monosillabi
I monosillabi, cioè le parole costituite da una sola sillaba, sono forme particolari dell’italiano; sono infatti poco numerosi e presentano diverse peculiarità dal punto di vista fonologico.
Se si escludono i ➔ prestiti e le ➔ sigle, come stop, bar, TAC, i nomi delle lettere dell’alfabeto e delle note musicali, il gruppo delle parole monosillabiche è rappresentato da pochissimi nomi (come re, gru), aggettivi (come blu) e avverbi (come già, là), da alcune forme verbali, spesso con valore ausiliare o modale (come va, dà, può, ho, è), da alcune preposizioni (come per, con) e da un piccolo gruppo di parole grammaticali, di cui fanno parte articoli, pronomi, congiunzioni, negazioni.
I monosillabi sono fonologicamente particolari da diversi punti di vista. In primo luogo violano il requisito che la forma fonologica minima di una parola consista almeno di due sillabe (cfr. McCarthy & Prince 1990; ➔ sillaba). Tale requisito, pur non essendo regola assoluta, coglie in effetti una proprietà tipica della parola fonologica dell’italiano (➔ parola italiana, struttura della). Inoltre godono di uno status particolare rispetto all’➔ accento. L’accento è una proprietà relazionale che può essere definita direttamente solo in termini contrastivi, cioè come il rilievo che una sillaba ha rispetto alle altre nella parola. È perciò evidente come, da questo punto di vista, le proprietà accentuali di una parola monosillabica non siano definibili.
La distinzione fra monosillabi tonici e atoni, peraltro tradizionalmente accettata, si basa quindi su caratteristiche indirette e non contrastive, come l’appartenenza a classi di parole lessicali (toniche: nomi, verbi, aggettivi, ecc.) o grammaticali (atone: preposizioni, congiunzioni, ecc.) o la capacità (tipica delle parole ossitone) di provocare il ➔ raddoppiamento sintattico. A quest’ultimo riguardo si noti però che il raddoppiamento provocato da monosillabi va spesso ricondotto a motivazioni lessicali o morfologiche: a chi considera accentato un monosillabo se esso provoca il raddoppiamento si oppone chi individua nell’accento la causa del raddoppiamento stesso. In ogni caso, una parola monosillabica è una struttura accentuale marcata, in quanto o è priva di accento, oppure diverge dallo schema metrico proprio della parola fonologica italiana, rappresentato dalle parole parossitone o proparossitone.
La classe dei monosillabi è particolare anche per quanto riguarda la struttura segmentale. Infatti, a non considerare le sigle e i prestiti, sono relativamente numerose le parole monosillabiche che finiscono per consonante, violando così una delle restrizioni fonotattiche dell’italiano alla base di molti fenomeni di ➔ adattamento fonologico.
Le particolari caratteristiche metriche e segmentali sono riconducibili alla distribuzione tipica dei monosillabi: quelli che possono trovarsi in posizione finale di frase sono pochi, mentre la maggior parte precede parole lessicali che costituiscono l’elemento fonologicamente prominente del sintagma o dell’enunciato. È questo, infatti, il contesto in cui si trovano generalmente i tipi di monosillabi più numerosi e frequenti, cioè gli articoli e gli altri determinativi (ad es. il libro, un gatto, tre bambini), gli ausiliari e i modali (ad es. è successo, ho detto, va fatto, può capire), le negazioni e altri modificatori preverbali (ad es. non capisco, né questo né quello, già visto), le preposizioni (ad es. per questo, a casa, di Gianni).
In questo contesto, in cui è immediatamente seguito dalla parola che riceve l’accento principale del sintagma o dell’intero enunciato, il monosillabo si trova in una posizione pretonica, e perciò fonologicamente debole, che determina la condizione talvolta definita di cliticizzazione fonologica. Un clitico fonologico è una parola atona che, pur non mostrando necessariamente le caratteristiche morfosintattiche dei ➔ clitici veri e propri, si ‘appoggia’ a una parola tonica formando con essa un unico gruppo accentuale. Queste forme mostrano spesso la tendenza a subire fenomeni di riduzione o indebolimento segmentale tipici delle sillabe atone; tale tendenza, poco evidente nell’➔ italiano standard, è ben visibile, ad es., in inglese (si pensi alla contrazione degli ausiliari, come nell’ingl. have → ’ve: ad es. I ’ve gone «sono andato») o in dialetti italiani (come nel caso della centralizzazione vocalica che interessa alcuni monosillabi nel napoletano, ad es. p[ə] bellezza «per bellezza», d[ə] fierro «di ferro», ch[ə] dicette «che disse»; cfr. Bafile 1997).
Anche i monosillabi lessicali, dotati di una maggiore libertà di posizione, possono subire la deaccentazione dovuta alla struttura ritmica dell’enunciato quando si trovano in posizione immediatamente pretonica, per evitare l’adiacenza di due accenti, come nel caso di re e blu in i tré Re Mági, il sofá blu scúro. Si noti che quando coinvolge parole polisillabiche, lo stesso fenomeno ritmico causa la ritrazione dell’accento (come in cittá vécchia → cítta vécchia), ma non la completa deaccentazione.
La distribuzione che caratterizza molti monosillabi spiega anche perché questi presentino, con una frequenza relativamente alta, una consonante finale. Per effetto di un processo di fonologia frasale, talvolta definito risillabificazione, la consonante finale di un monosillabo acquista il suo status di costituente sillabico in base al contesto in cui viene a trovarsi nel sintagma. Ad es., la consonante finale in per o un è un attacco sillabico se la parola seguente inizia con una vocale come in (1 a.), mentre è una coda prima di iniziale consonantica come in (1 b.) (nei seguenti esempi il punto ‹.› indica il confine di sillaba):
(1) a. u.n a.mo «un amo»; pe.r a.mo.re «per amore»
b. un. ca.ne «un cane»; per. ca.so «per caso»
Si noti che la risillabificazione è generalmente limitata alle parole caratterizzate dalla distribuzione sopra descritta (articoli, preposizioni, o titoli prenominali come don, suor, dottor; ➔ appellativi), mentre la consonante finale di parole con una distribuzione libera, come i nomi e i verbi entrati in italiano attraverso il prestito, subisce processi di ➔ adattamento diversi.
Bafile, Laura (1997), Parole grammaticali e struttura prosodica: dati dell’italiano e del napoletano, «Lingua e stile» 32, 3, pp. 433-469.
McCarthy, John & Prince, Alan (1990), Foot and word in prosodic morphology, «Natural language and linguistic theory» 8, pp. 209-283.