MONTE D'ACCODDI
In Sardegna, circa 800 m a S del km 11,150 della strada statale Sassari-Porto Torres, è stato scoperto (giugno 1952) un grande edificio megalitico di tipo assolutamente singolare, di età neolitica, precedente, a quanto sembra, ad ogni costruzione nuragica (v. nuraghe). Gli scavi sistematici, ancora in corso (1962) hanno messo in luce una costruzione da interpretarsi come un probabile altare a terrazza, di forma tronco piramidale, con lati orientati, che presenta a S una rampa d'accesso a piano inclinato, che conduce alla parte superiore (un tempo piana) dell'altare stesso. La piramide tronca ha base trapezoidale (lati m 37,50; 30,50; 35,50; 30,50) e così anche la rampa (che è lunga m 41,50, larga a N m 13,50 e a S m 7).
La collinetta o mammellone artificiale, dell'altezza di circa m 8 e del diametro di circa m 50, posta al centro di un altopiano calcareo, era nota, anche agli archeologi, col nome di Monte d'Accoddi o La Corra, ed il Nissardi l'aveva inclusa fra i 275 nuraghi della Nurra. Essa racchiudeva le rovine di una costruzione lunga circa 75 m che occupa un'area di circa 16oo mq.
La muratura, che si conserva ancora per un'altezza massima di m 5,40 (e doveva superare di poco gli 8 m), è fatta di rozzi massi calcarei disposti senza nessun preciso e costante criterio. Tale muratura è costituita dalle sole pietre a vista e racchiude un enorme ammasso di terra e pietre di riporto, dove non mancano tracce culturali eneolitiche. Reperti della stessa età si ebbero sotto le stesse strutture murarie e continuano per buon tratto fra le tracce della vita che si svolse attorno al monumento: questo deve perciò appartenere anch'esso all'Eneolitico, abbastanza precisamente determinato in senso extra-insulare dalla ceramica recante la decorazione tipica del vaso campaniforme (frutto quindi di commerci occidentali), unita a tutti i reperti più tipici della Sardegna di questo periodo (Anghelu Ruju, S. Bartolomeo, S. Michele di Ozieri). Influenze orientali appaiono per gli idoletti ellittici a doppia tacca tratti da ciottoli fluviali, tipici dell'Anatolia (Troia II).
La vita intorno alla costruzione continuò senza interruzione nella successiva Età del Bronzo; ma si interruppe prima della età nuragica, considerato che le poche tracce nuragiche posano sulle rovine; ma la pur rozza struttura muraria è premessa di quella nuragica. Negli strati superiori la bella ceramica buccheroide dalle più svariate decorazioni (in prevalenza a segmento dentellato e bande tratteggiate) cede progressivamente il passo alle ceramiche rozze, raramente decorate, color marrone o nocciola o grigio-nero, gia iniziata nel periodo precedente. Alla Età del Bronzo deve appartenere la maggioranza dei resti di capanne, non rotonde come quelle nuragiche, ma con lati rettilinei ed angoli arrotondati (con l'eccezione per ora di due resti semicircolari), che, dopo la costruzione dell'edificio principale, si andarono disponendo vicino e intorno, ma mai addosso ad esso (ragioni sacrali?). Unica eccezione a questa probabile forma di rispetto dell'edificio sacro è costituita da una capanna che si appoggia al punto iniziale (cioè a S) della rampa, includendo tre probabili tombe, costituite da pareti di lastrine disposte a coltello. Lungo il fianco orientale di tutta la costruzione, oltre alle capanne son venuti in luce, negli otto strati scavati, molti resti di focolari e di pasti (specie Cardium edule). Inoltre due lastroni, uno dei quali è costituito da una grande lastra di calcare compatto, relativamente piana, di forma quadrilatera a spigoli arrotondati (del peso di circa 9 tonnellate), recante dei fori o "buche" circolari a ciascun angolo e nel mezzo di tre lati. Essa posa su tre grosse pietre come un dolmen, e copre un inghiottitoio naturale, imbutiforme che si apre nel calcare, che poteva aver relazione con qualche speciale rito di offerta. L'altro lastrone, di trachite, posante anch'esso su tre piedi, ha forma di pentagono irregolare e pesa circa 5 tonnellate.
I resti culturali fittili, litici e paleontologici sono di una varietà ed un'abbondanza che non ha confronti (sono stati distinti almeno 5000 pezzi); rarissimi invece i metalli (rame, piombo, galena; argento?). Per la prima volta in Sardegna si sono rinvenute anche le ceramiche dipinte, a ditate o pennellate rosse su fondo roseo, e le asce litiche a martello, nonché varie forme di pesi fittili da telaio (a rene, prismatici, ecc.).
Gli idoletti di tipo cicladico, pure ivi rinvenuti, i betili ed una grande pietra emisferica, disposti a poca distanza dall'edificio, così come i possibili confronti con ziqqurat primitive, sembrano indicare questo monumento come un altare per il culto della fecondità. Gli idoletti e il vaso campaniforme rendono accettabile una datazione alla metà del II millennio a. C.
Bibl.: G. Lilliu, in Studi Sardi, X-XI, 1950-51, pp. 95-96; E. Contu, in Bull. di Palet. I., N. S., VIII, 1953, pp. 174-175; G. Lilliu, in Annali della Fac. di Lett. dell'Univ. di Cagliari, XI, 1953, pp. 41-46; id., in Studi Sardi, XII-XIII, 1952-53, p. 131, nota 76; E. Contu, ibid., p. 21; id., in Riv. Di Scien. Preistor., VIII, 1953, pp. 199-202; id., in Fasti Arch., VII, 1954, p. 169, n. 2031; id., ibid., VIII, 1955, n. 2202; id., ibid., IX, 1956, n. 2919; G. Lilliu, in Bull. di Palet. I., LXVI, 1957, pp. 11, 39, 42-54, 59, 65, figg. 11-13, 19; E. Contu, in Riv. di Scien. Preistor., XIV, 1959, p. 75, 102, 110, 113, 118.