MONGOLIA (A. T., 97-98)
È una vasta regione dell'Asia centrale (in cin. Mêng-ku), compresa fra i Saiani e i monti della Transbaicalia a N., la Manciuria e il bassopiano cinese a E., il Nan-shan (Monti Richthofen) e la Gran Muraglia a S., aperta ad occidente verso i bacini del Tarim e della Zungaria. La sua estensione è valutata a 2.700.000 kmq.; l'altitudine media oscilla nelle varie parti da 1000 a 1600 m. Politicamente si divide in Mongolia Esterna e Interna; questa è ancora sotto il controllo amministrativo e militare della Cina: la Mongolia Esterna si è eretta, nel 1924, a stato indipendente organizzato sul modello delle repubbliche sovietiche.
Sommario. - Missioni ed esplorazione (p. 667); Geologia e morfologia (p. 668); Clima (p. 669); Idrografia (p. 670); Fauna (p. 670); Flora e Vegetazione (p. 670); Popolazione (p. 671); Condizioni economiche (p. 672); Storia (p. 672). - La repubblica sovietica mongola: Ordinamento costituzionale (p. 674); Commercio (p. 674); Comunicazioni (p. 674); Finanze (p. 675); Istruzione (p. 675).
Missioni ed esplorazione. - Le prime missioni furono inviate da Innocenzo IV alla vigilia del Concilio di Lione. Una fu affidata al francescano Giovanni da Pian del Carpine, l'altra al domenicano Ascelino da Cremona. Partito da Lione il 16 aprile 1245, fra Giovanni arrivò solo al principio di aprile 1246 presso Bātū, sul Volga. Bātū lo fece proseguire nel viaggio verso il Gran Khān Güyük, e così l'inviato di Innocenzo IV, giunto il 22 luglio a Sira Ordo, a mezza giornata di viaggio da Qaraqorum, vi assisté il 24 agosto all'insediamento in trono di Güyük. Ripartì il 13 novembre, con una risposta di Güyu̇k a Innocenzo IV redatta in persiano, ma il cui sigillo, in mongolo, è cronologicamente il secondo dei monumenti di questa lingua. Giovanni da Pian del Carpine era di ritorno a Lione verso la fine del 1247. Era fallito nella sua missione, che era di fare intendere ragione a Güyük e di convertirlo; ma riportava una relazione che è una fonte storica di sommo interesse. Del resto, quelli presso Güyük erano in gran parte cristiani, ma nestoriani.
Ascelino da Cremona prese la via del mare per recarsi dai Mongoli stabiliti nel NO. della Persia. Dové partire verso il marzo 1245, e si aggregò durante il viaggio parecchi compagni. Solo il 24 maggio 1247 giunse al campo del capo mongolo Baidū a N. dell'Arasse, in Transcaucasia; ne ripartì il 25 luglio, dopo aver subito ogni sorta di vessazioni e aver corso il più gran pericolo, riportando quale unico risultato dei suoi sforzi una superba lettera di Baidü che due messi mongoli consegnarono a Innocenzo IV nell'estate del 1248. Un particolareggiato racconto della missione era stato scritto da Simon de Saint-Quentin: non ne possediamo che frammenti nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais. La missione aveva veduto i Mongoli, non la Mongolia.
Mentre San Luigi si trovava a Cipro alla fine del 1248, vi fu conosciuta una lettera che il contestabile Sembat della Piccola Armenia aveva scritto da Samarcanda il 7 febbraio 1248, mentre era in viaggio verso Qaraqorum, dove effettivamente in quell'anno si recò. Il viaggio di Sembat durò dal 1247 al 1250, ma la lettera, scritta quando ancora non aveva preso contatto che con gli eserciti mongoli di Persia, non parla della Mongolia che per sentito dire; pure, è interessante trovarvi una eco abbastanza fedele dell'accoglienza fatta da Güyük a Giovanni da Pian del Carpine.
Sempre durante il soggiorno di San Luigi a Cipro, due inviati mongoli sbarcarono a Cerines il 14 dicembre 1248, latori di una lettera in persiano del Mongolo che governava allora nella Persia occidentale, Älgighidäi, lettera già vecchia, del 15-24 maggio 1248; vi era annunziata la conversione di Güyük e della sua corte, il che non era vero. Non senza esitazione, San Luigi decise l'invio di un'ambasceria, a capo della quale mise un domenicano che già era stato in rapporti con i Mongoli di Persia (ma che, contrariamente all'opinione vulgata, non aveva fatto parte della missione di Ascelino da Cremona), André de Longjumeau. Questi si mise in viaggio il 27 gennaio 1249, per Antiochia e Mossul. Ma Güyük era morto nell'aprile 1248, e la reggenza era esercitata dalla vedova Oghul-Qaîmïsh. Fu lei a ricevere André de Longjumeau nella regione dell'Emil (non a Qaraqorum come si suol dire): fu cortese, e nulla più; e quando André de Longjumeau ritrovò San Luigì a Cesarea nella primavera del 1251, il re si pentì di averlo mandato. André de Longjumeau, il primo europeo di cui sappiamo che sia giunto nella Mongolia occidentale attraverso il sud del Caspio e Ürgänǵ (regione di Khiva), ha fatto un viaggio interessante, ma di cui non sembra che abbia lasciato una relazione.
Ma André de Longjumeau aveva riportato la notizia che c'erano numerosi cristiani nestoriani tra i sudditi dei Mongoli, e anche una colonia di Tedeschi schiavi del gengiscanide Büri, in Transoxiana. Correva d'altronde la voce che un altro gengiscanide, Sartaq, figlio di Bātū, nella regione del Volga, si era convertito. Fu allora che San Luigi, pur senza voler fate di lui un suo messaggiero, favorì il viaggio del francescano Guglielmo di Rubruck, che voleva recarsi presso Sartaq e i Tedeschi di Büri.
Guglielmo di Rubruck, che aveva avuto dei colloquî con André de Longjumeau, lasciò la Palestina al principio del 1253. Per Costantinopoli, la Crimea, Sarai sul basso Volga e il N. del lago d'Aral, giunse alla regione dell'Emil, e pervenne infine il 27 dicembre al campo del Gran Khān Möngkä (in turco Mängü); lasciò Qaraqorum il 10 o l'11 luglio 1254, tornò a Sarai, seguì di lì la costa ovest del Caspio, e attraverso la regione dell'Ararat, Sīwās e Conia tornò a Cipro, dove arrivò il 16 giugno 1255. Il suo superiore lo incaricò d'un insegnamento a San Giovanni d'Acri. Lì, nell'autunno, scrisse il racconto del suo viaggio, sotto forma di una lettera-rapporto diretta a San Luigi. In seguito, dové tornare in Francia, giacché Ruggiero Bacone ve lo vide. Guglielmo di Rubruck era un notevole osservatore. A lui si debbono nozioni nuovissime per l'epoca: così fu il primo a dare indicazioni esatte sulla natura della scrittura cinese e il primo a constatare che il Caspio è un mare chiuso. Questa relazione non ha ancora avuto il minuto commento di cui è degna.
Non sappiamo per qual via lo zio e il padre di Marco Polo si erano recati da Bukhārā alla corte di Qubilai; dové essere per il Turkestān cinese. Quanto a Marco Polo stesso, se egli fu dal 1275 al 1292 al servizio del Gran Khān e se ci dà sui Mongoli, la loro organizzazione amministrativa, la loro storia, i loro costumi, notizie del più alto valore, egli non ha peraltro personalmente viaggiato nella vera Mongolia. Quando parla di Qaraqorum, è per sentito dire. Pure, egli è stato in contatto con una tribù mongola, quella dei cristiani Örnggüt, che avevano allora come capo il principe Giorgio, di cui Mareo Polo fa un discendente di Prete Gianni. È questo lo stesso principe Giorgio che qualche anno dopo doveva essere ricondotto alla confessione romana dall'arcivescovo di Pechino, Giovanni da Montecorvino.
Dopo l'inizio del sec. XIV, la Mongolia ben presto si chiude agli Europei, e bisogna giungere ai tempi moderni per una ripresa delle conoscenze. Allora i Russi entrano in relazione con i Mongoli occidentali, o Calmucchi. I rapporti erano cominciati nel 1604: delle missioni furono inviate da Tobolsk nel 1616 e 1617. Nel 1618, il cosacco Ivan Petlin si unì in Tobolsk a degli ambasciatori calmucchi che rimpatriavano, poi continuò con altri attraverso la Mongolia e giunse a Pechino; era di ritorno a Tobolsk l'anno seguente. La stessa via seguì Fedor Baikov giunto ugualmente a Pechino, attraverso Kökö-Khoto (cin. Kui-hua), nel 1656; il suo racconto di viaggio è abbastanza particolareggiato, ma molti nomi vanno ancora identificati. La missione di Nicola Spathar Milescu (1675-1677) prese viceversa la via della Siberia e della Manciuria. La cartografia si era mantenuta a lungo sui dati di Marco Polo. La prima carta che offrì una nuova toponomastica è la cosiddetta carta Godunov del 1667. Infine nel 1687 compare la gran carta del borgomastro d'Amsterdam Witsen, che inoltre elabora tutti i materiali che poté procurarsi dalla Russia nella sua opera fondamentale Noord en Oost Tartarye (1692 e 1705). Nel 1722-1724 il capitano d'artiglieria Giovanni Unkovskij fu inviato in missione presso il Hungtaigi Tsewang-Rabdan (v. mongoli) e la sua relazione è stata pubblieata nel 1887. D'altra parte, un certo numero di ufficiali svedesi fatti prigionieri a Poltava (1709) era stato relegato in Siberia. Uno di loro, Renat, catturato dai Calmucchi, tornò in Svezia nel 1734, portando due carte di origine calmucca, ritrovate e pubblicate solo ai nostri giorni. I gesuiti di Cina, per parte loro, non erano rimasti inattivi. Il P. Gerbillon aveva accompagnato K'ang-hi in Mongolia. Al principio del sec. XVIII, i suoi confratelli redassero per ordine di K'ang-hi la carta d'una parte della Mongolia orientale, completandola per la Mongolia occidentale con itinerarî indigeni. La missione gesuita mandata da K'ien-long nel 1755-1756 lavorò sul versante nord dei T'ien-shan e nell'Ili. La vera cartografia della Mongolia Esterna non è stata compiuta che dai viaggiatori della seconda metà del sec. XIX. Pure, sussistono ancora molti documenti provenienti dai gesuiti, di grande interesse per la storia e la geografia mongola, e ancora non pubblicati, specialmente la memoria De bello Camhi imperatoris contra Tartaros Erutanes feliciter confecto anno 1697 del padre Antoine Thomas, purtroppo priva di carta.
La più recente fase di esplorazione del paese comincia con lo Prževalskij che in tre viaggi (1870-73, 1876-77 e 1883-85) esplorò il Gobi, il Kuku-nōr, abbozzò l'idrografia del bacino del Tarim e scoprì (1884) le sorgenti del Hwang-ho, che nessuno europeo, dopo Odorico da Pordenone, aveva più toccato. Quasi contemporaneamente, il Fritsche dava, con osservazioni astronomiche, una base solida alla topografia della Mongolia orientale, da lui traversata più volte nel 1873-74 e nel 1877.
Nel 1876-77 e nel 1879, due viaggi del Potjanin fornivano una conoscenza più precisa della catena degli Altai e il rilevamento di molti laghi (Ubsa-nōr, Kirghis-nōr, Dzerem-nōr, ecc.). Nel 1878-79 il Pevcov rileva la strada Kobdo-Khalgan (2500 km.) e quella da Urga alla fcontiera (1700 km.) facendo numerose osservazioni oro-idrografiche e geognostiche, oltre a raccolte botaniche e zoologiche. L'orografia viene infine completata nel 1889-90 dai fratelli M. e G. Grum-Gržimailo.
A partire dal 1890 le spedizioni si intensifieano: nel 1891 W. Rockhill scopre il Tosu-nōr; nel 1892 Radlov e Klements esplorano la vallata dell'Orkhon nella Mongolia settentrionale; nel 1893 il paese degli Ordos fu oggetto di ricognizioni da parte di V. Obručev; nei due anni successivi la spedizione dello Sven Hedin rettificava molte delle osservazioni precedenti e faceva importanti scoperte archeologiche; nel 1895 Chaffanjon esplora il Grande Khingan e gli Altai. Sulla fine del sec. XIX Kozlov inizia una serie di esplorazioni nella regione degli Altai, poi, tornato in Mongolia (1907), visita la regione del Kuku-nōr e il corso superiore del Hwang-ho con risultati notevoli nel campo della geologia, della botanica e della zoologia. La Mongolia di N. e NO. fu percorsa nel 1910-1911 da D. Carruthers, che fece un'esplorazione sistematica del bacino superiore dello Jenissei, ancor poco conosciuto. La guerra mondiale segnò una sosta nelle esplorazioni, che vennero riprese nel dopoguerra. Nel 1919 si ha la grande spedizione, organizzata dal Museo americano di storia naturale e diretta da R. Chapman Andrews, che percorre il territorio tra gli Altai e Kalgan. Tale spedizione diede risultati assai ragguardevoli oltre che nel campo geografico, nella conoscenza della storia geologica della regione, delle variazioni del clima, della paleoetnologia e paleontologia.
Geologia e morfologia. - La Mongolia Esterna, o di NO., è una regione montuosa molto estesa (quasi 800.000 kmq.) e molto complessa, compresa fra alte catene quali i Saiani, l'Altai e il Khangai, e sollevata così da avere i maggiori fondi vallivi fra 800 e 1600 m. di altitudine. Zona ricca di foreste e di pascoli, percorsa da grandi fiumi che in parte alimentano vasti laghi interni, trae l'umidità dai venti che le giungono attraverso i piani siberiani. Vi si distinguono tre principali bacini: quello dell'alto Jenissei tra i Saiani e la catena trasversale del Tannu-ola, con valli larghe e piatte e monti assai elevati (3000-3500 m.); quello della Selenga, fra i Saiani orientali e i gruppi frastagliati, ma a cime piatte e non troppo elevate, del Khangai e del Kentai occidentale; infine la cosiddetta Valle dei Laghi, fra il Tannu-ola e l'Altai mongolo. Tributario della Selenga è il grande lago Koso-gol (lunghezza 130 km., superficie 3300 kmq.), il maggiore della Mongolia, situato in un altipiano a 1600 m. s. m. Numerosi laghi chiusi, alimentati da fiumi anche notevoli, si hanno nella Valle dei Laghi, regione ad ampie fosse o conche allungate di sprofondamento separate da alte creste rocciose e scaglionate a quota tanto più bassa quanto più ci si allontana dall'Altai: la conca più depressa ed estesa si allunga ai piedi del Tannu-ola ed è percorsa dal fiume Tess (600 km.), che termina in una vasta pianura alimentando l'ampia lama d'acqua salmastra dell'Ubsa-nōr (2000 kmq.,) a quota 721. La Valle dei Laghi è chiusa ad O. dal Khangai, che digrada dolcemente a S. in larghi terrazzi verso una piana petrosa che lo separa dall'Altai e che forma passaggio al deserto di Gobi.
La Mongolia centrale, o Gobi, è la parte meno elevata dell'altipiano, e si mostra molto uniforme nella sua immensa estensione, che misura fino a 1200 km. nel senso meridiano (verso 104° long. E.) e oltre 2000 km. nel senso trasversale (verso 44° lat. N.). Il termine "Gobi" con cui viene solitamente designata, è parola mongola che indica le depressioni a fondo roccioso e riempimento sabbioso, per lo più suddivise in piccoli bacini più o meno incavati, dalle quali è essenzialmente formato il gran deserto di Gobi. La configurazione generale della Mongolia centrale è quella di un immenso bacino piatto, o meglio di un immenso pianoro sopraelevato, a fondo ondulato e ad orli più o meno salienti; la sua altitudine decresce dai margini (elevati 1600-2200 m.) al centro di Sair-Usu (850 m.), e, con ondulazioni secondarie, da SO. (margine pedemontano del Nanshan) a NE. (verso l'orlo rilevato del Grande Khingan, dove si hanno zone depresse fino a 750 m.). La lunghissima prosecuzione dell'Altai mongolo verso est divide il Gobi in due sezioni; il Gobi occidentale, a rilievo più mosso, compreso fra Altai e Nan-shan, e che si prolunga a O. senza linee di delimitazione nei deserti della Zungaria e del Turkestān orientale; e il Gobi orientale, più piatto, compreso fra Altai e Khingan, e che si prolunga per quasi 500 km. a E. del Khingan centrale. Fra le due sezioni è il corridoio del Golyb Gobi, compreso tra le ultime propaggini dell'Altai mongolo e i monti Khara-Narin. I deboli rilievi della superficie sono serie isolate ed erose di basse alture, disposte in prevalenza nel senso SO.-NE., fra le quali s'interpongono piatte depressioni colmate da ghiaie nelle parti periferiche e da sottili detriti nel resto, fino ad argille salate nel centro. Non mancano estese zone di sabbie mobili con dune semilunari (barcane). Ma esse occupano grandissime superficie soltanto nella parte occidentale, che può dirsi un vero deserto; il rimanente è piuttosto una steppa desertica, con parti perfino coltivabili. Regione essenzialmente a conche chiuse, nella quale sono scarsi anche i laghi salati, presenta fiumi perenni soltanto all'estremo N., dove col grande bacino del Kerulen si addentra nella regione sorgentifera dell'Amur, e all'estremo S., dove il Hwang-ho scende come grosso fiume dal Nan-shan, e attraversa quindi per lungo tratto il lembo marginale della Mongolia centrale e la Mongolia Interna.
La Mongolia Interna, o di SE., o Mongolia cinese, comprende due serie di catene. Della prima, più settentrionale, a N. del Hwangho, fanno parte, da E. a O., le catene Shuma-Chada, Ta-Tsingshan, Khara-Narin, ecc., che, per quanto strutturalmente diverse dal Grande Khingan, sembrano continuarlo come orlo sud-orientale dell'altipiano mongolo. Della seconda, più meridionale, fanno parte varie catene su cui in parte corre la Gran Muraglia (p. es., nei pressi di Kalgan) come frontiera tra la Mongolia e la piana della Cina settentrionale. La zona sita fra le due serie di catene è la migliore parte della Mongolia Interna, salvo lo steppico altipiano tabulare dell'Ordos: quest'ultimo, abbracciato dalla grande ansa del Hwang-ho, è tettonicamente legato alla Cina occidentale, ma analogo al Gobi per i caratteri del suolo.
L'ossatura dell'altipiano mongolo è costituita da terreni scistoso-cristallini arcaici (sistema del Tai-shan) e algonchiani (sistemi di Wu-tai e del Khangai) fittamente corrugati, e da enormi masse granitiche intruse fra essi nel Paleozoico antico. Prescindendo da sedimenti devonici all'estremo nord, seguono, discordanti e implicati in nuove pieghe, sedimenti marini del Paleozoico recente (Permico), e, in discordanza ancora, sedimenti giurassici, corrugati insieme ai precedenti da un nuovo e intenso diastrofismo orogenico. Dalla fine del Giurassico in poi, la regione fu sempre emersa, e il lavorio di demolizione subaerea dei rilievi (ravvivati, a tratti, da parziali sollevamenti e sprofondamenti) condusse a ricoprire su ampie zone il basamento corrugato con depositi eontinentali orizzontali (fluviali, lacustri ed eolici), accumulatisi con grandi spessori durante i tempi cretacei, terziarî e quaternarî contro e sopra i relitti smantellati delle antiche catene. In questi depositi la recente spedizione scientifica amerieana scoperse nella Mongolia centrale importantissimi giacimenti di grandi rettili cretacei (incluse uova di Dinosauri) e di mammiferi terziarî e pleistocenici. I movimenti orogenici terziarî e quaternarî ebbero per conseguenza di accentuare il sollevamento dell'altipiano mongolo, vario nei suoi varî elementi, e di accentuare altresì la depressione delle zolle sprofondate; l'ineguale sollevamento delle parti fratturate condusse alla formazione di rilievi tabulari, mentre nelle catene marginali, portate a maggiore altezza, un nuovo ciclo di erosione affondava le valli, e in tutta la regione delle fratture traboccavano a più riprese lave prevalentemente basaltiche.
Clima. - Il clima, estremamente continentale, è caratterizzato da fortissime escursioni termiche, sia annue sia diurne, da venti violenti e da una grande scarsità di precipitazioni, che nella Mongolia settentrionale e centrale non raggiungono i 200 mm. annui. La regione, prossima alla zona siberiana delle alte pressioni invernali, è spazzata, specialmente d'inverno, dai venti rigidi e asciutti del NO. Durante l'estate soffiano talvolta anche i venti di E. e di NE. che possono portare la pioggia alla Mongolia nord-orientale. Le medie annue di temperatura sono assai basse (Urga −2°4; Uliassutai −0°2), dati gl'inverni straordinariamente freddi. La temperatura media del gennaio è infatti di -26°2 a Urga; di -24°2 a Uliassutai, che, pur essendo più alta e più interna, ha una media del mese più freddo alquanto meno cruda, forse per l'influsso dei venti secchi anticiclonici che si riscaldano un po' scendendo lungo i fianchi dei monti. Le estati sono relativamente caldissime: la media temperatura del luglio è di 17°5 a Urga; di 19°2 a Uliassutai, e assai più alta nel Gobi meridionale, dove nell'Alashan si ha un'oscillazione termica annua normale da +38° a −33° ed escursioni anche diurne assai forti (fin di 40°). Gl'inverni sono lunghissimi: i fiumi della Mongolia nordorientale rimangono gelati da novembre ad aprile e anche il Hwangho, nel suo gomito settentrionale, rimane gelato da metà novembre a metà marzo. Le piogge scarse cadono tutte d'estate; i mesi più piovosi sono il luglio e l'agosto, durante i quali talvolta può piovere per 2-3 giorni di seguito. Secchi e senza neve sono invece gl'inverni e quasi calmi, a differenza delle estati, durante le quali assai frequenti, specialmente nel Gobi, sono le fortissime bufere secche provenienti dal NO. trascinanti verso il S., in spaventevoli trombe, grandi quantità di sabbia.
Idrografia. - L'idrografia si riduce a pochi corsi d'acqua con bacini limitati e ad una regione di piccoli bacini lacustri posti nel territorio montagnoso del nord-ovest (valle dei laghi). Il resto del paese, comprendente tutta la parte centro-meridionale (deserto di Gobi), è privo di acque superficiali.
Il fiume principale, il Selenga, nasce col nome di Eder, al nord-ovest di Uliassutai e fino alla confluenza col Chulutu, che viene dal sud, conserva questo nome; prosegue, quindi, con quello di Selenga fino alla frontiera siberiana, che raggiunge dopo 530 km. di corso e dopo altri 400 km. va a sfociare nel lago Bajkal. Dei suoi affluenti, il principale è l'Orkhon, lungo 840 km.; fiume storicamente notevole per avere avuto sulla riva sinistra Qaraqorum, l'antica capitale dell'impero mongolo; un affluente dell'Orkhon, il Tūla, bagna Urga e nasce alle falde dei monti Kentei.
Nella regione montuosa del nord-ovest è il bacino dell'alto Jenissei fomiato dai due corsi principali del Bei-kem (300 km.) e del Khua-kem (475 km.), che si uniscono a Khem-belder per dare origine all'Ulu-kem che dopo un percorso di circa 200 km. riceve il Kemchik ed entra in Siberia col nome di Jenissei, fra rapide e chiuse. Tutta questa regione è caratterizzata da gradinate: dalla Siberia il suolo sale con ampî terrazzi, seminati di laghi e spazzati da venti violenti, fino nella regione di Kobdo. Di questi laghi, il maggiore è il Koso-gol, con una superficie di 300 kmq., situato su uno di questi scalini, a 1600 m. di altezza, dalla quale domina la piattaforma sottostante del Dorja-nōr, sull'alto Khuakem. Seguono l'Ubsa-nōr, o lago delle lontre, a 722 m., il Kirghisnōr, a 1000 m., il Qarausu-nōr, a 1760 m. Questi laghi sono uniti da fiumi importanti: il Tess (600 km.), il Dzapkhin (760 km.), il Kobdo (540 km.), ecc. La loro disposizione e il loro collegamento sembrano destinarli ad un'unione allo Jenissei, ma tale comunicazione è impedita dall'imponente bastione del Tannu-ola, dal quale viene chiuso il loro bacino.
Il corso d'acqua più importante al nord-est è il Kerulen (1200 chilometri). Largo da 20 a 40 m., senza affluenti, profondo 2 m. quando è in piena, scorre in una valle isolata nel deserto finendo nel Dalai-nōr, lago dalle rive paludose a 500 m. s. m.
Fauna. - La fauna mongolica è molto interessante per i rapporti che presenta sia con la fauna europea sia con quella della regione orientale, pur conservando una facies particolare. Fra i Mammiferi citeremo varî Chirotteri del gruppo dei veri Pipistrelli. Numerosi sono gli Insettivori con diverse specie delle famiglie dei Talpidi, Soricidi, Erinaceidi. Fra i Carnivori sono da notare alcuni orsi, la tigre che estende il suo dominio fino alla vallata dell'Amur, la pantera, una specie di lince, parecchi gatti selvatici. Fra i Roditori la marmotta, la lepre di montagna e molte altre specie dell'ordine che differiscono specificamente più o meno da quelle siberiane. Fra gli Ungulati noteremo varie antilopi e cervi. L'avifauna è abbastanza ricca e fra le specie più numerose sono da annoverare i Gallinacei, particolarmente i fagiani, forme esclusivamente asiatiche rappresentate da specie dalla magnifica livrea molte delle quali vivono anche allo stato di domesticità. I Rettili e gli Anfibî sono poco numerosi. Fra i primi citeremo alcune specie di Ofidî, alcune delle quali velenose, varî Lacertilî, scincoidei, gechi e fra i secondi alcune salamandre, talora di notevoli dimensioni, varie altre specie di ranidi, bufonidi e raganelle. La fauna entomologica è abbastanza sviluppata; differisce notevolmente da quella siberiana per la povertà delle specie di Carabidi fra i Coleotteri e per la ricchezza di specie di Lamellicorni. Ben rappresentati sono i Lepidotteri e in genere gli altri ordini di insetti e di artropodi terrestri. Numerose altre specie di Molluschi terrestri e altri invertebrati si aggiungono a completare questo interessante complesso faunistico.
Flora e vegetazione. - La Mongolia rientra in quello che A. Grisebach ha chiamato dominio delle steppe, nel quale possono distinguersi tre zone: le montagne del Turkestān a ovest, le montagne fra la Siberia e la Mongolia a est e il versante interno del Himālaya a sud. Su 1296 specie di fanerogame conosciute nel 1884 per la Mongolia, oltre l'80% era rappresentato da forme endemiche, e le ricerche posteriori non hanno notevolmente spostato questa percentuale. A seconda delle diverse regioni esiste una notevole variazione nella flora e nella vegetazione.
Nelle catene montuose del nord vi sono boschi di pini (Pinus Schrenkiana e altre specie), cedri, larici, betulle, pioppi, eec., mentre sulle loro pendici rocciose si trovano specie rare di arbusti. Le montagne del NO. sono meno boscose; si osserva poi in generale che mentre le pendici settentrionali dei monti sono rivestite di una vegetazione piuttosto abbondante, quelle meridionali sono molto povere o quasi completamente nude. Nei monti dell'Inshan sul versante settentrionale vi sono grandi boschi di pioppi, salici, ontani, olmi, larici, ginepri (Iuniperus pseudosabina), tuje, sorbi, susini selvatici, querce nane, mentre nelle valli crescono tigli, Berberis, Clematis e molte piante alpine che tappezzano le praterie coi loro fiori.
La secchezza del clima, i grandi squilibrî di temperatura estivi e invernali, le violente tempeste atmosferiche, la notevole salinità del suolo fanno sì che la flora mongola sia notevolmente povera.
Nei terreni argillo-silicei vi sono: Lasiagrostis splendens, Stipa orientalis e capillata, Caragana frutescens e parecchie altre Leguminose dei generi Astragalus e Oxytropis, Nitraria Schoberii, Zigofillacea che si spinge fino a 3300 m. d'altezza e le cui bacche sono eduli. L'Haloxylon ammodendron (Saxaoul) è un singolare albero basso afillo, caratteristico di queste regioni, che somiglia a una capitozza di salice ed è particolarmente abbondante nel deserto della Zungaria e sul versante nord dell'Alashan. Nei terreni impregnati di cloruro di sodio crescono: Kalidium gracile, erba assai ricercata dai cammelli, Salsola arbuscula e altre specie, salicornie, Poligonacee (Calligonum caput medusae, Atraphaxis), Chenopodiacee, Artemisia frigida e rupestris e molte altre alofite. L'Halimodendron argenteum cresce specialmente lungo le sponde dei fiumi dell'altipiano di Kobdo; l'Agryophyllum gobicum, grande Salsolacea spinosa a semi eduli, non supera i 48° lat. N. Il Tamarix Pallasii forma cespugli di 5 m. d'altezza. Fin dal tempo di Marco Polo la Mongolia era considerata la patria del rabarbaro (Rheum). Nel deserto di Gobi mancano completamente alberi e arbusti: quindi in questa regione come negli altipiani del Tibet il combustibile dei nomadi è fornito dallo sterco animale. Le piante agrarie sono pochissime (frumento, mais, orzo, miglio e alcuni legumi) e le zone coltivate limitatissime.
Popolazione. - Sulla popolazione della Mongolia si hanno dati approssimativi e malsicuri. Secondo apprezzamenti recenti si avrebbero nella Mongolia Esterna 700.000 ab., di cui 90.000 Russi e 7.000 Cinesi; approssimativamente, dunque, 600.000 Mongoli, fra i quali non sono compresi né i monaci, né i servi. Secondo il China Year Book (1924), il numero dei servi sarebbe di 600.000; quello dei monaci, in base al censimento del 1918, sarebbe di circa 480.000. In totale, dunque, 1.780.000 anime. La popolazione della Mongolia Interna, secondo il censimento del 1926, sarebbe di circa 10 milioni di abitanti, in stragrande maggioranza Cinesi, così ripartiti: Jehol, 4.517.661 ab.; Chahar, 2.166.196 ab.; Sui-yüan, 2.423.344; Ninghsia, 812.066. Si noti che, dal 1932, il Jehol è stato incorporato nel nuovo stato mancese. È difficile dire quanti siano i Mongoli fuori della Mongolia Esterna. Il Grenard (Géographie Universelle, VIII, p. 277) calcola ve ne siano 150.000 nella Zungaria, 20.000 nell'Alashan, 70.000 nelle regioni del Kuku-nōr e dello Tsadam; a questi sono da aggiungere 190.000 Calmucchi dei dintorni di Astrachan e 20.000 della prov. di Tomsk, più 290.000 Buriati della regione del Bajkal; in totale 2.520.000 Mongoli, circa, comprendendovi quelli della Mongolia Esterna.
La Mongolia Interna offre il fenomeno di una notevole immigrazione cinese iniziatasi da oltre un secolo e accentuatasi fortemente in questi ultimi anni, specie dopo la costruzione della linea Peiping-Sui-yüan-Paotow nel 1923. Il movimento interessa una zona, dove più dove meno larga, ma sempre cospicua lungo tutta la Grande Muraglia, zona dal suolo vergine costituito da alluvium misto a löss e che, se concimato, può dare discreto raccolto (orzo, frumento, miglio, piselli, patate, colza e lino).
Il lavoro di questi pionieri è assai duro, poiché si effettua in una regione generalmente poco adatta all'agricoltura a causa del clima, spiccatamente continentale e semi-arido, con lunghi e rigidi inverni e cattiva distribuzione delle scarse , precipitazioni, onde non è prevedibile che il flusso cinese dal sud possa durare a lungo.
In effetti la Mongolia non è terra per l'agricoltore. Abitata da popolazioni seminomadi, dedite alla pastorizia e all'allevamento, essa non ha centri urbani cospicui. Il maggiore è Urga (circa 100.000 ab.), dal 1924 capitale della Mongolia Esterna col nuovo nome di Ulān-Bātor Khoto (città degli eroi rossi); centri minori sono: Kiakhta, emporio del commercio russo-mongolo, Uliassutai e Kobdo. Tutti questi accentramenti umani non hanno che il nome di città; si tratta piuttosto di vasti ammassi di recinti in legno o muratura, racchiudenti tende o miseri abituri, dove la sporcizia regna sovrana.
Condizioni economiche. - A parte le saline, il cui prodotto viene consumato in buona parte in Cina, le ricchezze minerali della Mongolia sono reputate importanti, ma pochissimo note e meno ancora sfruttate. Dopo la rivoluzione mongola, le poche imprese straniere che avevano ottenuto licenza di sfruttamento ne furono private, ma le iniziative statali intese a sostituire quelle straniere possono considerarsi fallite. Soprattutto l'oro pare abbondare e ha suscitato più d'una iniziativa. Quattordici miniere vengono sfruttate con mezzi inadeguati nei M. Kentai, con un rendimento giornaliero di 1000-1200 dollari. Importanti giacimenti sono stati segnalati anche nel Khangai, specialmente lungo il fiume Baidaryk. Poco carbone e piombo argentifero vengono estratti dagli Altai, al sud-est di Kobdo; altro carbone e della grafite sono stati osservati nell'Alashan e ad ovest del lago Khubso-gol, il ferro è stato segnalato al centro della Mongolia (Gobi) e sulla via carovaniera Urga-Khalgan.
Praticamente le industrie mancano, né il Mongolo sembra fatto per esse, avverso com'è al lavoro sedentario e costante. D'altra parte la politica attuale del governo nazionale, di intransigente opposizione all'immigrazione di mano d'opera russa e cinese, toglie, almeno provvisoriamente, ogni speranza in una nascita di attività industriali e manuali.
Le uniche risorse del paese, per ora, sono nell'allevamento, attività tradizionale, e, in minor misura, nello sfruttamento delle foreste. Il patrimonio zootecnico, ingentissimo, è tuttavia lungi dall'essere quello che potrebbe, falcidiato com'è dalle continue epidemie ed ostacolato nello sviluppo dall'assenza di cure, di foraggi, di ricoveri. A questi malanni vanno aggiunti i lupi, veri flagelli delle greggi, alla cui distruzione si oppongono gli ecclesiastici. Il governo si sforza, attualmente, di aumentare la produzione di fieno per il foraggio invernale. Secondo il recente apprezzamento di un osservatore russo, nel 1924 la Mongolia Esterna possedeva 17.003.678 capi di bestiame, così ripartiti: cavalli 11%, cammelli 2,3%, bovini 11,3%, ovini 75,4%.
Storia. - La Mongolia, in condizioni climatiche e di suolo abbastanza differenti dalle attuali, è stata certo abitata dall'uomo, almeno parzialmente, in epoca assai antica, ma le tracce paleolitiche non sono state sinora rinvenute. Le ricerche della missione Roy Chapman Andrews sono state soprattutto d'ordine paleontologico. Il giapponese Torii Ryūzō ha raccolto nella Mongolia occidentale una documentazione neolitica abbastanza ricca, ma insufficiente per l'elaborazione di qualsiasi teoria. La Mongolia dell'epoca paleoasiatica ci resta ancora quasi del tutto ignota. Nei secoli immediatamente precedenti l'era volgare, sembra bene che le popolazioni "altaiche" si siano succedute, all'ingrosso, dall'ovest all'est nello stesso ordine geografico odierno, cioè Turchi, Mongoli e Tungusi, ma i Mongoli non dovevano allora occupare che la Mongolia orientale o nordorientale, sconfinando sulla Manciuria.
Sono probabilmente Turchi quei nomadi che, verso il 900 o 800 a. C., già molestano la Cina settentrionale e sono allora designati col nome di Hien-yün e di Hun-yü, antiche trascrizioni del nome che a partire dal II sec. a. C. si scriverà Hiung-nu, e che è identico a quello di Unni. Assai prima dell'epoca in cui questi nomadi compaiono nei testi, l'addomesticamento del cavallo, introdotto dalla Siberia di SO. attraverso la Mongolia, aveva raggiunto la Cina, e il nome cinese del cavallo, ma, è verosimilmente affine al nome morin, con cui questo animale è chiamato in mongolo: si tratta di un prestito, benché assai antico. I Cinesi peraltro, fedeli all'uso primitivo, aggiogavano il cavallo, e non lo montavano. I nomadi per contro avevano sviluppato una cavalleria; sotto influssi più recenti, e che sembrano per la maggior parte iranici, essi avevano adottato un equipaggiamento e un armamento leggieri, che permettevano loro fruttuose razzie presso i Cinesi sedentarî. Tratti parziali di mura, inizî della futura Grande Muraglia della fine del sec. III a. C., opponevano loro solo una insufficiente barriera. Un poco prima del 300 a. C., il principe più esposto alle incursioni dei nomadi, re Ling di Chao, risolse di contrapporre milizie montate a milizie montate, e abbandonando la veste cascante, le scarpe, la spada corta degli antichi Cinesi, le sostituì con i pantaloni, la cintura di cuoio, gli stivali e la spada lunga dei suoi avversarî: questo è il costume e l'armamento, che, più o meno trasformati, sono a poco a poco divenuti, nel corso dei secoli, il costume e l'armamento ordinario dei Cinesi.
Nulla sappiamo sull'organizzazione politica dei nomadi di Mongolia nel tempo in cui la Cina li chiamava Hien-yün o Hun-yü. Ma nel 201 a. C. un capo energico li organizza in una confederazione, quella dei Hiung-nu, il cui potere si estende dai confini della Manciuria sino ai T'ien-shan nel Turkestān cinese. Durante due secoli e mezzo, la lotta contro i Hiung-nu è uno dei grandi compiti degl'imperatori cinesi; d'altra parte, i Hiung-nu con le loro campagne provocano delle migrazioni, come quella che alla metà del sec. II a. C. condusse i Ta-Yüeh-chih dal SO. di Kansu sin nella regione dell'Oxo. Nel 44 d. C., l'impero Hiung-nu si divide in Hiung-nu del Nord e Hiung-nu del Sud; la storia cinese conosce Hiung-nu del Nord sino al 132, quelli del Sud, teoricamente, sino al 303, ma sin dal 195 il sovrano dei Hiung-nu del Sud si era stabilito a P'ing-yang nello Shan-si. Altri rami della sua famiglia fondarono ben presto delle dinastie locali nella Cina settentrionale. Era l'inizio di quelle dinastie di origine nomade che dovevano a più riprese regnare sulla totalità o su parte del suolo cinese; è oggi quasi certo che anche una dinastia in apparenza così nazionale come quella dei T'ang aveva le origini in Mongolia, e conservava ancora, nei suoi primi regni, degli usi che non sono mai stati cinesi. La storia dei Hiung-nu del Nord, dal 132 sino al momento in cui, usciti dall'orbita cinese, riappaiono nel nord del Turkestān russo e si mettono infine in moto verso l'Europa, ci è ignota.
È verosimile che i Hiung-nu siano stati turchi, per quanto le parole della loro lingua trascritte nei testi cinesi restino quasi tutte inspiegate: gli stessi titoli del sovrano (shan-yü) e della regina (yen-chih) non si prestano sinora ad alcuna restituzione. D'altra parte, non abbiamo monumenti attribuibili espressamente ai Hiung-nu. Il caso peraltro ha fatto scoprire nel 1915 una serie di tombe, scavate dal Kozlov nel 1924-25 e in cui il Comitato scientifico mongolo ha in seguito proseguito alcune ricerche. Esse si trovano a Noin-ūla a N. di Ulān-Bātor (= Urga). In questi tumuli si è raccolto un grande numero di prodotti dell'arte dei nomadi come feltri con ornamenti cuciti o placche di bronzo, ma anche seterie, lacche e giade cinesi, ornati di ispirazione iranica, e infine tessuti in cui l'influsso greco è così manifesto che essi debbono essere stati importati dalle rive del Mar Nero. Ora due iscrizioni cinesi permettono di riportare le tombe ai primissimi anni dell'era volgare; per la data e la situazione, è assai verosimile che si tratti quindi delle tombe di capi Hiung-nu. D'altra parte, vi sono grandi analogie di soggetti e di stile tra gli oggetti trovati a Noin-ūla e gli splendidi monili d'oro di provenienza "siberiana" entrati verso il 1700 nel tesoro di Pietro il Grande e oggi conservato all'Ermitage. I Hiung-nu non hanno certo creato l'arte animalistica delle steppe, ma l'hanno adottata, ed è alle loro incursioni e ai loro stanziamenti nel nord della Cina che vanno attribuite le migliaia di fibbie da cintura, di applicazioni, di bardature dipendenti da quest'arte, talora imbastardita, talora anche localmente adattata e trasformata, raccolte da venti anni nella Cina settentrionale, specialmente nella regione della grande ansa del Fiume Giallo.
Non meno sorprendente è il ritrovamento fatto nel 1929 a Pazyryk nell'Altai orientale, da Rudenko e Borovka, di dieci cavalli conservati nel ghiaccio con la bardatura di gala che portavano al momento del sacrificio. Qui abbiamo i prototipi in cuoio e legno dell'arte animalistica in bronzo, prototipi la cui esistenza era da un pezzo supposta, ma che la natura deperibile del materiale non ci aveva sinora conservati. Gli oggetti di Pazyryk sono verosimilmente anteriori di uno o due secoli a quelli di Noin-ūla, ma non sappiamo a che popolo riferirli. I testi cinesi non ci fanno conoscere, per un'alta antichità, cosa vi fosse nell'alta Asia all'ovest dei Hiung-nu; al più possiamo dire che c'erano lì dei Ting-ling, i quali forse furono turchi, poi, a partire dal 200 circa, troviamo il nome dei Kien-kun, cioè dei Kirghisi.
Comunque, l'essenziale per noi è che i rinvenimenti di Noinūla ci dànno le prove dell'esistenza, agl'inizî della nostra era, d'un movimento di scambî che andava dalle rive del Mar Nero sino alla Cina del nord, mentre noi saremmo stati anche troppo inclini a non considerare che la sola "via della seta" che, dal Kan-su, attraverso il Turkestān cinese, la Battriana e la Persia, andava a sboccare a Tiro e Sidone. Del pari, è questa via settentrionale delle steppe che spiega la scoperta nelle tombe di Crimea, del principio della nostra era, di else in giada di stile cinese.
Dopo lo smembramento della confederazione Hiung-nu, il primo impero nomade della Mongolia fu quello degli Juan-juan o Avari (407-553), questi probabilmente mongoli (cfr. mongoli). Il loro nome, sotto la forma Apar, si trova nelle iscrizioni turche del sec. VIII, ma non si applica già più agli Avari di Mongolia, ormai caduti; questi Apar sono un popolo che ha migrato verso l'Occidente, ed è nominato accanto all'Oriente bizantino. Mentre gli Juan-juan regnavano in Mongolia, i T'o-pa turchi, o a rigore mongoli (in ogni caso non tungusi), avevano fondato nella Cina del nord la dinastia dei Wei (385-556), che si cinesizzò abbastanza rapidamente, e alla quale l'arte buddhistica cinese deve i suoi più bei monumenti. Altri nomadi verisimilmente mongoli, i T'u-yü-hun, avevano creato all'inizio del sec. IV, nel SO. del Kan-su e nella regione del Kökö-nōr, un regno che durò sino al 663.
Gli Juan-juan furono distrutti nel 556 dai T'u-küe (Türküt, plurale mongolo di Türk), con i quali il nome di "Turchi" fa la sua comparsa nella storia. Dapprima schiavi fabbri degli Juan-juan, i T'u-küe, dopo la loro rivolta, assimilarono la cultura e l'organizzazione amministrativa dei loro antichi padroni, e, a un tempo, duri guerrieri, traboccarono dalla Mongolia: in capo a dieci anni, avevano esteso il loro potere non solo su tutta la Mongolia, ma anche su parte del Turkestān cinese, sull'Ili, sul Turkestān russo, sul nord dell'Afghānistān, e scambiavano ambascerie con l'imperatore di Bisanzio, col sovrano sassanide di Persia, con l'imperatore della Cina.
I T'u-küe avevano la loro capitale a Qosho-Tsaidam, nella regione dell'Orkhon, là dove si sono ritrovate grandi iscrizioni funerarie. Il loro sovrano portava il titolo di qaghan, ereditato dagli Avari; veniva poi il titolo di jabghu (o yabgu), che, per vie ignote, risale a quello che portavano, attorno all'era nostra, i capi indigeni dei Ta-hia in Battriana. Nella seconda metà del sec. VI, i T'u-küe ebbero una parte d'una certa importanza nella Cina del nord, col dare il loro appoggio ora all'una ora all'altra delle dinastie rivali. Ma l'unità cinese, completamente ricostruita a partire dal 589 con i Sui, poi con i T'ang (618-905), non permise più ai T'u-küe di continuare quel doppio giuoco. Essi stessi del resto si erano divisi presto in varî rami, e ogni principe tentava d'ingrandire il proprio territorio con le armi a spese dei suoi fratelli o dei suoi cugini. Quasi sin dalla fondazione dell'impero T'u-küe un fratello minore del qaghan, Ishtämi (lo Shih-tien-mi dei Cinesi), aveva comandato alle "dieci tribù" occidentali. Nel 581, la rottura era compiuta tra i T'u-küe orientali (o settentrionali) del qaghan di Qosho-Tsaidam e i T'u-küe occidentali del yabghu (e poi qaghan) dominante sul SO. della Mongolia, l'ovest del Turkestān cinese e il nord dell'Afghānistān. Nel 744, l'impero T'u-küe era rovesciato da altri Turchi, e sulle sue rovine si innalzava, sin dal 745, quello dei "Nove Oghuz" (Toghuz-Oghuz), più noti sotto il nome di Uiguri.
I T'u-küe propriamente detti non erano dunque durati che due secoli; ma ad essi è dovuto lo spostamento che fece avanzare delle orde turche sin nella Russia meridionale, e più tardi nell'Ungheria stessa. D'altro lato, all'occupazione del Turkestān russo e di una parte dell'Afghānistān per parte dei T'u-küe occidentali vanno fatte risalire, come ripercussioni lontane, la fondazione, nel sec. X, dell'impero turco di Mahmūd il ghaznevide nell'Afghānistān, quella dell'impero dei Turchi selgiuchidi in Persia e poi in Asia Minore, e infine l'avanzata dei Turchi che s'impadronirono di Costantinopoli nel 1453.
Dobbiamo ai T'u-küe i più antichi documenti noti della lingua turca, rappresentati dalle iscrizioni turche dette impropriamente "runiche", e redatte in un alfabeto proveniente, a una data e in condizioni ancora ignote, dall'alfabeto sogdiano antico. Decifrate dal danese V. Thomsen, queste iscrizioni funerarie raccontano, in uno stile a tratti epico, la carriera di principi valorosi, e cantano la gloria del popolo turco. La principale di queste iscrizioni è quella di Kül-teghin, morto nel 731, e il cui monumento fu terminato nel 733. Sei pittori cinesi erano stati appositamente inviati dalla Cina per decorare il mausoleo. Vi erano inoltre delle statue di pietra.
La storia di queste statue è un aspetto d'un problema archeologico assai più vasto, quello delle statue che i Russi chiamano "vecchie di pietra" (kamennyje baby), benché spesso si tratti di statue virili. Si trovano a migliaia dalle piane della Russia meridionale sino alle frontiere della Cina; nel Turkestān cinese, ve ne sono un po' a sud di Urumči. In molti casi, l'uomo o la donna tengono una tazza contro il ventre; particolare che, nel sec. XIII, aveva colpito Guglielmo di Rubruck. Benché alcune di queste statue siano di molti secoli anteriori ai T'u-küe, e altre per contro siano a loro posteriori, i testi e i fatti accertano che anche essi ne hanno innalzate. Ma essi drizzavano anche file di grandi pietre, corrispondenti, secondo le fonti cinesi, al numero dei nemici che il defunto aveva uccisi. È, a quanto sembra, per una combinazione delle statue e dei filari di pietre che troviamo, nelle tombe dei primi imperatori T'ang, T'ai-tsung e Kao-tsung, delle file di statue di nemici vinti o di vassalli.
Dei turchi Basmil, nel 744, perseguirono a morte l'ultimo qaghan dei T'u-küe, ma furono gli Uiguri ad assumere il potere, sin dal 745, nella regione dell'Orkhon; la loro capitale fu dove è l'attuale Qara-balghasun; alla pari dei T'u-küe, essi intervennero nel Turkestān cinese e in Cina. Malgrado un certo influsso buddhistico, i T'u-küe erano all'ingrosso rimasti sciamanisti, e lo stesso fu da principio per gli Uiguri. Ma nel 762 il qaghan uiguro, che era stato indotto a intervenire in Cina, conobbe a Lo-yang, la capitale orientale, un alto dignitario manicheo la cui dottrina lo attirò: il qaghan condusse il religioso nel suo paese e poco dopo proclamò il manicheismo religione di stato degli Uiguri. Gli Uiguri caddero nell'840-41. Non dobbiamo qui seguire, non trattandosi più della Mongolia, la ricostituzione della potenza uigurica nel Turkestān cinese nella regione di Tūrfān, né la fortuna che il cristianesimo nestoriano conobbe, accanto al manicheismo, nel secondo regno uigurico. Del pari la scrittura detta "uigurica", derivata dal neosogdiano, e la letteratura uigurica non trovano menzione in funzione di una storia della Mongolia, ché al tempo dell'impero uigurico di Mongolia, noi non troviamo se non monumenti in scrittura "runica", e nello stesso dialetto dei T'u-küe propriamente detti.
La storia della Mongolia nei secoli seguenti alla caduta dell'impero uigurico di Qara-balghasun ci è press'a poco sconosciuta, salvo che sui confini orientali dove si crea l'impero dei Qïtay o Liao (v. mongoli). Rari testi menzionano, nella prima metà del sec. XII, delle tribù come gli Ongghirat (o Qongghirat), Giagirat, Märkit, ecc., che avranno grande parte più tardi nella storia di Genghiz-Khān, ma ancora non sono che nomi. Comunque, mentre il manicheismo non si manteneva che presso gli Uiguri di Turfan (e in certe regioni della Cina), il cristianesimo nestoriano aveva fatto progressi in Mongolia, presso i Kerait nella regione dell'Orkhon, presso gli Önggüt o "Tatari bianchi" nelle vicinanze della Grande Muraglia, e, in minor misura, presso i Naiman e i Märkit. Una famosa lettera del 1009, dell'arcivescovo di Merw, ricorda la conversione dei "Turchi Kerait" al nestorianesimo. Non è certo che il nome dei Kerait non sia stato aggiunto al testo da Barhebreo, influenzato dallo stato di cose che egli conosceva al suo tempo, cioè alla fine del sec. XIII; ma resta il fatto che dei nomadi di Mongolia si son dovuti far cristiani al principio del sec. XI. Nel sec. XII, il nonno e il padre di Ong-Khān, il sovrano dei Kerait, si erano chiamati Markuz (Marco) e Qurgiaquz (Ciriaco); peraltro non conosciamo nessun cimitero nestoriano in Mongolia analogo a quelli dell'Ili, dove quasi tutti i nomi sono siriaci e turchi.
I Qïtay, Mongoli assai orientali, furono sostituiti nella Cina del nord nel 1125 dai Jučen (propriamente Giurčit) o Kin, che erano Tungusi, più o meno diretti avi dei Manciù. Apparvero poi i "Mongoli" propriamente detti in senso stretto, prima con un primo regno "mongolo" del secondo quarto del sec. XII, poi con l'impero di Genghiz-Khān (v. mongoli). E le invasioni mongole nell'Europa orientale, che furono sul punto di mandare in rovina la cristianità, portarono gli Occidentali a entrare in contatto con i Mongoli, e a recarsi essi stessi in Mongolia (v. sopra: Missioni ed esplorazione).
Le vicende ulteriori della Mongolia sono esposte nel quadro generale della voce mongoli, dove si può seguire lo stabilirsi della egemonia mongola sulla Cina, e la secolare reazione di questa, che, attraverso le lunghe lotte dei secoli XVII e XVIII, condusse all'affermazione della sovranità cinese (cioè mancese) su tutta la Mongolia. Questa sovranità, or più or meno effettiva, doveva durare sino agli inizî del sec. XX, quando, con la rivoluzione cinese, anche la Mongolia entra nell'ultima fase della sua storia, caratterizzata dalla netta scissione politica tra la Mongolia Esterna e quella Interna.
La Mongolia Interna, sempre più cinesizzata, e in parte musulmana, è rimasta in linea di principio nell'orbita della Cina. Dal 1914, essa ha costituito i tre "distretti speciali" del Jehol (capoluogo Jehol), Chahar (capoluogo Kalgan) e Sui-yüan (capoluogo Kui-hua-t'ing), divenuti nel 1928 provincie propriamente dette. La provincia del Jehol è stata però conquistata dai Giapponesi agli inizî del 1933, e da loro annessa all'impero di Manciuria.
Tutt'altra è la situazione della Mongolia Esterna. Approfittando della rivoluzione scoppiata in Cina, i principi mongoli cacciarono le autorità cinesi da Urga (i dicembre 1911) e proclamarono l'indipendenza della Mongolia sotto l'autorità del Khutuqtu (Buddha vivente). Il 3 novembre 1912 la Mongolia esterna firmava a Urga un trattato con i Russi che metteva sotto la protezione russa l'"autonomia" mongola. La Cina protestò invano. Nel 1919, Hsü Shucheng obbligò per qualche tempo i Mongoli a riconoscere l'autorità cinese. Venne poi l'avventura del barone Ungern-Sternberg, che, con dei cosacchi del Transbajkal, stabilì un governo russo "bianco" a Urga (1921), ma fu presto ucciso dalle truppe bolsceviche. Il trattato russo-mongolo del 5 novembre 1921 consacra l'influenza russa. L'ultimo "Buddha vivente" muore nel 1924, e si proclama la repubblica sovietica mongola. La costituzione è votata dalla prima grande dieta (Khuruldan o Khurultai) nel novembre 1924. La capitale dello stato è a Urga, ribattezzata Ulān-Bātor.
La repubblica sovietica mongola.
Ordinamento costituzionale. - Il paese è stato organizzato su modello sovietico. Il supremo potere è in un parlamento (Grande Khuruldan) eletto per suffragio universale da cittadini di ambo i sessi e di età superiore ai 18 anni. Quest'assemblea deve riunirsi almeno una volta l'anno e ha, sola, il potere di apportare varianti alla costituzione. Dal suo seno vengono eletti 30 membri che formano il "Comitato esecutivo" (Piccolo Khuruldan), il quale è responsabile, di fronte al parlamento, del proprio operato. Dal Comitato esecutivo vengono scelti 5 membri che dirigono un dicastero nel quale è accentrata tutta l'amministrazione centrale. L'antica suddivisione del paese in 5 aimaq è stata modificata con decreto del 6 gennaio 1931, secondo il quale tutto il paese è stato diviso in 13 unità economico-amministrative dette pure aimaq e comprendenti 324 somon. Ciascun somon comprende più horin. L'aimaq di Kobdo comprende, inoltre, in via eccezionale, 3 khoshūn nazionali, divisi in 10 somon, abitati da popolazione prevalentemente calmucca. Ogni aimaq, come le nostre provincie, ha un capoluogo nel quale è accentrata la sua vita politica ed economica.
Ecco il nome degli aimaq (capoluogo fra parentesi): 1. Durbet (Ulankom); 2. Kobdo (Dzhargalantu); 3. Koso-gol (Khatkhil); 4. Dzapkhan (Dzhibkhalantu); 5. Altai (Khan-Taishiri); 6. AraKhangai (Tsetseriik); 7. Ubur-Khangai (Tui); 8. Aimaq agricolo (Altan-Bulaq); 9. Aimaq centrale (Ulān-Bātor Khoto); 10. Gobi meridionale (Delgir-Khangai); 11. Gobi orientale (Sair-Usu); 12. Kentei (Undurkhan); 13. Aimaq orientale (Bain-Tumen).
Commercio. - Il commercio è insignificante e lo è divenuto ancor più dopo le misure repressive adottate dal governo mongolo verso i Cinesi, che prima ne avevano il monopolio. Gli scambî avvengono con la Russia e con la Cina; negli ultimi anni più con la prima che con l'altra:
il che si spiega con la recente istituzione, da parte del governo, della Società mongola centrale cooperativa (Moncencop) che praticamente controlla e dirige tutto il commercio del paese, è sostenuta da capitali sovietici e ha personale russo e buriato. La Russia acquista in Mongolia principalmente bestiame, pelli, lane, crini e vi importa cotonami, zucchero, farina, oggetti e utensili varî. La Cina importa bestiame (montoni, cavalli e cammelli), legnami, corna di cervo, pelli, pellicce e sale; vi esporta notevole quantità di tè compresso in tavolette, tabacco, seterie, oggetti religiosi. Riassumendo: le esportazioni comprendono essenzialmente animali e prodotti animali; le importazioni prodotti agricoli e lavorati. Nel 1930 furono esportate dal paese 8770 tonn. di lana, 1.200.000 maiali, 2.000.000 di ovini. Il centro del commercio con la Russia è Kiakhta, quello con la Cina si esplica principalmente attraverso Dolon-nōr e Kökö Khoto.
Comunicazioni. - Fino a che la progettata ferrovia Urga-Chita non sarà costruita, la Mongolia Esterna non conoscerà altri mezzi di comunicazione che quelli tradizionali (cavalli e cammelli) e l'automobile, introdotta di recente. Per i trasporti vengono usati carri a due ruote trainati da cavalli, buoi, yak o cammelli; l'uso di camion è reso possibile dalla natura pianeggiante del paese, ma grandemente ostacolato dalla mancanza di petrolio.
Il traffico si svolge su strade, quasi tutte carovaniere. La principale, quella ufficiale, parte da Khalgan e per Khara-muren va fino a Urga e Kiakhta (1685 km.); una diramazione che si stacca a Sair-Usu giunge fino a Uliassutai e a Kobdo, raggiunge la frontiera russa (2850 km.) e prosegue oltre attraverso la valle del Bukhtarma. Una via postale (850 km.) collega Urga a Uliassutai, per Zagatuseu e Baisakhlin. Altre strade carovaniere traversano il paese, quasi tutte da nord-ovest a sud-est e su tutte si svolge un traffico più o meno attivo. Dal 1917, durante l'estate, un servizio regolare di autotrasporti unisce Khalgan a Urga (1900 km.) con un viaggio di circa 3 giorni.
Anche le vie fluviali hanno cominciato ad essere sfruttate; sul Selenga e sull'Orkhon, infatti, sono già stati istituiti servizî di vapori.
I servizî postali si fanno con corriere a cavalli mediante il sistema degli urton, luoghi di cambio o stazioni posti sulle più importanti vie di traffico alla distanza di 30-40 km. l'uno dall'altro, dove si fa il cambio dei cavalli e della corrispondenza. Con i cavalli degli urton si possono fare dai 100 ai 200 km. al giorno, a seconda delle circostanze. Recente è il telegrafo, che per ora unisce Urga ad Altin Balkh, Khalgan, Kobdo e Kiakhta. A Urga è in attività anche l'unica stazione radio del paese, il cui funzionamento è in mano dei Russi. Un'aviolinea, infine, collega Urga a Verkhne Udinsk (450 km.).
Finanze. - Si posseggono alcune cifre ufficiali che possono dare un'idea dell'andamento del bilancio pubblico nel nuovo stato mongolo; da queste cifre risulta un miglioramento dal 1923 in poi:
Il principale cespite è costituito dai diritti doganali. Esiste anche un monopolio per lo spirito e le bevande fermentate (vodka e kumiss, principalmente) preparate in stabilimenti di stato. La Banca mongola, organismo statale fondato nel 1924 con capitale (175.000 dollari messicani, portati poi a 3 milioni) fornito per metà dai Russi che ne hanno in mano la direzione, ha il monopolio dell'emissione e quello di tutte le rimesse, esterne ed interne.
Nel 1925 fu introdotto il sistema monetario attuale in uso nello stato mongolo. L'unità è il tugeriq, moneta d'argento contenente 20 grammi di metallo puro, il cui valore venne arbitrariamente parificato a quello del dollaro messicano, nonostante questo contenga 23 gr. di argento. Il tugeriq si compone di 100 mung di rame. Non esiste zecca: tugeriq, mung e banconote vengono fabbricati a Mosca.
Istruzione. - L'attenzione del governo mongolo si è volta in modo particolare all'istruzione, prima monopolio dei religiosi, i quali conoscevano la scrittura tibetana e solo alcuni quella mongola. Attualmente sono in funzione molte scuole, dove la lingua e la scrittura nazionale sono state messe in auge. Importante assai è la scuola veterinaria di Urga. Molti indigeni sono pure stati inviati e compiere studî all'estero (principalmente a Mosca, alcuni pochi a Berlino e a Parigi).
Bibl.: Obrutschew, Geognostische Skizze von Zentralasien, in Geogr. Zeitschr., 1895; J. G. Granö, Die nordwestliche Mongolei, in Zeitschr. Ges. Erdk., Berlino 1912; id., Altai, Berlino 1914; D. Carruthers, Unknown Mongolia, Londra 1913; Leuchs, Zentralasien, in Handb. Reg. Geologie, V, Berlino 1916; L. H. Dudley Buxton, Inner Mongolia, in Geogr. Journal, 1923; Teilhard De Chardin, Geology of East Mongolia, in Geol. Surv. China, 1924; C. P. Berkley e F. K. Morris, The Geology of Mongolia, New York 1927; A. Grabau, The Permian of Mongolia, New York 1931; Osborne, Ancient life of central Asia, Parigi 1930; E. Argaud, La tectonique de l'Asie, Liegi 1924; W. W. Rockhill, Diary of a Journey through Mongolia and Tibet, Washington 1894; R. Chapman Andrews, Across Mongolian Plains, New York 1921; Fritsche, Reise durch die östliche Mongolei, in Zeitschr. Gesell. Erdk., Berlino 1873-74; H. Consten, Weideplätze der Mongolen, Berlino 1920; I. J. Korostowetz, Von Ginggiskahn zur Soujet Republik, Berlino-Lipsia 1926; R. Verbrugge, Le pays au delà de Koeihoatch'eng, in Bull. Soc. Belge d'Études Coloniales, XXIX, pp. 99-168, 221-274; N. M. Prjevalsky, Mongolia, the Tangut Country and the solitudes of Northern Tibet (tradotto da E. D. Morgan), Londra 1876; J. Hedley, Tramps in dark Mongolia, Londra 1910; F. E. Younghusband, The Herat of a Continent, Londra 1896; Ney Elias, On a Journey through Western Mongolia, in Proc. R. Geogr. Soc., XVII (1872-73), pp. 184-192; R. Verbrugge, Les confins SinoMongols: Géographie et Ethnographie, in Bull. Soc. Belge d'Études Coloniales, XX (1913), pp. 1-511, 120-135, 176-216; P. Wilm, The agricultural Methods of Chinese Colonists in Mongolia, in Chinese Economic Journal, I (1927), pp. 1023-1043; id., Notes on Mongol Economy and Modern Dairy Forming in Chahar, in Chinese Econ. Monthly, III (1926), pagine 281-295; M. T. Volkonsky, Milk Products of Mongolia, in Cinese Econ. Monthly, III (1926), pp. 540-550.
Esplorazioni e missioni: H. Yule (riveduto da H. Cordier), Cathay and the way thither, Londra 1913-1916; A. C. Moule, Christians in China before the year 1550, Londra 1932; J. F. Baddeley, Russia, Mongolia, China, Londra 1919; P. Pelliot, Les Mongols et la Papauté, in Revue de l'Orient Chrétien, I-III (1923-1924, 1931); Van Den Wyngaert, Sinica Franciscana, I, Quaracchi 1929; Fr. Risch, Johann de Plano Carpini, Lipsia 1930; H. Herbst, Der Bericht der Franziskaners W. von Rubruck, ivi 1925; Fr. Risch, Wilhelm von Rubruck, ivi 1934; G. Soranzo, Il papato, l'Europa cristiana e i Tartari, Milano 1930.
Storia: J. J. M. De Groot, Die Hunnen der vorchristlichen Zeit, Berlino e Lipsia 1921; P. K. Kozlov, Comptes rendus pour l'expédition du Nord de la Mongolie, Leningrado 1925; S. Julien, Documents sur les Tou-Kioue, Parigi 1877; V. Thomsen, Inscriptions de l'Orkhon, Helsinki 1894 e 1896; W. Radloff, Atlas der Altertümer der Mongolei, Pietroburgo 1892-1896; id., Die alttürkischen Inschriften der Mongolei, Pietroburgo 1894, 1897, 1899; E. Chavannes, Documents sur les Tou-Kiue occidentaux, Pietroburgo 1903.