MONTE S. MAURO DI CALTAGIRONE (v. vol. VII, p. 273, s.v. Sicilia)
Nuove ricerche sistematiche sono state effettuate tra il 1970 e il 1986 nell'area dell'abitato greco di M. S. M. dopo le campagne condottevi nel primo ventennio del secolo da P. Orsi.
Necropoli. - Fra il 1970 e il 1973 sono state esplorate 166 tombe, databili nell'arco del VI sec. a.C., distribuite soprattutto nella fascia pianeggiante ai piedi del «colle 1-2», che ospitava sulla vetta il santuario arcaico cui appartengono le terrecotte architettoniche, relative ad almeno due fasi, raccolte da Orsi, e il lembo della stipe votiva indagata sempre da Orsi presso l'estremità SE.
Fra le sepolture prevale il tipo a enchythrismòs entro pìthoi e anfore importate, alle quali si affiancano altre rinvenute nella necropoli di Piano di Fiera e, in frammenti, nell'abitato (attiche, corinzie, laconiche c.d. ionico-marsigliesi, lesbie, samie e di altre fabbriche greco-orientali, puniche, etrusche), mentre la composizione e la qualità dei corredi, nei quali è numericamente rilevante il materiale d'importazione, rivela l'intensità degli apporti commerciali: fra l'altro pregevoli esemplari di ceramica figurata medioe tardocorinzia e di ceramica attica a figure nere, fra cui una lekàne con fregio zoomorfo degli inizî del VI sec. a.C.
Tra i rinvenimenti di ambito funerario si ricorda il corredo, ancora inedito, della tomba 164, databile nel terzo venticinquennio del VI sec. a.C., dove, insieme a ceramica tardo-corinzia, è presente un nutrito gruppo di ceramica e coroplastica di fabbrica greco-orientale composto, oltre che da un aryballos globulare in faïence decorato con baccellatura a rilievo e da una protome femminile (vicina al tipo Croissant Samos A 2), da numerosi balsaman plastici: due configurati a tre melagrane unite da un serpentello attorcigliato, uno a leone accovacciato, tre a sirena, tre a divinità femminile stante e un ultimo in faïence azzurro-verdina a testa elmata bifronte.
In una tomba della stessa necropoli era inoltre riutilizzato il kalyptèr hegemòn con disco acroteriale dipinto, databile al secondo quarto del VI sec. a.C., che originariamente poteva far parte proprio della copertura di un edificio della soprastante area sacra.
A un orizzonte simile appartengono le 22 tombe messe in luce nel 1976 in vetta al settore NO del «colle 4» (il c.d. Piano di Fiera) sul cui versante meridionale Orsi aveva già esplorato numerose sepolture, in diversi casi di più modesto livello qualitativo.
Il c.d. anàktoron e l'edificio absidato. - P. Orsi propose di riconoscere nell'edificio bipartito da lui messo in luce sulla vetta del «colle 3» (quello centrale dei cinque su cui si dispone l'anonimo centro), il c.d. anàktoron di un preesistente centro indigeno (IX-VIII sec. a.C.), riutilizzato poi in età greca. Negli studi successivi è prevalsa però l'identificazione con un sacello arcaico, vicino soprattutto a tipologie planimetriche di ambiente gelese.
Nel 1983 se ne è effettuata la rimessa in luce, senza acquisire nuovi elementi significativi per una più precisa determinazione delle fasi cronologiche e della funzione; immediatamente a O è stato però scoperto un altro edificio bipartito, che nel vano occidentale serbava in gran numero attrezzature domestiche (fuseruole, macinette in pietra lavica, resti di un focolare, ecc.) e suppellettili ceramiche (grandi contenitori di derrate e vasellame da trasporto e da mensa) rinvenute in frammenti a livello del piano di calpestio e su una banchina interna.
Questo materiale riconduce alla seconda metà del VII sec. a.C.: insieme ad alcune grandi anfore d'importazione (un'anfora SOS di fabbrica attica, un esemplare di fabbrica greco-orientale e un altro forse euboico) si segnala un abbondante complesso di ceramiche, in massima parte di tradizione indigena, con decorazione geometrica dipinta o, più raramente, incisa (anfore, oinochòai, bacili triansati, una grande coppa-scodellone) che, per caratteri di forma e decorazione, può accostarsi all'orizzonte del II strato della necropoli di Piano di Fiera di Butera e collocarsi quindi cronologicamente soprattutto nell'ambito del terzo venticinquennio del VII sec. a.C.
Questi dati cronologici potrebbero suggerire l'appartenenza dell'edifìcio alla fase finale del preesistente abitato indigeno: un esteso strato di bruciato evidenziato all'interno potrebbe infatti denotare una distruzione a causa di un evento bellico, quale la conquista violenta del centro indigeno da parte dell'elemento greco.
Il ricorso a una pianta allungata e internamente bipartita caratterizza anche l'edificio absidato (orientato E-O con i lati brevi di m 11,80 x 4,60) messo in luce sul versante meridionale del «colle 3» (a S delle case 3 e 4) il cui elevato doveva essere in mattone crudo o in pisé·, databile fra la fine del VII e la prima metà del VI sec. a.C., si pone fra gli esempi più recenti di questa tipologia architettonica. Ancora inediti i risultati delle ricerche condotte presso Γ«anàktoron» successivamente al 1987 dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Catania.
Le case. - Le quattro case scoperte sulle pendici meridionali del «colle 3» costituiscono ormai, con quelle di Megara Hyblaea e Monte Casale, uno dei capisaldi per lo studio dell'architettura domestica nella Sicilia greca.
Il loro primo impianto andrebbe ancora collocato nella prima metà del VI sec. a.C., mentre i materiali ceramici relativi all'ultima fase abitativa si riferiscono soprattutto a un periodo compreso fra l'ultimo quarto del VI e i primissimi anni del V sec. a.C., a convalida della distruzione del centro come conseguenza diretta della marcia di conquista di Ippocrate, probabilmente dopo l'assedio di Lentini. Sono disposte sul declivio collinare secondo un criterio che denota lo sfruttamento degli originari caratteri geomorfologici del sito anche nel rapporto con le aree libere e gli spazî di transito, fra i quali, in particolare, un probabile tratto di strada in direzione N-S, fra la casa 1 e la casa 4, di andamento irregolare e di ampiezza variabile (largh. massima c.a 10,50 m a S). L'elevato era interamente in filari di blocchetti appena sbozzati e schegge di pietra locale connessi con fango, la copertura in kalyptères e solènes fittili del tipo «alla siciliana», mentre l'assetto planimetrico era in tutte caratterizzato, nel nucleo principale, dalla presenza di un vano d'ingresso rettangolare volto a meridione su cui si affacciano, a N, due (o tre, nella sola casa 4) stanze adiacenti; lo spessore dei crolli delle strutture murarie porterebbe a non escludere la presenza di sopraelevazioni. Questo schema planimetrico non trova, al momento, molti confronti con quanto si conosce dell'edilizia privata arcaica in ambiente siceliota, tranne poche eccezioni. Oltre all'unica casa scavata per intero da P. Orsi a M. S. M. nel declivio fra il «colle 5» e il «colle 1-2», dove però il vano d'ingresso, più ampio e quadrangolare, sembra costituire un vero e proprio cortile, si segnala in particolare la c.d. casa 23,5 (o edificio con altra destinazione?) nel quartiere dell'agorà a Megara Hyblaea, della prima metà del VII sec. a.C. e un'altra coeva di Naxos (v.), messa di recente in luce nel quartiere orientale, dove il vano rettangolare su cui si affacciano tre stanze adiacenti è però una sorta di corridoio comunicante a sua volta con un ampio cortile. Al contrario, impianti simili a quelli delle case di M. S. M. risultano ampiamente attestati nell'edilizia privata (e in alcuni casi pubblica e cultuale) della Grecia propria, dal periodo tardo-geometrico alla piena età classica, su vasto raggio geografico (Corinto, Eleusi, Egina, Olimpia, Eretria, Olunte, Thasos, ecc.).
Lo sviluppo di un modulo planimetrico non dissimile contraddistingue anche l'impianto centrale del complesso messo parzialmente in luce a SE dell'edificio absidato, la c.d. casa 5, dove le stanze quadrangolari affacciate sul vano d'ingresso sono addirittura quattro. Diversi elementi fanno però presumere che debba trattarsi di un edificio dalla destinazione particolare legata anche a fini cultuali o celebrativi (o un edificio pubblico come l’«hestiatòrion» di Megara Hyblaea?): soprattutto la presenza presso l'angolo esterno orientale del vano d'ingresso, in prossimità di due gradini d'accesso a un ambiente il cui piano di calpestio era a un livello leggermente superiore, di un pilastro in calcare, impostato su una base quadrangolare, sul quale poggiava un capitello ionizzante dalla resa piuttosto stilizzata.
L'interno delle case ha restituito una ricchissima documentazione di cultura materiale e di arredi domestici (varie suppellettili ceramiche come loutèria e tràpezai, vasche da bagno fittili, vasellame vario, utensili metallici, grandi contenitori di derrate fra cui alcuni pìthoi ancora colmi di sementi (in particolare quelli del «magazzino» annesso alla casa 4, un fornetto domestico in un vano annesso alla casa 3, ecc.), né mancano oggetti di particolare pregio come il complesso di arnie figurate a rilievo e dipinte dalla casa eponima (o casa 2) e un grande cratere attico a figure nere con cornasti dalla casa 3.
Riguardo l'identificazione dell'anonimo centro greco è in ogni caso da escludere quella proposta dal Rizzo con Galaria, ancora fiorente nel pieno IV sec. a.C., mentre a M. S. M., disabitata da oltre centocinquant'anni, si registra una circoscritta e breve ripresa abitativa (riscontrata in particolare nella casa 1 e nella c.d. casa 5) solo nella seconda metà avanzata dello stesso secolo, in probabile concomitanza col ripopolamento delle campagne di età timoleontea.
La nascita del centro greco, sulla base dei materiali più antichi raccolti nel magazzino presso «anàktoron» e in due piccoli bòthroi nell'area dell'abitato sulle pendici del «colle 3», dovrebbe porsi nell'ambito della seconda metà del VII sec. a.C. Nonostante la recente proposta di E. Procelli, che ritiene l'abitato di M. S. M. l'estrema tappa sud-occidentale dell'espansione calcidese, ormai al confine col territorio di Gela, non si ravvisano però ancora prove inoppugnabili, sul piano delle evidenze archeologiche e dei dati storici sin qui posseduti, contro l'ipotesi di una fondazione gelese, anche se debbono rimarcarsi i caratteri di autonomo centro commerciale di confine.
Successivamente alla conquista di Lentini da parte di Ippocrate (Herodot., VII, 54, 2), quando pressoché l'intero comprensorio calcidese era ormai caduto nella sfera di potere del tiranno gelese, la presenza di un centro come M. S. M., in una posizione quasi di trait d'union fra due grandi ambiti coloniali (appunto quello gelese e quello calcidese) e, per di più, con una configurazione di spiccata autonomia, veniva ormai a costituire un controsenso. In questa mutata situazione politica dovrebbe quindi ravvisarsi una delle cause determinanti della sua distruzione.
Andrà peraltro approfondita, nella sua reale portata, anche l'entità della componente calcidese, cui è legata l'eccezionale, e sinora unica, testimonianza dei frammenti di laminette bronzee con leggi inscritte (appunto in alfabeto calcidese) raccolte da P. Orsi presso l'«anàktoron».
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