII si trovano gli Önggüt, detti anche Tatari bianchi. Alla loro presenza dobbiamo il ritrovare verso l'800 una parola specificamente mongola nel nome di una montagna del nord dello Shan-si. L'importanza di questi Tatari spiega come, anche dopo il trionfo del gruppo "mongolo" in senso stretto, il nome di Tatari (divenuto in occidente "Tartari", salvo che presso i Russi) abbia ancora servito spesso a designare l'insieme dei Mongoli, tanto nelle lingue europee quanto in arabo e in cinese.
I Qïtay. - Questo popolo, sotto la trascrizione K'i-tan, compare nei testi cinesi sin dal sec. IV, abitante la Manciuria di sud-ovest e il sud-est della Mongolia. Lo si ritrova, sotto la forma Qïtañ (Qïtay) nell'epigrafia turca del sec. VIII. Alla caduta dei T'ang, i Qïtay invadono progressivamente la Cina settentrionale sotto il comando di A-pao-ki (872-926). Un figlio di questo stabilisce nel 938 la propria capitale meridionale a Pechino, e, nello stesso anno della sua morte (947), adotta il nome dinastico cinese di Liao. L'influenza dei Liao si estese sulle attuali province del Ho-pei e dello Shan-si, e, fuori della Cina propria, nella Manciuria a E., e a O. sin nella regione di Tūrfān. Nel 1123, i Liao furono a loro volta rovesciati dai Tungusi Jučen, che s'impadronirono di Pechino. Un forte gruppo dei Liao, guidati da Ye-lü T'ai-shi, emigrò verso occidente, e fondò nel Turkestān cinese occidentale e nella parte NE. del Turkestān russo il regno dei Si-Liao ("Liao occidentali"), o Qara-Qïtay ("Qïtay neri") che fu distrutto da un principe Naiman nel 1203. I Qïtay sono stati spesso presi per Turchi o per Tungusi. Le espressioni della loro lingua che noi conosciamo in trascrizione cinese non lasciano dubbio che essi parlavano un dialetto mongolo, ma fortemente palatalizzato. I Qïtay si erano create due scritture nazionali; molti importanti monumenti di una tra esse sono stati scoperti qualche anno fa, ma resistono tuttora alla decifrazione. A causa dello stanziamento dei Qïtay nella Cina settentrionale, il loro nome è divenuto il nome usuale della Cina presso quei popoli che, nel Medioevo, sono stati con lei in rapporto attraverso l'Asia centrale (Arabi, Persiani, Russi, ecc.).
Il primo impero "mongolo". - Nel secondo quarto del sec. XII, un primo impero "mongolo" con tal nome compare nella Mongolia orientale, ai confini della Cina del nord, allora in possesso della dinastia tungusa degli Jucen. I testi cinesi lo indicano in trascrizioni varie, che riconducono ora a Mongghol o Monggul, ora a Monggusi, plurale jučen di Monggul.
Genghiz-Khān. - Il primo impero espressamente detto "mongolo" ebbe la stessa sorte effimera di tante altre confederazioni in cui si agglomerava per qualche tempo il pulviscolo dei clan nomadi; esso non era più che un ricordo allorché Tämügin, il futuro Genghiz-Khān, nacque nel piccolo clan "mongolo" Qiyat dei Borgighin alle fonti dell'Onon, probabilmente nel 1155. Tämügin era il primogenito del piccolo capo Yäsügäi. I "Mongoli" propriamente detti avevano una vecchia ruggine con i loro più numerosi cugini del SE., i Tatari, che avevano provocato la rovina del loro impero. Verso il 1167, i Tatari avvelenarono Yäsügäi. La vedova di lui e i suoi bambini, spogliati dell'eredità dai loro parenti, si rifugiarono nella montagna, dove condussero una vita precaria per parecchi anni. Tämügin ne uscì per sposare una Qonghrat, con cui il padre l'aveva un tempo fidanzato. Tutta la famiglia allora passò nella regione dell'alto Kerulen, avvicinandosi ai pascoli dell'alta Tūla, dove era accampato il potente principe dei Kerait, Toghrul, più noto sotto il suo titolo di Ong-Khān, antico "fratello giurato" (anda) di Yäsügäi. I Kerait erano allora cristiani nestoriani da più generazioni, e Ong-Khān è uno di quelli che in Occidente hanno avuto il titolo di "Prete Gianni". Quanto all'appartenenza etnica, ci è ancora difficile lo stabilire se si debbano vedere nei Kerait in quell'epoca dei Mongoli che abbiano subito una forte influenza turca, o dei Turchi in via di mongolizzarsi.
Ong-Khān promise il suo appoggio a Tämügin, che peraltro rischiò di perire allorché il popolo turco-mongolo dei Märkit, stabilito a N. dei Kerait, tentò di vendicare su di lui il ratto, compiuto in danno di uno dei loro, di colei che era poi divenuta la moglie di Yäsügäi. Sostenuto da Ong-Khān, e alleato con un "fratello giurato" della propria infanzia, il mongolo Giamuqa, Tämügin vinse i Märkit. La sua fama cresceva tra i "Mongoli" in senso stretto, e si diffondeva l'idea di ristabilire a suo profitto la monarchia "mongola" caduta da quasi mezzo secolo. Giamuqa, invidioso, si allontanò allora dal suo "fratello giurato", che non pertanto, secondo una tradizione un po' strana, sarebbe stato riconosciuto verso il 1197 sovrano dei "Mongoli" in senso stretto, sotto il titolo non spiegato di Genghiz-Khān, il nostro Gengiscan.
Poco dopo, certo nel 1198, e a istigazione degli Jučen, Ong-Khān e Tämügin facevano in comune una fortunata campagna contro i Tatari del lago Büir. Ma Giamuqa non disarmava. Aveva con sé una parte dei "Mongoli" propriamente detti, poi i Tatari del SE., i Märkit, gli Oirat della regione del Bajkal, i Naiman che oecupavano l'Altai. Genghiz-Khān seppe disunire la coalizione, e sottomise i Tatari (1202). Invano Giamuqa provocò la rottura tra lui e Ong-Khān; Genghiz sorprese il campo di Ong-Khān che fu ucciso (1203). Giamuqa fece allora insorgere i Naiman che furono a loro volta disfatti, e perdette egli stesso la vita (1204). A questo punto Genghiz-Khān era padrone della Mongolia intera, e la sua sovranità fu consacrata da una dieta panmongola che si tenne nel 1206 alle sorgenti dell'Onon.
Genghiz-Khān aveva dunque 50 anni allorché cominciò la prodigiosa avventura che doveva durevolmente cambiare l'aspetto del vecchio mondo. Incolto ma chiaroveggente, valoroso senza temerità, profondamente compenetrato della propria divina missione al regno di tutta la terra, il conquistatore fu dapprincipio, come tutti i nomadi, attirato dalla fama della ricchezza cinese. La dinastia tungusa dei Kin o Jučen si era snervata col suo civilizzarsi: i soldati di Genghiz-Khān entrarono quindi in Pechino senza troppa fatica nel 1215, e i Kin si ritirarono nella loro capitale meridionale di K'ai-fong nel Ho-nan. Ma toccò loro un'insperata tregua: il governatore di Otrār, nel 1215, massacrò una carovana in cui si trovavano gli emissarî di Genghiz-Khān, e questo delitto, inespiabile agli occhi dei Mongoli, attirò Genghiz-Khān in Occidente. Nel 1221 egli invase il Khwārizm, la Persia orientale e l'Afghānistān, e inseguì i suoi avversarî sin sulle rive dell'Indo. Quindi organizzò la sua conquista, e non fece ritorno in Mongolia che nel 1225, dopo sei anni di assenza. Due suoi generali, Jäbä e Sübötäi, venendo dalla Corea, avevano inseguito gli eserciti di Khwārizm Shāh nel nord dell'Iran, varcato il Caucaso, battuto i principi russi a N. del Mar d'Azov sulla Kalka (1223); quindi, attraverso gli Urali, avevano fatto il giro del Caspio, e raggiunto il grosso dell'esercito nel Turkestān russo, dopo una spedizione durata quattro anni. In occasione di una dieta tenutasi nella Mongolia orientale al ritorno dell'esercito, per commemorare una gara d'arco, fu inciso il più antico monumento a noi pervenuto della lingua mongolica, la pietra detta di Genghiz-Khān, ora conservata presso l'Accademia delle scienze di Leningrado.
Genghiz-Khān, già settuagenario, non perciò pensava al riposo, giacché il sovrano Si-Hia del Kan-su gli era mancato di parola col non mandargli i suoi contingenti per la campagna del Khwārizm. Durante le operazioni nel territorio Si-Hia, Genghiz-Khān si ammalò e morì nel 1227, probabilmente il 25 agosto. I contemporanei non videro in lui il sanguinario massacratore della leggenda seriore. "Il mourut, dice Marco Polo, dont il fut grand dommage, pour ce qu'il fut prud'homme et sage"; "il procura paix", dice Joinville. È infatti vero che, dovunque son passati i Mongoli, con dura mano hanno instaurato l'ordine, represso il brigantaggio, assicurate le comunicazioni: durante mezzo secolo, la pace mongola ha regnato sull'Asia.
I successori di Genghiz-Khān. - Fra i quattro figli natigli dalla sua moglie principale, Genghiz-Khān aveva designato a succedergli il terzo, Ögödäi, nato nel 1186, ed effettivamente salito al trono il 13 settembre 1229. Uomo di second'ordine, abbastanza benevolo, gran bevitore, Ögödäi non era capace di grandi iniziative, ma l'impulso dato dal padre era tale che l'opera d'espansione continuò. Ögödäi, che fissò la capitale dell'impero col cinger di mura Qaraqorum, antico campo del keraita Ong-Khān (1235), non prese alle operazioni che una limitata parte personale; almeno fu al campo allorché i Mongoli passarono di nuovo il Fiume Giallo; Sübötäi si impadronì di K'ai-fong (1233), e tutto il territorio dei Kin fu annesso dai Mongoli (1234). Il Ssŭ-ch'uan fu a sua volta conquistato nel 1236. Ma i Mongoli per allora non riuscirono a oltrepassare lo Yang-tze. Sotto il regno di Ögödäi fu del pari lanciata la grande impresa che condusse le avanguardie mongole e il vecchio Sübötäi, per la Polonia e la Slesia, e col prodigioso movimento convergente di tre eserciti attraverso i Carpazî, sino alle rive dell'Adriatico (1241). Il mondo cristiano si credette perduto, quando, d'un colpo, gl'invasori si ritirarono: avevano ricevuta la notizia della morte di Ögödäi (11 dicembre 1241), ed esercito e generali volevano tutti partecipare alla dieta che avrebbe eletto il suo successore.
Le competizioni erano vive e durarono a lungo. La reggenza era tenuta dalla vedova di Ögödäi, Törägänä, che riuscì finalmente a fare eleggere il proprio figlio Güyük, elevato al trono presso Qaraqorum il 24 agosto 1246, in presenza dei principi, dei grandi, e di numerosi ambasciatori stranieri, tra i quali l'inviato di Innocenzo IV, il francescano Giovanni da Pian del Carpine. Ma già nel marzo-aprile 1248 Güyük, in viaggio verso il SO. della Mongolia, moriva a Qum-sängir, a sette giorni a NE. di Besh-Balïq (Besh-Balïq è nella regione di Gimsa, a NE. di Urumči).
Cominciò una nuova reggenza con la vedova di Güyük, Oghul Qaïmïsh; essa condusse al soppiantamento della discendenza di Ögödäi a vantaggio di quella di Tului, il quarto figlio di GenghizKhān; la vedova di Tului, la keraita cristiana Sorghaqtani, seppe attirare dalla sua Batu, figlio ed erede del primogenito di Genghiz-Khān; infine il primogenito di Sorghaqtani, Möngkä (o in turco Mängü), nato il 10 gennaio 1209, fu scelto nel 1250 e insediato durante una seconda dieta il 1° luglio 1251. Tra l'elezione e l'insediamento di Möngkä, Oghul Qaïmïsh, ancora reggente, ricevé in udienza nella regione dell'Emil il domenicano André de Longjumeau inviato dal re San Luigi di Francia. Ma fu alla corte di Möngkä che fece soggiorno nel 1254 il francescano Guglielmo di Rubruck.
Möngkä continuò a regnare a Qaraqorum: sotto il suo regno, il suo terzo fratello Hulagu comandò la spedizione contro Baghdād, iniziata sin dal tempo di Güyük, e distrusse il califfato ‛abbāside (1258). Contro la Cina dei Sung, Möṅgkä lanciò il suo secondo fratello Qubilai, che operò un movimento aggirante per lo Yünnan, e un generale, figlio di Sübötäi, continuò verso Hanoi (1257), per risalire di là per il Kuang-si fino a Ch'ang-sha, capitale del Hu-nan. Qubilai, di ritorno in Mongolia, era stato rinviato in Cina, e, varcato lo Yang-tze, attaccava Wu-ch'ang di fronte a Hankow allorché Möngkä, che operava in persona nel Ssŭ-ch'uan, morì colà inattesamente (11 agosto 1259). Qubilai risalì verso il N. per assicurarsi la successione.
Qubilai-Khān. - Qubilai, che ebbe per titolo-epiteto Säčän "il Saggio" era nato il 25 settembre 1215, e la sua precocità aveva colpito Genghiz-Khān quando questi ritornava dalla campagna contro i musulmani. Sotto Möngkä la sua attività si era soprattutto esercitata in Cina, e il partito conservatore mongolo di Qaraqorum, trovandolo già troppo cinese, gli preferiva il suo fratello minore Arïq-Bökä. Quindi Qubilai, rompendola con la tradizione, si fece proclamare, alla frontiera cinese, dai suoi stessi generali. Il dado era tratto. L'impero nomade di Genghiz-Khān, i cui cavalieri potevano scorrere tutta la terra, si mutava in un impero sedentario cinese: ancora una volta, la Cina conquistava i suoi conquistatori. Ormai le lotte contro i suoi parenti ribelli, le manifestazioni della sua sovranità nominale sui Mongoli di Persia o su quelli dell'Orda d'oro, non sono più che episodî secondarî. Salito al trono il 5 maggio 1260, dopo avere dapprima avuto la propria capitale al di fuori e nei pressi della Grande Muraglia, Qubilai trasferisce col 1264 la sua capitale a Khanbalïq, cioè a Pechino, e qualche anno più tardi (1272) adotta per la sua dinastia il nome ufficiale cinese di Yüan. I suoi eserciti passano lo Yang-tze e nel 1276 conquistano Hangchow, la capitale dei Sung del S. Alcuni pretendenti Sung trascinano ancora per qualche anno la loro agonia nel Kuang-tung. Allorché nel 1280 soccombono, una dinastia nettamente straniera domina, per la prima volta nella storia, su tutto il mondo cinese. Essa si accinge persino ad allargarne i confini, nel Tibet dove si guadagna l'alto clero, in Corea, nel Tonchino, in Birmania, con interventi armati. I nomadi di ieri arrivano a tentare di sfidar l'oceano; questa volta, hanno troppo presunto dalla loro forza, e le spedizioni contro il Giappone (1281) e contro Giava (1283) finiscono in insuccessi quasi disastrosi. Ma la fama dei Mongoli continua ad attirare, per terra e per mare, l'omaggio dell'Asia intera: Qubilai può mandare sino a Ceylon a cercare reliquie del Buddha.
Il regno di Qubilai (5 maggio 1260-18 febbraio 1294) segna l'apogeo della potenza mongola: è il tempo in cui, grazie ad essa i contatti sono stati più stretti fra le diverse parti del mondo antico. I Mongoli, venuti d'un colpo alla civiltà, non erano i prigionieri ereditarî di nessun dogma, né i difensori orgogliosi di nessuna tradizione. Buddhisti, taoisti, confuciani, musulmani, manichei, ebrei, settarî dissidenti del Loto bianco, della Nuvola bianca o dei Dhūta, cristiani nestoriani e cattolici si affollavano loro d'intorno; i Mongoli li accoglievano con uguale tolleranza, concedevano a tutti esenzioni da imposte e corvées, per quanto poteva esservi di efficace nell'aiuto di ognuno dei loro dei. "Le diverse religioni, soleva dire il gran khān Möngkä, sono come le cinque dita di una stessa mano". Una volta avrebbe aggiunto che il buddhismo ne è la palma, ma la cosa ci vien riferita dai buddhisti. La maggior parte delle dottrine ebbero allora uno statuto legale, con giurisdizione sui loro adepti. Il nestorianismo d'Estremo Oriente, assai diffuso presso gli Uiguri di Tūrfān, praticato presso i Naiman, dominante i Kerait e gli Önggüt, rifiorì per aver potuto riannodare i legami con la sua metropoli in Mesopotamia. Quanto al cattolicismo romano, sino allora sconosciuto in Cina, spedì anch'esso i suoi missionarî. Il francescano Giovanni da Montecorvino giunse a Pechino nel 1294; nel 1307 il pontefice creò in suo favore il seggio arcivescovile di Khanbalïq (Pechino) con sette suffraganei (tra cui quello del porto di Zaitun nel Fu-kien). Giovanni da Montecorvino morì nel 1329 e non ebbe mai un successore effettivo.
Il commercio, così come la religione, traeva profitto da questo amalgama di popoli. Numerosi musulmani, raggruppati in associazioni (ortaq > ortoq) trafficavano in Estremo Oriente per loro conto, o mettevano in valore i beni e il danaro che l'imperatore distribuiva ai principi e ai grandi. Qualche nome di commercianti latini ci è stato trasmesso casualmente dai testi (Pietro da Lucalongo, Andalò di Savignone, Guillaume de Naix): tutti sono eclissati dai tre Polo, in particolare da Marco, che passò 17 anni in Cina (1275-1292) al servizio di Qubilai e ha lasciato un racconto così veridico e vivo delle sue esperienze.
Gli ultimi imperatori mongoli. - I successori di Qubilai non avevano il suo valore, e la dinastia, esposta agl'intrighi di palazzo e al crescente antagonismo della popolazione cinese, si avvia alla rovina. Si vedono così succedersi Tämür Olgiäitü (1294-1307), Qaishan Külük (1307-1311), Ayurparibhadra (?) Buyantu (1311-1320), Śuddhipala Gägän (1320-1323), Yäsün Tämu̇r (1323-1328), Rakyi-phag (?) (ottobre 1328), Tugh-Tämür Giayaghatu (1328-1332), Ho-shih-la Qutuqtu (1329-1332), Rin-Čhen-Dpal (1332), infine Toghon Tämür, lo Shun-ti dei Cinesi. Questi, nato il 25 maggio 1320, salito al trono il 9 maggio 1333, dové fuggire da Pechino il 10 settembre 1368; una nuova dinastia nazionale cinese, quella dei Ming, ricacciava i Mongoli verso la steppa. Toghon-Tämür morì in Mongolia il 23 maggio 1370.
I Mongoli di Persia. - Hūlāgū, il fratello minore di Möngkä e di Qubilai, inviato contro gli Ismā‛īliti o Assassini e contro il califfo, aveva lasciato Qaraqorum nel maggio 1253. Nel gennaio 1256 passò l'Oxo e nel dicembre dello stesso anno espugnò il nido d'aquila di Ālamūt, la rocca ritenuta imprendibile degli Assassini. Il 10 febbraio 1258 Hūlāgū s'impadroniva di Baghdād e distruggeva il califfato ‛abbāside, dopo cinque secoli di vita. Cominciò allora la dinastia dei Mongoli di Persia, che i cronologi fanno iniziare col 1256, e che è generalmente designata col nome di Īl-Khān ("sovrani provinciali") riconosciutole dal gran khān Qubilai nel 1263. La residenza principale della dinastia fu dapprima d'inverno a Baghdād, d'estate a Tabriz, poi a Marāghah. Hūlāgū, che aveva abbattuto il califfo musulmano, e doveva ormai fare i conti con i sultani mamelucchi del Cairo stabiliti in Siria, dimostrò tanto maggior benevolenza ai cristiani nestoriani in quanto che sua madre Sorghaqtani e la sua principale moglie Doquz-Khātūn erano ferventi nestoriane. Una campagna fu anche diretta in Siria contro i Mamelucchi, agli ordini del cristiano Ket-bughā, ma essa si chiuse con la disastrosa battaglia di ‛Ain Giālūt dove Ket-bughā trovò la morte (3 settembre 1260). I tentativi ulteriori non condussero mai a risultati decisivi: l'avanzata mongola verso il SO. era spezzata. Hūlāgū morì l'8 febbraio 1265; Doquz-Khātūn lo seguì nella tomba 20 giorni dopo.
Il figlio maggiore di Hūlāgū, Abāghā (1265-1282) aveva tra le sue mogli una principessa bizantina, e una missione mongola comparve al concilio di Lione (1274). La conversione all'Islām del suo fratello minore, che prese il nome di Aḥmad (1282-1284), fu un fenomeno isolato: Arghūn (1284-1291) fu di nuovo sciamanista come lo era stato suo padre Hūlāgü. Sotto il regno di Arghūn le relazioni con le potenze cristiane d'occidente furono più attive, in vista di un'azione comune contro i Mamelucchi, che però di fatto non si compì mai. Il fratello minore di Arghūn, Kaikhātū (1291-1295), introdusse in Persia (1294) la carta-moneta dei Cinesi e dei Mongoli (cinese ch'ao > pers. čāu), senza grande successo. Dopo il corto regno di Baidū (1295), cugino germano di Kaikhātū, salì al trono un figlio di Arghūn, Ghāzān (1295-1304), che forse era stato battezzato, ma che si convertì all'Islām col nome di Maḥmūd, e fu seguito da molti dei suoi. Non per questo egli interruppe gli scambî di ambascerie coi principi cristiani, al pari del suo fratello e successore Qarbanda Ölgiäitü (1304-1306). Di queste relazioni sussistono numerose testimonianze: lettere dei papi e di Edoardo I d'Inghilterra, documenti concernenti il genovese Buscarello da Ghisolfi, racconto del viaggio in Europa del nestoriano Bar Ṣaumā (1287), lettere mongole di Arghūn a Filippo il Bello, lettera e salvacondotto mongoli di Arghūn (1290 e 1291; inediti), lettera mongola di Ghāzān (inedita), lettera di Ölgiäitü a Filippo il Bello (1305). Gli Īl-Khān ammettevano ancora un certo vassallaggio verso l'imperatore mongolo di Pechino, e ne ricevevano un sigillo d'investitura. Sotto Abū Sa‛īd (1316-1335) le ambasciate in Cina sono più numerose che mai: se ne contano non meno di una dozzina tra il 1324 e il 1332. Dopo la morte di Abū Sa‛īd, il potere si divide tra capi rivali, di cui ognuno proclama un Īl-Khān sua creatura. La dinastia aveva cessato di esistere effettivamente da quasi vent'anni allorché il suo ultimo sovrano nominale venne ucciso nell'anno 1353
L'Orda d'oro. - Il figlio maggiore di Genghiz-Khān, Giöči, poco in auge e di nascita sospetta, era premorto al padre ai primi del 1227, lasciando una numerosa discendenza. Il suo personale appannaggio era il Khwārizm o regione del lago d'Aral, dove ebbe per successore il suo primogenito Hürdü (Ürdü). Ma il suo figlio minore, Bātū, estese i dominî della famiglia su tutto il Qïpčāq (Russia meridionale), e vi stabilì il khānato dell'Orda d'oro (Sira Ordo "campo giallo"). Gli altri figli di Giöči capostipiti di dinastie, Ürdü dell'Orda bianca, Tugai-Tämür della Gran Bulgaria, Shibān (alterato più tardi in Shaibān per falsa etimologia) degli Uzbechi (Özbäg > Üzbäg), Tugal (o Tuwal) dei Peceneghi (Noghai), riconoscevano tutti di fatto l'autorità di Bātū, il più onorato dei principi mongoli, che ebbe una parte decisiva nel soppiantamento della discendenza di Ögödäi a profitto di quella di Tului nel 1251. Fu Bātū che vide Giovanni da Pian del Carpine nel 1246, e che lo spedì a Güyük. Bātū morì nel 1255. Il suo figlio ed erede Sartak ("il Sarto"), ben conosciuto in Oriente, e che, senza professare la fede cristiana, era forse stato battezzato, si trovava allora a Qaraqorum presso Möngkä; egli riprese immediatamente la via del Volga, ma morì durante il viaggio. Il potere passò allora quasi immediatamente a un fratello minore di Bātū, Bärkä (1255-1266), che, primo dei Gengiscanidi, si convertì all'Islām e fu in ostilità con suo cugino l'Īlkhān Hūlāgū. La linea di Bātū regnò nuovamente con Mongkä Tämür (in turco Mängü-Tämür; 1266-1281), Tudai-Möngkä (in turco Tudai-Mängü; 1281-1287), Tula-Buqa e i suoi fratelli (1287-1290), Toqto'a o Toqtai (1290-1321), Üzbäg (1312-1340), Tini-Bäg (?-1340), Giäni-Bäg (1340-1357), Bärdi-bäg (1357-1359). Nonostante l'origine mongola dei principi e della classe dirigente, il fondo della popolazione era turco, e il turco diventò presto la lingua della dinastia stessa. L'Orda d'oro fu allora in strette relazioni con i Mamelucchi del Cairo che essa riforniva di schiavi soldati. I vincoli con la Cina non erano rotti; gli annali cinesi hanno registrato numerose ambascerie, specie sotto Üzbäg. Un'ambasciata di Giäni-Bäg comparve ancora a Pechino nel 1353. In questo primo periodo dell'Orda d'oro, i granduchi di Mosca sono suoi vassalli.
L'Orda bianca dei discendenti di Ürdü, stabilita originariamente nella regione del lago d'Aral, prende il comando dell'Orda d'oro dopo la linea di Bātū, detta l'Orda azzurra; a ciò non si arrivò senza venti anni di lotte intestine. Infine Toqtamish, dell'Orda bianca, raggiunse effettivamente il supremo potere a partire dal 1378. Toqtamish, che doveva molto a Tamerlano, era da principio libero di preoccupazioni a SE.: ne approfittò per agire contro la Russia, ed entrò a Mosca nel 1382. Ma in seguito i rapporti si guastarono col suo antico protettore che condusse contro di lui parecchie campagne, e, dopo la rotta inflittagli nel 1395, lo obbligò a fuggire dai suoi stati.
Non è possibile entrare qui nei particolari delle lotte ulteriori dell'Orda d'oro. La linea di Ürdü si estinse con i khān di Astrachan (1466-1554). A quella di Tuqai-Tämür si collegano i khān di Kazan′ (1438-1552), di Kazimov (1450-1678) e di Crimea (1420-1783). Con la linea di Shibān il potere si mantiene presso gli Üzbek, poi sino ai nostri giorni nei khānati di Khīva e di Bukhārā.
Il regno di Čaghatāi. - aghatāi (Giaghatāi), secondo figlio di Genghiz-Khān, aveva avuto quale appannaggio l'antico territorio dei Qara Qïtay, cioè l'Ili e la parte occidentale del Turkestān cinese, più la parte SE. del Turkestān russo. La storia di questo ramo dei Gengiscanidi non è stata ancora fatta; la genealogia e le date sono spesso incerte. Čaghatāi morì nel 1242. Alla morte di Qara Hūlāgū (1252), la reggenza fu tenuta da Horghana Khatun (> Orghana Khatun): questa principessa era a capo dell'ulus di Čaghatāi quando vi passò Guglielmo di Rubruck. Nel 1261 il potere passa ad Alghui, che soggiornò parecchio tempo nella regione di Khotan; dopo una certa esitazione, al tempo della rivolta di Arïq-Bokä, Alghui riconobbe l'elezione di Qubilai; morì sulla fine del 1265 o al principio del 1266. Baraq regna dal 1266 al 1271. Dal 1274 al 1306, è il regno di suo figlio Duwa, che fu implicato nella lotta di Qaidū (morto nel 1301) nipote di Ögödäi e implacabile avversario di Qubilai: l'alta Asia fu allora teatro di guerre incessanti tra i diversi rami dei Gengiscanidi. Nel 1306-1307, Duwa rovescia Čapar, figlio e successore di Qaidū. I successori di Duwa sono Könčäk (1306-1308), Nalighu (1308-1309), Käbäk (1309), Esän-Bughā (1309), di nuovo Käbäk (1318?-1327), Elgigädäi (1327-1330), Dörä-Tamür (1327-1331), Darmashirin (1331-1332). A partire da questo punto, la lista stessa dei sovrani è incerta, e discendenti di Ögödäi governano talvolta l'ulus di Čaghatāi.
Segue un periodo di anarchia, sinché nel 1369 si afferma la supremazia di Tamür Läng (Tamerlano), nato nel 1336. Tamerlano incendia Mosca, vince i cavalieri cristiani a Nicopoli (1396), cattura il sultano ottomano Bāyazīd ad Angora (1402); muore nel 1405, tra i preparativi di una spedizione per il Turkestān cinese e la Cina. Ma già Tamerlano è un puro turco, le cui pretese a una discendenza gengiscanide sono insostenibili. E allorché un discendente di Tamerlano della quinta generazione, Bābur (forma più corretta che non Bāber), s'impadronisce di Delhi nel 1525 e fonda nell'India una dinastia durata sino all'insurrezione del 1857, invano essa riceve il nome di "Gran Moghol". Ove si prescinda dal sommovimento generale provocato in Asia dalle gesta di Genghiz-Khān, e dall'esempio della sua organizzazione militare, i Mongoli e la Mongolia nulla hanno più a che vedere con quest'impresa di principi turchi, sottomessi all'influenza culturale persiana, e quasi assimilati dall'India.
I Mongoli dopo la loro espulsione dalla Cina. - L'ultimo imperatore mongolo di Cina, Toghon-Tämür, era dovuto fuggire da Pechino nel 1368, ed era morto nella Mongolia di SE. nel 1370. Suo figlio Ayurśrībhadra (?) Biliktü tornò a stabilirsi a Qaraqorum, dove giunse un esercito cinese, ma fu respinto (1372); Biliktu̇ morì nel 1378. Suo figlio Tögüs-Tämür fu battuto dai Cinesi presso il lago Büir, e ucciso nella fuga da uno dei suoi (1388). Al principio del sec. XV, Gülči (?) avrebbe rinunziato al titolo dinastico cinese di Yuan per riprendere il nome etnico di Tataro. Egli fu ucciso nel 1408 dal potente ministro Arukhtai, che mise sul trono un altro gengiscanide, Puṇyaśrī. Avendo questi rifiutato di riconoscere la sovranità cinese, un esercito cinese marciò contro di lui e fu battuto (1409). L'anno seguente, l'imperatore cinese Yong-lo si mise in persona a capo di una nuova spedizione. Puṇyaśrī, battuto, fu messo a morte dal capo degli Oirat o Mongoli occidentali, che lo sostituirono con Dälbäk. Arukhtai dal suo canto fece lega con i Cinesi (1413), ma per riprendere presto sulla frontiera cinese delle incursioni che ebbero fine solo quando cadde assassinato dai suoi antichi nemici Oirat (1434). Dälbäk mori nel 1438. Gli Oirat sono allora quasi onnipotenti tra i Mongoli: il loro capo Mahmūd (morto nel 1418) ha avuto come predecessore il figlio Toghon, che ha consolidato il suo potere su tutti gli Oirat, e pensato per un momento di usurpare il trono mongolo. Dinnanzi all'opposizione popolare, Toghon dà per successore a Dälbäk un altro gengiscanide, il proprio genero Tokto'a Buqa. Toghon, e alla sua morte (1440) il figlio Äsän, sono gli effettivi capi del governo. È Äsän che nel 1449 dirige contro la Cina la campagna in cui l'imperatore cinese King-t'ai è fatto prigioniero a T'u-mu, per esser liberato solo dopo un anno. Nella seconda metà del secolo, la sede del dominio mongolo fu trasferita dalla regione dell'Orkhon al SE. del Gobi, presso la Grande Muraglia, per poi spostarsi nella regione degli Ordos, cioè della grande ansa del Fiume Giallo.
Il nome degli Oirat compare nei testi sin dall'epoca di GenghizKhān e alcuni loro elementi si ritrovano nel sec. XIV presso i Mongoli di Persia e perfino in Egitto. I Russi li chiamano Kalmak, e noi Calmucchi. Comprendevano quattro tribù principali (la cui enumerazione del resto varia nelle varie epoche), donde il loro nome tradizionale di "Dörbän Oirat", i quattro Oirat. Dopo la morte di Äsän (1452 o 1454) i Mongoli orientali, avendo emigrato a SE., si liberarono a poco a poco dal giogo degli Oirat, e le loro tribù furono riorganizzate da Dayan-Khān (nato nel 1466, morto nel 1543); il nipote di Dayan Khān, l'Altan Khān Amda dei Tümät, nato nel 1507, dopo numerose campagne contro la Cina, ricevé un titolo regio dai Ming (1571); nel 1577 egli ristabilì ufficialmente tra i Mongoli il buddhismo lamaistico che i suoi avi avevano praticato al tempo di Qubilai, ma che poi avevano abbandonato. Amda venne a morte nel 1583.
Da parte loro gli Oirat, ormai costituiti dai Čoros, dai Khoit, dai Dörbät e dai Khoshot, cui bisogna aggiungere i Torghōt, discendenti dagli antichi Kerait, si mantenevano con diverse fortune nella Mongolia occidentale, ed esercitavano un'egemonia su parte del Turkestān cinese. Alla loro volta, si convertono progressivamente al lamaismo a partire dal 1620. Verso il 1630 o 1632, una parte delle tribù Torghōt emigra verso ovest, e fa la sua comparsa nel bacino del Volga. Dal 1630 al 1643, i Calmucchi vanno a dare aiuto al Dalai-Lama a Lhasa; il Khoshot Gushi-Khān diventa una specie di sovrano temporale del Tibet, col titolo di Nomun-Khān, nonostante il titolo di "Re del Tibet") riconosciuto al Dalai Lama.
I Mongoli nei secoli XVII e XVIII - Se i Mongoli orientali avevano lasciato ai Calmucchi la cura di intervenire a Lhasa, è perché essi erano occupati altrove. Essi erano tra loro divisi. Mentre che il loro capo Lingdan-Khutuqtu intendeva opporsi all'avanzata manciù, i suoi vassalli del ramo cadetto, discendenti di Dayan-Khān, fecero volontaria sottomissione agl'invasori. Lingdan fu ucciso nel 1634. I Mongoli orientali del SE. o della Mongolia interna furono allora organizzati in sei "leghe" (ci'ulghan > čūlghan) e 49 "bandiere" mongole (khoshi'un > khoshūn), mentre i sudditi veri e proprî di Lingdan, i Čakhar (> iran. čakar), formavano otto "bandiere" assimilate alle bandiere manciù. I Khalkha della Mongolia esterna pretendevano per contro di serbare la loro indipendenza. Fin dal 1637, i messi di Gushi-Khān erano andati a trovare i Manciù. Nel 1649, i Manciù presero l'iniziativa di una proposta d'alleanza contro i Khalkha, che Gushi-Khān però declinò. Alla sua morte (1656), egli ebbe a successore il figlio Dayan-Khān, poi il nipote Dalai-Khān (1670), i quali rifiutarono di aiutare i Manciù a sottomettere il principe Wu San-kui il quale si era ribellato nello Yün-nan.
I Khalkha, Mongoli orientali restati nella Mongolia esterna, erano governati dai discendenti dell'ultimo dei figli di Dayan-Khān, morto nel 1543. Il più occidentale dei loro principi era l'Altïn-Khān (Altan-Khān), che i Russi di Siberia conobbero al principio del sec. XVII. Egli, e suo nipote Dzasaqtu-Khān che dominava all'est, si abbandonarono sulla metà del secolo a una serie di incursioni nella regione di Kökö-Khoto (Kui-hua-t'ing dei Cinesi); la pace fu conchiusa nel 1655, e più o meno osservata.
Verso questo tempo compaiono i Dzungar (〈 J̌ä'un-ghar "mano sinistra", quindi "orientale"), che erano l'ala orientale non dei Mongoli in generale, ma dei Mongoli occidentali, e la cui temporanea fortuna doveva dare il nome alla Dzungaria. Il loro capo Ärdäni-Batur-Khontaigi si costruì una capitale sull'Emil, e seppe estendere la sua influenza su una parte del Turkestān russo e di quello cinese. Uno dei suoi figli, Galdan, nato verso il 1645, doveva portare tale potenza all'apogeo. Educato a Lhasa, rientro nella vita laica alla morte del padre, consolidò a poco a poco il suo potere e lo estese (1677) sino ai confini occidentali del Kansu; nel 1680, aveva conquistato tutto il Turkestān cinese. Galdan agì allora dal lato dei Khalkha: nel 1688, avanzò sino all'Orkhon e incendiò il tempio di Ärdäni-dzō costruito nel sito di Qaraqorum. Con ciò, Galdan diventava un pericolo per la Cina, e si rendeva fatale un conflitto. Una campagna nel 1690, un movimento nel 1691 lasciarono la situazione indecisa. Nel 1696 l'imperatore K'ang-hi in persona si mise in marcia con le sue truppe, comandate dal manciù Fiyanggu: l'11 giugno 1696 Galdan fu schiacciato a Giōmodo a SE. di Urga; egli morì poco dopo (3 maggio 1697) e l'imperatore fece spargere le sue ceneri al vento.
Tsewang-Rabdan, figlio del fratello maggiore di Galdan, e nato verso il 1665, si era sottratto per tempo all'ostilità dello zio, e contro di lui aveva avuto rapporti d'amicizia con i Cinesi; ma lui stesso finì col riprendere la lotta contro questi ultimi: volendo assicurarsi il monopolio degli scambî dell'Asia centrale, egli intercettava le carovane che volevano passare dal Turkestān russo e dalla Siberia verso la Cina. I Russi lo sostenevano, come possibile contrappeso ai Torghōt. Dispute sulla reincarnazione del Dalai-Lama inasprirono un conflitto latente. Il 2 dicembre 1717, Tsereng-Donduk, fratello di Tsewang-Rabdan, s'impadronì di Lhasa. Immediatamente, K'ang-hi fece marciare le sue truppe, e i Dzungar furono finalmente cacciati dal Tibet (1720). Lo stesso anno, un altro esercito cinese si spingeva sino a Urumči, benché per poco. Una pace equivoca fu̇ infine conclusa nel 1724. Tsewang-Rabdan morì nel 1727, ma suo figlio Galdan-Tsereng continuò la lotta. Una tregua armata fu negoziata nel 1735, e le cose si trascinarono sino alla morte di Galdan-Tsereng (1745).
L'indipendenza mongola doveva conoscere un ultimo eroe col Khoit Amursana, genero di Galdan-Tsereng. La Cina desiderava conciliarselo: lo colmò di onori quando venne a Jehol nel 1751 e lo rimandò al suo paese con delle forze armate (1755). Ma Amursana defezionò e riprese la lotta per proprio conto. Finalmente, il 3 agosto 1757, dové passare la frontiera siberiana con soli cinque uomini, e al principio dell'anno seguente le autorità russe avvertirono la Cina che egli era morto di vaiuolo. La Mongolia era ormai definitivamente sottomessa ai Manciù. Essa non partecipò alle rivolte che nel corso del sec. XIX agitarono la Cina propriamente detta, il Turkestān cinese e perfino il Tibet. Si può solo notare l'esodo sanguinoso che nel 1771 ricondusse all'obbedienza cinese una parte dei Torghōt emigrati 130 anni innanzi verso il Volga: essi furono stanziati nella ricca valle del Yulduz, dove vivono tuttora. Per la attuale situazione politica dei Mongoli, e i loro rapporti con la Cina e la Russia, vedi mongolia.
Letteratura.- Solo pochi monumenti della letteratura mongola (per le lingue mongoliche, v. mongoliche, lingue) risalgono al tempo di Genghiz-Khan e dei suoi successori. Delle ordinanze (yasa) e delle sentenze (bilik) di Genghiz non abbiamo che frammenti, per di più trasmessici in traduzioni straniere. Da un punto di vista materiale, nessun monumento mongolo è anteriore alla pietra di Genghiz-Khān, del 1225 (v. sopra). Il secondo cronologicamente è il sigillo di Güyük, apposto per due volte sulla lettera del 1246 che Giovanni da Pian del Carpine portò a Innocenzo IV; ma nello stesso tempo va posta la cronaca epica dell'origine dei Mongoli e dei regni di Genghiz-Khān e di Ögödäi, intitolata Storia segreta dei Mongoli (Mongholun ni'uča tobčiyan, in cinese Yuän-ch'ao pi-shih), redatta in mongolo nel 1240 e conservata nel suo testo originale trascritto foneticamente in caratteri cinesi verso il 1380; la cronaca è in prosa, ma conserva ancora molti frammenti d'una "gesta" in prosa rimata; l'opera è del massimo interesse sotto ogni punto di vista. Nel secolo seguente, la lingua mongola è soprattutto rappresentata da monumenti epigrafici e dalle lettere degli Īl-Khān di Persia. Pure cominciamo a conoscere alcune traduzioni buddhistiche risalenti agli inizî del sec. XIV, cioè alla prima conversione dei Mongoli al buddhismo. Il mongolo "classico" è quello dei secoli XVII e XVIII. Le due principali opere storiche di quest'epoca sono l'Altan Tobči del 1604 e la Storia dei Mongoli di Sanang Sätsän (1662). Gli scritti sciamanistici mongoli sono ancora poco studiati. Una traduzione mongola della grande collezione tibetana di scritti buddhistici detta Kangiur fu finita nel 1623, poi riveduta e stampata agli inizî del sec. XVIII. La raccolta dei commenti, o Tangiur, fu allora del pari tradotta e stampata; alcuni esemplari ne sono stati recentemente conosciuti. Queste traduzioni, che stringono da vicino il testo tibetano, ne aiutano talvolta l'intelligenza, e sono accompagnate da colofoni spesso preziosi. Parecchie opere, specialmente quelle relative alla letteratura narrativa, hanno avuto delle edizioni e sin delle recensioni indipendenti in mongolo. Le traduzioni dal cinese offrono in generale interesse minore: si tratta di opere didattiche, o raccolte di carattere amministrativo, o versioni mongole di opere ufficiali cinesi relative alle guerre d'Asia centrale o alle biografie dei principi. La narrazione epica è rappresentata dal ciclo dell'eroe Gianggar e soprattutto dalle recensioni della leggenda di Gäsär-Khān, essa stessa di origine tibetana, con interferenze di leggende storiche cinesi. Vi sono anche molti poemi popolari, canzoni, enigmi.
I Calmucchi, il cui dialetto è talora abbastanza diverso da quello dei Mongoli orientali, hanno adottato nel 1648 un alfabeto mongolo perfezionato che rende meglio di quello mongolo usuale le sfumature di pronunzia. Varie opere del mongolo classico esistono anche in calmucco. Un'opera importante che non esiste che in calmucco è il codice dei Mongoli occidentali, fissato nel 1640.
I Buriati (Mongoli del Transbajkal) hanno una letteratura popolare, di cui solo ai nostri giorni si sono raccolti e pubblicati dei saggi.
Tanto presso i Mongoli orientali quanto presso i Calmucchi e i Buriati, i recenti rivolgimenti politici e lo sviluppo dell'istruzione hanno contribuito allo sbocciare di nuovi prodotti in tutti i campi letterarî, dei quali prodotti sarebbe tuttavia prematuro di volere sin da ora tracciare le caratteristiche.
Concludendo, la letteratura mongola è per la maggior parte una letteratura d'imprestito, sia per traduzioni, sia per adattamenti. Ma nella leggenda epica, sia in prosa rimata, sia in prosa pura si sente spesso un'ispirazione potente e rude, traversata dal soffio della steppa.
Religione. - Gli antichi Mongoli erano sciamanisti, dati a ogni sorta di pratiche di magia o stregoneria. Rendevano un culto al cielo (Tängri) e alla dea Terra (Ötükän), nel che non differivano in nulla dai Turchi del sec. VII. Ogni famiglia aveva i suoi dei lari (onggot). Il fragore del tuono agghiacciava di spavento i Mongoli, ed essi temevano le funeste conseguenze di un bagno che avesse contaminato l'acqua corrente. Ci si purificava passando tra due fuoehi. Gli stregoni (turco qam, mongolo bö'ä > bö) potevano suscitare la tempesta con incantesimi, fatti a mezzo d'un belzuar (giada). Gli imperatori erano seppelliti in un recinto sacro e interdetto (koriq), ed erano fatti accompagnare nella tomba da donne, servi e cavalli. Lo stesso accadeva talora, in minor grado, per i grandi. Quanto al popolo, il cadavere era abbandonato nella campagna, dove gli animali lo divoravano.
La finale adozione del lamaismo tibetano, a partire dal 1577, non pose fine alle credenze popolari derivate dallo sciamanismo, ma le modificò, e soprattutto trasformò tutta la vita religiosa con l'istituzione d'un numeroso clero. I templi e altre fondazioni pie si moltiplicarono. Molti lama vennero dal Tibet, e molti Mongoli andarono a cercare l'insegnamento religioso a Lhasa; il tibetano divenne familiare alla parte più colta della popolazione. Dal 1585 al 1587 fu costruito il primo monastero della Mongolia esterna, quello di Ärdäni-dzō, sul sito dell'antica Qaraqorum. Alla testa del clero erano le reincarnazioni di santi personaggi o khubilghan, che portavano il titolo ora di khutuqtu ("santo"), ora di gägän ("luminoso"), generalmente concesso, sotto la dinastia manciù, dall'imperatore di Pechino. Non ci erano meno di 150 khubilghan in Mongolia mezzo secolo fa, e quello che comunemente è detto il "Buddha vivente", il cui vero titolo è Giebdzün-damba-khutuqtu, era solo il primo tra di loro. I templi, secondo la loro importanza e la loro natura, sono chiamati küriyä, sümä o kiit. Sino a questi ultimi anni, quasi una metà della popolazione maschile passava una parte della sua adolescenza presso i lama, e pronunciava i primi voti: ma costoro non rappresentavano i veri religiosi ordinati, o gelung (tib. dge-slong). Al primo grado dei gelung figurano i khambo (dal tib. mkhan-bo) o "maestri". Il termine toin, che, in uigurico e nel mongolo dei secoli XIII-XIV, era il termine generale per designare i religiosi buddhisti, proprio quello che Guglielmo di Rubruck ha udito a Qaraqorum nel 1254, designa oggi più particolarmente i monaci incisori di tavole a stampa e di immagini.
Negli ultimi anni, il popolo mongolo, guadagnato al regime sovietico, sembra staccarsi dal buddhismo. Pure, è certo che questa religione era in lui penetrata profondamente. Non solo il buddhismo, con le sue cerimonie o con le sue formule, interveniva in tutti gl'istanti della sua vita, ma la sua stessa visione del mondo era tutta impregnata di idee buddhistiche. La predicazione lamaistica, lì come altrove, non ha impedito le rivalità, le guerre, i saccheggi, gli assassinî. Essa almeno raddolcì l'ardore guerriero delle tribù, e si è potuto persino dire qualche volta che le aveva ammollite. Ma ciò che avviene sotto i nostri occhi, dove si veggono i Mongoli uscire dal loro torpore e rispondere pienamente, per quel che sembra, all'impulso che arriva a loro dall'esterno, fa pensare che il fondo non sia cambiato.
Organizzazione Sociale. - Antico principio ordinatore della società mongola era quello per tribù di pastori, con dei clan ognuno dei quali aveva la sua clientela e i suoi servi. Fuori del clan, i vincoli erano assai deboli. Di quando in quando sorgeva un capo, la cui energia, aiutata dal favore delle circostanze, raggruppava un numero sempre crescente di clan, di tribù, di popoli; gruppo mobile e instabile che spesso non sopravviveva a colui che lo aveva creato. Occorse la grande avventura di Genghiz-Khān per lasciare nella società mongola una durevole traccia. Malgrado lo sbriciolamento seguito alla caduta della dinastia mongola di Cina, i quadri delle tribù mongole furono in molti casi formati da Gengiscanidi, e un gran numero di queste tribù hanno ancor oggi per nome il nome d'una antica carica di corte del sec. XIII o XIV. Tutti i figli degli antichi imperatori mongoli portavano il titolo cinese di t'ai-tzŭ, che in teoria avrebbe dovuto essere riservato all'erede presuntivo; ed è questo t'ai-tzŭ, che, mongolizzato in taigi, è divenuto nel secolo XVI l'epiteto specifico dei Mongoli di alto bordo. Al disotto dei taigi ordinarî erano i khongtaigi, titolo che in origine non è se non il cinese huang-t'ai-tzŭ "principe imperiale", e il cui senso primitivo non era più sentito. Il titolo principesco mongolo di ginong è il cinese kiün-wang "principe regionale", come quello di gung è il cinese kung "duca". I Mongoli del Medioevo, attraverso i Liao e i Kin, avevano del pari preso in prestito il titolo di taishi, dal cinese t'ai-shih "gran signore", e avevano confuso in sänggün i titoli cinesi di tsiang-kiiin "generale" e siang-kung "signore"; ma poi li hanno scordati; quanto al titolo delle principesse mongole, fu???jin, è il titolo cinese fu-jen, "signora", ma passato attraverso la lingua manciù.
Genghiz-Khān aveva sviluppato tra i Mongoli un'organizzazione militare basata sul sistema decimale. La più grande unità era la miriarchia (tümän), comandata da un noyan, e che comprendeva dieci chiliarchie (mingghan), e così via con centurioni e decurioni. Gli eserciti erano costituiti di un centro (ghol) e di due ali (ghar, letteralm. "mani"), con delle avanguardie: principio sommamente elastico, in cui le unità si adattavano facilmente. Si trattava del resto essenzialmente di una cavalleria, con due elementi: cavalieri con armatura, dai cavalli corazzati, con spada e lancia; e altri senza armatura, con arco e giavellotto. Questa cavalleria così mobile, con l'aiuto del genio dei capi, si diffuse sull'Asia e l'Europa. Il principio fu conservato da Tamerlano e da Bābur; non sembra peraltro che i Mongoli dei secoli XVII e XVIII vi siano rimasti attaccati, per quanto i testi oppongano ancora talvolta, in queste epoche, i 40 tümän dei Mongoli orientali ai tümän degli Oirat. In ogni caso, questa organizzazione militare non ha lasciato traccia in quella sistematizzata dalla conquista mancese, salvo che per il raggruppamento di dieci alla base.
In questa organizzazione, i Čakhar, ai confini del Hopei e dello Shan-si, costituiscono otto bandiere, assimilate alle bandiere manciù e comandate da Manciù. La Mongolia interna comprende sei "leghe" (či'ulghan > čūlghan), con 24 tribù (aimaq) divise in 49 "bandiere" (khoshi'un > khoshūn): Giärim (10 bandiere), Giosotu (5 bandiere), Dzu-uda (11 bandiere), Silingghol (10 bandiere), Ulān-tsab (6 bandiere), Yäkädzu (7 bandiere, Ordos). Ogni tribù è governata da un dzasaq, in linea di principio ereditario, e i dzasaq di ogni lega eleggono un darugha o presidente. Il governatore militare cinese ha il controllo delle leghe e delle tribù del suo territorio.
La Mongolia esterna, che è essenzialmente il paese dei Khalkha, fu divisa nel 1693 fra tre khān, il Tüshätü-Khān nella regione di Qaraqorum, il Tsätsän-Khān del lato del Kerulen, il Dzasaktu-Khān verso l'Altai. Poco dopo, 21 delle 37 bandiere del Tüshätü-Khān gli furono tolte per formare il territorio del Sain-noyan-Khān. Questi quattro aimaq hanno costituito sino alla rivoluzione del 1911 le quattro "leghe" dei Khalkha, con 86 bandiere. Restavano al di fuori di questa organizzazione delle "leghe" della Mongolia esterna ed interna: 1. le tribù calmucche del distretto di Kobdo: Dörbät, Khoit, Khoshot, Dzakhačin, Mingghat, Torghōt, Ölöt; 2. gli Uryangkhai dell'Altai-nōr e del Tangnu-ūla. Questi ultimi, di cui i Russi contestavano la loro pertinenza alla Mongolia, formano oggi la repubblica di Tuba o Tuva; 3. i Mongoli dell'Alashan (all'ovest di Ning-hia), le cui 34 bandiere sono suddite del principe di Alashan. Si dividono in due tribù, Torghōt e Ölët; 4. i Mongoli del Kökö-nōr, con 29 bandiere: Khoshot, Čoros, Khoit, Torghōt, Khalkha; 5. i Mongoli del Tsaidam, con 8 bandiere. Infine i Tümet di Kökö-Khoto, benché contati tra i Mongoli interni, dipendevano direttamente dal maresciallo tataro ivi stabilito.
Tutta questa organizzazione è in via di trasformazione nella Mongolia interna. Nella Mongolia esterna, essa è stata sconvolta dalla proclamazione della costituzione sovietica nel novembre 1924 (v. mongolia: Ordinamento dello stato).
Etnografia. - La cultura mongola, a parte il genere di vita errante imposto ai gruppi esclusivamente pastorali dalle necessità del lavoro e a parte le limitazioni e riduzioni imposte da questo nomadismo, non differisce sostanzialmente da quella dei gruppi sedentarî vicini. Negli ultimi secoli, l'influenza predominante è stata quella cinese, palese soprattutto nelle vesti e nei varî manufatti (tessuti, ceramiche, metallurgia, ecc.). Il costume femminile varia alquanto da tribù a tribù, specialmente nell'acconciatura, sovente molto complicata, con aggiunta di finte trecce e una profusione di pendagli e collane d'argento e coralli, che rappresentano un forte valore e che, secondo vecchie relazioni, le fanciulle da marito mettevano insieme con il libero commercio delle loro grazie. I pastori vestono con pelli di cavallo o pellicce di montone, portate col pelo di dentro o di fuori secondo le stagioni, stivali leggieri e berretto di pelo.
I nomadi, cioè la maggior parte della popolazione, conducono ancora l'esistenza descritta da Marco Polo. Gli spostamenti stagionali si svolgono su spazî determinati per ogni tribù, anzi per ogni aul che è l'insediamento mobile della grande famiglia, e sono determinati dalla ricerca di pascoli freschi. Il bestiame si compone di mandrie numerose ed eterogenee (pecore, capre, vacche e buoi, cavalli, cammelli) e conta, per gli aul più ricchi, migliaia di capi. Il latte di giumenta fermentato (kumiss) ha una parte importante nell'alimentazione. L'abitazione è formata dalla tenda cilindroconica coperta di feltro (kibitka), che in poche ore si può innalzare o smontare e le cui parti, quando l'accampamento si muove, vengono caricate su di un cammello. I carri e le carrette coperte di feltro nero sono ora meno numerosi e s'incontrano soprattutto nelle zone marginali.
I pastori passano la maggior parte della loro giornata a cavallo, dietro le mandrie, e sono provvisti di lunghe pertiche di legno le quali portano all'estremità un cappio di corda. Si capisce agevolmente come questi gruppi di pastori-cavalieri potessero trasformarsi in eserciti dotati di una straordinaria mobilità ed efficienza. "Le loro armi, scrive Marco Polo, sono l'arco, la spada, la mazza: ma degli archi soprattutto si servono, essendo abilissimi arcieri. Portano indosso armature fatte di cuoio di bufalo o di altro cuoio bollito, che sono fortissime. Sono molto bravi e valenti in battaglia. E sono di tutti i soldati del mondo i più resistenti alla fatica. Assai volte, se è necessario, rimangono un mese intero, e magari in cammino, senz'altra vivanda all'infuori di un po' di latte di giumenta e di quel po' di caccia che possono pigliare essi stessi: ed il loro cavallo si pasce tutto quel tempo delle erbe che trova. Non v'è esercito al mondo che meglio regga alle fatiche e ai disagi, che meno voglia di spesa, e che sia migliore per conquistar terre e regni" (Il Milione, ed. di L. F. Benedetto, p. 87). Non manca del resto completamente l'agricoltura. A questa si dedicano in particolare i gruppi marginali, ma anche alcune delle tribù nomadi, nelle sedi dove soggiornano più a lungo.
La famiglia è patriarcale e poligama: ma la donna gode di molta considerazione e di una certa libertà, mentre compaiono qua e là altre tracce di un antico statuto matriarcale e, nei gruppi del sud, anche la poliandria fraterna. È da notare che già gli antichi annalisti cinesi segnalano quest'ultima tra i Ye-tha, una delle popolazioni antiche dell'Asia centrale che si possono probabilmente identificare con gli antenati degli Unni (Unni Bianchi o Eftaliti) e con quelli degli attuali Mongoli.
Antropologia. - Le attuali conoscenze antropologiche sulle popolazioni che sono dette in senso stretto (linguistico) mongoliche sono sufficienti a darcene una caratteristica complessiva, sia pure sommaria.
Le caratteristiche di valore descrittivo dei Mongoli furono esposte da A. Ivanovskij a proposito dei Torghōt. Questi hanno, secondo l'Ivanovskij, dei capelli di una lunghezza di 50-60 cm. La calvizie è rarissima, la canizie non appare prima di 55 anni. Fino ai 55 il capello è molto rigido, poi diviene più molle. Ivanovskij contò 224 capelli per cmq., che è un numero relativamente basso, certo dovuto allo spessore forte del capello. La sezione ne è quasi sempre rotonda. L'inserzione sulla pelle, verticale, il colore nero. Fino ai 25 anni la barba è completamente assente, i peli di essa non oltrepassano la lunghezza di 13 cm., e sono assai più radi che sulla testa. La pelosità corporea è limitata alle ascelle e agli organi genitali, ma anche qui è tardiva. L'Ivanovskij rifiuta affatto la denominazione di giallo al colore della pelle dei Torghōt, che, nelle parti coperte, presenta i colori 29-30 della scala Broca. Gli occhi sono neri, ma, invecchiando, questo colore diviene più chiaro e sui 60 anni passa in un bruno chiaro. La plica mongolica dell'occhio è fino ai 20 anni assai pronunciata, ma nel decennio successivo comincia a regredire. Dai 30 ai 40 anni scompare o rimane solo in tracce e sopra ai 40 anni è sempre assente. Il naso ha un dorso poco rilevato sulla metà della sua altezza, con narici alte relativamente alla punta.
30 Čakhar di Kulgia diedero a Mazeevskij e a Porjakov una statura di 162 cm., 52 Čakhar misurati da H. Dudley Buxton, a piccola distanza da Kalgan, diedero una media di 164. I 544 Buriati di Talko-Hryncewicz, i 100 Buriati Alar di Porotov e i 181 di Šendrikovskij) diedero, con singolarissima concordanza, una statura media di 163. I 236 Calmucchi di Astrachan raccolti da diversi autori, secondo Ivanovskij, diedero una media di poco diversa: 164. 138 Torghōt di Tarbagatai diedero a Ivanovskij una media di 163.
È innegabile perciò una grande costanza della statura, costanza assai sorprendente, data la grande distanza geografica delle sedi di questi gruppi. Tali stature si distanziano da quelle dei Cinesi del nord, restando invece simili a quelle dei Cinesi del sud. Portiamo questi due gruppi solo per il confronto con gruppi detti anche mongolici, ma in senso somatico e non linguistico.
La circonferenza toracica dà nei Torghōt misure che oltrepassano la metà della statura, cioè un buon indice vitale. Mentre la lunghezza relativa delle braccia tende a proporzioni piuttosto piccole, l'omero è forse relativamente più sviluppato, di guisa che l'avambraccio è sensibilmente sotto i valori abituali (indice nei Torghōt = 14,10; nei Buriati = 13,7).
Per la lunghezza delle gambe, mentre i dati abbondano sulla base delle vecchie tecniche, pochi ne abbiamo sulla base dell'altezza seduta. Tuttavia 97 Buriati di Šendrikovskij dànno una media di 53,7; 92 Calmucchi di Korolev una di 53,5, entrambe medie di brachischelia. Pare anche probabile un piccolo valore del rapporto della gamba (in senso stretto) alla statura.
I 30 Čakhar di Mazeevskij e Porjakov hanno un indice cefalico medio di 83,57. I Čakhar del Dudley Buxton hanno invece un indice di 81,73. I 535 Buriati di Talko-Hryncewicz una media di 85,66; 181 Buriati della Selanga una media di 88,4; 100 maschi Buriati Alar una di 82,4; 40 femmine della stessa provenienza, 80,7. Le differenze sono quindi assai sensibili dentro il gruppo dei Buriati; e forti sono le differenze per la distribuzione nelle diverse categorie di indice; così mentre nei Buriati di Talko-Hryncewicz abbiamo il 71% di brachicefali, ne abbiamo appena il 38 nei maschi di Porotov. Bisogna guardarsi però dal dare un valore eccessivo a queste differenze, come vedremo in seguito; avvertenza che non fu tenuta presente dal Dudley Buxton. Ivanovskij, raccogliendo tutti i dati degli autori precedenti per i Calmucchi di Astrachan, ebbe per 212 individui la media di 82, mentre le singole medie non differiscono molto. I Torghōt di Tarbagatai diedero un indice di 84,68. In base soprattutto all'indice cefalico dei suoi Čakhar, il Dudley Buxton credette di poter asserire che essi abbiano risentito l'influenza cinese. Sennonché i valori assoluti della lunghezza e della larghezza della testa (188 e 154,6) ci permettono, per il principio della correlazione dei valori nelle diverse forme del cranio cerebrale, di ritenere assai probabile che i detti Čakhar siano almeno in parte platicefali e perciò assai diversi dai Cinesi. Dudley-Buxton propende a credere che il tipo somatico mongolo sia più tendente alla dolicocefalia e che invece le forme brachicefaliche siano da attribuire a influenze occidentali, europee, sensibili ancora più nei gruppi etnici turchi. Per la faccia bisogna soprattutto basarci sopra antiche misure come quella dell'altezza fisionomica (radice dei capelli-mento). Ad ogni modo gl'indici sono piuttosto alti. L'Ivanovskij nella faccia mongolica osservò un piccolo sviluppo del terzo superiore (dall'inserzione dei capelli al naso) mentre il terzo medio, corrispondente all'altezza del naso, è il più forte. Secondo il Sera la piccolezza del terzo superiore è dovuta alla platicefalia e alla fronte alquanto sfuggente.
Lavori sulla craniologia dei Mongoli sono dovuti a Ivanovskij, Fridolin e ad altri, ma il lavoro più compiuto per abbondanza di materiale, per la scelta delle misure, per la loro elaborazione statistica più moderna, è quello del Reicher. Questi inoltre fece la comparazione dei brachicefali alpini con quelli mongoloidi. Egli studiò 31 cranî di Calmucchi di Astrachan, 18 di Mongoli-Torghōt, 21 di Buriati e inoltre, di gruppi linguistici non mongoli, 17 di Cinesi e 91 di Telengheti. Il Reicher, in base ad alcuni indici ed angoli presi sulla parte facciale, poté dimostrare come nella faccia dei gruppi mongolici (linguisticamente) siano assai intensi i íenomeni di appiattimento facciale, cioè la forte larghezza della faccia al livello delle parti anteriori dei molari, la larghezza del mascellare superiore, la quasi verticalità dei nasali e il loro scarso rilievo sul piano frontale. Questi fatti possono indicarsi con una sola locuzione, quella di mongolismo facciale, ormai entrata nell'uso. Questo mongolismo è assai intenso nei Torghōt e nei Buriati soprattutto, ed è forte non soltanto nei Calmucchi, linguisticamente veri Mongoli, ma anche nei Telengheti e nei Cinesi. Sennonché specialmente un carattere dei Calmucchi e dei Telengheti rivela la presenza, più forte nei secondi, di un elemento fisionomicamente non mongolico. L'indice di larghezza-lunghezza cioè dei nasali dimostra coi suoi valori medî nei Calmucchi e nei Telengheti di avvicinarsi agli Europei più di quello che facciano gli altri gruppi. Tale fatto è perfettamente parallelo a un altro. L'analisi tridimensionale delle forme del cranio cerebrale (v. cefalici, indici) permette di stabilire il carattere prevalentemente platicefalico di tutte le serie dei Mongoli. Ma mentre i Torghōt e i Buriati sono dei platicefali quasi allo stato puro, i Calmucchi e i Telengheti, in grado maggiore, presentano una certa frequenza di ortocefali. Il fatto per questi ultimi era stato già notato dal Luzenko, che li studiò, e appunto il Luzenko afferma che questo tipo a cranio più alto non è mongolico. Secondo il Luzenko questo tipo sarebbe brachicefalico meno marcatamente del tipo mongolico.
I Cinesi consterebbero invece di una miscela di forme ortocefaliche e ipsicefaliche, sempre piuttosto lunghe e la ortoipsicefalia le distinguerebbe in realtà più di ogni altro carattere. Tuttavia è probabile esistano divergenze anche per i caratteri facciali. I fatti presentati dall'indice cefalico dei Mongoli, e soprattutto dei Buriati, indicano che le differenze di questo indice non hanno che un valore limitato, essendo il mongolismo facciale e gli altri caratteri quasi costanti in tutti i gruppi mongolici. Non si può dire, in base a quanto abbiamo visto, che i gruppi mongolici (linguisticamente) siano caratterizzati oltre che dal mongolismo fisionomico (comune con molti altri diversi gruppi linguistici), da platicefalia, perché non solo si è visto nei Telengheti i platicefali a fisionomia mongolica avere una certa prevalenza, ma è presumibile che essi abbiano una prevalenza ancora maggiore in altri gruppi linguisticamente non mongolici, come nei Kirghisi e negli Iacuti, per parlare solo di gruppi molto estesi geograficamente.
L'analisi tridimensionale di una serie (di Hrdlička) di 113 cranî di Urga nella Mongolia centrale, indica, sebbene con riserva (l'altezza ivi misurata, la basilobregmatica, non concedendo conclusioni rigorose) la presenza esclusiva di forme platicefaliche con un indice orizzontale medio di 81. Questo fatto induce a esprimere riserve sull'asserzione di DudleyBuxton circa l'influenza cinese nella Mongolia orientale. I Buriati della Selanga probabilmente, a ragione del loro isolamento e dell'altissimo valore dell'indice cefalico orizzontale, rappresentano l'elemento platicefalico a fisionomia mongolica allo stato puro o quasi. L'associazione fra ultrabrachiplaticefalia e fortissimo mongolismo facciale contraddice la ipotesi del Dudley Buxton di un'origine armenoide, ipotesi che del resto è fondata sopra un'incompleta cognizione dei tipi di altezza cefalica, il tipo armenoide essendo ortocefalico.
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