MONTERINALDO
Piccolo centro dell'interno della provincia di Ascoli Piceno sulla sinistra dell'Aso.
Sulle pendici sud-orientali del colle sul quale sorge il paese attuale, verso il fiume, in contrada La Cuma, in seguito ad una serie di campagne di scavo iniziate nel 1958 da parte della Soprintendenza alle Antichità delle Marche e tuttora in corso, si sono rimessi in luce avanzi monumentali riferibili ad un santuario romano di età repubblicana.
Del tempio tripartito, con vano centrale più largo, ed orientato N-S con fronte a mezzogiorno, la cui rimessa in luce non è peraltro ultimata, rimangono solo le sostruzioni e parte del podio, originariamente rivestito di blocchi di tufo. Conglobati nelle murature del tempio si sono trovati, inseritivi con ogni verosimiglianza per motivi sacri, innumeri frammenti fittili ad alto rilievo pertinenti alla decorazione frontonale di un precedente tempio distrutto. Tra questi, eccellono per l'alta qualità artistica alcune teste maschili e femminili, conservanti in gran parte l'originaria policromia e modellate con consumata abilità plastica secondo schemi dell'arte ellenistica (III-II sec. a. C.).
Il tempio era racchiuso in un tèmenos delimitato da un muro a blocchi di tufo in opera quadrata di cui si conservano più filari dell'elevato nell'angolo N-O, mentre del lato orientale, a valle, è rimasta solo la testimonianza della fondazione. Addossato alla parete di fondo si apriva sullo spiazzo retrostante il tempio un portico, del tipo delle stoài ellenistiche, originariamente lungo m 66, costituito da due file di colonne, ioniche al centro e doriche all'esterno, delle quali è stato possibile rialzare con assoluta certezza su un fronte di m 40 quattro colonne ioniche (alte, compreso il capitello, m 6,80) e sette doriche (alte m 4,75) tutte tufacee, i cui rocchi furono rinvenuti nella posizione del crollo, l'uno accanto all'altro.
Nell'interno del portico, all'estremità O, si nota, poi, un ambiente largo m 9 e profondo circa m 6, creato in un secondo momento, di cui non è stata ancora accertata la destinazione, che presenta sulla fronte ad E tre colonne ioniche tufacee, anch'esse rialzate, tra due paraste.
Resti di costruzione rettangolare in muratura per probabili servizi attinenti al culto si sono rimessi in luce a sinistra del tempio, parallelamente ad esso.
Sparsi nell'area tra il portico ed il tempio sono stati, inoltre, rinvenuti in notevole copia frammenti di coppi, di tegole, di antefisse per lo più con la figura dell'Artemide persica, di lastre fittili di rivestimento di vario tipo, di cui alcune con decorazione ad alto rilievo, di sime frontonali e di rocchi di colonne di ordine tuscanico riferibili nell'insieme al II-I sec. a. C.
La continuità di vita nell'area del santuario, che appare crollato nell'antichità in seguito a movimento franoso, e forse anche tellurico, è poi attestata da abitazioni di fortuna costruite a secco con materiali laterizi del santuario stesso.
Lo scavo non ha ancora accertato a chi fosse dedicato il tempio, né se avesse cella ad alae o triplice. Non sappiamo quindi neppure se si debba considerare il complesso monumentale come isolato o non piuttosto collegato con qualche antico sconosciuto centro, come Novana, la cui esatta ubicazione resta tuttora incerta. La città, menzionata da Plinio, viene oggi collocata in genere nel territorio dell'attuale Montedinove, sulla riva destra dell'Aso, più per l'assonanza del nome che per il dato archeologico, invero del tutto assente, mentre nella contrada La Cuma sono state accertate testimonianze di vita romana in varî punti e su una vasta superficie.
Bibl.: G. Annibaldi, in Fasti Arch., XIII, 1958, n. 2345; XV, 1963, n. 2550; id., in Restauri d'Arte in Italia, Roma, Palazzo Venezia 1965, p. 98; id., Architettura dell'Antichità delle Marche, in Atti dell'XI Congresso di storia dell'Architettura, Roma 1965, p. 24.