monopolio
Forma di mercato caratterizzata dalla presenza di un solo venditore e di una molteplicità di compratori. Un’impresa monopolistica ha la capacità di influenzare il prezzo di mercato e viene pertanto definita price maker, diversamente da un’impresa operante in condizioni di concorrenza perfetta (➔) detta invece price taker. In alcuni settori tali strutture sono giustificate dall’esistenza di economie di scala (➔ scala, economie di), ovvero di costi medi di lungo periodo decrescenti, che rendono ottimale la presenza di una sola impresa. Quando la forma monopolistica deriva da caratteristiche delle funzioni di costo, si parla di monopolio naturale (➔). Economie di scala sono frequenti in settori dove la presenza di reti e di infrastrutture implica costi fissi di produzione molto elevati e costi marginali molto bassi (per es., ferrovie, autostrade e così via). In alcuni casi l’esistenza di un m. deriva dal controllo da parte di una sola impresa di input (➔) essenziali per la produzione (per es., il gruppo De Beers nel mercato dei diamanti). In altri casi il m. ha natura legale, ovvero è determinato da norme che hanno l’intento di limitare la concorrenza su alcuni mercati a tutela di particolari diritti quali la proprietà intellettuale (per es., brevetti, marchi ecc.), oppure per regolare la diffusione di alcuni beni e servizi (licenze governative).
Il monopolista fronteggia una curva di domanda negativamente inclinata e fissa il prezzo in corrispondenza del punto in cui il ricavo marginale RM eguaglia il costo marginale CM (punto A, grafico 1). Rispetto a un mercato perfettamente concorrenziale, un mercato monopolistico determina un’allocazione prezzo-quantità inefficiente e una perdita di surplus per i consumatori (differenza tra il prezzo che è disposto a pagare, detto anche prezzo di riserva, e il prezzo di mercato). La parte A del grafico 2 mostra la ripartizione del surplus tra produttori e consumatori in un mercato perfettamente concorrenziale, mentre la parte B mostra il caso di un mercato monopolistico. In questo ultimo caso, il monopolista si appropria di parte del surplus del consumatore e si assiste a una perdita di efficienza (deadweight loss) visibile nella minore quantità prodotta (qM<qC) e nel prezzo (PM>P) più elevato che si determinano rispetto a un mercato perfettamente concorrenziale.
Il potere di mercato rende ottimali strategie di discriminazione di prezzo (➔ prezzo, discriminazione di), ovvero applicare prezzi diversi a differenti consumatori o categorie di consumatori. Due condizioni sono necessarie affinché il monopolista possa trarre vantaggio da tale strategia: egli deve essere in grado di classificare i consumatori secondo una qualche caratteristica osservabile, e deve poter evitare che questi rivendano i beni acquistati. Esistono 3 strategie di discriminazione di prezzo in base alla classificazione fornita da A.C. Pigou (1920). La prima è detta perfetta o di primo grado, e si ha quando il monopolista applica un prezzo diverso a ogni unità venduta, in modo tale che il prezzo applicato sia esattamente uguale alla disponibilità a pagare, o prezzo di riserva, del consumatore per quell’unità. Questa è una strategia di fatto non attuabile, in quanto si basa sull’ipotesi inverosimile che il monopolista conosca il prezzo di riserva di ogni consumatore. La discriminazione di secondo grado consiste nell’applicare un prezzo diverso in relazione alla quantità acquistata di un bene e indipendentemente dalle caratteristiche dei consumatori. Un esempio è dato dagli sconti vincolati all’acquisto di determinate quantità (il ‘3×2’). La terza strategia è in atto quando il monopolista applica un prezzo diverso a diversi gruppi di consumatori, sebbene il consumatore appartenente alla stessa categoria paghi un ammontare costante per ogni unità di bene aquistato. Un esempio è dato dagli sconti per studenti, oppure da quelli attuati in determinati giorni della settimana.