Vedi MONOCHROMATA dell'anno: 1963 - 1973
MONOCHROMATA (μονοχρώματα)
L'aggettivo μονοχρώματος è greco, ma soltanto in latino lo troviamo usato come termine che designa una particolare tecnica pittorica. Riconoscerne la posizione storica nello svolgimento della pittura antica, definire il significato esatto dello stesso termine m., individuarne testimonianze concrete nel campo delle fonti monumentali, hanno costituito e costituiscono altrettanti discussi problemi.
Plinio (Nat. hist., xxxiii, 117; xxxv, 15; xxxv, 29: incerto: da alcuni è corretto in neogrammata; xxxv, 64) quando parla di m. sembra intendere quella fase (che segue al procedimento iniziale di tracciare il solo disegno lineare del contorno), in cui la pittura consisteva nel riempire con il colore, cioè con una tinta uniforme, l'interno del disegno. Di questo tipo di pittura può dare un'idea gran parte della ceramica arcaica a figure nere e a figure rosse. Si è affermato che insignificanti dettagli policromi e oligocromi non impedivano di considerare tali opere come monocrome, così come si pensa che il principio non sia infirmato dalla differenziazione del colore delle carni nelle figure femminili e maschili.
La Lepik-Kopaczynska distingue però dei monocromi artistici eseguiti, probabilmente, su fondo bianco a tempera o incausto; di essi vede un riflesso in opere come la stele monumentale di Lysias. Plinio (Nat. hist., xxxv, 64) parla anche di m. di Zeusi; l'espressione: pinxit monochromata ex albo, è stata talvolta interpretata come equivalente a λευκογραϕεῖν, che sembra però avere soltanto il significato di fare un disegno preparatorio, e spiegato nel senso di eseguire pitture con colore bianco su un fondo scuro. Lo Pfuhl, seguito da molti altri, pensa però molto più giustamente a pitture su fondo bianco. I m. di Zeusi dovevano rientrare logicamente nelle regole tradizionali della tinta piatta, dove cioè il tracciato del disegno costituiva parte essenziale e restava visibile a quadro finito.
Un termine di confronto può essere offerto, secondo l'opinione di qualche studioso, da alcune opere monocrome, databili all'età di Zeusi. Fra queste si possono citare: la stele di Mnason di Tebe, che raffigura un guerriero attaccante, armato di scudo rotondo e di lancia, e diverse placchette frammentarie d'avorio (v.), da Kerč, al museo di Leningrado, sulle quali si distinguono alcune figure di divinità (Atena, Afrodite), e una quadriga in corsa. La tecnica è quella di un disegno graffito ricoperto di colore.
Un riflesso piuttosto vicino dei m. di Zeusi era stato visto nei cosiddetti m. su marmo del Museo Nazionale di Napoli, provenienti da Ercolano e da Pompei: le Giocatrici di astragali (v. alexandros), la Lotta contro il centauro (v. disegno), l'Apobates, ecc. Tali quadri, ben lontani dal poter essere originali della fine del V sec., come era stato in tempi passati sporadicamente sostenuto, non sono forse neppure copie (Pfuhl, Rumpf) da composizioni di età classica o da Zeusi, ma piuttosto rifacimenti eclettici di tipo classicistico, databili al I sec. a. C. E in realtà poi non si tratta neppure di m. in senso stretto, perché alla fondamentale tinta rossiccia si aggiungono anche altri colori. L'impressione d'insieme è quella di un disegno dai contorni ombreggiati a tratteggio. Lo Pfuhl ha però avanzato l'ipotesi che m. stia a significare proprio dei disegni a sinopia, nei quali il chiaroscuro sia ottenuto mediante il tratteggio; si pone a questo punto la questione delle possibili e parziali identificazioni del termine m. con quello di chiaroscuro; tutta la problematica a questo riguardo è esposta s. v. chiaroscuro.
Va considerato poi che la parola m. viene molto spesso usata per indicare un genere di pittura, del tutto differente da quello di cui si è finora parlato. Ci si basa a questo proposito fondamentalmente sul passo di Quintiliano (Inst. or., xi, 4, 46) in cui si dice che nella pittura singulis coloribus alcune parti erano rese eminentiora, altre reductiora. Quintiliano cioè sembra intendere un tipo di pittura a chiaroscuro monocromo, ossia a mezza tinta di un solo colore, al quale viene data evidenza con toni chiari e scuri del colore stesso. Non risulta però che a tale genere di pittura venisse esteso il termine di m., né la parola stessa è nominata in Quintiliano. Tuttavia sono generalmente chiamate m. le pitture di questo tipo, fra le quali si possono ricordare in primo luogo il famoso fregio giallo della Casa di Livia sul Palatino, che è databile, con ogni probabilità al 30-25 a. C. circa, ma che risale a modelli ellenistici. Si estende con continuità lungo tre pareti della sala, divisa in sezioni dalle colonne dipinte degli ortostati. Vi sono rappresentate scene idilliche e bucoliche, i paesaggi consistono per lo più in campagne aperte, interrotte da frequenti poggi e collinette e da numerosi corsi d'acqua. Fra gli alberi non fitti compaiono luoghi sacri al culto divino: templi, edicole, altari, statue, tripodi, vasi votivi. Le figure umane, eccetto una che ricorre costantemente sempre in cammino, da sinistra verso destra, non si muovono tutte nella stessa direzione; alcune guidano animali carichi, altre stanno ferme a celebrare riti di culto o a svolgere preghiere alle divinità, altre sono intente a pescare con le reti, altre ancora riposano o conversano, riparate dai raggi del sole da grandi velari distesi. Tutto è espresso con verità ed efficacia, senza precisare niente con netto rilievo plastico; sono trascurate le forme accessorie e i particolari della modellazione, i motivi sono solo schizzati e trattati in modo assai sommario. Questo stesso stile sembra fosse proprio anche di un fregio monocromo giallo su una cornice di decorazione parietale di uno dei cubicoli della casa di Obellio Firmo a Pompei.
Di poco più antichi sembrano essere i fregi monocromi di uno dei triclini della villa di P. Fannio Sinistore a Boscoreale; sono oggi soltanto frammenti dispersi fra vari musei e oltremodo mal ridotti. Si tratta di due fregi: uno inferiore di un colore violaceo scuro e paonazzo; vi appaiono tritoni e nereidi su mostri marini, con interposte figure di piccoli eroti. Sopra la cornice correva un altro fregio, in tono dal rosso carico al rosso chiaro, con la rappresentazione di un paesaggio continuo con architetture, alberi, e ponti su fiumi. C'è una somiglianza di base col monocromo giallo della Casa di Livia, ma lo stile è un po' diverso, le forme sono un po' plastiche. Come primo esempio in ordine cronologico di monocromo di questo tipo viene citato spesso quello di una casa di Delo (Mon. Piot, xiv, 1907, p. 49 e tav. vi c), con scene di amorini nell'esplicazione scherzosa di varie attività: ma non si tratta affatto di un monocromo; ora la pittura si presenta come un fondo rosso scuro, su cui spiccano in bianco le figure, ma queste erano rese originariamente in una colorazione ricca e varia, di cui restano ancora scarse ma evidenti tracce.
L'identificazione di questo stile di pittura impressionistica con la skiagraphìa e con la tanto discussa pittura compendiaria (v.) ha portato alla logica conseguenza di considerare l'espressione pittura compendiaria, equivalente a quella di impressionismo monocromo.
Bibl.: A. E. J. Holwerda, Korintische attische Vasen, in Jahrbuch, 1890, p. 255 ss.; E. Pfuhl, Mal. und Zeich., Monaco 1923, parr. 497-98, 747-749; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XVI, I, 1933, c. 130, s. v.; P. Zancani Montuoro, in Enc. Ital., XXIII, p. 681, s. v. Monocromi; G. E. Rizzo, Le pitture della Casa di Livia-Palatino, in Mon. Pitt. Ant., Sez. III, fasc. III, p. 43 ss.; A. Rumpf, Malerei und Zeichnung, in Handbuch der Archäologie, 1953, pp. 37; 121 ss.; 126; W. Lepik-Kopaczynska, Monochromata antykne, in Archaeologia, VI, 1954, pp. 115-140 (in polacco, con riassunto in francese alle pp. 317-18).
(S. De Marinis)