MONTEGROTTO
Cittadina in provincia di Padova, situata tra il canale Battaglia e le propaggini orientali dei Colli Euganei, centro principale assieme ad Abano della zona termale euganea. È ricordata nella tradizione letteraria antica in rievocazioni poetiche delle sorgenti e della terra del dio Aponus (da cui il toponimo Abano), connesso anche con l'antenorea Patavium o con le genti venete (Mart., I, 61,3; Sil., XII, 218; Anth. Lat., 36; Claud., Carm. min., 26; Cassiod., Var., Il, 39; Ennod., Epist., v, 7). Plinio attesta la dipendenza della zona termale da Patavium, definendola Patavinorum aquae e Patavini fontes (Nat. hist., II, 103, 227; XXXI, 32,61), mentre Svetonio (Tib., 14, 3) colloca nei pressi di Padova la sede oracolare di Gerione (non altrimenti attestata), dove Tiberio si reca prima della spedizione nell'Illirico, forse nel 12 a.C., e ne riceve il responso di gettare astragali d'oro nel fonte di Aponus. A partire dall'VIII sec. a.C. e fino alla prima metà del III sec. a.C., un santuario lacustre, situato tra i colli Montagnone e Castello (Via Castello, a M.), fu frequentato prevalentemente da genti patavine, come risulta dalla tipologia degli ex voto in bronzo e dalle migliaia di vasetti fittili miniaturistici.
Probabilmente a partire dalla seconda metà del II sec. a.C., dopo l'assegnazione proconsolare romana della zona termale euganea a Patavium, a risoluzione di una controversia confinaria con Ateste (restano tre cippi confinari, trovati in situ rispettivamente a Teolo, sul Monte Venda, a Galzignano: CIL, I2, 633, 634, 2501), cominciò lo sfruttamento, more romano, delle sorgenti termali. Dei numerosi impianti che erano dislocati nell'area, in diretta connessione con l'ubicazione e la portata delle singole sorgenti, è visibile attualmente soltanto quello in Viale Stazione, a Montegrotto. Esso consta di due grandi vasche rettangolari e una circolare, collegate a un complesso sistema di circolazione delle acque termali. Le vasche erano circondate da larghe banchine con esedre o porticato e si scendeva nell'invaso mediante un gradone e scalette. Il complesso limitrofo (D) sembra predisposto per la collocazione di labra, adatti a bagni individuali e abluzioni. Resti di rivestimenti marmorei, pavimentazioni musive, statue, decorazione architettonica documentano l'originaria ricchezza decorativa del complesso, il cui sviluppo planimetrico era senza dubbio maggiore di quanto non risulti attualmente. Contiguo è un piccolo teatro, scoperto nel 1965, con cavea di 28 m di diametro, suddivisa in undici file di sedili e in due cunei da tre scalette divisorie (oggi non più visibili), e sorretta da una sostruzione compatta in opera cementizia, con rivestimento in mattoni. Il fondale scenico aveva prospetto architettonico rettilineo, con tre porte intervallate da nicchie rettangolari e semicircolari; dietro si riconoscono i muri perimetrali dell'ampio edificio scenico, collegato anche con vani laterali, da interpretare forse come basilicae o «foyers» per il pubblico. L'accesso al teatro avveniva attraverso i due aditus aperti tra la cavea e l'edificio scenico, dei quali restano frammenti della ricca decorazione in stucco dipinto delle pareti e delle volte. Sul limite del proscenio stanno cinque pozzetti, con rivestimento interno in piombo, destinati a contenere le antenne dell’auleum. La fila retrostante di pilastrini sorreggeva l'impalcato ligneo del palcoscenico. Tangenti e in asse con la cavea restano le sostruzioni di un grande ambiente rettangolare (affiancato da due vani minori), nel quale si potrebbe riconoscere un tempietto in summa cavea, oppure un palco d'onore (pulvinar), come in taluni teatri inseriti in ville imperiali romane. Il teatro, probabilmente di età augustea, fu modificato profondamente in una fase successiva, con sopraelevazione del piano orchestrale, chiusura di porte e nicchie del fondale scenico, chiusura dei passaggi tra l'edificio scenico e i «foyers»; si è supposto che la ristrutturazione sia stata fatta per l'introduzione di spettacoli in acqua, ma dalla revisione dei dati archeologici potrebbero emergere altre soluzioni.
Sono attestati, epigrafica-i mente o da rinvenimenti! statuari, i culti di Apono, Apollo, Arpocrate, Esculapio e sono stati rinvenuti oggetti votivi (grandi tazze monoansate in argilla «cinerognola», rhytà fittili invetriati, pocula di tipo «Aco» e a vernice rossa a firma Clemens) in due stipi aponensi rispettivamente della tarda fase paleoveneta e di età augustea. Da uno scavo settecentesco a M. proviene la statua virile appoggiata a pilastrino con brocca sulla sommità, oggi nel Museo Archeologico di Venezia, e variamente interpretata come versione mascolinizzata dell'iconografia delle Ninfe, o come statua-ritratto, o come immagine del dio Aponus; è datata alla seconda metà del II sec. d.C.
La fama delle Patavinae aquae durò fino alla tarda antichità: nell'incipiente VI sec. d.C. Cassiodoro (loc. cit.) ne sollecita il restauro e descrive il procedimento delle cure termali, che andavano dal bagno di vapore, in cui era sfruttata integralmente la temperatura naturale delle sorgenti, a bagni via via sempre meno caldi, con un sistema di adduzione delle acque predisposto per graduarne la temperatura.
Bibl.: A. Stenico, Ceramica, m Arte e civiltà romana nell'Italia settentrionale, II, Bologna 1965, pp. 322-330; M. L. Rinaldi, Il teatro romano di Montegrotto, in Archeologia, V, 4, 1966, pp. 113-117; M. De Min, Stipe di San Pietro Montagnon, in Padova preromana, Padova 1976, pp. 197-206; M. G. Maioli, Un nuovo deposito rituale da Abano Terme, in A Ven, I, 1978, pp. 79-86; L. Lazzaro, Fons Aponi. Abano e Montegrotto nell'antichità, Abano Terme 1981, con ampia bibl. prec. e raccolta delle fonti epigrafiche e letterarie; H. W. Dämmer (ed.), San Pietro Montagnon (Montegrotto). Ein vorgeschichtliches Seeheiligtum in Venetien, Magonza 1986, passim·, L. Lazzaro, Fons Aponi: testimonianze letterarie antiche, ibid., pp. 111-132; M. Donderer, Chronologie der römischen Mosaiken in Venetien und Istrien bis zur Zeit der Antonine, Berlino 1986, pp. 162-163; G. Tosi, Padova e la zona termale euganea, in II Veneto nell'età romana, II, Verona 1987, pp. 180-191.