MONTESQUIEU, Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di
Nacque nel castello di La Brède il 18 gennaio 1689 da famiglia discendente da protestanti convertiti; morì a Parigi il 10 febbraio 1755. Rimasto orfano di madre, fu posto nel collegio degli oratoriani di Juilly presso Meaux e vi rimase dal 1700 al 1711. Destinato per tradizione di famiglia alla magistratura, fu avviato dal padre agli studî legali e nel 1714 entrava in magistratura in qualid di consigliere laico al parlamento di Bordeaux. Nel 1715 sposava col rito cattolico Giovanna di Lartigues di ricca famiglia calvinista, da cui ebbe l'anno seguente un figlio. Quasi contemporaneamente, nel 1716, alla morte di suo zio, che gli aveva fatto da tutore, barone di Montesquieu, ereditava da lui, insieme col titolo, il ricco patrimonio e la carica di presidente a vita del parlamento di Bordeaux. Esercitò l'ufficio di magistrato con dignità, con intelligenza, con equità. Nel 1716 divenne membro dell'Accademia scientifico-letteraria di Bordeaux e vi coprì la carica di presidente. Scrisse per l'Accademia su argomenti assai varî anche scientifici. Ricordiamo il titolo di alcuni: Sur le système des idées (1716), Sur la différence des gémes, Sur la politique des Romains dans la religion (1717), Recherche de l'essence des maladies en général (1717), Sur la cause de l'écho (1718), Sur la transparence des corps (1720), Sur la pesanteur des corps (1720), ecc. Questi studî, sebbene di scarso valore intrinseco, non furono senza influenza sulla sua formazione intellettuale: si è rilevato infatti, che le principali definizioni dell'Esprit des lois non sono di un giureconsulto, né di un metafisico, ma di un geometra e di un naturalista.
Nel 1721 si pubblicavano anonime in due volumi presso Marteau a Colonia le Lettres persanes. Da molti anni il M. vi attendeva nelle ore di ozio che gli lasciavano le cure d'ufficio. Vi troviamo la satira assai trasparente della frivola società francese di quell'epoca. Due, Persiani viaggiano in Europa e scrivono le loro impressioni sui costumi, i caratteri, le istituzioni soprattutto francesi ad amici rimasti in Asia, che a loro volta li informano sulle cose di Persia. Dopo le quattro edizioni del 1721 il libro non fu più ripubblicato in Francia, per ordine del cardinale Dubois, primo ministro di Francia dal 1722. Oramai la fama del M. era assicurata.
Venuto a Parigi, il M. entrò nei circoli dell'Hôtel de Soubise, del presidente Hénault, dove convenivano gli spiriti liberi del mondo diplomatico, letterario, filosofico e dove l'elemento inglese predominava. In occasione della sua entrata nell'Hôtel del Hénault scrisse il Dialogue de Sylla et d'Eucrate (1722). Frequentò anche la società di Mademoiselle de Clermont, per la quale scrisse il Temple de Gnide. Vi si celebra l'amore dei campi in contrasto con l'amore della città e vi si dimostra che la felicità deriva dai sentimenti del cuore e non dai piaceri dei sensi. Il M. lo pubblicò a Parigi sotto lo pseudonimo di un vescovo greco nel marzo 1725.
Ritornato a Bordeaux, fu eletto presidente del parlamento e in questa occasione scrisse due saggi: Traité général des devoirs de l'homme; Discours sur la différence entre la considération et la réputation (1725). Nominato all'Académie française, vi faceva la solenne entrata il 24 gennaio 1728. Ritiratosi dalla magistratura, iniziava in quell'anno stesso i suoi viaggi in Europa. Il 10 maggio era a Vienna; il 16 agosto a Venezia; nel settembre a Roma, dove rimase quattro mesi, facendovi conoscenza col pastore protestante Jacob Vernet, l'editore dell'Esprit. Passò nel novembre 1729 in Inghilterra; e quel soggiorno, durato diciotto mesi, ebbe un'influenza decisiva nella storia del pensiero del M. Prima d'iniziare i suoi viaggi egli aveva pressoché ultimato i primi dieci libri dell'Esprit, senza alcuna preoccupazione del pensiero filosofico e politico inglese, verso il quale il suo atteggiamento era piuttosto di diffidenza e di riserva, come si può vedere nelle sue Notes sur l'Angleterre.
Ma durante la dimora in Inghilterra il M. si ricredette: più ancora che allo studio e all'influenza, incerta e discussa, del Locke e del pensiero filosofico-politico inglese, tale conversione si deve attribuire alla conoscenza diretta del popolo e della costituzione inglese, alla corrispondenza dello spirito di essa con le sue proprie tendenze e predilezioni politiche. Dall'Inghilterra il futuro autore dell'Esprit portò con sé la conoscenza del regime aristocratico, il rispetto per il potere monarchico, la venerazione per la religione stabilita, il culto per la libertà politica.
Ritornato nella quiete di La Brède, il M., seguendo i gusti dell'epoca, si applicò agli studî storici. L'amore per la storia romana, risvegliato in lui in occasione del suo viaggio a Roma, si tradusse nelle Considérations sur les causes de la grandeur et de la décadence des Romains. Il libro, diviso in ventitré capitoli, abbraccia tutta la storia di Roma, dalle origini fino alla dissoluzione dell'impero. Egli trova le cause della grandezza dei Romani nell'amore della libertà, del lavoro, della patria, nella disciplina militare, nelle lotte interne di classe che si arrestavano in vista del nemico, nella fiducia nel proprio destino, nella pace con giustizia, nel rispetto ai sentimenti e ai costumi dei popoli vinti. Ravvisa poi le cause della loro decadenza nell'ingrandimento dello stato, nelle guerre civili, nelle guerre lontane, nell'estensione della cittadinanza, nelle proscrizioni di Silla, nella divisione dell'impero.
Non mancano in quest'opera le allusioni all'Europa e alla Francia. Corretta dal padre gesuita Castel, fu stampata ad Amsterdam nel 1734 in un volume.
Negli anni che seguirono condusse a termine l'Esprit des lois. Iniziato verso il 1724, nel 1728 erano pressoché ultimati i primi dieci libri. Ripreso nel 1734 e con ardore e assiduità nel 1743, era compiuto nel giugno 1747. Comparve a Ginevra nel novembre 1748 presso Barillot, in due volumi, con l'assistenza del Vernet.
L'Esprit consta di trentun libri, divisi in un numero variabile di capitoli, spesso assai brevi. Non fu intendimento del M. di costruire un sistema di legislazione da applicarsi in una società ideale, ma di stabilire in che modo si deve regolare civilmente e politicamente l'uomo, nella costanza e varietà della sua natura, per essere massimamente felice e compiere il meglio possibile il suo compito. Nel primo libro sono indicati i principî filosofici da cui il M. muove e che sono impliciti in tutta l'opera. Da un lato il M. vi afferma il principio che le leggi devono essere conformi alla natura delle cose e non devono essere arbitrarie, ma adeguarsi ai fatti che devono regolare; dall'altro lato è illustrato il principio che se elementi assoluti esistono nelle leggi, vi sono in esse tali elementi di varietà e di diversità, da impedire che il sistema legislativo di una nazione, anche se ottimo, possa convenire a un'altra nazione. Era la rottura completa con i teorici dell'utopia e del radicalismo. La vita sociale è per l'uomo il compimento di una legge naturale. Una triplice dottrina costituisce il contenuto essenziale dell'Esprit: a) la dottrina delle leggi in generale; b) la dottrina dei governi; c) la dottrina della libertà politica e della separazione dei poteri.
Contro il contrattualismo imperante che faceva delle leggi l'opera della ragione e della volontà astratta, il M. afferma risolutamente che le istituzioni civili e politiche sono sottoposte a leggi naturali invariabili al pari di tutti gli altri fenomeni. I libri dell'Esprit in cui stabilisce i rapporti tra le leggi e il clima (libri XIV-XVII) hanno oramai un valore storico e interessano soprattutto per le polemiche e le accuse di spinozismo e materialismo sollevate contro il M. La regolarità del mondo sociale, come quella del mondo fisico, non era allora incompatibile con la fede nella provvidenza e nella creazione. D'altra parte l'influenza dei fattori naturali sulle leggi non è esclusiva, ma si accompagna con l'azione di cause morali. Di queste il M. mette soprattutto in rilievo la religione, senza cui nessuna società si può considerare stabile (libri XXIV-XXV). Esplicitamente riconosce l'alto valore del cristianesimo ai fini della conservazione sociale e politica. Precorrendo il Comte, egli considera la separazione del potere civile e religioso necessaria al progresso umano, ed è fautore di una tolleranza religiosa moderata. Dopo avere rilevato gli stretti legami tra i costumi d'un popolo e certi fenomeni come la guerra, il lusso, le leggi dispotiche, le libertà individuali, il M. tratta con particolare insistenza delle relazioni delle leggi con "l'esprit général d'une nation" (lib. VIII; XIX). "Più cose (egli dice) governano gli uomini: il clima, la religione, le leggi, le massime del governo, gli esempî delle cose passate, i costumi, le maniere: donde si forma uno spirito generale che ne è il risultato. Quando in qualsiasi nazione una di queste cause agisce con più forza, le altre, proporzionatamente, cedono di fronte ad essa". "L'esprit général d'une nation" è un prodotto storico, ma risultante da un complesso di fattori naturali e morali che costituiscono il fondo comune e costante della vita d'un popolo e di uno stato e da cui si generano modi comuni e costanti di sentire, di pensare, di operare. Perciò il M. (come già il Machiavelli, di cui fa l'elogio nel lib. VI, 5), consiglia di rifarsi periodicamente ai principi informatori dello stato per destarne le energie originarie e arrestarne la decadenza.
Per aprirsi la via a considerare le leggi in rapporto ai governi, il M. studia di questi la natura e il principio costitutivo (lib. II e III). Distingue tre specie di governi: il repubblicano, il monarchico, il dispotico. Il governo repubblicano è democratico o aristocratico, secondoché il potere sovrano risiede nel popolo, o in quella parte di esso che si distingue per censo, capacità, merito. Monarchico è il governo in cui uno solo governa, ma secondo leggi fisse e stabilite. Nel governo dispotico uno solo governa, ma senza leggi e senza freno. A ciascun governo corrispondono leggi proprie. Le leggi che stabiliscono il diritto di voto sono fondamentali nel governo democratico. Temperare il principio democratico con quello aristocratico è utile in una repubblica. L'esistenza di poteri intermediarî subordinati è una necessità delle monarchie e il potere intermediario più naturale è quello della nobiltà. Il governo dispotico si regge per la capacità e l'abilità di un uomo. Mentre la natura del governo è ciò che lo fa essere tale, il suo principio è ciò che lo fa agire. Nello stato popolare la virtù, nel senso antico della parola, è il principio fondamentale; nello stato monarchico, l'onore, cioè la considerazione personale e sociale, sostituisce la virtù; il timore è il principio del governo dispotico. Per la stabilità dello stato è necessario che le leggi dell'educazione (lib. IV) e in generale tutte le leggi s'informino al principio del governo (lib. V). Perciò nei diversi governi, in ragione del principio diverso che li anima, variano le leggi civili e criminali, la forma dei giudizî, lo stabilimento delle pene (lib. VI).
Al problema della libertà politica e dei mezzi più atti a garantirla rivolse la sua attenzione il M., dopo averlo studiato nella costizione inglese, "qui a pour objet direct la liberté politique". Egli distingue la libertà politica dall'indipendenza nazionale, che è libertà del popolo di fronte allo straniero, e dalla libertà civile che è, in seno al popolo, la libertà delle persone e quella dei beni. Egli definisce la libertà politica "il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono...". "La liberté ne peut consister qu'à pouvoir faire ce que l'on doit vouloir et à n'être point contraint à faire ce que l'on ne doit pas vouloir". La democrazia e l'aristocrazia non sono per loro natura stati liberi. La libertà politica è solo possibile negli stati moderati: ma poiché anche in questi è possibile l'abuso di potere, così è necessario creare una tale disposizione di cose per cui "le pouvoir arrcte le pouvoir". Di qui la teoria della separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario. Per valutare l'originalità del M. su questo punto si deve ricordare che il Locke attribuiva al potere legislativo il compito passivo di determinare il diritto naturale, che accanto al potere esecutivo egli poneva un potere federativo per i rapporti dei cittadini coi membri estranei alla società civile, che ignorava il potere giudiziario come potere autonomo, che invocava a garanzia della libertà politica il diritto di resistenza e di rivoluzione. Il M. opponeva al dogma della sovranità una e indivisibile, che da Bodin in poi gli assolutisti avevano proclamato, il dogma della pluralità dei poteri sovrani, distinti non solo per la funzione esercitata, ma anche per gli organi che la compiono. L'equilibrio dei quali deve avere luogo automaticamente e non per il buon volere dei legislatori e dei governati. La teorica dei tre poteri sovrani e della loro separazione divenne il carattere differenziale dei governi costituzionali. La libertà politica considerata nei suoi rapporti non con la costituzione, ma col cittadino, consiste nella sicurezza o nell'opinione che egli ha della sua sicurezza. La costituzione può essere libera e il cittadino non esserlo e viceversa. Dalla bontà delle leggi criminali dipende principalmente per M. la libertà del cittadino. Dopo avere fatto la teoria dei principî che devono presiedere alla legislazione politica e civile di tutti i governi, quale che sia la loro forma, il M. fa appello alla storia delle diverse legislazioni del Medioevo, per spiegare certe particolarità delle legislazioni moderne.
In un'età in cui la speculazione politica e giuridica era ancora immersa nelle astrazioni giusnaturalistiche, in cui la storia e le leggi positive erano disprezzate e condannate, l'opera del M. si presenta come il primo tentativo, dopo quello del Vico, di costruire una filosofia del diritto positivo o più propriamente una scienza della storia del diritto. L'opinione che fa del M. un precursore della scuola storica e positiva del diritto va accolta con molte riserve. Essa trascura il lato dogmatico del suo pensiero, le concessioni sostanziali ai metodi e ai pregiudizî del secolo in cui visse e da cui non si può separare, se vogliamo intendere e valutare l'alta sua missione storica di teorico e di tecnico del costituzionalismo. Per la parte dogmatica e naturalistica fu attaccato l'Esprit, per essa ne fu vietata la pubblicazione in Francia (fino al dicembre 1751) e fu messo all'Indice (dec. 2 marzo 1752) con la prima traduzione italiana. Soprattutto i giansenisti (abate La Roche; abate Gauthier) si accanirono contro l'Esprit, mentre i gesuiti (padre Berthier, padre Castel), se non risparmiarono le critiche, mostrarono deferenza all'autore, certamente sensibili alla giustizia da lui resa nell'Esprit alla Società di Gesù (lib. IV, 6). Alle critiche astiose e forse invidiose del Voltaire fanno riscontro gli elogi di Hume, Malesherbes, D'Alembert.
Negli ultimi anni il M. soffrì di cataratta che gli tolse quasi completamente la vista. Verso la fine del 1754 andò a Parigi, dove ammalò e si aggravò rapidamente. Le versioni sulla sua morte sono discordi: ma oramai è fuor di dubbio che morì cristianamente. Sepolto nella chiesa di Saint-Sulpice, il suo corpo scomparve nei tumulti rivoluzionarî del 1793.
Opere: Øuvres complètes de M., a cura di Ed. Laboulaye (Parigi 1875-79, voll. 7); Lettres Persanes (Parigi 1897); Considérations.... (ivi 1900); M. l'Esprit des lois et les archives de la Brède, a cura di H. Barckhausen (Bordeaux 1904); Mélanges inédits de M., pubbl. dal barone de Montesquieu (Bordeaux 1892), Voyages de M., pubbl. dal barone A. de Montesquieu (Bordeaux 1894-96, voll. 2); Pensées et fragments inédits de M., pubbl. dal barone G. de M. (Bordeaux 1899-1901, voll. 2); La correspondance, a cura di F. Gebelin e A. Morize (Parigi 1914, voll. 2).
Bibl.: F. Villemain, Éloge de M., Parigi 1826; F. Sclopis, Ricerche storiche e critiche sullo Spirito delle leggi, Torino 1857; L. Dangeau, M.: bibliographie de ses oeuvres, Parigi 1874; L. Vian, Histoire de M., sa vie et ses oeuvres d'après des documents nouveaux et inédits, Parigi 1878; H. Janssen, M.s Theorie von der Dreitheilung der Gewalten im Staate, Gotha 1878; A. Sorel, M., Parigi 1887; J. Dedieu, M. et la tradition politique anglaise en France, Parigi 1909; H. Barckhausen, M., ses idées et ses oeuvres d'après les papiers de la Brède, Parigi 1907; J. Dedieu, M., Parigi 1913; G. Solari, Idea individuale nel diritto privato, Torion 1911, pp. 97-106. Il materiale per la polemica religiosa e per la controversia sulla sua morte si può vedere nelle storie della Chiesa di Jager, Rohrbacher, Darras, ecc.