MONREALE
Cittadina della Sicilia nordoccidentale (prov. Palermo), posta ai margini meridionali della Conca d'Oro, su un terrazzo alle falde del monte Caputo.Il nome di un luogo "qui Mons Regalis dicitur" compare per la prima volta nel 1183 nella bolla con cui papa Lucio III elevò a sede arcivescovile la chiesa-monastero di S. Maria Nuova - fondata dal re normanno Guglielmo II (1172-1189) sulle pendici del monte Caputo sovrastante Palermo - ratificando tutte le donazioni e concessioni precedentemente fatte dal re (Garufi, 1902, nr. 42, p. 24). Non si ha notizia di alcun agglomerato urbano esistente nella zona prima della fondazione del duomo, salvo forse un piccolo villaggio agricolo di origine araba, presto sostituito dal borgo sorto intorno alla fondazione regia (Galati, 1989), dotata di vasti possedimenti in zone abitate soprattutto da popolazione musulmana.
Oltre al complesso del duomo, l'unica altra struttura certamente medievale della zona è il c.d. castellaccio di Monreale. Si tratta di un complesso fortificato, ora allo stato di rudere, sulla cima del monte Caputo, documentato a partire dalla fine del sec. 12° (Maurici, 1992, p. 189) e quindi presumibilmente contemporaneo alla costruzione del duomo. Esso è privo, dal punto di vista tipologico, di raffronti in area locale e i suoi modelli sarebbero da cercare nel campo dell'architettura castrense omayyade (Maurici, 1992, pp. 188-192). Interamente realizzato in pezzame calcareo molto simile a quello della zona inferiore delle torri di facciata e della muratura esterna delle navate laterali del duomo, esso presenta un perimetro irregolarmente rettangolare, con torri in corrispondenza degli angoli e dei lati lunghi. All'interno, ai lati di un cortile porticato, si sviluppavano a N una serie di ambienti - di funzione imprecisata, che si articolavano a loro volta intorno a un secondo cortile -, e a S una cappella a tre navate corredate di absidi semicircolari ricavate, con arconi ogivali, in spessore di muro.Il complesso regio di M., costituito da duomo, monastero e palazzo reale, fu fondato da Guglielmo II con l'evidente scopo sia di creare un mausoleo dinastico, sul modello di quanto già tentato da Ruggero II a Cefalù (v.), sia di istituire un nuovo arcivescovado più potente e più fedele alla Corona di quello palermitano, che negli stessi anni stava promuovendo la ricostruzione della cattedrale (v. Palermo). La fondazione è fatta risalire dal re stesso, nel privilegio del 1176 (Garufi, 1902, nr. 15, p. 10), al principio del suo regno (1172) e la prima menzione che se ne ha è contenuta in una bolla del 1174 di papa Alessandro III, con la quale si liberava il monastero dalla giurisdizione arcivescovile (Garufi, 1902, nr. 9, pp. 7-8). Nel 1176 vi si insediò una comunità di cento monaci benedettini, provenienti dall'abbazia campana di Cava de' Tirreni. Il cantiere può considerarsi sostanzialmente concluso già alla fine del nono decennio del secolo, come è deducibile dalla collocazione nel 1185 della porta bronzea di Bonanno Pisano (v.) nel portale principale e dalla morte nel 1189 di Guglielmo II, ultimo re normanno di Sicilia, committente e finanziatore dell'opera.Il duomo - il cui accesso principale è preceduto da un portico settecentesco che sostituisce l'originale, a sua volta affiancato da due torri (la settentrionale incompleta) a pianta quadrata scandite da quattro piani - presenta nel corpo longitudinale una pianta basilicale a tre navate, separate da colonne su basi quadrate, con fusti e capitelli antichi, corinzi e figurati, provenienti da Roma (Pensabene, 1990) e sormontati da pulvini su cui si impostano archi a sesto acuto con ghiere lievemente sopraccigliate. Un tratto di parete dell'ampiezza di un intercolumnio collega il corpo trinavato a quello orientale, costituito da transetto e santuario tripartiti, quest'ultimo corredato di tre absidi. Transetto e santuario hanno la stessa larghezza e costituiscono un unico corpo del tutto autonomo architettonicamente rispetto alla struttura basilicale, a pianta pressoché centrale, coperto nelle absidi con semicalotte, negli ambienti laterali a esse antistanti con volte a crociera e nella breve campata antistante l'abside principale con botte a sesto acuto. Il resto dell'edificio, tranne le navatelle, che presentano un soffitto ligneo a superficie piana, era coperto a travature lignee apparenti - distrutte dal grave incendio del 1811 e poi ripristinate - anche nella campata d'incrocio del transetto, per consentire un migliore raccordo tra corpo longitudinale e presbiterio centralizzato; persegue lo stesso scopo la disposizione su diversi livelli degli arconi trionfali del transetto e del presbiterio, dei quali il più orientale ha la chiave d'arco più elevata, così come la pianta marcatamente rettangolare della campata centrale del transetto, disposta lungo l'asse del corpo longitudinale e impostata su massicci pilastri a sezione poligonale, allineati secondo il medesimo asse.Il transetto e la zona presbiteriale del duomo rappresentano il punto cruciale dell'intero complesso, fungendo, oltre che da santuario dell'edificio religioso, da unica zona di collegamento coperta tra palazzo reale, a N, ed episcopio e monastero, a S. Tali strutture costituiscono chiaramente un complesso unitario, per ideazione e realizzazione, che si articola sui due fianchi del duomo e che originariamente era protetto da un recinto fortificato (superstite solo a tratti), in particolare sui lati sud e ovest, coronato da una merlatura che originariamente spiccava anche sulla parte sommitale dei muri perimetrali e delle absidi del duomo.Il chiostro si imposta sul fianco meridionale del duomo, con quattro gallerie con copertura lignea a uno spiovente verso il cortile centrale; tre filari di blocchetti di calcare costituiscono lo zoccolo su cui poggiano colonnine binate, al di sopra delle quali si sviluppano archi a sesto acuto a doppia ghiera decorata con motivi geometrici realizzati con tarsie di calcare bruno e tufo lavico nero. Nell'intradosso degli archi è presente una cordonatura pensile a sezione semicircolare - elemento ripreso nel più tardo chiostro palermitano della chiesa detta la Magione, dedicata alla SS. Trinità - avente probabilmente la funzione di alloggiare i cardini di telai lignei per la chiusura della metà inferiore delle arcate (Krönig, 1965, pp. 59-60). Nell'angolo sudoccidentale è collocato un lavabo, inquadrato all'interno di un 'chiostrino' con le medesime caratteristiche architettoniche del chiostro principale.Recentemente Gandolfo (1989) ha ipotizzato un mutamento di progetto in corso d'opera, a causa della diversità di livello tra il piano di calpestio della galleria settentrionale e quello della porta della parete che collega la torre meridionale di facciata al corrispondente braccio di transetto e che a tale galleria dà accesso; questa diversità non è riscontrabile negli altri lati del chiostro.Sui tre lati del cortile non adiacenti alla chiesa si dispongono gli edifici monastici, quasi tutti piuttosto alterati da rifacimenti posteriori; nell'ala orientale è compresa la sala capitolare, trasformata alla fine del sec. 16° in cappella di S. Placido e ora ripristinata nelle forme originali, con ingresso sul lato corto prospiciente la chiesa, abside semicircolare nell'opposta parete interna e arcate cieche ogivali lungo le pareti interne dei lati lunghi; con la sala capitolare comunicava la c.d. torre dell'Abate, struttura collegata alla zona presbiteriale del duomo.L'ala meridionale, pur nello stato di rudere, conserva l'aspetto originale con disposizione a due livelli, dei quali il piano terreno era adibito a dormitorio e diviso da due file di pilastri rettangolari in tre navate delle medesime dimensioni, illuminate da sottili feritoie aperte nella parete sud; il superiore, diviso longitudinalmente da una parete, presentava verso il chiostro un ambiente stretto e lungo illuminato da alte finestre a lancetta e verso il lato opposto un'ampia sala che si apriva con bifore inquadrate da nicchie verso la valle sottostante. L'ala occidentale, che ospitava al piano terreno due refettori e al superiore un dormitorio, conserva l'originaria cornice a mensole all'imposta del tetto, decorata con motivi geometrici di matrice araba.Alla stessa matrice sono state collegate le originarie strutture architettoniche superstiti del palazzo reale (Krönig, 1965, p. 97) - trasformato nel 1589 in Seminario arcivescovile - con ala orientale a due piani con portico occidentale a quattro arcate ogivali, che presumibilmente si affacciava su un cortile centrale.Il complesso di M. si caratterizza per la decorazione architettonica particolarmente ricca dell'esterno di alcuni corpi di fabbrica; il prospetto principale, quello orientale, verso Palermo, presenta nelle tre absidi del duomo una decorazione disposta su tre ordini - due nelle absidi laterali - costituita da archi ciechi ogivali intrecciati, impostati su colonnine nel secondo e terzo ordine, al cui interno sono ricavate specchiature rettangolari e ad arco, decorate al centro con dischi policromi, presenti anche nella cimasa degli archi. La decorazione, di probabile derivazione campana - pur se largamente utilizzata e reinterpretata nell'architettura arabo-sicula con un'accentuazione dei valori plastici (Ciotta, 1992, pp. 135-189) -, fu ottenuta giocando principalmente sul contrasto cromatico tra la pomice lavica nera del Vesuvio, con cui sono realizzati gli archi, il fondo bruno-dorato in calcare locale e le profilature di alcuni elementi in laterizi rossi. Un partito decorativo ad archi intrecciati corre anche lungo i fianchi della chiesa all'altezza delle finestre della navata centrale e sul muro di facciata compreso tra le due torri, mentre un altro tipo di arcate cieche e tarsie policrome decora altri prospetti del complesso, tra i quali quello est, affiancato alle absidi, del palazzo reale e quello sud, particolarmente ricco, dell'ala meridionale del monastero.Dal punto di vista architettonico M. si pone, per cronologia e tipologia, a conclusione della linea di fondazioni sacre promosse dalla dinastia degli Altavilla in Sicilia, riproponendo in scala monumentale soluzioni già adottate per es. nella Cappella Palatina di Palermo, come la fusione tra corpo occidentale di matrice 'latina' e zona presbiteriale di matrice 'bizantina', ma risolvendole con una resa spaziale estremamente più fluida, e coniugando con grande naturalezza influssi arabi, riscontrabili in varie tipologie architettoniche, e alcune soluzioni strutturali, come quella delle colonne angolari agli spigoli dell'arco absidale, originariamente progettate su tre ordini (Naselli Flores, 1990), in un insieme perfettamente rappresentativo della stagione culturale conclusiva del regno normanno di Sicilia.P. Castellani
Parallelamente alla sua costruzione, e a essa profondamente connessa, il complesso monrealese vide svilupparsi una ricca decorazione scultorea sia nel duomo sia soprattutto nel chiostro dell'attiguo monastero.Il portale di facciata del duomo, che accoglie i battenti bronzei opera di Bonanno Pisano, è in marmo bianco e richiama direttamente il modello offerto da quello del duomo di Cefalù, con stipiti composti da quattro paraste leggermente rientranti e crescenti dall'esterno verso l'interno, decorate alternativamente a mosaico e con bassorilievi a girali vegetali animati; la scansione è ripresa, al di sopra dei capitelli continui scolpiti con animali fantastici e scene di lotta tra uomini e grifi o leoni, nelle ghiere ogivali concentriche, dove il rilievo più piatto ripete i motivi degli stipiti a eccezione dell'arco interno, decorato a chevron. Il portale infine è delimitato all'esterno da una sottile cornice a foglie d'acanto, motivo ripreso anche nello sguscio fra le paraste, che sale da ambo i lati, formando nella parte superiore un timpano triangolare.Più semplice è il portale del fianco settentrionale, costituito da una cornice di marmo, arricchita al centro da una fascia a mosaico con motivo a stelle, che inquadra i battenti bronzei realizzati tra il 1185 e il 1190 da Barisano da Trani (v.).All'interno della chiesa - addossato al pilastro settentrionale dell'arcone orientale che delimita la campata d'incrocio del transetto e sopraelevato dal piano del presbiterio di cinque gradini - si trova il trono reale, che, nonostante gli interventi di restauro, si può ritenere originale in tutte le sue parti (Gandolfo, 1993, p. 242), mentre più problematica risulta una sua voluta contrapposizione fin dal principio al trono arcivescovile, che, addossato al pilastro opposto e di totale fattura moderna, sembra non fosse stato previsto al momento della fondazione (Gandolfo, 1993, p. 238). Definibile più propriamente come tribunal adatto ad accogliere un seggio mobile, il trono reale ha schienale rettangolare in cui due lastre di porfido, pure rettangolari, incorniciate da un mosaico con motivo stellare, alludono alla regalità, come anche i due leoni realizzati a mosaico nel timpano soprastante e i due leoncini marmorei accovacciati in corrispondenza dell'attacco alla parete delle transenne laterali; queste ultime, lavorate a traforo con motivi geometrici e floreali, rappresentano al centro coppie di grifi affrontati.In stretto rapporto visivo e programmatico con il trono reale è invece la tomba di Guglielmo I (1154-1166), collocata nell'ala meridionale del transetto su una pedana e costituita da un semplice sarcofago in porfido scavato nel fusto di un'antica colonna, con copertura a doppio spiovente e basi modanate; un baldacchino marmoreo (distrutto nell'incendio del 1811 e i cui pochi resti sono nel chiostro), sorretto da sei colonne di porfido, tre per lato, completava l'insieme; la sua esecuzione - palesemente ispirata alla tomba che fu poi di Enrico VI (1191-1197) nel duomo di Palermo - è stata riferita agli anni immediatamente successivi al 1183, in concomitanza con il trasferimento delle spoglie del re da Palermo (Deér, 1959, pp. 14-15, 77-79).Pertinente all'arredo originale del duomo è infine il fusto in porfido decorato con un motivo architettonico a edicole di gusto classico, reimpiegato dal 1604 come piedistallo della statua di S. Giovanni Battista, ma che costituiva la base del fonte battesimale, la cui vasca, riutilizzata nello stesso anno come acquasantiera, fu distrutta dall'incendio del 1811 (Krönig, 1965, p. 58).È però nel chiostro che la vicenda plastica del cantiere monrealese vide la sua massima espressione. Qui duecentoventotto colonnine di marmo con base a tre tori, binate lungo i lati e quadruplici agli angoli, sorreggono un numero uguale di capitelli 'a coppia', anch'essi in marmo, sormontati da sottili basi d'imposta; esse si susseguono sui quattro lati, segnando anche il perimetro del 'chiostrino' con il lavabo; quest'ultimo, in marmo, è composto da una vasca al centro della quale si innalza una colonna dal fusto decorato con fitto motivo a chevron, conclusa dal bocciolo con dodici figure danzanti, al di sopra delle quali altrettante protomi leonine fanno cadere l'acqua.La serie delle colonnine lungo le gallerie presenta un impiego alternato di fusti lisci e decorati con incrostazioni musive a zig-zag, a rombi, a fasce verticali e spiraliformi, continue o spezzate, mentre le colonnine angolari sono interamente scolpite con motivi vegetali popolati da putti e animali di intonazione classicheggiante. I capitelli invece offrono una varietà assoluta di temi: nel numero soverchiante di quelli che ripropongono interpretazioni sempre diverse del tipo a volute vegetali - o semplice o più frequentemente arricchito da uccelli, da putti che cacciano, giocano o vendemmiano, da guerrieri, da animali fantastici, da teste umane, da telamoni, da virtù, da profeti, da simboli degli evangelisti e da veri e propri hápax, come Mitra che uccide il toro e il Trionfo della Croce unito a quello della Chiesa sulla Sinagoga -, pochissimi sono i capitelli istoriati con temi particolari, quali il ciclo dei Mesi e la Dedica del monastero alla Vergine da parte di Guglielmo II, e con episodi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, disposti senza alcun nesso logico-narrativo e forse per questo leggibili più come exempla che come momenti concatenati di una storia sacra (Gandolfo, 1989, p. 171).Accanto a ipotesi che vedono M. come una stretta e unitaria derivazione campana (Biagi, 1932) o provenzale, articolata questa in ben cinque botteghe guidate da altrettanti maestri (Salvini, 1962), una parte degli studiosi ha riconosciuto come elemento basilare per una qualificazione stilistica delle maestranze attive nel chiostro e nel duomo un forte eclettismo, spiegabile con l'attività, contemporanea e reciprocamente influenzata, di più personalità artistiche di differente provenienza e formazione: secondo Sheppard (1949; 1952) sarebbero riscontrabili elementi culturali provenienti da Chartres e dall'ambito campano-salernitano, con apporti veneto-lombardi e in particolare bizantini mediati attraverso i mosaici del duomo; Cochetti Pratesi (1968-1970) vi ha visto inoltre una sicura componente di derivazione piacentino-emiliana, oltre che borgognona e pavese, negando ogni influenza provenzale, riconosciuta invece da Krönig (1965) accanto alla presenza, anche se limitata, degli artisti attivi nel chiostro di Cefalù. Ultimamente Gandolfo (1989; 1994) ha reimpostato il problema, identificando nella diversità stilistica il risultato dell'opera di due grandi e composite botteghe che si sarebbero succedute nell'esecuzione dei pezzi, conclusasi probabilmente già nel 1185: la prima, di origine locale e identificabile con la seconda bottega attiva a Cefalù, caratterizzata da un linguaggio scorrevole di sapore antichizzante, realizzò i pezzi montati nella galleria settentrionale, in quella orientale e nel tratto iniziale della meridionale; a essa si sostituì, forse già a partire dal 1180 e fino al termine dei lavori, la bottega che aveva eseguito il pulpito minore nel duomo di Salerno (v.), guidata da almeno due scultori che nei loro modi - solenne e sobrio l'uno, pittorico e mosso l'altro - parteciparono del gusto eclettico, ma profondamente unitario, nel recupero consapevole di un plasticismo paleocristiano che caratterizzò la scultura mediterranea degli anni ottanta del 12° secolo.N. Bernacchio
Seppure sia alterato e mutilato qua e là, il complesso di M. conserva globalmente il suo volto originario e sono ben leggibili le sue strutture decorative. Successivamente all'assetto del quale sono testimoni le pagine e le incisioni di Del Giudice (1702) - assetto che comprende già l'aggiunta del portico sul lato settentrionale e l'ampliamento del giro delle aperture delle finestre a opera, nel 1658, dell'arcivescovo De Los Cameros -, occorre segnalare almeno la costruzione del portico tardosettecentesco sulla facciata e la distruzione nel 1770 dei mosaici con scene della Vita della Vergine, figure di angeli, profeti, santi e sante ubicati nel portico originario (Kitzinger, 1994, p. 11). Nell'interno, le conseguenze dell'incendio del 1811 condussero alla sostituzione del soffitto originario e alle campagne di restauro che nel corso del secolo interessarono vaste zone della decorazione musiva. Ancora all'Ottocento risale il rivestimento delle pareti con lastre di marmo; alla fine del Settecento la risistemazione e rilavorazione di alcuni dei capitelli antichi della navata. Il pavimento delle navate è opera compiuta per volontà dell'arcivescovo Alessandro Farnese (1536-1589).Nonostante la somma di questi interventi, non pochi e lievi, il complesso di M. si distingue per la persistenza di organismi dotati di straordinaria conservazione nel loro insieme, come il chiostro e la serie dei suoi capitelli (Gandolfo, 1989) e, in particolare, la decorazione musiva che riveste completamente le pareti della basilica. Tutto ciò permette di guardare a M. come a uno dei monumenti più rappresentativi, organici e compatti dell'intero Medioevo.L'arco di tempo entro il quale si compì tutta l'impresa fu sorprendentemente breve. Iniziata dopo che il giovane Guglielmo aveva raggiunto nel 1172 la maggiore età, la fabbrica procedette assai rapidamente. Essa doveva essere già a buon punto nel decennio successivo e in massima parte mosaicata. I mosaici di M. trovano infatti nei due pannelli sui pilastri all'entrata della campata centrale del santuario, raffiguranti l'Incoronazione di Guglielmo da parte di Cristo e la Dedicazione del complesso alla Theotókos per mano dello stesso sovrano, un implicito termine cronologico che necessariamente è anteriore alla morte del giovane re, avvenuta nel novembre del 1189. Questa velocità e compattezza di esecuzione è condizione di quella 'unità tematica' e òmogeneità stilistica' (Kitzinger, 1994, p. 9) che sono fra le peculiarità della decorazione musiva di M., e spiega pure la pluralità di scritture addebitabili alle diverse maestranze che devono aver lavorato fianco a fianco per portare a termine in così breve tempo un'impresa tanto imponente (Kitzinger, 1994, pp. 9-10).Cronologicamente contigui ai mosaici di Guglielmo I e a essi talvolta debitori sotto il profilo iconografico, come nelle Storie veterotestamentarie e nelle Storie dei ss. Pietro e Paolo, i mosaici di M. mostrano caratteri stilistici indipendenti nei confronti delle precedenti decorazioni musive siculo-normanne. Lungi dal porsi come gli eredi locali di una tradizione figurativa già consolidata, le maestranze attive a M. si configurano, in base alla loro facies di cultura greca, pervenute e non stanti già in Sicilia, dotate di un ricco bagaglio aggiornato su quelli che erano gli esiti recenti del repertorio formale nel mondo bizantino aderente allo stile elaborato a Costantinopoli sotto gli ultimi imperatori della dinastia comnena (Demus, 1949, p. 418ss.; Kitzinger, 1960, p. 75ss.; 1994, p. 11). E, tuttavia, gli artisti giunti a M., seppure liberi di esprimersi stilisticamente e persino di immettere nel tessuto iconografico alcune strutture dal puro timbro bizantino, come la concezione delle volte a crociera delle due cappelle laterali 'satelliti' rispetto all'abside centrale (Kitzinger, 1994, p. 13), si trovarono a dover conciliare i loro modi con invasi spaziali dalla configurazione estranea, se non divergente, rispetto alla tradizione bizantina.Tutto a M., la scala dell'edificio che è enorme, la conformazione degli spazi declinati in assetti longitudinali, la mancanza di cupola e invece la presenza di superfici da mosaicare lisce e assai estese, dovette generare negli artisti bizantini, adusi a interni centripeti e piccoli, a superfici spesso curve e comunque mai così ampie e sfuggenti, un qualche spaesamento.Segni di adattamenti e aggiustamenti sono rintracciabili in fase di giustapposizione della decorazione musiva all'involucro architettonico. Nel corso delle campagne dell'ultimo restauro (1965-1982), in seguito ai distacchi di parti della superficie musiva dell'abside, del santuario e del transetto, è stato possibile scoprire la sinopia di parte di una figura di angelo di dimensioni più grandi rispetto alla corrispondente immagine realizzata e si è potuto appurare che talora le superfici mosaicate modificano assetti architettonici già definiti, abolendo vani preposti ad accogliere colonne angolari, sostituendo cornici marcapiano scolpite, chiudendo vani di finestre già dotate di transenne (Andaloro, 1986a; Naselli Flores, 1986). L'interpretazione di questi e altri dati raccolti nel corso del restauro ha permesso di fare luce sulle modalità tecnico-esecutive, tecnico-formali e sull'organizzazione del cantiere musivo attivo a M. (Andaloro, 1986b). Ovunque, le stesure musive originali aderiscono al disegno preparatorio e alle campiture cromatiche dati sulla malta d'allettamento; diversamente, la presenza di sinopie risulta essere del tutto eccezionale. Quanto alla materia delle tessere, esse sono paste vitree di varia trasparenza e consistenza (Andaloro, 1986b) e calcari. Il taglio delle tessere dalle 'pizze' avveniva sui ponteggi, a cura degli stessi artefici e, dunque, in base alle esigenze dettate dai modi scelti per l'esecuzione delle superfici musive (Andaloro, 1986b). Le stesure sono molto lavorate e serrate, gli interstizi fra tessera e tessera assai ravvicinati, le tessere piccole. Questi dati appaiono particolarmente significativi a confronto delle proporzioni spesso gigantesche delle figure, fra cui primeggia l'immenso Pantocratore nel catino dell'abside, immenso ma caratterizzato da un ductus e da un tessuto musivo sorprendentemente curato e raffinato per un brano che non poteva in nessun modo essere visto da vicino.Mescolando insieme attitudini diverse, i mosaici di M. finiscono per incarnare "una fusione straordinariamente espressiva di elementi locali con altri importati" (Kitzinger, 1994, p. 12) e per divenire a loro volta una fonte estremamente fertile, sì da dare origine al fenomeno della 'disseminazione' dello stile di M., rintracciabile nella pittura dell'Italia centromeridionale e oltre nel corso del Duecento (Demus, 1949). Si dà il caso che ancora fra la fine del sec. 13° e gli inizi del 14° venissero copiate scene dalle Storie dei ss. Pietro e Paolo per mano dei miniatori di un leggendario di santi (Torino, Bibl. Naz., I.II.17; Buchthal, 1967), mentre altri episodi, come la Guarigione della suocera di Pietro e la Guarigione del paralitico, rivivono alla lettera, ma sotto vesti moderne, in due fogli superstiti di un codice altrimenti perduto (Firenze, Uffizi, Gab. Disegni e Stampe, 12524; Stoccolma, Nationalmus.; Buchthal, 1965; Andaloro, 1989).M. Andaloro
Bibl.:
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Letteratura critica. - D. Lo Faso Pietrasanta Duca di Serradifalco, Del Duomo di Monreale e di altre chiese siculo normanne. Ragionamenti tre, Palermo 1838; D.B. Gravina, Il Duomo di Monreale, 2 voll., Palermo 1859-1869; G. Giovannoni, Un quesito architettonico nel chiostro di Monreale, Architettura e arti decorative 1, 1921, pp. 242-262; L. Biagi, Della scultura del periodo normanno in Sicilia, L'Arte 35, 1932, pp. 452-475; O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily, London 1949, pp. 91-177; C.D. Sheppard, Iconography of the Cloister of Monreale, ArtB 31, 1949, pp. 159-169; id., A Stylistic Analysis of the Cloister of Monreale, ivi, 34, 1952, pp. 35-42; S. Candido, Sul problema cronologico della ''Datatio Ecclesiae'' del tempio di S. Maria la Nuova fondato da Guglielmo II il Normanno, Archivio storico siciliano, s. III, 5, 1952-1953, 1, pp. 245-262; S. 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