MONTEVERGINE
Montevergine, oggetto di ventisei documenti federiciani, risulta un destinatario particolarmente favorito tra le grandi abbazie benedettine. Il primo documento risale al marzo 1206 e l'ultimo al luglio 1250. Un arco di tempo che abbraccia quasi l'intera esistenza di Federico II. Nello stesso periodo a Montevergine si succedono tre abati che si fanno promotori degli interventi sovrani: Donato fino al maggio 1220, Giovanni II fino al febbraio 1230 e Giovanni III Fellicola per gli ultimi anni.
Il contenuto della documentazione rispecchia la situazione politica e religiosa alle rispettive date, mentre uno studio d'insieme consente di recuperare un aspetto del tutto particolare della personalità di Federico II, il quale, nono-stante la durissima polemica col papato e le turbinose vicende che ne fecero lo stupor mundi, seppe conservare nei confronti di una realtà religiosa tipicamente locale quei rapporti di amicizia e benevolenza che gli erano stati inculcati dall'esempio e dalle parole dei genitori.
Enrico VI di Svevia e Costanza d'Altavilla si pongono come punto di partenza e di riferimento per i futuri orientamenti dell'augusto rampollo, il quale nel marzo 1206, prima di raggiungere la maggiore età e di uscire dalla tutela del papa, emise il primo privilegio a favore del monastero di Montevergine, donando un appezzamento del demanio di Maddaloni e affermando di voler imitare gli esempi della madre Costanza, "que monasterium ipsum et dilexit et suis beneficiis extulit" (AMV, perg. nr. 1229).
È opinione comune che l'imperatrice Costanza nella primavera del 1195, nel trasferirsi da Iesi a Bari, abbia portato il figlioletto a Montevergine per porlo sotto la protezione della Madonna e abbia offerto una "ymaginem imperialem de argento que est viginti et novem unciarum" (ibid., nr. 1907), cioè dello stesso peso del bambino, e che abbia influito non poco sul marito, il quale nella curia tenuta a Bari il 30 marzo di quell'anno rilasciò due privilegi a favore di Montevergine: col primo concesse ai monaci non poche libertà ed esenzioni fiscali e col secondo, "una cum carissima consorte Costantia" (originale deperito, cf. CDV, X, p. XX), passò nelle mani degli abati di Montevergine i poteri baronali sul territorio di Mercogliano.
Attraverso i secoli i monaci, utilizzando la leggenda imbastita negli ambienti guelfi ostili all'imperatore, travisarono l'esordio del privilegio attribuendo a Costanza tutto ciò che Federico dice di se stesso e crearono il mito di Costanza monaca verginiana, entrata in giovanissima età nel monastero del Ss. Salvatore di Palermo, dove avrebbe ricoperto la carica di badessa e donde, con dispensa papale in tarda età, sarebbe stata fatta uscire dal nipote Guglielmo il Buono e concessa in moglie al primogenito del Barbarossa. Evidente la trasformazione leggendaria del carcere in monastero, della prigionia in clausura e l'invenzione dell'interessamento del pontefice per la dispensa dai voti. Il secondo privilegio, dell'ottobre 1209, va inquadrato nello sforzo da parte dei monaci di reagire alle pretese dei baroni locali i quali, considerando il re Federico un fanciullo incapace di farsi rispettare e ubbidire, operavano soprusi e violenze; in particolare, nel gennaio di quell'anno erano stati costretti a versare la cospicua somma di 120 once d'oro ai conti Diopoldo di Acerra e Siffrido d'Alife per una presunta responsabilità nella fuga del signore Guglielmo Francisio di Monteforte e nel mancato rispetto di alcuni patti.
L'abate Donato, confortato dall'atto di forza compiuto da Federico contro i baroni ribelli invitati a Palermo per i festeggiamenti del suo matrimonio con Costanza d'Aragona, chiese e ottenne il privilegio con cui il re prendeva "sub speciali defensione et protectione" (AMV, perg. nr. 1288) l'abbazia e tutte le sue dipendenze specificandone il titolo e l'ubicazione; confermava inoltre il possesso del castello di Mercogliano e il suo precedente privilegio circa le sei corbe di terreno del demanio di Maddaloni, aggiungendovi otto casate di coloni residenti nello stesso territorio di Maddaloni.
Lo stesso abate Donato, per premunirsi contro le poco rassicuranti notizie circa la politica ecclesiastica avviata da Federico dopo l'incoronazione a re dei Romani, inviò in Germania una delegazione di monaci, i quali raggiunsero il re ad Augusta, dove nel maggio 1219 fu emanato il terzo privilegio a favore di Montevergine. Con esso il re confermò tutte le donazioni fatte dalla morte del re Guglielmo II in poi, specificando il casale di Massa Diruta, il Plesco di Morra e il feudo della Roccella in partibus Sicilie, non presenti nell'elenco del 1209; comminò contro i trasgressori la sanzione di 50 libbre d'oro da versare per metà all'erario e per metà alla parte offesa.
A Montevergine nel maggio 1220 fu deposto l'abate Donato e sostituito dall'abate Giovanni II; mentre a Roma il 22 novembre dello stesso anno, nella basilica di S. Pietro, Federico II ricevette la corona imperiale dalle mani del papa Onorio III.
Nel passaggio da Roma a Capua, il neoeletto imperatore fece tappa a San Germano, dove fu raggiunto dal nuovo abate di Montevergine che ottenne il quarto privilegio, datato al dicembre 1220. In conformità agli accordi al vertice, Federico, "ad laudem et gloriam ipsius Regine Virginum" (ibid., nr. 4814), liberò da ogni tipo di imposta non solo l'abate e i monaci ma anche i famuli e i coloni residenti oltre i confini del monastero, concesse all'abate la facoltà di giudicare i sudditi nelle cause civili e a tutte le chiese verginiane il diritto di asilo, aggiornò l'elenco delle dipendenze monastiche e comminò la sanzione di 100 libbre d'oro contro i trasgressori, da versare per metà alla Curia e per metà alla parte offesa.
Giunto a Capua Federico convocò un'assise di dotti giuristi ed emanò alla fine di dicembre del 1220 un editto in venti capitoli, incentrato sul controllo e sulla verifica dei titoli feudali (v. Assise di Capua). Con esso dimostrò di non essere più il re fanciullo che regna senza governare ma l'imperatore che governa secondo giustizia; fece osservare che, durante la sua minore età e la sua permanenza in Germania, lo stato del Regno di Sicilia gli era rimasto sconosciuto e i beni demaniali un po' dappertutto erano stati usurpati dai signori laici ed ecclesiastici; dispose pertanto che il Regno doveva ritornare alla condizione in cui si trovava alla morte del re normanno Guglielmo II, tutto doveva essere chiarito alla luce del diritto e tutto ricondotto allo stato di giustizia: "omnia volumus sub iure lucescere et cuncta sub regimine nostro in statu iustitie riformare" (Historia diplomatica, II, 1, p. 101).
Le disposizioni de resignandis privilegiis, emanate con scarso risultato da Enrico VI nell'aprile 1197, furono riprese con risoluta energia da Federico II nelle Assise capuane e riproposte nelle Costituzioni melfitane. Il processo di revisione, riguardante i privilegi normanni emanati dopo la morte di Guglielmo II, fu esteso da Federico II anche agli atti emanati da Enrico VI, da Costanza, da Ottone di Brunswick e da lui stesso fino all'incoronazione imperiale.
Le Assise capuane del 1220 e le Costituzioni melfitane del 1231 coincidono rispettivamente con l'inizio dei governi dei due abati di nome Giovanni, che segnano momenti significativamente pregnanti della politica federiciana intesa a scoprire eventuali privilegi falsi, a combattere la feudalità e la manomorta (v.) ecclesiastica e a cancellare la memoria di Tancredi, di Gugliemo III e di Ottone.
Questo preciso programma di revisione preoccupò non poco i due abati, i quali, per superare le pretese degli zelanti funzionari imperiali e dei signori locali impegnati a rivendicare al demanio o al proprio feudo l'uno o l'altro possedimento monastico, portarono direttamente alla Curia regia i privilegi a favore del monastero, per ottenerne il rinnovo e la conferma e nei contrasti con i feudatari fecero ricorso ai giustizieri nella loro veste di "imperiales revocatores et reintegratores pheudorum" (AMV, pergg. nrr. 1632, 1801, 2001).
Il primo Giovanni, personalmente o tramite suoi religiosi, raggiunse la cancelleria regia per ben quindici volte e ottenne altrettanti documenti sovrani che, sotto il profilo diplomatistico, si dividono in sette privilegia, quattro scripta e quattro littere patentes.
Con i privilegia e gli scripta l'imperatore conferma e rinnova i due documenti di Enrico VI ed altri cinque da lui stesso emessi in precedenza, ordina di espungere da essi la clausola restrittiva, "salvo mandato et ordinatione nostra" (ibid., nr. 1765), e di aggiungere un'espressione circa la loro validità "etiam post curiam Capue celebratam" (ibid., nr. 1763); inoltre non manca di rivolgere un pensiero di devozione alla "Regina Virginum ad cuius honorem et laudem idem monasterium est constructum" (ibid., nr. 1543) e di chiedere suffragi "pro remedio animarum divorum augustorum parentum nostrorum memorie recolende" (ibid., nrr. 1440, 1534, 1662, 4814). Le littere sono inviate a tutti gli ufficiali del Regno con l'obbligo di rispettare e difendere le libertà e le immunità godute dai monaci, di non approfittare delle Assise capuane per confiscare i beni monastici e di considerare come un'offesa fatta alla sua persona ogni molestia recata al monastero di Montevergine, "quod devote diligimus et cupimus in Domino venerari utpote quod illud reputamus cameram specialem" (ibid., nr. 1763).
Il primo impegno del secondo abate Giovanni fu quello di dichiarare e rinnovare i documenti che portavano il nome di Tancredi, di Guglielmo III e di Ottone, perché in caso contrario le Costituzioni melfitane non riconoscevano loro alcun valore giuridico. Egli non presentò tutta la documentazione incriminata, ma solo quella che a suo parere interessava l'economia della congregazione. Delle pergamene che portavano il nome di Tancredi ne furono dichiarate e rinnovate tredici su sessantadue, di quelle che portavano il nome di Guglielmo III quattro su quattordici e di quelle che portavano il nome di Ottone otto su quindici.
Nei contrasti con i signori locali, l'abate Giovanni fece ricorso all'istituto del giustizierato, organizzato da Federico II in ogni provincia. Nella loro funzione di "imperiales revocatores et reintegratores pheudorum", nel marzo 1235 il giustiziere imperiale di Principato e di Benevento, Tommaso di Montenero, decise per il possesso da parte dei monaci del feudo donato dalla signora Galatea e contestato da Ravellona signora di S. Mango; nel febbraio e nell'aprile 1248 il giustiziere di Principato, Goffredo Catalano, rigettò la richiesta di Giacomo Guarna circa la pretesa di entrare in possesso di due terreni siti nell'ambito del suo feudo di Amando e condannò Roberto Malerba signore di Sulmonte a riaprire i sentieri per i quali i coloni del monastero si recavano a pregare sul monte Cerasulo; nel maggio 1250 il giustiziere di Terra di Lavoro, Riccardo di Acerenza, condannò Enrico signore di Taurasi a restituire un mulino e altri beni del monastero di cui si era impossessato "iuris ordine non servato" (ibid., nr. 2001).
Nel frattempo i rapporti dell'imperatore col Papato si erano andati sempre più deteriorando: alla prima scomunica comminata a Federico nel 1227 ne seguì una seconda nel 1239 e una terza nel 1245. Ciononostante Federico continuò ad avere rapporti di benevolenza con il monastero di Montevergine. Nel febbraio 1230 confermò la donazione della chiesa di S. Giovanni dell'Acquara nelle pertinenze di Trevico; nel dicembre 1236 ordinò che non venissero molestate le cose e le persone del monastero di Montevergine, "non obstante constitutione aliqua" (ibid., nr. 1837); nel gennaio 1241 concesse un privilegium per la conferma delle donazione di Maria de Menda, del giudice Unfrido e di Ricca Campalazia, senza il vincolo di vendita o di alienazione nel giro di un anno; nel gennaio e nell'aprile del 1247 inviò due littere al massaro della Curia imperiale per la terra di Bari, intese a eliminare ogni difficoltà per il recupero da parte dei monaci di un palazzo sito nella città di Bari; infine nel luglio 1250 inviò un mandatum al giustiziere di Capitanata, Gervasio di Mattinata, perché impedisse che venissero molestati i monaci verginiani addetti alla gestione dell'ospedale di Troia.
Nel Necrologium Virginianum, accanto ai nomi di Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, non compare il nome del grande Federico, perché morto senza che gli fosse revocata la scomunica papale, anche se assistito e assolto da Berardo, arcivescovo di Palermo.
Fonti e Bibl.: AMV = Abbazia di Montevergine, Archivio storico, Sezione pergamenacea, nrr. 956, 1229, 1288, 1440, 1457, 1475, 1490, 1506, 1514, 1534, 1543, 1595, 1627, 1632, 1662, 1729, 1731-1748, 1750, 1752, 1760, 1762-1763, 1765, 1801, 1837, 1888, 1907, 1965-1966, 1982, 2001, 2004-2006, 4814; Sezione cartacea, bb. 217, 250-258, 303, 306, 405; O. de Luciis, Supplemento alla Historia di Montevergine (1619); G.G. Iannuzzi, Perioca, sive Regestum et Epitomae scripturarum, quae in pervetustoac insigni Archivio Sacri et Regalis Archicaenobij Montis Virginis asservantur (1716); C. Cangiani, Indice Generale de' Brevi, Bolle e Privilegi, così Apostolici, Imperiali, Regi eBaronali (1750). G.G. Giordano, Croniche di Monte Vergine, Napoli 1649; M. de Masellis, Iconologia della madre di Dio Maria Vergine, ivi 1654; A. Mastrullo, Monte Vergine Sagro, ivi 1663; Historia diplomatica Friderici secundi; Ignoti monachi Cisterciensis S. Mariae de Ferraria Chronica, a cura di A. Gaudenzi, ivi, 1888, pp. 1-46; Abbazia di Montevergine, Regesto delle pergamene, a cura di G. Mongelli, II-III, Roma 1957; CDV = Codice Diplomatico Verginano, a cura di M.P. Tropeano, X-XIII, Montevergine 1986-2000; Federico II e Montevergine, documentazione archivistica: marzo 1206-luglio 1250, a cura di M.P. Tropeano, ivi 1995. U. Caruso, L'Abbazia di Montevergine negli anni d'impero di Federico II (1220-1250), Napoli 1956; E. Momigliano, Federico II di Svevia, Varese 19604; M.P. Tropeano, Montevergine nella storia e nell'arte, I, Napoli 1983, pp. 157-168; D. Clementi, Il contenuto dei privilegi imperiali e regi dell'abbazia di Montevergine, in La società meridionale nelle pergamene di Montevergine: i Normanni chiamano gli Svevi, II Convegno Internazionale, 12-15 ottobre 1987, Montevergine 1989, pp. 129-140; H. Enzensberger, I privilegi Normanno-Svevi a favore della Congregazione Verginiana, ibid., pp. 71-89; Federico II e Montevergine. Atti del Convegno di studi su Federico II organizzato dalla Biblioteca di Montevergine, 29 giugno-1o luglio 1995, Roma 1998.