MONZA
(lat. Modicia; Modoëtia nei docc. medievali)
Città della Lombardia, in Brianza (prov. Milano), attraversata dal fiume Lambro.Citata come vicus già da Ennodio nel sec. 5° (Ep., CCLXXV), sottintendendone la posizione su direttrici di traffico, M. visse nell'ombra dell'autorità politica ed economica della vicina Milano. Non sembra possibile tuttavia determinare lo sviluppo urbanistico della città sulla base di emergenze archeologiche o di fonti documentarie almeno fino al sec. 11°, epoca nella quale una successiva espansione cittadina sembra essere implicita nella menzione di un castrum novum da interpretare come l'ampliamento del vetus (Merati, 1982), verosimilmente di origine tardoantica, suggerendo inoltre un probabile impianto fortificato (Mirabella Roberti, 1976).M., che secondo Paolo Diacono era già sede di un palazzo di Teodorico (Hist. Lang., IV, 21), durante il sec. 6° crebbe d'importanza soprattutto a opera della regina Teodolinda che, eleggendola a propria dimora estiva, vi fece edificare una residenza magnificamente decorata, "in quo aliquit et de Langobardorum gestis depingi fecit" (Hist. Lang., IV, 22), e una basilica dedicata a s. Giovanni Battista, che divenne uno dei santuari delle genti longobarde. Sempre secondo lo storico (Hist. Lang., IV, 21) la sovrana dotò l'edificio sacro di una moltitudine di ornamenti preziosi e nel 603 vi fece battezzare da Secondo di Non il proprio figlio Adaloaldo (IV, 27). Di questa costruzione rimangono poche testimonianze completamente decontestualizzate, tra cui alcuni elementi in laterizio (tubuli, tegole), due lastre incise, di cui una reimpiegata in facciata del nuovo edificio e l'altra al Mus. del Duomo (I Longobardi, 1990, p. 308; v. Longobardi), una base d'altare e alcuni oggetti del tesoro anch'essi al Mus. del Duomo. Il ritrovamento di numerosi tubi fittili nel sottosuolo della navata centrale e la recente scoperta, avvenuta nel 1989, di tre tombe terragne dipinte con motivi a croci a bracci patenti e lemnischi nella navata sinistra, di cui una databile al sec. 6°-7° sulla base delle analogie con le pitture della tomba presso la chiesa di S. Giovanni in Conca a Milano e due all'8° (Valagussa, 1993; Lomartire, 1994), permettono solo di ipotizzare che l'edificio longobardo sorgesse entro il perimetro del duomo attuale. Ancora controversa tuttavia rimane l'identificazione di una torre di base quadrata, aperta da monofore, inglobata nel complesso tardomedievale, indicata come appartenente al palazzo di Teodolinda (Merati, 1982, pp. 23-30), oppure più genericamente alla prima età longobarda (Autenrieth, 1988, pp. 124-126), o infine come appartenente alla cerchia di mura tardoantiche e successivamente impiegata come campanile del duomo (Cassanelli, in Università popolare di Monza, 1992, p. 35).Le scarse fonti a disposizione, utili comunque nella ricerca di elementi probanti riguardo sia la definizione del duomo prima della ricostruzione sia l'individuazione delle fasi costruttive dell'impianto attuale, sono costituite dai testi dell'Obituario, dalla prima metà del sec. 13° al 16°, del Liber Ordinarius, della prima metà del sec. 13° (entrambi nello stesso codice, Monza, Bibl. Capitolare, 7 b 10 h 4), di alcuni atti notarili, della prima metà del sec. 13° (Milano, Bibl. Ambrosiana, N.I. 15 inf.; Longoni, 1988), e del Chronicon Modoëtiense di Bonincontro Morigia (Milano, Bibl. Ambrosiana, D. 271 inf.). Da questi documenti si apprende, oltre alla posizione degli altari e all'esistenza di elementi di arredo interno, che la struttura dell'edificio precedente era probabilmente a tre navate divise da colonne in pietra, preceduta da un atrio a quadriportico (cortina), quest'ultimo utilizzato come sede di riunioni pubbliche (Longoni, 1988).Le fasi costruttive relative alla riedificazione dell'od. duomo di S. Giovanni Battista sono state per molti anni al centro di un vivo dibattito critico. Il primo contributo essenziale circa l'individuazione di un nucleo primario a croce equilatera, della metà del sec. 13°, da ascrivere a una prima campagna di lavori cui fece seguito l'ampliamento trecentesco, si deve agli studi di Frisi (1794). Questa interpretazione venne successivamente seguita e ampliata da Merati (1962; 1982), approfondita mediante analisi diretta delle strutture architettoniche da Romanini (1964, pp. 142-145) e ripresa nelle linee essenziali da Giordano (1984). L'ipotesi di un nucleo primario a croce greca, da identificarsi con la parte orientale dell'edificio attuale, voltata a crociera su pilastri cilindrici, a tre navate, transetto aggettante e abside a terminazioni rettilinee, secondo uno schema di ispirazione mendicante, era surrogata sia dalle notizie dell'Obituario riguardanti la consacrazione di altari avvenuta negli anni 1259-1262 a opera di Cavalcano della Sala, vescovo di Brescia (c. 26r), e di Raimondo della Torre, arciprete di M. e vescovo di Como (c. 16v), sia dalla difformità di coperture a capriate e sostegni ottagoni della porzione occidentale della chiesa, sia dalle definizioni, nello stesso Obituario, degli interventi edilizi corrispondenti al giubileo trecentesco come non una rifondazione bensì un'ampliatio: il 31 maggio 1300 infatti Avvocato degli Avvocati, arciprete del duomo, pose la prima pietra (c. 19v). Inoltre, la singolare planimetria cruciforme appariva condizionata dal precedente edificio longobardo, dall'esistenza dell'atrio romanico a O, la cortina, e dalla difformità di capitelli impiegati, a motivi figurati nei sostegni orientali, a semplici elementi vegetali quelli dei pilastri ottagoni del blocco occidentale. Entro questa ossatura di evidente matrice gotica lombarda, dominata dal rigore geometrico, si inserisce il tiburio, di carattere schiettamente romanico, impostato in contrastante linea di ascesa verticale (Romanini, 1964, p. 144).In conseguenza del recente restauro della facciata del duomo (Monza anno 1300, 1988) si è proceduto alla reinterpretazione delle scarne fonti documentarie e dei dati tecnico-strutturali dell'impianto chiesastico, ipotizzando un completo rovesciamento dei risultati raggiunti dagli studi precedenti. Si è supposto che la fabbrica del duomo seguisse un andamento costruttivo dal settore ovest a quello est (Selvatico, 1988; 1989), svolgendosi in un'unica campagna costruttiva trecentesca. Il primitivo impianto sarebbe poi stato dotato di facciata a tre campi, della quale non è possibile ricostruire la terminazione sommitale (David, Lomartire, 1988; Selvatico, 1988; David, 1989), con un unico portale strombato sormontato da una lunetta.A questa primitiva fase edilizia del duomo, che si suppone iniziata nel 1300 in occasione del giubileo e completata nel 1346, anno in cui venne consacrato l'altare maggiore (Obituario, c. 22r), avrebbe fatto seguito intorno alla metà del secolo una seconda campagna di lavori, comprendente l'ampliamento della chiesa mediante l'addizione di due ulteriori navate laterali adibite a cappelle patronali, il completamento della facciata a vento a cinque campi e la costruzione delle due cappelle absidali, di Teodolinda e del Rosario. Il progetto dell'adattamento della facciata preesistente alla nuova planimetria venne affidato a Matteo da Campione (m. nel 1396), come dichiara il testo dell'epigrafe sepolcrale murata nella cappella del Rosario, dove l'artista venne tumulato. Il nuovo prospetto sarebbe stato riproporzionato mediante il sopralzo e l'ampliamento, secondo uno schema geometrico basato sulla scomposizione e addizione modulare del triangolo equilatero, del quadrato e del cerchio, e dotato di un apparato decorativo quantomeno esuberante, memore di coeve esperienze lombarde e, nella riorganizzazione del rosone, toscane, riconducibili all'influenza esercitata dalla facciata della chiesa milanese di S. Maria di Brera di Giovanni di Balduccio (Romanini, 1964, pp. 338-339; Lomartire, 1989, pp. 104-108).Sempre l'epigrafe sepolcrale assegna a Matteo da Campione l'evangeliçatorium (Lomartire, 1988, p. 86), il monumentale pulpito all'interno del duomo, e il baptisterium, del quale Merati (1982, pp. 191-192) ha ipotizzato una ricomposizione sulla base dell'analisi dei disiecta membra murati all'esterno del coro cinquecentesco. Tuttavia l'appartenenza di queste lastre erratiche al battistero non appare comprovabile e anzi la disorganicità del programma iconografico che risulterebbe dall'insieme scultoreo sembrerebbe escludere decisamente l'ipotesi, favorendo la tesi di un primitivo impiego delle sculture in facciata (Lomartire, 1989, pp. 113-114). Il pulpito, smontato e ricomposto agli inizi del sec. 18° secondo il nuovo adeguamento alle funzioni di cantoria dell'organo, sembra in misura minore debitore all'influenza di Giovanni di Balduccio in favore al contrario della tradizione campionese, incarnata da Bonino ed evidente nell'esuberanza decorativa dell'insieme che in origine doveva essere completato da integrazioni pittoriche e in foglia d'oro. Il complesso scultoreo sembra generato dall'interazione di motivi decorativi desunti da numerose fonti, articolate con sapiente padronanza tecnica; confronti puntuali sono instaurabili tra gli altri con l'arca di Cansignorio della Scala a Verona, con il protiro meridionale di S. Maria Maggiore a Bergamo e con il monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti in S. Eustorgio a Milano (Lomartire, 1988, p. 78). Da escludere dal corpus delle opere di Matteo, ma sempre pertinente al pulpito, risulta la lastra con incoronazione imperiale, in origine il parapetto settentrionale e attualmente reimpiegata presso la cappella di Teodolinda, opera di artista di più schietta cultura toscana, memore delle esperienze di Tino di Camaino. La controversa impaginazione iconografica propone l'immagine dell'incoronazione di un imperatore con la corona ferrea a opera dell'arciprete del duomo di M. con gli attributi vescovili; ai lati sono la raffigurazione schematica del tesoro monzese e sei principi elettori - al posto dei consueti sette -, identificati da iscrizioni. Conseguentemente all'analisi iconografica e storica dell'episodio raffigurato e degli eventi politici del periodo, nella lastra è stata riconosciuta una relazione con l'elezione di Venceslao di Lussemburgo (m. nel 1419) a re dei Romani (1376) o a imperatore e re di Boemia (1378), permettendo così di datare l'intero complesso del pulpito all'ottavonono decennio del Trecento, epoca in cui la cultura lombarda, grazie all'apertura del grande cantiere del duomo di Milano, si presentava già recettiva alle novità d'Oltralpe (Spiriti, 1989).Oltre alla monumentale decorazione di gusto ancora tardogotico della cappella di Teodolinda a opera degli Zavattari (1444 ca.; Cadei, 1984; Castelfranchi Vegas, in Monza. La cappella di Teodelinda, 1991; Monza, cappella di Teodelinda, 1995), nel duomo rimangono sporadici lacerti di pittura trecenteschi, scampati ai rifacimenti successivi. Tra questi va segnalata una Crocifissione nel vano corrispondente alla sagrestia vecchia, probabilmente del 1346, collegata con la cultura giottesca prossima alle pitture del tiburio di Chiaravalle Milanese (Quattrini, 1993; Gregori, 1994) e a Giusto de' Menabuoi (Quattrini, 1993); è stata inoltre recentemente avanzata l'ipotesi dell'identificazione dell'autore con il Secondo Maestro di Chiaravalle (Travi, 1993, p. 237). I busti di profeti e di altri personaggi a monocromo, sui pilastri della cappella maggiore, sono stati giudicati di grande qualità e prossimi alle esperienze di Giovanni da Milano, datati al 1380-1390 (Quattrini, 1993), al 1360 ca. (Gregori, 1994), oppure al 1370 ca. come ipotetica opera del Maestro di Mocchirolo attivo in quegli anni (Boskovits, 1991, p. 160; 1992, p. 304; Travi, 1993, p. 240).Oltre al complesso artistico che gravita attorno al duomo, a M. si conserva il palazzo Comunale, noto come arengario, citato per la prima volta nel 1310 (Sacchi, Ceruti, Beltrami, 1890; Biscottini, 1984), ma con ogni probabilità costruito almeno sul finire del Duecento, sebbene sia stata recentemente avanzata l'ipotesi di una sua datazione al 1255-1265 ca. (Russel, 1988). L'edificio è costruito secondo la consueta tipologia: un ampio porticato al piano terra a due navate longitudinali su massicci pilastri a sezione rettangolare, una grande aula per le adunanze al primo piano, una 'parlera' e la torre campanaria costruite in un momento successivo; esso propone, nonostante la policromia pietra-cotto, una derivazione diretta dal broletto Nuovo di Milano (Romanini, 1964, p. 183). L'impianto sembra dichiarare un avanzamento in senso gotico, evidente soprattutto riguardo alla leggerezza della struttura e alla tessitura muraria di estrema regolarità.Numerose chiese medievali di M. sono state sacrificate dalle ristrutturazioni urbanistiche avvenute tra il 18° e il 19° secolo. Tra queste, la chiesa di S. Francesco dei Minori Conventuali (od. Liceo Ginnasio B. Zucchi e Bibl. Civ.) venne soppressa alla fine del Settecento; dell'edificio tardoduecentesco è ancora individuabile l'originaria fisionomia a tre navate con colonne in cotto e capitelli fogliati.L'antica chiesa di S. Maria del Carrobiolo, eretta intorno alla metà ca. del sec. 13° dagli Umiliati, venne completamente riedificata alla fine del 16° a opera dei Barnabiti; del primitivo impianto rimane esclusivamente l'alta torre campanaria in cotto, profilata e scandita da cornici e ghiere, dove un vivace effetto di policromia è generato dall'alternanza dei laterizi al bianco dei cunei e delle colonnette marmoree (Romanini, 1964, pp. 115-116).Della chiesa di S. Michele, distrutta nel 1922, forse di origine altomedievale e dal 1296 casa umiliata, rimangono due pannelli affrescati staccati a massello e a strappo. La Dormitio Virginis (ora in S. Maria degli Angeli) rivela un tipo di gusto ascrivibile alla cultura riminese degli anni intorno al 1320 (Castelfranchi Vegas, 1992; Quattrini, 1993, p. 55; Travi, 1993, pp. 234-235); la Messa di s. Michele o Annuncio a Maria della sua morte (conservata al Mus. del Duomo; Cassanelli, 1990, pp. 103-109), dall'iconografia comunque controversa, databile verso il 1320-1325, denota nella composizione paratattica e orizzontale, nell'indifferenza a notazioni di profondità spaziale un'interpretazione del linguaggio giottesco in senso monumentale mutuato dalle componenti riminesi, individuabili nell'operato del Maestro dell'Arengo o di Francesco da Rimini (Castelfranchi Vegas, 1990; Quattrini, 1993, p. 55). Da ultimo, i due pannelli affrescati sono stati attribuiti al Maestro della Cappella Aliprandi (autore dell'affresco della cappella di S. Orsola in S. Marco a Milano), sulla base dei confronti stilistici (Travi, 1993).La chiesa di S. Pietro Martire venne realizzata a tre navate divise da pilastri cilindrici in pietra e in cotto in tre campagne successive di lavori individuabili dall'analisi dei capitelli; la più antica risulta databile al Trecento. Sono ancora conservati affreschi tra cui una Crocifissione frammentaria nella navata sinistra, situabile entro il primo decennio del Trecento, alla quale sono state riferite componenti linguistiche di matrice umbra protogiottesca legata a persistenze bizantineggianti (Quattrini, 1993) e, nella cappella absidale destra, una Vergine annunciata con i ss. Ambrogio e Domenico, riferita al 1370 ca., che denota una profonda comprensione delle esperienze della piena maturità di Giovanni da Milano (Gregori, 1994).La costruzione dell'oratorio ad aula unica di S. Maria in Strada (o in Strata), venne intrapresa a partire dal 1348; l'edificio fu consacrato nel 1357 e nel 1368 fu eretto anche il piccolo convento adiacente. L'impianto interno appare tuttavia completamente falsato dalle due campagne di lavori successive, eseguite nel 1610 e alla metà del 18° secolo. Della chiesa medievale rimangono il campanile e la facciata, presumibilmente realizzata in una seconda fase corrispondente alla seconda metà del sec. 14°, anch'essa pesantemente restaurata intorno al 1870. Il prospetto a capanna, di cui la parte superiore si presenta a vento, appare caratterizzato dalla scansione in fasce orizzontali; l'accento toscano che ne risulta sembrerebbe probabile esito dell'influenza esercitata da Giovanni di Balduccio. Nel complesso è stata riconosciuta una forte matrice culturale campionese, per quanto riguarda l'andamento rigidamente simmetrico degli ornati e l'utilizzo di un esuberante lessico decorativo, prossimi agli esiti assai vicini della chiesa di S. Marco a Milano (Romanini, 1964, pp. 329-332).Nel 1325 Gian Galeazzo Visconti diede avvio alla costruzione del castello, complesso fortificato e destinato a garantire la difesa del Milanese. La fortificazione venne manomessa già nel sec. 16° e successivamente quasi completamente abbattuta. L'aspetto originario del monumento è accertabile esclusivamente da un'incisione edita da Frisi (1794), che illustra torri e corpi di fabbrica conclusi da merli e beccatelli. Nel suo complesso, la rocca era costituita da un recinto trapezoidale di cui il nucleo più antico, circondato da fossato, intorno al 1357 venne ampliato e potenziato da Galeazzo II, che vi aggiunse anche un edificio residenziale. Azzone Visconti intraprese l'opera di completamento della fortificazione della città tra il 1333 e il 1336, promuovendo la costruzione di una nuova cinta di mura; di questo intervento edilizio, non ancora completato nel 1381, sopravvivono due modeste torri presso il fiume Lambro (Merati, 1982, pp. 82-84; Giordano, 1984, pp. 346-349).
Il Mus. del Duomo conserva manufatti di straordinario valore storico-artistico; il nucleo originario della raccolta risale alla fondazione della basilica a opera di Teodolinda, la cui devozione appare testimoniata da preziose reliquie, tra cui ventisei ampolle paleocristiane in vetro provenienti da Roma e contenenti olio prelevato dalle lampade dei sepolcri dei martiri nelle catacombe. Alcune di queste ampolle conservano ancora il pittacium di papiro, con l'indicazione della tomba di provenienza dell'olio; l'elenco generale degli olî è iscritto sulla notula (Bazzi, 1992), anch'essa in papiro, straordinario documento che fornisce la topografia dei cimiteri suburbani di Roma. Ancora ascrivibili alla devozione teodolindea sono sedici ampolle in piombo e stagno, importate dalla Palestina e contenenti olio destinato ad ardere nei santuari. Le piccole ampolle di forma lenticolare, ricavate da matrici, presentano le superfici impresse con temi decorativi neotestamentari (Crocifissione, Ascensione, Risurrezione, ecc.; Frazer, 1988; Braddock, 1990; Durand, 1997). Sempre riferibili al donario della sovrana longobarda sono: la corona di Teodolinda, di probabile funzione votiva, costituita da una fascia d'oro sulla quale si dispongono cinque ordini di gemme e madreperle, che faceva parte, insieme alla croce già ritenuta di Agilulfo (anch'essa con funzione votiva, con pendenti a goccia, gemme e perle), di un unico gruppo, la cui esuberanza decorativa tradisce il gusto dell'oreficeria aulica bizantina (v. Longobardi); la notissima chioccia con i sette pulcini, in argento dorato, lavorato a sbalzo e rifinito a bulino, e gemme di reimpiego, di cui sembrerebbero databili al sec. 7° solo i pulcini più schematici, accanto alla chioccia, di probabile origine tardoantica, distinta dalla resa maggiormente naturalistica del piumaggio (Conti, 1983; Frazer, 1988, pp. 19-22). L'insieme è stato interpretato come la Chiesa che protegge i fedeli (Frazer, 1988, p. 22).La tradizione attribuisce ancora alla regina longobarda la tazza di zaffiro, benché la coppa sia databile a epoca tardoaugustea-tiberiana (Roffia, 1995); il flabello, costituito da una pergamena purpurea entro una custodia lignea ricoperta da lastrine sbalzate da motivi fitomorfi, dalla controversa datazione (epoca longobarda; sec. 9°-10°; sec. 14°-15°); il pettine, in avorio e argento dorato e gemme, anch'esso dalla contrastata cronologia, e di cui recentemente è stata ribadita la parentela con le opere ascrivibili alla committenza di Berengario I (888-924; Elbern, 1992, p. 400); l'encolpio noto come croce-reliquiario di Adaloaldo, forse donato da Gregorio Magno in occasione della nascita del figlio di Teodolinda, decorato da una Crocifissione a niello di ascendenza bizantina oppure palestinese, protetto da una custodia in cristallo di rocca sagomato e chiuso da una lamina d'oro ornata di fregi fitomorfi, probabilmente fatta eseguire tre secoli dopo l'encolpio da Berengario I (Elbern, 1992, p. 397); alcuni frammenti rinvenuti nel 1941, durante la ricognizione del sarcofago della sovrana, tra cui una guarnizione semicilindrica decorata a motivi animalistici zoomorfi intagliati a Kerbschnitt, almandini e niello, individuata come produzione del secondo stile di Salin (Haseloff, 1989).L'opera forse più famosa del nucleo ascrivibile a Teodolinda è la legatura di evangeliario in lamina d'oro, gemme e cammei, donata dalla regina alla basilica di S. Giovanni Battista. L'impianto del manufatto, di grande rigore geometrico, presenta l'emergenza del motivo della croce a bracci patenti, incorniciata da smalti ad alveoli, che suddivide la superficie in quattro campi rettangolari; la porzione mediana di ogni campo reca i listelli in oro applicati sui quali è incisa l'iscrizione dedicatoria. Nonostante nella legatura siano state riscontrate matrici linguistiche diverse, sembra concordemente accettata la provenienza da un laboratorio milanese (Frazer, 1988, pp. 24-25). I cammei di reimpiego (di cui due settecenteschi) che decorano i campi interni della legatura sono stati identificati come raffigurazioni di imperatori e nobili romani (Flaccomio, 1988, pp. 49-51; Sena Chiesa, 1995), portatori così di un significato di chiara legittimazione politica della monarchia longobarda mediante il richiamo esplicito all'Antichità (Elbern, 1992, pp. 396-397).Tra le opere custodite nel Mus. del Duomo rivestono molta importanza tre dittici eburnei: quello tardoantico di Stilicone (sec. 4°-inizi 5°), quello della musa e del poeta (sec. 6°), e quello detto di Davide e s. Gregorio (sec. 6°), rielaborato nel sec. 9°-10° per essere adattato a legatura di un codice purpureo già nel Mus. del Duomo (Monza, Bibl. Capitolare) forse per volere di re Berengario I (Elbern, 1992, p. 399).Un altro fondamentale nucleo della raccolta è costituito dai donativi di re Berengario I, la cui sfarzosità lascia trasparire il nuovo ruolo di preminenza politica e culturale acquisito da M. durante il 9° e il 10° secolo. La croce-reliquiario che prende il nome del sovrano si presenta come un'opera di straordinario valore cromatico, composta nel dritto da una moltitudine di gemme e perle incastonate e nel rovescio da motivi a filigrana, il cui legame con altre opere analoghe carolinge potrebbe essere motivato da una precisa volontà di legittimazione della sovranità per mezzo dell'evocazione di simboli di potere riconosciuti nella tradizione della propria dinastia (Elbern, 1992, p. 400). La dichiarata volontà di evidenziare la tradizione classica appare inoltre dall'elegante ametista pendente di reimpiego, incisa e raffigurante Diana (Flaccomio, 1988, pp. 51-52). Da un'analoga intenzione di legittimazione potrebbe essere scaturito anche il ricchissimo reliquiario a borsa del dente di s. Giovanni Battista, in oro, gemme e perle, decorato nel lato posteriore con la Crocifissione realizzata a pointillé. La stessa tecnica a punzone è stata riscontrata sulla custodia dell'encolpio di Adaloaldo, che, per i motivi decorativi, richiama anche l'altare aureo di S. Ambrogio a Milano (Elbern, 1992, p. 400).Sempre ascrivibile a questo nucleo di donativi è la legatura del Sacramentario di Berengario, in avorio e argento filigranato, che custodisce nei fogli di guardia il più antico inventario del duomo e si apparenta per gusto e per tecnica con le opere fin qui citate.Ancora per molti versi problematica e dibattuta appare una delle opere più significative del Mus. del Duomo: la 'corona ferrea', in oro e smalti cloisonnés, la cui datazione - basata su confronti con opere a smalto di gusto affine - ha oscillato dal sec. 5° al 9°; negli ultimi anni è stata datata alla fine del sec. 8° (Frazer, 1988, p. 47; Elbern, 1992, p. 399) e attualmente, sempre sulla base dell'analisi stilistica, viene riconosciuta come ascrivibile alla Tarda Antichità, ipotesi questa che sembra trovare conferma dagli esami effettuati mediante il radiocarbonio sul mastice che blocca uno degli smalti (Bertelli, in corso di stampa). La tradizione individua un chiodo della Croce di Cristo nella sottile fascia di ferro che collega dall'interno le sei placche d'oro della corona, tuttavia la funzione votiva dell'opera sembra confermata dai fori del bordo superiore, utilizzati per il passaggio di catenelle per la sospensione dell'oggetto.Oltre a un numero considerevole di stoffe - tra cui i corporali egizi del sec. 6°-7° e altri manufatti tessili ugualmente databili (Devoti, 1988, pp. 56-60) -, il Mus. del Duomo custodisce un nucleo di opere attribuibili alla committenza dei Visconti. Tra queste il paliotto dell'altare maggiore con Storie di s. Giovanni Battista, eseguito negli anni 1350-1357 dall'orefice Borgino dal Pozzo, in lamina di argento dorato e smalti champlevés, ora nuovamente nel duomo (Sambonet, 1988, pp. 75-76), e il calice di Gian Galeazzo Visconti, eseguito tra la fine del sec. 14° e il 1402, anno di morte del committente. Quest'opera, di impostazione monumentale, traducendo le tendenze dell'arte orafa tardogotica italiana e d'Oltralpe, sembrerebbe essere stata completata in un secondo momento con l'esecuzione delle figure a smalto del fusto, da situare intorno al terzo-quarto decennio del Quattrocento (Longoni, 1994).
La Bibl. Capitolare custodisce oltre centocinquanta manoscritti medievali, solo parte di quelli scampati alle razzie napoleoniche avvenute nel 1797 (Belloni, Ferrari, 1974; Baroffio, 1988; Longoni, 1988). Importanti opere importate a M. sono: la Bibbia di Alcuino (6 b. 152), degli inzi del sec. 9°, prodotta a Tours; il codice purpureo, del sec. 9°, di provenienza discussa tra Italia settentrionale oppure Francia; il Sacramentario di Berengario (7 b. 15), del sec. 9°-10°, proveniente dallo scriptorium di Saint-Amand. I rapporti culturali intercorrenti con importanti centri di produzione scrittoria di Milano, Lombardia e regioni d'Oltralpe (Coira, San Gallo, Reichenau) sono evidenziabili dalla presenza nella Bibl. Capitolare di manoscritti di contenuto liturgico-musicale (per es. a. 2/4; Baroffio, 1988); tra questi merita interesse un graduale del sec 11° (c. 13/76), proveniente dallo scriptorium locale, arricchito da poche pregevoli miniature di gusto bizantino. A partire dalla fine sec. 12° la Bibl. Capitolare si arricchì di codici donati da arcipreti del duomo, comprendenti quasi totalmente libri glossati della Bibbia; tra questi, databili tra la fine del sec. 12° e gli inizi del successivo, si inscrivono i codici donati dal diacono Michele da Besozzo (a. 3/10, a. 22/34, a. 25/37, b. 5/51, ecc.), con iniziali ornate elegantemente di gusto toscano (Belloni, Ferrari, 1974; Roehrig Kaufmann, 1989).
Bibl.:
Fonti inedite. - Obituario, Liber ordinarius (mss. della prima metà del sec. 13°-16°, prima metà sec. 13°), Monza, Bibl. Capitolare, 7 b 10 h 4; G.M. Campini, Descrizione dell'insigne Real Basilica Collegiata San Giovanni B(a)tt(ist)a di Monza (ms. del 1767), Milano, Bibl. Ambrosiana, V.16 sup., V.17 sup.; C. Aguilhon, Descrizione storica della basilica di San Giovanni in Monza e della monumentale cappella della Regina (ms. della fine del sec. 19°), Milano, Bibl. Ambrosiana, Fondo Varisco, N. I 93.
Fonti edite. - Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano 1992; Bonincontro Morigia, Chronicon Modoëtiense, in RIS, XII, 1728, coll. 1061-1184; A.F. Frisi, Memorie della chiesa monzese, 4 voll., Milano 1774-1780; id., Memorie storiche di Monza e sua corte, 3 voll., Milano 1794 (rist. anast. Bologna 1970); F.X. Barbier de Montault, Inventaires de la basilique de Monza, BMon 48, 1882, pp. 178-241; 49, 1883, pp. 129-155, 225-287, 593-614; 50, 1884, pp. 56-88, 485-528.
Letteratura critica. - A. Sacchi, G. Ceruti, L. Beltrami, Il palazzo del Comune detto ''Arengario'' in Monza, Milano 1890; L. Zerbi, Il castello di Monza e i suoi forni, Archivio storico lombardo, s. II, 19, 1892, pp. 29-80, 261-343; A.M. Romanini, L'architettura lombarda nel secolo XIV, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 634-726; A. Merati, Storia architettonica del Duomo di Monza, Monza 1962; A.M. Romanini, L'architettura gotica in Lombardia, Milano 1964, II; id., Problemi di scultura e plastica altomedievali, in Artigianato e tecnica nella società dell'Alto Medioevo occidentale, "XVIII Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1970", Spoleto 1971, II, pp. 425-467; A. Belloni, M. Ferrari, La Biblioteca Capitolare di Monza, Padova 1974; A.M. 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