MONOTELITI
. Con questo nome si designano i seguaci di alcune formule religiose, elaborate durante il sec. VII negli ambienti ufficiali della chiesa bizantina allo scopo di superare, con una formula equivoca, il dissidio esistente fra i seguaci dell'ortodossia calcedonese (v. calcedonia) affermante duplicità di natura, divina e umana, in Cristo, e i monofisiti. Il tentativo, che aveva moventi chiaramente politici, era fatto soprattutto allo scopo di guadagnare alla chiesa ufficiale i seguaci del monofisismo severiano (v. monofisiti).
Il significato etimologico della parola (dal gr. ϑέλησις, ϑέλημα volere, volontà") denuncerebbe nei monoteliti la pretesa di affermare in Cristo, Dio fatto uomo, una sola volontà. Ma questa definizione, che pure è accettata da alcuni storici del dogma, è inesatta.
Storicamente il monotelismo nasce come affermazione di monoenergismo (μία ἐνέργεια "una sola energia, una sola attività") in Cristo, e durante i sessant'anni (619-679) di vita che si è soliti assegnare a questo tentativo di unione teologico-politica, ognuna delle formule monotelite ha in realtà un suo proprio aspetto. Ma, sia che si tratti di formule monoenergiste o monotelite propriamente dette, o tutte e due insieme, i monoteliti, che accettano la dottrina calcedonese delle due nature in Cristo, non negano mai, nel Verbo incarnato, l'esistenza, accanto alla volontà divina, di una volontà umana; e così pure ammettono l'esistenza di due energie, o attività, una umana, l'altra divina. Ma essi si rifiutano di prenderle in considerazione o meglio negano che a queste volontà, a queste attività, si possa dare il nome di ϑέλημα, di ἐνέργεια.
In Cristo - e su ciò erano d'accordo fautori e avversarî del monotelismo - uno solo è l'agente primo e responsabile, non altrimenti determinato se non da sé stesso, il principium quod del volere e dell'agire: ed è questo la persona del Verbo. I monoteliti affermavano che solo questo impulso iniziale meritasse, in Cristo, il nome di volontà, da essi definita come volontà ipostatica o egemonica. Gli avversarî insistevano sul fatto che in Gesù Cristo, pur essendo tutto ϑεοκίνετος (cioè mosso al volere e all'azione dal Verbo), il Verbo agisce e vuole divinamente attraverso la sua natura e volontà divina, umanamente attraverso la sua natura e volontà umana.
Teologicamente la posizione monotelita è insostenibile in quanto dimentica che volontà e azione sono attributi della natura, non della persona; e i monoteliti stessi ammettevano in Cristo duplicità di natura. Tanto più assurda la loro difesa di volere, con la loro formulazione, evitare il pericolo di cadere nel nestorianesimo (affermazione di due persone in Cristo). Ma l'equivoco della posizione monotelita si spiega storicamente col fatto che essi attingono la dottrina dell'unica volontà ed energia ipostatica ai monofisiti severiani (nei quali è logica conseguenza dell'affermazione di un'unica natura) e, pensano, inserendo questa terminologia monofisita sul piano dell'ortodossia calcedonese, di offrire ai severiani un terreno d'intesa all'unione.
Il movimento monotelita ci riporta all'azione del patriarca Sergio di Costantinopoli (610-638) e va inquadrata storicamente nell'azione dell'imperatore Eraclio (v.) per opporre ai molteplici pericoli minaccianti all'esterno e all'interno l'impero bizantino - soprattutto la minaccia persiana - una più salda unità religiosa e politica. Le intese con numerosi vescovi monofisiti intrecciate da Sergio fino dal 619, approdano all'atto di unione concluso ad Alessandria fra il patriarca ortodosso Ciro con i monofisiti alessandrini (3 giugno 633). In esso era affermato che "l'unico e stesso Cristo e figlio opera le azioni divine e le azioni umane attraverso una sola energia teandrica (μιᾷ ϑεανδρικῇ ἐνεργείᾳ)". Ma la perniciosa ambiguità delle trattative di Sergio e dell'accordo alessandrino sono denunciate da Sofronio di Gerusalemme. Dopo un'intervista con Sofronio, Sergio emette una sentenza sinodale (633-634) sanzionata da un'ordinanza imperiale, che proscrive tanto la formula "un'energia" quanto quella "due energie" per affermare che "solo dal Verbo incarnato procede inseparabilmente e indivisibilmente ogni attività divina e umana". La decisione è comunicata da Sergio a papa Onorio I il quale, ignorando il vero stato della questione, e ingannato nella sua buona fede dall'abile lettera di Sergio, sanziona la decisione di Sergio e la condanna delle formule mono- e dienergiste. L'espressione di Onorio (unde et unam voluntatem fatemur D. N. I. C.), che nel suo contesto è stata spiegata anche in senso ortodosso, abilmente isolata, servì a Sergio quale cardine al decreto di Eraclio (Ecthesis, autunno del 638) che afferma e impone di affermare esistente in Cristo una sola volontà. L'Ecthesis diede origine a una violentissima polemica religiosa - nella quale si segnalò, come campione dell'ortodossia, S. Massimo di Crisopoli - e alla spietata persecuzione, da parte dell'imperatore, di tutti gli oppositori. La situazione era aggravata dal fatto che i successori di Onorio: Severino, Giovanni IV, Teodoro I condannarono ogni simbolo monotelita. Per girare la posizione, l'imperatore Costante II ritirò l'Ecthesis (648) ed emanò un Τύπος περὶ πίστεως che interdisse l'uso sia delle formule monoenergista e monotelita, sia delle formule dienergista e ditelita, ingiungendo di attenersi al linguaggio accettato prima del sorgere della controversia. Per tutta risposta il Concilio lateranense del 649 condanna il Τύπος e anatemizza i principali sostenitori del monotelismo: Teodoro di Pharan, Ciro di Alessandria, Sergio di Costantinopoli e i suoi successori nel patriarcato: Pirro e Paolo. Costante II fa allora catturare il papa stesso, S. Martino I (giugno 653) e, dopo lunga prigionia, lo condanna all'esilio nel Chersoneso dove il papa muore.
La situazione torna a schiarirsi con l'avvento al trono di Costantino IV Pogonato. L'invasione araba aveva ormai sottratto a Bisanzio la Siria, la Palestina e l'Egitto, e con la perdita di queste regioni, i monofisiti, alla comunione religiosa coi quali l'impero aveva mostrato di tenere tanto, erano definitivamente perduti per Bisanzio. Questa circostanza e il consiglio del patriarca Teodoro indussero Costantino IV a mettersi in relazioni con Roma. Con il consenso di papa Agatone fu indetto (680-681) il terzo concilio di Costantinopoli (sesto ecumenico) che condannò definitivamente il monotelismo e lo stesso papa Onorio. La condanna fu ratificata da papa Leone II. Oramai il monotelismo era morto: solo l'imperatore Filippico tenterà di restaurarlo durante il suo regno (711-713). Fuori dell'impero greco si conservò solo presso i maroniti (v.).
Bibl.: Oltre quella citata sotto eraclio; onorio i; ecc., v. G. Owsepian, Die Entstehungsgeschichte des Monothelismus, Lipsia 1897; J. Pargoire, L'Église Byzantine, Parigi 1905; J. Lebon, Le monophysisme sévérien, Lovanio 1909; L. Duchesne, L'Église au VIe siècle, Parigi 1925; V. Grumel, Recherches sur l'histoire du monothelisme, in Échos d'Orient, 1928 segg.; M. Jugie, in Dictionnaire de théologie catholique, X, coll. 2307-2323.