MORANO
– Famiglia di editori, proveniente da antiche origini calabresi (deve il suo nome al paese di Morano Calabro, che Federico II di Svevia, nel 1232, concesse come feudo al capostipite Apollonio).
Il figlio primogenito di Vito Morano e di Antonia Servello, Vincenzo (Monterosso Calabro, 22 gennaio 1822 - Napoli, 14 giugno 1890) giunse a Napoli nel 1847, proveniente da Cosenza, dove era professore nel R. Liceo, e, una volta stabilitosi, invitò i fratelli a raggiungerlo. Mentre il più giovane, Francesco (Monterosso Calabro, 7 aprile 1837- Napoli, 26 gennaio 1904), si avviò a una carriera di studi che lo portò a essere oculista di valore e docente universitario, gli altri tre si dedicarono ad attività legate al commercio librario. Se non è, infatti, documentariamente accertata la notizia secondo la quale è dei Morano la paternità editoriale della Protesta del popolo delle due Sicilie, fatta pubblicare da Luigi Settembrini già nel 1847, è certo che una libreria nel nome dei fratelli Morano venne aperta nel 1850 al vico Quercia 14, nel cuore, cioè, del centro antico della città. Furono, almeno nei primi anni, Domenico (Monterosso Calabro, 18 febbraio 1829 - Napoli, 22 dicembre 1913) e Antonio (Monterosso Calabro, 13 febbraio 1832 - Napoli, 25 dicembre 1912) a occuparsi del negozio, lasciando a Vincenzo il compito di dar corpo a una vera e propria attività editoriale. Non erano facili le condizioni per una simile impresa in una Napoli che, agli inizi degli anni Cinquanta, aggiungeva ai tradizionali limiti di una severa censura libraria imperniata sui provvedimenti assunti nel 1822, la dura e più recente repressione dei moti liberali del 1848.
Nello Stato dei tipografi della capitale del 1849 si nota che delle 60 aziende attive a Napoli solo nove possedevano quattro torchi a stampa, appena quattro (Festa, Marghieri, Tramater, D’Andrea) arrivavano a cinque torchi, mentre nove torchi vantavano Nicola Fabricatore e Roberto Silvestri, e dieci i Fratelli Trani e Francesco Saverio Lanciano. All’ombra di uno stretto sistema di controllo viveva, dunque, un’industria gracile che, al di là dei numeri che pure la segnalavano come la maggiore – in termini quantitativi – nel panorama dell’Italia della prima metà dell’Ottocento, si reggeva prevalentemente sulla produzione scolastica, scientifica e religiosa, affacciandosi solo nelle forme della contraffazione libraria o della stampa clandestina al nuovo mercato della narrativa e del libro autoriale che trovava il suo pubblico (e quindi il suo reddito) non solo in Europa, ma anche in alcuni centri importanti della penisola, come Milano e Firenze.
Entro questo circoscritto perimetro l’attività di Vincenzo Morano si rivelò subito, tuttavia, tutt’altro che disprezzabile. Associandosi a Bruto Fabricatore, antico allievo di Basilio Puoti, nel progetto di una «Biblioteca di classici» latini e italiani, egli si mostrò, per un verso, pronto a inserirsi nel solco di quella tradizione educativa caratteristica dell’editoria napoletana e, dall’altro, si unì, in un sodalizio destinato a durare a lungo, a una delle principali figure del pedagogismo cittadino, non immune da venature liberali. L’attività si svolgeva inizialmente collaborando e utilizzando consolidate imprese tipografiche. Era il caso, in particolare, della Stamperia Del Vaglio con la quale, e sempre d’intesa con Fabricatore, Morano mise in campo, tra il 1854 e il 1856, una nuova edizione delle Prediche di Charles-Nicolas Cochin e delle Opere di Paolo Segneri, testi che circolavano già da tempo nella quotidiana pratica ecclesiastica e dei quali, quindi, era facile prevedere un ampio smercio. Allo stesso modo, e sempre per i tipi di Del Vaglio, promosse la ristampa di opere assai note e di sicuro successo come la Storia del Concilio di Trento di Pietro Sforza Pallavicino (1853-1856) e la Storia della Compagnia di Gesù di Daniello Bartoli (1857).
La prima evidenza di un’attività editoriale svolta sotto integrale responsabilità e in nome proprio si ebbe a partire dal 1854, con il progetto di una edizione in sette volumi delle Opere di Giambattista Vico (1858-1869), destinata a concludersi, dopo discontinue fortune economiche, solo negli anni Sessanta. A questa seguì, con breve intervallo di tempo, l’avvio di una ristampa delle Opere di Vincenzo Gioberti, essa pure destinata a prolungarsi con alterni esiti di pubblico negli anni successivi all’Unità. Queste due scelte editoriali (Vico e Gioberti) segnalavano dunque una chiara matrice culturale e politica che collocava la famiglia Morano nel solco del moderatismo unitario risorgimentale per un’adesione convinta alle aspirazioni all’indipendenza politica e alla libertà istituzionale, manifestantesi non in termini di rottura col passato, ma, al contrario, come realizzazione dei movimenti più autentici e profondi della tradizione patria. Il testo però che meglio qualificò le vicende editoriali dei giovani Morano, e soprattutto di Vincenzo, nel decennio Cinquanta fu il varo di una nuova edizione napoletana del Dizionario dei sinonimi di Niccolò Tommaseo (1859), opera anch’essa tutt’altro che ignota a Napoli e nel Mezzogiorno (se ne conoscono almeno quattro edizioni tra il 1840 e il 1855) e che, tuttavia, Morano presentò come «eseguita sulla quarta milanese accresciuta e riordinata dall’autore» e priva, quindi, di quegli errori e di quelle mancanze che caratterizzavano le precedenti ristampe.
L’Unità segnò, anche nell’industria editoriale, un radicale mutamento di condizioni. L’estensione nel Mezzogiorno della normativa sulla proprietà letteraria vigente negli Stati sardi, con il complemento delle relative convenzioni internazionali, modificò in profondità le forme di esistenza di un settore produttivo vissuto esso pure, come molti altri, nel quadro di un protezionismo soffocante, ma alla cui tutela ci si poteva, in qualche modo, adattare. A ciò si aggiunse, per Napoli, la perdita del ruolo di capitale che determinò, anche in questo settore, il venir meno di commesse pubbliche e di vivacità di richieste private, e, più in generale, un riorientamento sostanziale degli indirizzi culturali che investì canoni e strumenti dell’educazione, nelle scuole e nelle università. Lamentava la Relazione della Camera di commercio e arti di Napoli sul movimento commerciale e industriale della sua provincia nell’anno 1863 (Napoli 1864, p. 55): «Tutti gli speculatori tipografi si sono trovati in imprese librarie che sono andate a male […] Gran numero di opere edite in materia ecclesiastica, scientifica e legale sono oggi o stimate inutili, o rifiutate per i principi non più confacenti all’indirizzo dei nuovi tempi».
Anche per i fratelli Morano si trattò, così, di reindirizzare l’attività, tanto più nel momento in cui le iniziative intraprese alla vigilia dell’unificazione – i 7 volumi di Vico e i 36 di Gioberti – si rivelavano un sostanziale fallimento, imponendo un radicale mutamento di strategia di impresa. Questo mutamento si attuò, alla metà degli anni Sessanta, con un’esplicita scelta del settore del libro scolastico che in quel momento veniva affermandosi, un po’ ovunque, come il comparto trainante della nuova editoria nell’Italia unita. Nel caso dei Morano – in quegli anni Antonio si affiancò a Vincenzo nella conduzione delle attività editoriali, mentre a Domenico rimaneva la responsabilità principale della libreria – questo riorientamento avvenne anche grazie al legame con due figure assai diverse: Francesco De Sanctis e Giuseppe Vago. Nel primo caso, il maggiore protagonista del rinnovamento culturale e della riforma radicale delle istituzioni accademiche napoletane affidava ai Morano, tra il 1866 e il 1869 – distaccandosi da precedenti esperienze fiorentine (Le Monnier) –, la prima e la seconda edizione dei Saggi critici e dei Saggi sul Petrarca. Con il canonico Vago siamo, invece, in presenza di uno degli interpreti più interessanti di una pedagogia nazionale capace di recuperare valori e stilemi della tradizione cattolica nel quadro delle nuove esigenze del nation building unitario. Ai suoi consigli, e a quelli del già ricordato Fabricatore, si dovette, infatti, la riedizione di opere assai diffuse di Puoti, come le Regole elementari della lingua italiana e l’Avviamento all’arte dello scrivere (1868) e, soprattutto, il progetto di una «Biblioteca scolastica », i cui testi nell’arco di molti decenni godettero di larghissima circolazione e fortuna commerciale non solo nelle province meridionali.
È significativo che nello sviluppo e nella diversificazione produttiva che caratterizzò la felice uscita dei Morano dalla crisi postunitaria, la distinzione di ruoli all’interno del nucleo familiare si venne precisando: Vincenzo rimase l’interlocutore del mondo scolastico napoletano, mentre Antonio curava e rafforzava i legami con le figure più prestigiose dell’intellettualità cittadina: De Sanctis, appunto, e Luigi Settembrini. Furono proprio la Storia della letteratura italiana del primo (1871) e le Lezioni di letteratura italiana del secondo (1872) a consacrare un’autentica svolta aziendale che vide Antonio Morano inaugurare con sigla autonoma (libraio- editore con sede in via Roma, 103) un’attività editoriale parallela e distinta da quella che Vincenzo continuava a svolgere nel ben collaudato ambito della produzione scolastica.
Al di là del suo merito culturale, che ne fa, probabilmente, il libro più importante nella centocinquantennale vita della casa Morano, la Storia della letteratura italiana di De Sanctis rappresenta anche un’opera esemplare nella vicenda dell’azienda. De Sanctis preferì pubblicare il suo lavoro con Antonio Morano – che con lusinghiera espressione definì «l’editore galantuomo » –, piuttosto che con gli editori fiorentini Felice Le Monnier e Gaspero Barbèra con i quali aveva collaborato a lungo soprattutto nel periodo di Firenze capitale. Questa scelta, impegnativa nelle motivazioni offerte dallo stesso De Sanctis che con questo gesto volle contribuire alla ripresa civile della Napoli postunitaria, si rivelò non meno impegnativa per i Morano che, intorno a un’opera importante di quello che allora era certo tra gli intellettuali e politici di maggiore rilievo della giovane nazione italiana, dovettero rapidamente ammodernare e irrobustire la loro rete di commercializzazione, le loro capacità di comunicazione, il loro catalogo.
Nel corso degli anni Settanta, e per una prima parte degli anni Ottanta, si assistette, così, allo svolgersi di un’ambiziosa strategia da parte, soprattutto, di Antonio Morano rivolta, per un verso, a consolidare la presenza della propria azienda a Napoli e nelle province meridionali, impedendo che le agguerrite case settentrionali, in specie torinesi e fiorentine, potessero giovarsi della liberalizzazione del mercato nazionale per una rapida affermazione dei propri testi anche nel Mezzogiorno e a tentare, per altro verso, con opportune scelte di autori e di titoli e un’efficace rete di distribuzione un allargamento della propria attività al di là dei confini dell’antico Regno. Questa strategia era imperniata sul settore scolastico, là dove la concorrenza si mostrava sin dai primi anni postunitari assai aggressiva e dove era tradizionale la specializzazione produttiva della casa Morano. Tuttavia, non meno rilevanti furono il contributo a essa fornito dallo stabilirsi di legami assai tenaci con alcuni protagonisti della vita culturale italiana di quegli anni e in particolare lo spazio trovato nella casa editrice da autori che interpretavano le correnti nuove, positiviste, di questa cultura: Bonaventura Zumbini, Francesco Torraca e Francesco D’Ovidio in ambito letterario, Francesco Fiorentino e Pietro Siciliani in ambito filosofico.
Proprio a Fiorentino, e per interessamento di De Sanctis divenuto nel 1878 ministro della Pubblica Istruzione, venne affidata la cura dell’edizione nazionale delle opere latine di Giordano Bruno, che rappresenta una delle iniziative più cospicue della casa editrice in quegli anni, accanto, e in ambito più squisitamente scolastico, alla pubblicazione, nel 1885, del Dizionario greco-italiano di Benedetto Bonazzi, al quale era, in qualche modo, legata la presenza tra i nuovi autori della Morano di figure come Francesco Acri e Michele Kerbaker.
Questa età eroica può dirsi sostanzialmente conclusa con la fine degli anni Ottanta quando la morte precoce di Fiorentino e la scomparsa nel 1890 di Vincenzo Morano aprirono una fase delicata che coinvolse, al tempo stesso, una difficile eredità nell’ambito della famiglia e l’affievolimento di una vocazione culturale e imprenditoriale insieme. Se ancora agli inizi dell’ultimo decennio del secolo XIX la pubblicazione, affidata a Pasquale Villari, di quel frammento delle Memorie desanctisiane noto da allora come La giovinezza (1894), e la presenza in catalogo di oltre 600 titoli lasciano immaginare un’eccellente tenuta economica, tra il 1896 e il 1898 si produsse una trasformazione radicale dell’impianto aziendale, conseguenza da un lato di difficili aggiustamenti della compagine familiare e, dall’altro, di una dichiarata difficoltà economica dovuta, in larga misura, al prevalere della concorrenza centrosettentrionale nel settore della produzione scolastica.
Nel 1898 fu fondata una nuova società che recava i nomi di Antonio Morano e di Francesco Di Gennaro, mentre a un’altra società «A. Morano e figlio», con sede in via Roma 40, di pertinenza solo di Alberto (Napoli, 22 novembre 1872 - ibid., 9 dicembre 1932), figlio di Antonio e di Luisa Berenzone, era affidato il compito di riprendere l’attività editoriale nel senso più ampio del termine. Una circoscritta attività editoriale fu svolta anche da un altro figlio di Antonio, Vito, nei primi anni del Novecento).
Un ruolo assai significativo, sia sotto il profilo culturale sia sotto quello, per dir così, societario, fu svolto in questo passaggio dal giovane Benedetto Croce. A lui, soprattutto, si dovette la pubblicazione de La letteratura italiana nel secolo XIX: scuola liberale, scuola democratica (1897) e degli Scritti varii, inediti e rari di De Sanctis che, accanto alle Lettere di Silvio Spaventa (1898) e al celebre Albo de La Rivoluzione napoletana del 1799 (1899), segnarono la ripresa della casa editrice all’alba del nuovo secolo.
Il rapporto con Benedetto Croce non venne mai meno e, tuttavia, il suo orientarsi verso l’editore barese Giovanni Laterza mutò assai presto le prospettive del rilancio della casa editrice, nel senso di un ridimensionamento della strategia nazionale e un ritorno al radicamento napoletano e meridionale. Ne risentì, in particolare, il progetto di un’edizione delle Opere di Francesco De Sanctis, inizialmente avviata su progetto di Croce e che si ridusse al recupero di testi e curatele già presenti nel catalogo dei Morano, mentre la fortuna di una serie di «Guide Morano», tra le quali merita di essere ricordata la Nuova guida di Napoli e dintorni (1922) redatta da Salvatore Di Giacomo, confermava il riorientamento in chiave locale dell’azienda.
All’indomani della prima guerra mondiale si assistette a una nuova, originale fase della storia della casa editrice. Ne fu protagonista, dopo la morte del padre, Alberto Morano. Incipit vita nova fu il motto non casuale che egli volle per la casa editrice, che diresse in solitudine di scelte, motto che circondava – non meno casualmente – un marchio raffigurante un lavoratore al quale sorride da lontano uno splendido sole nascente. Si inaugurava, cioè, una stagione editoriale caratterizzata dal prevalere della saggistica rivolta ai temi della contemporaneità sulla produzione tradizionale di libri scolastici o di saggistica di ricerca a circolazione universitaria. Singolare è anche il coinvolgimento personale di Alberto Morano nella battaglia delle idee che, con il nascere e il rafforzarsi del fascismo, fece della casa editrice un centro noto e vitale di opposizione al regime.
Alberto Morano si legò, infatti, in quegli anni, a figure nuove del panorama culturale napoletano, come il socialista Arturo Labriola di cui pubblicò un significativo Manuale di economia politica (1919), accanto ai più impegnativi saggi come Il socialismo contemporaneo (1922) e lo Studio su Marx (1926). Si aggiunsero le collaborazioni di altri antifascisti come Mario Vinciguerra, autore nel 1926 di Girondini del ’900, e Filippo Meda che nello stesso anno pubblicò Statisti cattolici. Ancora del 1926 fu un lavoro assai eloquente di Labriola, Voltaire e la filosofia della liberazione, mentre rimase allo stato di progetto interrotto una biografia di Robespierre, sempre di Labriola, annunciata nel catalogo del 1926-1927, ma che non vide mai la luce per l’improvviso mutamento della conduzione aziendale.
La persecuzione del regime, che giunse anche ad aggressioni squadristiche contro la casa editrice all’indomani dell’attentato bolognese di Anteo Zamboni a Mussolini il 31 ottobre 1926, comportò una significativa contrazione delle vendite, in particolare nel settore scolastico. Nel giugno del 1926 Alberto venne indotto a cedere la direzione della casa editrice al figlio Antonio (Napoli, 28 luglio 1899 - ibid., 23 novembre 1993), nato dal suo matrimonio con Amalia Pognetti, politicamente non compromesso e perciò in grado di evitare la prevedibile chiusura forzata dell’impresa. Con Antonio prese avvio a una lunga stagione destinata a durare praticamente fino alla fine degli anni Settanta, nella quale la stabilità all’azienda fu assicurata dal ruolo di casa editrice a prevalente vocazione scolastica.
Questa scelta si accompagnò a una maggiore attenzione al mercato universitario, nel settore, in particolare, dei testi giuridici, per il quale, nei primi anni della sua attività, il giovane Antonio Morano poté giovarsi della collaborazione di un nome illustre della scienza giuridica napoletana come Enrico Altavilla che con lui pubblicò un Manuale di diritto penale (1934) e un Manuale di procedura penale (1935) di immediato e vasto successo. Furono, gli anni Trenta, anche quelli nei quali riprese in maniera assai più omogenea e impegnativa del passato, l’edizione delle Opere di Francesco De Sanctis, la cui curatela fu affidata – ed era orientamento significativo dei molteplici e difficili equilibri che la casa editrice voleva e doveva mantenere negli anni della dittatura – a Nino Cortese, storico di dichiarato orientamento liberale e crociano.
Lo scoppio della guerra coglieva, così, la casa editrice in evidente ripresa produttiva e ciò rese tanto più gravi i danni che essa subì nello svolgersi delle operazioni belliche. I bombardamenti sulla città distrussero la tipografia e, soprattutto, dispersero irrimediabilmente i materiali già pronti della nuova edizione del Dizionario di Bonazzi (1948), un’opera – lo si è accennato – che costituiva un pilastro del conto economico dell’azienda.
Nonostante questo arresto nei primi due decenni del dopoguerra lo sviluppo della casa editrice avvenne in misura costante definendo una struttura produttiva basata su tre principali settori: la produzione scolastica in senso stretto, la saggistica universitaria, la saggistica cosiddetta varia.
Vi collaborarono figure rilevanti della cultura accademica napoletana, in un sovrapporsi e arricchirsi di testi che dimostrava anche la grande permeabilità delle distinzioni appena tracciate. Così può dirsi di Salvatore Battaglia, di Francesco Sbordone, di Cesare Tropea e dello storico e rettore dell’Ateneo napoletano, Ernesto Pontieri, che già alla fine degli anni Quaranta fece uscire alcune sue opere come primi titoli di una collana storica (Per la storia del regno di Ferrante d’Aragona, del 1947, Tra i Normanni nell’Italia meridionale, del 1948, Nei tempi grigi della storia d’Italia: saggi storici sul periodo del predominio straniero in Italia, del 1949) e nello stesso tempo fu autore di manuale di storia per la scuola media, Clio, di immediato successo.
Nel campo degli studi giuridici si impose il rapporto con Francesco Carnelutti, intorno al quale si costruì, nel 1957, la grande impresa del Trattato di diritto civile. Attraverso singoli lavori monografici il progetto vide convergere sulla casa editrice una serie di studiosi di solida esperienza, ma ancor giovani per età che assicurarono nel decennio Sessanta una forte penetrazione della produzione dei Morano nelle università italiane. A questa iniziativa si affiancò, nel 1965, il non meno impegnativo disegno delle Opere giuridiche di Piero Calamandrei, promosso da Mauro Cappelletti. Questo progetto fu molto il frutto degli anni trascorsi a Firenze da Pietro Piovani, che si impose, allora, come amicale e fattivo riferimento intellettuale della famiglia Morano. Fu alla sua presenza, infatti, che si dovette una stagione – quella a cavallo degli anni Sessanta e Settanta – che può giudicarsi tra le più intense e felici della lunga storia editoriale dei Morano e di cui possono ricordarsi, in un ricco catalogo, il Max Weber politico, scienziato, filosofo di Karl Jaspers (1969), Dio, uomo e mondo da Cartesio a Nietzsche di Karl Lowith (1966), Storicismo e antistoricismo di Carlo Antoni (1964) e Da Hobbes a Marx di Norberto Bobbio (1964), per non dire, ovviamente, delle opere dello stesso Piovani, tra le quali merita di essere segnalata Conoscenza storica e coscienza morale (1972): titoli che connotano una strategia editoriale volta a evidenziare la circolarità europea del pensiero speculativo contemporaneo nell’ambito generale dell’ascesa e della crisi dell’epoca della civilisation.
Furono quelli, per altro verso, gli anni della riforma scolastica e di un mutamento complessivo del sistema dell’educazione che l’azienda seguì con particolare slancio e con scelte generalmente accorte che ne rafforzarono la presenza nell’industria editoriale meridionale e nazionale, come la Storia della filosofia di Carlo Sini (1973) e l’antologia letteraria Gli argomenti umani, curata nel 1972 da Franco Fortini e Augusto Vegezzi. Nello stesso periodo il figlio di Antonio e di Sofia de Luca, Alberto (n. il 12 dicembre 1930) affiancò progressivamente il padre nella conduzione aziendale, confermando la composizione, e la trasmissione, strettamente familiare della società.
Si conservava, dunque, a distanza di quasi un secolo e mezzo, un elemento di originale e preziosa continuità della casa editrice, costretta, tuttavia, a misurarsi problematicamente con le trasformazioni dell’industria editoriale italiana. A partire dagli anni Ottanta, infatti, l’editoria italiana venne investita da un processo di radicale ristrutturazione, con ricadute particolarmente rilevanti sul settore dell’editoria scolastica, che rappresentava da sempre il comparto economicamente determinante della casa Morano. Il fenomeno della concentrazione produttiva portò, in fasi successive, al raggrupparsi sotto alcune sigle prevalenti marchi illustri della tradizione italiana e, corrispettivamente, al farsi più difficili le condizioni di redditività delle aziende rimaste indipendenti. Questo è tanto più vero nel caso di un’azienda ad antica dimensione familiare come Morano, dove ancora oggi i figli di Alberto, Sergio (n. 30 settembre 1961) e Dario (n. 14 gennaio 1975), continuano l’antica tradizione.
Fonti e Bibl.: In memoria di Vincenzo Morano. Componimenti vari in versi e in prosa, Napoli 1890; M.I. Palazzolo, I tre occhi dell’editore. Saggi di storia dell’editoria, Roma 1990, pp. 14, 193 s., 210-212, 238; Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze 1997, pp. 142, 156 s., 160, 264, 306, 406; R. Di Napoli, Per una storia dell’editoria nel Regno delle due Sicilie (1806-1860): indici e materiali, Napoli 1998, passim; L. Mascilli Migliorini, Una famiglia di editori. I Morano e la cultura napoletana tra Otto e Novecento, presentazione di F. Tessitore, con un inedito di P. Piovani, Milano 1999; L. De Matteo, “Noi della meridionale Italia”. Imprese e imprenditori del Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione, Napoli 2002, ad ind.; M.C. Napoli, Letture proibite. La censura dei libri nel Regno di Napoli in età borbonica, Milano 2002, ad ind.; Editori italiani dell’Ottocento. Repertorio, a cura di A. Gigli Marchetti et al., Milano 2004, ad ind.; V. Trombetta, L’editoria italiana dell’Ottocento. Produzione, circolazione, consumo, Milano 2008, ad indicem.