MONOLOGO (dal gr. μόνος "solo" e λόγος "discorso")
È una scena drammatica in cui un attore compare solo e parla da sé. Nel teatro antico fu raramente usato il monologo, se non si voglia considerare tale il prologo, che è una specie di monologo esplicativo, per lo più un riassunto del dramma, e che, comparso la prima volta in Euripide, fu usato dai commediografi latini, tornò in onore nel Rinascimento (ma l'Ariosto se ne valse per satireggiare o per manifestare i suoi propositi artistici), e riappare nel teatro moderno (prologo della Giovanna d'Arco dello Schiller, i due prologhi del Faust del Goethe, il prologo del Nerone di P. Cossa). Ma il prologo, in certo modo, è fuori del dramma. I monologhi, come parte integrante del dramma (se ne togli alcuni meritamente famosi, come quello di Amleto, di Fedra, di Giovanna d'Arco nelle tragedie omonime dello Shakespeare, del Racine, dello Schiller, quello di Sigismondo ne La vita è un sogno del Calderón, e qualcuno assai efficace dell'Alfieri, che sostituì i soliloquî ai loquaci confidenti della tragedia francese), riescono pesanti e noiosi, e il teatro moderno ne fa scarso uso. Per quanto il teatro faccia accettare molte convenzioni, spiace per la sua inverosimiglianza questa maniera di pensare ad alta voce. Ma il teatro moderno, con strana incongruenza, ha fatto del monologo un piccolo genere a sé: componimento drammatico, in cui una situazione o un carattere per lo più comico, qualche volta anche tragico, è ritratto con tentativi più o meno riusciti di approfondimento psicologico. Notissimi i monologhi composti e recitati in modo inimitabile da E. Novelli, e quelli, assai vivaci e briosi, scritti da Gandolin (L.A. Vassallo); meno noti quelli di L. Rasi.
Il monologo come genere a sé ha il suo precedente storico nel "monologo drammatico", scena a un personaggio (amoroso, ciarlatano, soldato fanfarone, commediante, contadino, ecc.), molto usata nel teatro francese dei secoli XV e XVI, da non confondersi col "sermone giocoso" (parodia di sermoni sacri, o sermoni sulle donne e l'amore, sui beoni, sugli sciocchi, ecc.), che è anch'esso proprio della letteratura francese di quei secoli, e di cui abbiamo un riflesso nell'Erbolato dell'Ariosto.
Bibl.: E. Picot, Le monologue dramatique dans l'ancien théâtre français, in Romania, XV, XVI e XVII, Parigi 1886-88.