MONREALE
In seguito alle persecuzioni dell'epoca di Guglielmo I, la presenza musulmana in Sicilia rimase significativa soltanto in Val di Mazara concentrandosi nel territorio montagnoso alle spalle di Palermo e soprattutto, come ricorda Maurici (1987), nella zona che "scende a sud verso Girgenti, passando per Corleone e quindi sotto Castronovo e Cammarata a comprendere il bacino del Platani e spingendosi ad ovest oltre il Belice". Per controllare questo esteso circondario, nel 1174 Guglielmo II fondò il monastero benedettino di S. Maria la Nuova, in una località dove non pare esistessero precedentemente enti religiosi. Nel 1183 l'abate Guglielmo fu investito da papa Lucio III della carica arcivescovile, avendo come suffraganea Catania, cui fu aggiunta nel 1188 Siracusa. Il nome di Monreale compare con l'elevazione del monastero alla dignità arcivescovile. Collocato a 5 chilometri da Palermo e a 300 metri d'altezza, sulle pendici del monte Caputo, l'arcivescovado, con la sua splendida cattedrale, più che in funzione antagonistica al presule palermitano, fu pensato da Guglielmo II come pantheon della dinastia e, soprattutto, come struttura idonea a coordinare e signoreggiare la popolazione musulmana contenuta nel suo territorio (circa 1.200 chilometri quadrati), comprendente i castelli di Iato, Corleone e Calatrasi, con i loro casali, e altre terre che a mano a mano si aggiunsero alla dotazione iniziale. L'arcivescovo dominò anche su monasteri e chiese sparsi per tutto il Regno e, addirittura, sulla città di Bitetto in Puglia. Per rafforzare i poteri dell'arcivescovo-abate, re Guglielmo gli conferì la funzione di giustiziere, assegnandogli, quindi, straordinarie responsabilità amministrative e giudiziarie. La popolazione soggetta alla giurisdizione di Monreale ammontava a parecchie migliaia ed era quasi interamente composta da villani musulmani (almeno duemila famiglie), cui si affiancava una minima percentuale (2,5 per cento) di cristiani. L'arcivescovo fece sentire la sua mano pesante, riducendo notevolmente il numero degli uomini liberi e suscitando un considerevole malcontento, neutralizzato fino alla fine degli anni Ottanta dall'autorità di Guglielmo II. Mentre attorno al monastero cominciava a sorgere il centro abitato, nella zona precedentemente occupata dal casale di Bulchar, la morte di Guglielmo II, avvenuta nel 1189, e la successiva lotta fra Tancredi ed Enrico VI per il possesso del Regno coinvolsero pesantemente Monreale: si intensificarono, infatti, le persecuzioni contro i musulmani, i quali si rifugiarono nelle zone montagnose di Val di Mazara, nel territorio, cioè, soggetto all'arcivescovo Guglielmo, che presto perse il controllo della situazione, assistendo all'abbandono di molte terre e alla distruzione dei casali. In seguito all'accordo fra Tancredi e Riccardo Cuor di Leone, cui partecipò attivamente, fra gli altri, l'archiepiscopus de Monte Regali, la situazione dei territori subordinati a Monreale migliorò, con il ritorno di parte dei villani ai loro casali. Lo stato di agitazione dei musulmani, tuttavia, non si spense, anche dopo l'elezione da parte dei monaci (che ne avevano il diritto) del successore di Guglielmo, l'arcivescovo Caro, insediatosi nel 1194.
Nel 1195 Enrico e Costanza presero sotto la loro protezione Monreale, conservando all'arcivescovo il giustizierato sulle terre sottoposte e impedendo che i beni della sua Chiesa fossero, specie in Puglia, sottratti. La lotta di Caro per mantenere i suoi possedimenti continuò almeno fino al 1201, ma da una posizione di forza, perché l'arcivescovo fece parte del consiglio di reggenza per il minorenne Federico II. Alla morte di Costanza la situazione precipitò, i musulmani rinfocolarono la ribellione e Caro dovette fronteggiare i suoi monaci che lo contestavano apertamente. Perduto il controllo delle campagne, Caro assistette alla lotta, condotta prevalentemente nei suoi territori, tra Marcovaldo di Annweiler, alleato con i saraceni, e l'esercito inviato da papa Innocenzo III. Monreale fu saccheggiata, finché Marcovaldo e i musulmani furono sconfitti nel luglio del 1200 in una sanguinosa battaglia, svoltasi nei pressi del monastero. Il contesto rimase, però, confuso per tutto il triennio successivo, quando, dopo la morte di Marcovaldo nel 1202, Guglielmo Capparone si associò contro l'arcivescovo con i monaci di S. Maria la Nuova che, come si apprende da una lettera di Innocenzo III del giugno 1203, occupati i castelli di Iato e Calatrasi, commettevano crimini di ogni genere, vivevano luxuriose, torturavano gli uomini di Caro e, dopo essersi impadroniti del tesoro della chiesa, avevano assediato per oltre un mese il loro presule, consegnato a Capparone molte ricchezze e messo le mani sulla maggior parte dei 10.000 tarì che costituivano il reddito annuo della mensa. Innocenzo III, con moderazione, cercò di sganciare i musulmani dall'alleanza con i ribelli, inviando loro, ancora nel 1206, missive concilianti. Nel 1208 l'arcivescovo si rappacificò con i suoi monaci, ma i saraceni, ormai consapevoli di essere stati fino a quel momento uno strumento nelle mani delle fazioni in lotta, ripresero le loro azioni belliche, occupando nello stesso anno il castello di Corleone. Caro non era più in grado di padroneggiare il suo vasto territorio, sicché i provvedimenti di Federico II del 1211-1212, che davano ampia facoltà all'arcivescovo di catturare i ribelli e ordinavano ai borghesi di Monreale di assistere il loro presule, caddero nel vuoto, e semmai attestano la stretta collaborazione del sovrano con Caro, cui furono assicurate notevoli concessioni a Palermo.
Durante l'assenza di Federico la situazione precipitò e i musulmani si organizzarono in un vero e proprio stato che rappresentava una grave minaccia per il dominio svevo. Tra il 1220 e il 1221 una serie di documenti di Federico II e di papa Onorio III certifica la loro volontà di reintegrare l'arcivescovado nei suoi possedimenti e diritti, dentro e fuori della Sicilia; si trattava, però, di pure petizioni di principio, perché le misure cozzavano contro una realtà che vedeva i saraceni sempre più minacciosi. L'imperatore, in effetti, non si rendeva conto che non era più possibile riportare i musulmani in una condizione da cui si erano affrancati ormai da molti anni, tanto più che nel 1222 Caro morì e la diocesi rimase vacante, con una breve interruzione nel 1234, fino al 1258. Il diritto di elezione dell'arcivescovo venne, inoltre, revocato ai monaci e riservato alla Santa Sede. La decisione era ormai affidata alle armi; Federico condusse una prima breve campagna nel 1221 e, l'anno dopo, mosse, con un forte esercito, contro i saraceni, arroccati specialmente a Entella e Iato. Avuta, alla fine, la meglio sul ribelle Ibn ῾Abbād, l'imperatore lo mise a morte insieme al genovese Guglielmo Porco e al marsigliese Ugo Fer, che avevano dato man forte ai musulmani. Il dominio svevo su Val di Mazara era però lungi dall'essere ristabilito: nel 1223 Federico si trovava ancora una volta all'assedio di Iato. Le operazioni belliche furono nuovamente avverse ai saraceni, ma risultava impossibile un sia pur parziale controllo del territorio. Allora Federico, il quale precedentemente si era ostinato a ristabilire lo status quo ante, volendo costringere, per quel che riguardava Monreale, i musulmani a ritornare alla condizione di villani, cambiò tattica, attuando una massiccia deportazione dei vinti nella nuova colonia di Lucera (v.), vicino a Foggia. Le conseguenze per Monreale furono pesanti: non c'era più speranza, infatti, che le terre e i casali, abbandonati da lungo tempo, potessero ripopolarsi. Il conflitto, intanto, continuava e, nel 1224-1225, Iato fu nuovamente assediata. Ancora una volta lo Svevo prevalse, ma, dopo un breve periodo di relativa tranquillità, nel 1229-1230 la ribellione si riaccese. Le deportazioni non cessarono fino alla risolutiva sconfitta dei saraceni nel 1243-1246, quando, nell'autunno, finalmente piegata la resistenza musulmana e completato il trasferimento forzato a Lucera, Monreale si trovò di fronte a problemi gravissimi: gli immensi territori posti sotto la sua giurisdizione, prima abitati e lavorati da migliaia di famiglie, erano vuoti, le rendite azzerate e la stessa consistenza numerica dei monaci gravemente diminuita. Federico II tentò di ovviare allo spopolamento della diocesi immettendo a Corleone, negli anni Quaranta, ghibellini lombardi, che ritornarono a coltivare un territorio di circa 450 chilometri quadrati. Furono così assicurati all'arcivescovado gli affitti delle masserie e le decime, che avrebbero reso, nel Trecento, 2.000 fiorini. La ricchezza di Monreale, in qualche modo ristabilita, fu tuttavia insidiata dall'usurpazione di molti suoi beni, cui non fu estraneo, nei suoi ultimi anni, lo stesso Federico.
Le notizie tra il 1250, anno della morte di Federico II, e il 1258, quando Manfredi fu incoronato a Palermo, non sono molte: Monreale, comunque, ebbe finalmente un presule nella persona di Benvenuto, che resse la diocesi fino al 1260. Le gravi mutilazioni dei possedimenti dell'arcivescovado dovettero continuare, ma, quando Manfredi tra il 1256 e il 1257 fu in grado di controllare il Regno, la situazione migliorò, perché Benvenuto si schierò francamente al fianco dello Svevo, partecipando alla sua solenne incoronazione, avvenuta nella cattedrale palermitana l'11 agosto 1258. Alla cerimonia presenziarono, oltre all'arcivescovo di Monreale, l'abate di Montecassino e i presuli di Agrigento, Sorrento, Salerno e Acerenza, che furono tutti scomunicati da papa Alessandro IV. Manfredi, poco dopo, mostrò la sua riconoscenza a Benvenuto con un privilegio del settembre, col quale, richiamandosi a un atto di Federico del 1221, confermò a Monreale tutti i beni feudali e burgensatici. Successivamente, fece rinnovare a Benvenuto il diritto di tenere nel porto di Palermo due pescherecci liberi da qualsiasi prestazione. Il ripopolamento del territorio monrealese, intanto, continuava, come attesta una concessione dell'arcivescovo nel 1258 a numerosi abitatori di Iato. Dopo la morte di Benvenuto la diocesi rimase nuovamente vacante e fu rioccupata solo sotto gli Angioini. Tra il 1260 e il 1266 riprese la spoliazione di Monreale che perse Bitetto, infeudata a Gazo Chinardo. L'erosione dei beni sarebbe continuata anche nei decenni successivi, nonostante l'appoggio accordato da Carlo I. La funzione di Monreale, comunque, si era esaurita con la scomparsa dei musulmani, sicché la diocesi, sia pur ben dotata e ricca, assunse, a partire dall'età di Manfredi, caratteristiche diverse da quelle che ne avevano determinato la fondazione e la vita fino agli anni Quaranta del Duecento.
Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi, ad indicem; B. Capasso, Historia diplomatica Regni Siciliae inde ab anno 1250 ad annum 1266, Neapoli 1874, pp. 152, 159-160 e 240; Acta Imperii inedita, I, ad indicem; C.A. Garufi, Catalogo illustrato del tabulario di S. Maria la Nuova in Monreale, Palermo 1902; G.L. Lello, Historia della Chiesa di Monreale, riprod. anast. dell'ediz. del 1596 con una nota di G. Schirò, Bologna 1967. V. Di Giovanni, I casali esistenti nel secolo XII nel territorio della Chiesa di Monreale, "Archivio Storico Siciliano", n. ser., 17, 1892-1893, pp. 438-496; G. La Corte, Appunti di toponomastica sul territorio della Chiesa di Monreale nel secolo XII, ibid., 27, 1902-1903, pp. 336-345; N. Giordano, L'arcivescovo Caro, "Archivio Storico Siciliano", ser. III, 15, 1964, pp. 53-81; Id., L'arcivescovo Benvenuto, ibid., 17, 1967, pp. 135-153; F. D'Angelo, I casali di Santa Maria la Nuova di Monreale nei secoli XII-XV, "Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani", 12, 1973, pp. 333-339; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 1-4, München 1973-1982, pp. 1184-1202; M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, a cura di C.A. Nallino, I-III, Catania 19772, ad indicem; N. Kamp, Caro (Carus), in Dizionario Biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 494-497; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall'XI al XIII secolo, Roma-Bari 1978, pp. 14, 36-37, 39, 82, 105, 121, 124-126, 149, 180, 182, 198, 297-298, 318; G. Schirò, Monreale capitale normanna, Palermo 1978, pp. 25-34; M. Bercher-A. Corteaux-J. Mouton, Une abbaye latine dans la société musulmane: Monreale au XIIe siècle, "Annales E.S.C.", 35, 1979, nr. 3, pp. 525-547; A.M. Grasso, Il tabulario di S. Maria la Nuova in Monreale, "Beni Culturali e Ambientali", 3, 1982, pp. 255-272; L.T. White jr, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Catania 1984 (1938), pp. 203-222; J. Johns, The Monreale Survey: Indigenes and Invaders in Medieval West Sicily, in Paper in Italian Archaeology, a cura di C. Melone-S. Stoddart, Oxford 1985, pp. 215-223; Id., Nota sugli insediamenti rupestri musulmani nel territorio di S. Maria di Monreale nel dodicesimo secolo, in La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee. Atti del sesto Convegno internazionale di studio sulla civiltà rupestre medievale nel Mezzogiorno d'Italia, Galatina 1986, pp. 227-234; F. Maurici, L'emirato sulle montagne. Note per una storia della resistenza musulmana in Sicilia nell'età di Federico II di Svevia, Palermo 1987; J. Johns, La Monreale Survey. Insediamento medievale in Sicilia occidentale: premesse, metodi, problemi e alcuni risultati preliminari, in Castrum 2, Structures de l'habitat et occupation du sol dans les pays méditerranéens: les méthodes et l'apport de l'archéologie extensive, a cura di G. Noyé, Roma-Madrid 1988, pp. 73-84; E. Pispisa, Il regno di Manfredi. Proposte di interpretazione, Messina 1991, pp. 68, 245, 263, 264; J. Johns, Monreale Survey. L'insediamento umano nell'Alto Belice dall'età paleolitica al 1250 d.C., in Giornate internazionali di studi sull'area Elinea, I, Pisa-Sibellina 1992, pp. 407-420; Id., Entella nelle fonti arabe, in Alla ricerca di Entella, a cura di G. Nenci, Pisa 1993, pp. 61-97; I. Mirazita, Trecento siciliano. Da Corleone a Palermo, Napoli 2003, pp. 12, 35, 166, 168 e passim. H. Bresc, Monreale, in Dizionario enciclopedico del Medioevo, a cura di C. Leonardi, II, Roma 1998, p. 1229.