Montefeltro
Il territorio posto intra Orbino / e 'l giogo di che Tever si diserra (If XXVII 29-30).
All'inizio del '200 la regione appare in gran parte controllata dai conti di M., ramo dei conti di Carpegna, che, sempre sostenitori della causa imperiale, ottengono da Federico II il titolo di conti di Urbino e del suo distretto (1226). Per mezzo di stretti legami di parentela con le principali famiglie romagnole, durante tutto il secolo essi tentano di estendere la loro signoria alla valle padana, onde controllare gli sbocchi delle vallate appenniniche: è questo il grande disegno di Guido da M., che per circa un trentennio (1268-1296) domina la scena politica della Romagna. Fallito il piano di Guido per la resistenza opposta dai guelfi romagnoli appoggiati dal papa e dagli Angioini, suo figlio Federico sposta la sua attenzione sulla Marca e sull'Umbria, ottenendo buoni successi, a prezzo però di gravi sacrifici finanziari imposti ai sudditi. È questo uno dei principali motivi che condussero al rapido declino della potenza di Federico: banditagli contro una crociata da Giovanni XXII dietro la consueta accusa di eresia, fu travolto e ucciso da una sommossa popolare a Urbino (1322). Il successore Nolfo, rinunciando ai sogni espansionistici e limitandosi a recuperare i possedimenti dinastici che erano passati alla Chiesa, intuirà quale ottimo serbatoio di soldati potessero costituire quelle povere terre di montagna: e da quel momento fino al '500 inoltrato le truppe feltresche saranno tra le milizie mercenarie più richieste.
L'unica menzione di una località del M. - a parte quella ricordata e i riferimenti ai suoi conti: Guido, Galasso, Bonconte e Federico (per i quali si veda alle singole voci) - ricorre in Pg IV 25-27 vassi in Sanleo... / con esso i piè. Basandosi probabilmente su quei versi, per primo il Boccaccio sostenne la presenza di D. presso " quelli della Faggiuola ne' monti vicini ad Orbino "; suggestionato certamente da quest'affermazione fu il Troya, quando identificava il veltro con Uguccione della Faggiuola, nel cui castello faceva soggiornare D. nel 1305; ma occorre dire che questo soggiorno, sul quale è tornato a insistere il Natalucci, non appare sufficientemente provato né dal ricordo della rupe di San Leo né dalla frequente comparsa dei conti di M. nell'opera dantesca.
Sembra che la conoscenza di D. non abbia tardato a diffondersi nel M.: alla biblioteca Vaticana, tra i codici provenienti da Urbino, ne esistono quattro della Commedia (Urb. lat. 365, 366, 367, 378) e uno del Convivio con alcune canzoni (Urb. lat. 686), tutti dei secoli XIV-XV; ma tale conoscenza non fu accompagnata, per quel che risulta, da vero e proprio culto: l'unico cultore di D. degno di menzione, il sanmarinese Giovanni Bertoldi da Serravalle (morto nel 1445), commentatore e traduttore in latino della Commedia, si formò culturalmente e compì la sua opera fuori dal Montefeltro. Per l'eventuale identificazione del feltro di If I 105 col M. si veda sub voce.
Bibl. - M. Battagli, Marcha, a c. di F. Massera, in Rer. Ital. Script.² XVI 3, Città di Castello 1912-13; P. Cantinelli, Chronicon, a c. di F. Torraca, ibid. XXVIII 2; C. Troya, Del veltro allegorico di D., a c. di C. Panigada, Bari 1932, 48-49; L. Dominici, Il M. e i suoi tiranni nella D.C., Lanciano 1926; ID., Storia generale montefeltrana, ibid. 1931; G. Borgelli-Ottaviani, Fra' Giovanni de' Bertoldi da Serravalle, in " Studia Picena " VII (1931) 97-107; G. Franceschini, La signoria dei conti di M. a Cesena (1275-1301), in " Studi Romagnoli " V (1954) 279-327; M. Rossi, I M. nel periodo feudale della loro signoria (1181-1375), Urbania 1957, 21-111; M. Natalucci, D. e le Marche, Bologna 1967, 14-17.