Vedi Mongolia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Cuore dell’impero di Gengis Khan nel Tredicesimo secolo, la Mongolia è stata una provincia cinese tra il Diciassettesimo secolo e il 1921, quando conquistò l’indipendenza. Il sostegno assicurato dall’Unione Sovietica ai nazionalisti mongoli nella lotta indipendentistica rese tuttavia la neonata Repubblica mongola uno stato satellite dell’Urss, guidato fino al 1990 dal Partito rivoluzionario del popolo mongolo, di matrice comunista. Il collasso dell’Unione Sovietica ha dunque profondamente influito sulla configurazione politica ed economica della Mongolia, che dal 1991 ha avviato una fase di transizione alla democrazia e all’economia di mercato, perseguendo nuove direttrici di politica estera.
Benché steppa e aree semidesertiche ricoprano la maggior parte del territorio – senza sbocchi sul mare e poco popolato – la Mongolia ha una notevole rilevanza geopolitica, principalmente a causa della ricchezza di risorse minerarie e della sua natura di zona cuscinetto tra le due potenze confinanti, Cina e Russia. I rapporti con questi due paesi sono stati per molto tempo una scelta quasi obbligata per Ulaanbaatar. Le relazioni con la Cina sono migliorate a partire dagli anni Ottanta e sono ora basate sul Trattato di amicizia e cooperazione del 1994, che sancisce il reciproco rispetto dell’indipendenza e dell’integrità territoriale. Parallelamente, il rapporto con Mosca è stato rifondato su nuove basi dopo il completamento del ritiro delle truppe russe dal territorio mongolo nel 1992, e poi con il Trattato di amicizia e cooperazione del 1993. Nel 2000, a seguito della visita in Mongolia dell’allora neo presidente russo Vladimir Putin, i due paesi hanno siglato la Dichiarazione di Ulaanbaatar che, riaffermando l’amicizia tra i due stati, rilanciava la cooperazione in numerosi ambiti politici ed economici. Con la visita condotta nel 2009 da Putin, in qualità di primo ministro della Federazione Russa, la cooperazione bilaterale è stata estesa anche al settore socio-economico. Una cooperazione che si è rafforzata in seguito a un’ulteriore visita di Putin, questa volta nuovamente nelle vesti di presidente della Federazione russa, nel settembre 2014.
Per il governo mongolo rimane oggi fondamentale mantenere buone relazioni con entrambi: se la Russia rappresenta il principale fornitore di energia, la Cina costituisce invece un valido mercato d’esportazione.
Pur mantenendo le relazioni con Mosca e Pechino, la Mongolia ha cominciato a perseguire una politica estera autonoma, aderendo al Movimento dei non allineati e perseguendo una maggiore partecipazione alle Nazioni Unite e ai forum di cooperazione multilaterale. Per questa via Ulaanbaatar ha instaurato relazioni con altri paesi asiatici, i cosiddetti ‘terzi vicini’, quali Giappone, India e Corea del Sud, ma anche con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
La transizione verso la democrazia è stata avviata nel 1990, anno della legalizzazione dei partiti di opposizione e delle prime elezioni libere. Il potere legislativo è affidato a un parlamento unicamerale (la Grande Khural), composto da 76 membri ed eletto ogni quattro anni a suffragio universale: se non si raggiunge il quorum del 50% di affluenza tra gli aventi diritto al voto, le elezioni non sono ritenute valide. Nel 1992 è stata adottata una nuova Costituzione improntata a principi democratici e, nel 1996, l’Unione democratica ha vinto per la prima volta le elezioni legislative, sebbene il Partito rivoluzionario del popolo mongolo, erede della tradizione comunista, abbia mantenuto un ruolo importante nella politica del paese, anche grazie alla scarsa preparazione e alle esigue risorse finanziarie dei partiti di opposizione.
L’ultima tornata elettorale, nel giugno 2012, ha segnato l’affermazione del Partito democratico, nato dalla fusione di cinque partiti politici d’opposizione. La situazione politica è però tutt’altro che stabile. Da un lato vi sono le tensioni con il Partito popolare mongolo – succeduto al Partito rivoluzionario nel 2010 – che, contestando il risultato elettorale, ha avviato una serie di boicottaggi delle attività parlamentari; dall’altro, c’è la crescente crisi della coalizione di governo, formata dal Partito democratico e dalla Coalizione per la giustizia. Quest’ultima, nata da una costola del vecchio Partito rivoluzionario del popolo mongolo e contraria a cambiare il nome del partito, ha ritirato il sostegno al governo nel dicembre 2012, in segno di protesta per la condanna per corruzione di Nambaryn Enkhbayar, suo storico leader e già presidente del paese tra il 2005 e il 2009. Successore di Enkhbayar è stato Tsakhiagiin Elbegdorj, del Partito democratico, confermato alla presidenza nel giugno 2013. Nell’agosto 2015 il Partito democratico ha estromesso dalla coalizione il Partito popolare mongolo, che si sta dunque riorganizzando in vista delle elezioni previste per il 2016.
La popolazione mongola ammonta a circa 2,8 milioni di persone. Circa altri 3,4 milioni di mongoli vivono in Cina, nella regione autonoma della Mongolia interna, e circa mezzo milione in Russia. La densità è molto bassa (1,9 ab./km2) e la popolazione è prevalentemente urbana (71,2%), mentre nelle campagne la popolazione è in parte seminomade. La tipica famiglia mongola vive nelle tradizionali tende nomadi chiamate ger. La maggior parte della popolazione è di etnia mongola (90%), in prevalenza del gruppo khalkha, ma vi sono minoranze kazake, russe e cinesi.
Fino al 1911 il buddismo tibetano era la religione predominante e i monaci rappresentavano uno dei gruppi più influenti della società mongola. Accanto al buddismo sopravviveva il vecchio sciamanesimo, religione originaria dei mongoli. Con il regime comunista la libertà di religione è stata limitata, ma dagli anni Novanta il numero di credenti – buddisti e, in misura minore, cristiani – ha ricominciato a crescere. La libertà religiosa è oggi sancita dalla Costituzione e la minoranza religiosa più rilevante è rappresentata dai kazaki di religione musulmana sunnita (5%), che vivono nella regione occidentale del paese. Nel dicembre 2015, il parlamento, con uno storico voto, ha abolito la pena di morte. Mentre in epoca comunista istruzione e sanità erano finanziate dallo stato, ora sono fornite anche da privati. Il livello di alfabetizzazione, già piuttosto elevato in epoca comunista, è oggi al 98,3% e in crescita costante. Buono anche il tasso di scolarizzazione nel 2013 (94,7%).
L’economia mongola ha risentito profondamente del collasso sovietico e della conseguente interruzione del flusso di aiuti da parte dell’Urss. Negli anni Novanta il paese si è dunque trovato ad affrontare una fase di recessione economica che ha causato l’aumento della povertà e della disoccupazione. Di conseguenza, il governo ha deciso di avviare una controversa transizione verso l’economia di mercato attraverso politiche di liberalizzazione e privatizzazioni. Agricoltura e allevamento sono i settori tradizionali dell’economia mongola e contano per circa il 16% del pil. L’agricoltura è tuttavia vulnerabile alle rigide condizioni climatiche e non basta a rendere il paese autosufficiente nella produzione alimentare.
Il vero motore dell’economia nazionale è costituito dall’industria mineraria, il cui sviluppo ha fatto della Mongolia uno dei paesi con il più alto tasso di crescita del pil nel corso degli ultimi anni. Sebbene permangano delle resistenze alla concessione dei diritti di sfruttamento delle risorse naturali a società straniere, il settore minerario ha attirato ingenti capitali esteri (circa 3 miliardi di dollari nel triennio 2008-10). Il governo ha poi firmato accordi con numerose imprese estere e cerca di mantenere una politica di diversificazione degli investimenti, coerente con la politica dei ‘terzi vicini’. Da segnalare, in particolare, la firma nel febbraio 2015 di un accordo di libero scambio con il Giappone e la decisione indiana di aprire una linea di credito da un miliardo di dollari nei confronti di Ulaanbaatar, dopo la visita nel paese del Primo ministro indiano Narendra Modi nel maggio 2015. Nello stesso mese, il governo della Mongolia e la società mineraria britannica-australiana Rio Tinto hanno risolto l’annosa disputa sui costi per l’espansione della miniera d’oro e rame Oyu Tolgoi, i cui lavori dovrebbero cominciare nel corso del 2016.
I principali prodotti esportati sono rame, oro e cashmere, beni che rendono l’economia molto vulnerabile alla volatilità dei prezzi dei prodotti di base. La Cina è il principale mercato per le esportazioni mongole, con una quota crescente sul loro totale, giunta a toccare il 93% nel 2015. Infine il settore terziario, in costante crescita, conta per metà del pil, e ha fatto registrare una crescita di dieci punti in un biennio. Recentemente il paese ha conosciuto anche un forte sviluppo del settore turistico, grazie alle sue bellezze naturali.
La Mongolia possiede notevoli giacimenti di carbone e di petrolio, che rappresentano le principali fonti energetiche nazionali – rispettivamente il 66% e il 29,5% dell’energia consumata. Nonostante il potenziale di sviluppo delle rinnovabili appaia elevato e nel 2006 la Banca mondiale abbia concesso circa sette miliardi di dollari per il loro sviluppo, la quota delle energie pulite sul consumo mongolo resta piuttosto bassa (3,7%). Il paese esporta carbone e petrolio ma, allo stesso tempo, acquista dalla Russia più dei tre quarti dei prodotti derivati dal greggio e parte dell’elettricità consumata. Rimane così parzialmente dipendente dalle importazioni. La Banca mondiale stima inoltre che circa il 25% della popolazione non abbia accesso all’energia elettrica e utilizzi il legname per soddisfare il proprio fabbisogno.
Sebbene in Mongolia non operino gruppi armati, il paese, anche in considerazione della porosità delle frontiere e delle dimensioni limitate del suo esercito, collabora con gli Stati Uniti in alcune iniziative per la lotta al terrorismo.
Nell’ambito della politica volta a promuovere il multilateralismo, il paese ha contribuito ad alcune missioni internazionali. La Mongolia ha inviato soldati a sostegno dell’operazione Enduring Freedom in Afghanistan, partecipando alla missione Isaf della Nato. Il governo mongolo ha inviato militari anche in Iraq e in Kosovo. Inoltre, a seguito di un’iniziativa tra Mongolia e Stati Uniti diretta a formare le forze militari mongole per le missioni di peacekeeping, il paese ha inviato truppe in Sierra Leone nel gennaio 2006. Sempre sullo scenario africano, la Mongolia è oggi impegnata nelle missioni Unmiss in Sud Sudan e Unamid in Sudan. A suggello della crescente collaborazione con gli Stati Uniti e l’Alleanza atlantica, nel marzo 2012 la Mongolia ha siglato con la Nato un Individual Partnership and Cooperation Programme (Ipcp). Un’intesa, questa, mirata ad approfondire gli scambi operativi tra le truppe e a sviluppare meccanismi di prevenzione e gestione delle crisi. La Mongolia persegue tuttavia la cooperazione militare anche con la Russia, con la quale a partire dal 2008 ha ripristinato la pratica delle esercitazioni congiunte, l’ultima delle quali si è tenuta nell’agosto 2015.
Nel 1992 la Mongolia ha dichiarato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che il suo territorio sarebbe stato denuclearizzato, adottando nel 2000 una legge che sancisce questo status. La decisione è stata sostenuta tanto dalle vicine potenze nucleari, quanto dal Movimento dei non allineati.
Nell’ambito della cosiddetta politica dei ‘terzi vicini’ (termine coniato nel 1990 dall’allora Segretario di stato statunitense James Baker), la Mongolia sta rafforzando i legami con altri paesi oltre a quelli confinanti. Ulaanbaatar ha sviluppato relazioni con il Giappone, suo principale donatore dagli anni Novanta, e con la Corea del Sud, oggi partner commerciale di rilievo. Il paese partecipa inoltre al forum regionale dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) dal 1998, è membro del Consiglio di cooperazione economica del Pacifico (Peec) dal 2000, osservatore dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), membro fondatore della Partnership Asia-Pacifico per la democrazia (Apdp), e ha richiesto di aderire alla Conferenza economica Asia-Pacifico (Apec). Poiché intrattiene relazioni sia con la Corea del Nord sia con la Corea del Sud, la Mongolia ha inoltre cercato di agire in coordinamento con i paesi impegnati nel negoziato con Pyeongyang sul programma nucleare (‘Six Party Talks’) e nel 2007 ha ospitato un incontro tra Corea del Nord e Giappone. Il paese ha poi migliorato i rapporti con Unione Europea e Stati Uniti, partner commerciali e anch’essi donatori. In particolare, gli Stati Uniti hanno avviato progetti di cooperazione anche in ambito militare e di sicurezza, come testimoniato dalla visita, nell’aprile 2014, dell’allora Segretario della difesa statunitense Chuck Hagel. Allo stesso tempo, la Mongolia ha cominciato a partecipare in modo più attivo ai lavori di alcune organizzazioni internazionali: nel 1997 è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e, dal 2005, contribuisce ad alcune missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite.