MORANZONE
(Moronzone). – Famiglia veneziana i cui membri costituirono una dinastia di artisti dediti all’intaglio del legno. Di essi si conservavano pochissime testimonianze (per i documenti, ove non diversamente indicato, si vedano i regesti in Markham Schulz, 2011), anche se la loro attività, tra la seconda metà del XIV e l’inizio del XVI secolo, si diramò entro il vasto ambito territoriale sottoposto al potere della Serenissima.
Alla prima generazione appartennero i fratelli Giovanni e Andrea, figli di Marco di Pietro e Negra. Se le notizie riguardanti Giovanni (1374-1423) sono molto scarse, più numerose e significative sono quelle riconducibili ad Andrea, del quale sono attestate le relazioni e la collaborazione con i pittori coevi. La più antica menzione risale al 1367, quando egli compare fra i testimoni citati nella ricevuta rilasciata dai pittori Donato e Catarino alla vedova di Marco Berengo, relativa al pagamento di una croce per la chiesa veneziana di S. Agnese. Nel 1386 fu chiamato a collaborare con gli stessi due maestri e con Pietro di Nicolò alla realizzazione di una croce e di due ancone ordinate dai domenicani del convento di S. Platone a Zara. Nel 1374, insieme al fratello, fu testimone al testamento del pittore Nicolò di Cipriano Biondo da Zara, per conto del quale nel 1387 versò una somma consistente agli ufficiali del Cattaver. Giovanni da Bologna nel 1389 lo nominò esecutore delle proprie disposizioni testamentarie, includenti un lascito al discepolo Nicolò, probabilmente il figlio di Pietro di Nicolò. L’unica opera conservata di Andrea è la pala lignea con Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento commissionatagli il 18 luglio 1391 per l’altare maggiore del duomo di S. Maria Assunta a Gemona del Friuli, ove fu collocata entro il maggio 1392.
Gravemente danneggiata da un incendio, essa era composta in origine da 33 bassorilievi (tre sono perduti) ed era il fulcro di un insieme completato dall’Annunciazione intagliata posta sul coronamento e da una tavola dipinta con raffigurazioni di Santi che fungeva da coperta. Forse il maestro aveva eseguito in precedenza anche l’ancona dell’altare maggiore della chiesa di S. Andrea a Venzone (Udine), richiamata a modello nel contratto gemonese.
Andrea risulta deceduto in un atto ferrarese del 27 aprile 1398 cui fu testimone il figlio Lorenzo. L’arte paterna fu esercitata anche dai suoi figli: Antonio (morto nel 1400), Caterino, Lorenzo e Matteo. Caterino, ricordato per la prima volta nel 1399 in un testamento al quale fu testimone insieme al pittore Pietro di Nicolò, è attestato in vita in una serie di atti riguardanti la moglie Moretta di Simone stilati tra 1400 e 1413, mentre era morto quando ella fece redigere il proprio testamento il 22 ottobre 1430. La sola opera pervenuta dovuta con certezza al maestro è la pala lignea dorata e dipinta proveniente dalla distrutta chiesa del Corpus Domini di Venezia, ora al Museo Correr, che reca nello scomparto centrale le firme dell’intagliatore e del pittore Bartolomeo di Paolo, responsabile della policromia.
Essa fu commissionata intorno al 1395 dalle monache domenicane per essere posta, verosimilmente, sull’altare maggiore, come suggerisce il tema eucaristico che lega i 13 rilievi dell’insieme. L’iscrizione, contenuta nella tabella alla base della croce, assicura che nel 1404 Caterino eseguì la perduta incorniciatura del Crocifisso dipinto da Nicolò di Pietro per la chiesa di S. Agostino a Verucchio, non lontano da Rimini.
Lorenzo nell’atto del 1398, che attesta la morte del padre e lo cita per la prima volta, risulta abitare «ad presens» a Ferrara (Markham Schulz, 2011, p. 141); in seguito fece ritorno a Venezia dove intrattenne stretti rapporti con Matteo. Nel 1407 i due fratelli risultano sposati, rispettivamente, con le sorelle Iacobella e Francesca. Il 20 febbraio 1408 rilasciarono a Jacopo Campi, prete in S. Marciliano, una ricevuta per il saldo del compenso loro dovuto per una pala lignea eseguita per l’altare del Corpus Domini, mentre nel 1412 acquisirono una schiava ceduta dal pittore Zanino di Pietro. Il sodalizio si interruppe dopo la partenza di Matteo per Zara nel 1418, ma nel 1433 i fratelli si accordarono sulla divisione dell’eredità paterna. I tentativi di Lorenzo di recuperare un credito dall’orefice fiorentino Michele Dei, residente a Ferrara, rivelano i rapporti con gli intagliatori incaricati allo scopo tra il 1430 e il 1433: i ferraresi Cristoforo Giandosi e Bartolomeo di Giovanni e il nipote Giacomo. Nel 1432 con il pittore Bartolomeo Bianco fu testimone al testamento della moglie di Damiano Stella, anch’egli pittore, ed ebbe lo stesso ruolo in un atto del 1434. Non è certo, invece, che sia lui il «Lorenzo intaiador» (Paoletti, 1893, pp. 97 s.) di cui si parla in un documento stilato post mortem il 27 settembre 1438, dal quale risulta che la Scuola Grande della Carità accettò di saldare un debito del maestro con il compenso che gli spettava per una pala eseguita per la sede della confraternita, solo dopo aver sentito il parere di Gasparino Moranzone, ma senza far cenno a una parentela tra i due.
Dopo l’esordio veneziano, la maggior parte della fortunata carriera di Matteo si svolse a Zara, dove si trasferì con la famiglia in una casa messa a disposizione dall’arcivescovo Luca Turriani e dal nobile Tommaso de Petrizo, che il 23 luglio 1418 gli commissionarono il coro della cattedrale di S. Anastasia, ove si conservano tuttora gli stalli riccamente intagliati.
Per la medesima chiesa Matteo eseguì altre due opere: un perduto tabernacolo, che nel 1422 Simone de Begna indicava a modello per quello da lui ordinato per S. Maria Maggiore, e un complesso scultoreo di straordinario rilievo comprendente un grande crocifisso, circondato nelle terminazioni della croce dai simboli degli Evangelisti e dalle figure dell’Annunciazione e di Dio Padre, ai piedi del quale dovevano disporsi le statue della Madonna, di S. Giovanni Evangelista e di dodici Apostoli. Al contratto, sottoscritto dal maestro il 21 maggio 1426 con l’arcivescovo Biagio Molin, seguì nel 1431 quello con il pittore Giovanni di Pietro da Milano, chiamato a realizzare la policromia delle sculture, poste sulla trave al di sopra del coro. Il Cristo crocifisso e i dieci Apostoli conservati sono esposti nel Museo diocesano della città.
I documenti danno conto anche dei rapporti con altri pittori: nel 1424 Matteo fu nominato procuratore da Meneghello Canali da Venezia, come lui attivo a Zara; mentre nel 1443, in una vertenza veneziana che lo vide opposto, assieme al figlio Francesco, al pittore Nicolò di Domenico, furono eletti giudici arbitri rispettivamente Francesco dei Franceschi e Michele Giambono. Fino al 1451 sono numerose le testimonianze della permanenza di Matteo a Zara, anche se non dovettero mai venir meno i contatti con la città d’origine, mentre la sua scomparsa può essere fissata tra il 20 luglio e il 23 ottobre 1462, quando Francesco è detto «quondam magistri Mathei» (Markham Schulz, 2011, p. 150).
Come quella del padre, anche la carriera di Francesco si svolse tra Venezia e Zara, dove è documentato nel 1434 come testimone e cittadino residente. È verosimile che egli abbia operato a lungo nella bottega familiare, come suggerisce la presenza a fianco di Matteo nella citata controversia del 1443, che ne attesta il ritorno a Venezia. Non rimane traccia della produzione autonoma del maestro, specializzato forse nell’intaglio di ricche cornici dorate. Nel 1447 Michele Giambono gli ordinò quella per la pala con l’Incoronazione della Vergine destinata alla chiesa veneziana di S. Agnese, mentre Sansovino gli attribuisce l’incorniciatura del polittico dipinto nel 1460 da Donato Bragadin per l’altare della Confraternita dei falegnami in S. Samuele. L’ultimo documento certo che ricorda il maestro in vita risale al 23 ottobre 1462, ma è forse possibile riconoscerlo nel «magister Franciscus» nominato in un atto del 1472 (Markham Schulz, 2011, p. 105).
Anche i discendenti di Caterino Moranzone – Andrea, Giacomo (o Jacopo) e Gasparino – furono intagliatori. Assai poco si sa del primogenito Andrea (notizie dal 1429), del quale nel 1432 i fratelli reclamarono l’eredità a un anno circa dalla morte, avvenuta fuori Venezia. Giacomo, citato per la prima volta nel 1413 in qualità di legale rappresentante della madre, oltre che intagliatore fu anche pittore e come tale è menzionato da Vasari, che gli assegna il polittico con l’Assunzione della Vergine e santi, già nella chiesa veneziana di S. Elena e ora nelle Gallerie dell’Accademia. L’autografia è confermata da Sansovino e da Anton Maria Zanetti, che nel 1771 sulla perduta cornice poteva ancora leggere l’iscrizione con la firma e la data 1441. La prima opera plastica del maestro di cui si ha notizia è una pala con la Vergine Maria eseguita entro l’11 luglio 1438 per Jacopo Bernabò, che la fece porre sul suo altare nella chiesa veneziana di S. Giovanni Crisostomo. A Verona, dove Giacomo abitò per qualche tempo, la sua arte conobbe una notevole fortuna, testimoniata dal prestigio dei committenti e dai cospicui compensi percepiti. Il 9 ottobre 1437 egli si impegnò con Cortesia da Serego a realizzare un’ancona lignea con S. Pietro martire, la Madonna con il Bambino e santi da porsi sull’altare maggiore della chiesa di S. Anastasia. Benché datata 1440 nell’iscrizione che ne attestava la paternità e l’esecuzione veneziana, l’opera giunse nella città scaligera solo nel 1443 e il suo pagamento fu al centro di una vertenza dalla quale si evince, tra l’altro, come l’intagliatore fosse in ritardo sulla consegna di un’altra pala, di cui sollecitava il completamento il francescano Alberto di Puglia. Al 1443 risale anche la commissione da parte dei rettori della Casa di Pietà, esecutori testamentari di Paolo Filippo Guantieri, di un’ancona destinata alla cappella di questi in S. Maria della Scala. In precedenza, il 27 maggio 1440, il canonico Antonio Malaspina nel suo testamento aveva ordinato la realizzazione di due ancone lignee per il duomo di Verona.
La prima, da porsi sull’altare della sua cappella privata, doveva essere intagliata dal «magistro Iacomello de Veneciis» (Brugnoli - Vinco, 2008, p. 185) avendo a modello quella nella chiesa di S. Marco, verosimilmente dello stesso artista. Quasi certamente tale volontà non ebbe seguito, mentre la seconda pala, destinata all’altare maggiore, fu effettivamente scolpita da Giacomo Moranzone e costò l’iperbolica cifra di 1000 ducati, all’incirca quanto quella di Cortesia da Serego, come si apprende dagli atti della lite per il suo pagamento, ancora in corso nel 1457. L’unica parte sopravvissuta del complesso è stata individuata nella Madonna con il Bambino, radicalmente rimaneggiata, ospitata presso l’Istituto della Carità del Sacro Cuore a Verona (ibid.). Anche della pala lignea intagliata tra il 1450 e il 1451 dal maestro per l’altare dalla confraternita di S. Antonio da Padova in S. Maria Gloriosa dei Frari a Venezia si è conservata una sola scultura, quella raffigurante il santo titolare sedente ora al centro dell’alzata barocca.
I documenti attestano la collaborazione e i rapporti con artisti coevi: nel 1445 il pittore Donato Bragadin si dichiarò creditore di Giacomo per un imprecisato lavoro, nel 1452 un intagliatore suo collaboratore rivendicò un debito di 36 ducati, mentre nel 1450 Andrea Mantegna affidò allo stesso Giacomo la cura dei propri interessi nella causa con un mercante. Il prestigio di cui godeva il maestro è confermato dalla nomina tra i giudici chiamati a esprimersi sulle divergenze insorte nel 1453 fra Donatello e il figlio di Erasmo da Narni detto Gattamelata sul valore della statua equestre del condottiero.
Documentato ancora in vita nel testamento della sorella Pasqualina del 19 aprile 1467, Giacomo risulta morto il 16 settembre seguente, quando la vedova Cristina ne rivendicò le proprietà. Dei figli Alvise, Andrea, Francesco e Salvatore, solo quest’ultimo fu certamente intagliatore. GasparinoMoranzone, menzionato per la prima volta come testimone nel 1427, nel 1436 risulta sposato con la cugina Cristina Bono, dalla quale ebbe tre figli. Il parere richiesto al maestro nel 1438 dai confratelli della Scuola Grande della Carità in merito al saldo del già ricordato debito dell’intagliatore Lorenzo, forse lo zio, suggerisce la fiducia e il rispetto goduti. Sansovino assicura che Gasparino realizzò la cornice del Polittico di s. Girolamo, dipinto nel 1441 da Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna per l’altare della cappella Molin in S. Stefano a Venezia, e quella della Pala di s. Andrea di Francesco dei Franceschi in S. Giobbe. La firma dell’artista e la data 15 agosto 1449 furono lette da Flaminio Corner (1749) sulla pala commissionata dal priore Giorgio Corner per la chiesa di S. Maria di Nazareth. L’unica testimonianza della produzione del maestro è costituita da due frammenti dell’enorme statua raffigurante S. Cristoforo un tempo posta presso l’altare maggiore della Madonna dell’Orto. Si tratta di parte della testa barbata e di una gamba conservate nel Museo Correr. Giusta la notizia riportata da Sansovino secondo cui le proporzioni della figura sarebbero state desunte dalla reliquia della rotula del santo portata a Venezia dall’Inghilterra nel 1470, si tratterebbe di un’opera estrema dell’intagliatore, collocandosi a ridosso della sua scomparsa avvenuta tra il 22 giugno 1471 e il 31 agosto 1472, quando risulta morto nel testamento della nuora.
Opere attribuite: sulla base delle poche opere conservate dei Moranzone sono state avanzate diverse proposte per l’ampliamento dei rispettivi cataloghi, sulle quali tuttavia la critica non è concorde. Ad Andrea o a Matteo è stata attribuita la pala lignea con il Giudizio Universale custodita nel Museo diocesano di Treviso (Ericani, 1999), mentre quella con la Morte della Vergine, Cristo benedicente e santi nella sacrestia della chiesa di S. Maria Assunta a Malamocco, presso Venezia, è stata assegnata a Caterino (Merkel, 1997). A quest’ultimo sono stati per lo più avvicinati i Crocifissi conservati nel monastero di S. Cipriano a Trieste, nel Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo, quello sul mercato antiquario da ultimo presso Copetti a Udine e quelli nelle chiese di S. Luigi a Portogruaro e di S. Fidenzio a Polverara (in provincia di Padova; Sartor, 2008). Allo stesso maestro sono state riferite la Madonna e una Maria nella chiesa di S. Maria a Ponso (a sud di Padova; Ericani, 1999) e la Dormitio Virginis nel Museo del Cenedese a Vittorio Veneto, mentre all’ambito dei Moranzone è stato legato il rilievo con i Ss. Ermacora e Fortunato della cattedra vescovile nel duomo della cittadina (Fossaluzza, 2000; 2003). Intorno al nome di Giacomo Moranzone Ericani (1999, 2004) ha riunito il Polittico di s. Giacomo nel Museo Capitolare di Atri, il Crocifisso del santuario dei Ss. Vittore e Corona a Feltre e, dubitativamente, il polittico nella chiesa di S. Francesco a Pola e il Crocifisso dipinto già in S. Elena a Verona e ora in duomo. Alternativa a questa è la proposta di Sartor (2002; 2005) che riconosce a Giacomo il polittico della Pieve di Avio (ora a Trento, Museo diocesano) e quello nella collezione Luzzetti a Firenze, già legati dalla critica all’anonimo Maestro di Avio insieme al rilievo con la Madonna con il Bambino appartenente al museo di Teplice (Repubblica Ceca), cui possono essere affiancati altri due rilievi di analogo soggetto conservati in collezioni private e un Dio Padre benedicente a Zagabria. Nel suo volume dedicato alla scultura lignea veneziana, Markham Schulz (2011) ha respinto tutte le attribuzioni proposte.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, III, Firenze 1971, pp. 441, 621; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare…, Venezia 1581, cc. 46r, 50r, 57r, 59r, 78r; F. Corner, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, IX, Venezia 1749, p. 302; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 1771, pp. 191 s.; P. Paoletti, L’architettura e la scultura del Rinascimento a Venezia, I, Venezia 1893, pp. 80 s., 97 s.; L. Testi, La storia della pittura veneziana, I, Bergamo 1909, pp. 246-254; II, ibid. 1915, pp. 72-75; S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte dei secoli XIV e XV, Roma 1955, pp. 31 s.; I. Petricioli, Matteo M. a Zara, in Arte Veneta, XXIX (1975), pp. 113-118; A. Ruggeri Augusti, Un capolavoro recuperato. La pala del M. di Gemona, in Restauro nel Friuli Venezia Giulia. Memorie della scuola regionale di restauro, Pordenone 1983, pp. 40-43; S. Skerl Del Conte, Stefano e Andrea M. un esempio di collaborazione fra pittori e intagliatori, in Critica d’arte, LV (1990), pp. 47-54; G. Ericani, I M. veneziani e la scultura lignea veneta del Quattrocento, in La scultura lignea nell’arco alpino (1450-1550). Storia, stili e tecniche, Atti del Convegno internazionale di studi, Udine, 21 novembre - Tolmezzo, 22 novembre 1997, a cura di G. Perusini, Udine 1999, pp. 105-117; E. Merkel, La scultura lignea barocca a Venezia, in Scultura barocca nel Veneto, a cura di A.M. Spiazzi, Cinisello Balsamo 1997, pp. 190 s.; G. Fossaluzza, in Da Paolo Veneziano a Canova. Capolavori dei musei veneti restaurati dalla Regione del Veneto 1984-2000 (catal., Venezia), a cura di G. Fossaluzza, Venezia 2000, pp. 64-67; L. Sartor, Andrea e Caterino M. e il Friuli Venezia Giulia, in Artisti in viaggio 1300-1450. Presenze foreste in Friuli Venezia Giulia, a cura di M.P. Frattolin, Udine 2003, pp. 95-119; L. Sartor, Per la scultura lignea veneziana del Quattrocento: gli intagliatori Giacomo e Gaspare M., in L’arte del legno in Italia. Esperienze e indagini a confronto, Atti del Convegno, Pergola, 9-12 maggio 2002, a cura di G.B. Fidanza, Perugia 2005, pp. 17-34; G. Fossaluzza, Gli affreschi nelle chiese della Marca trevigiana dal Duecento al Quattrocento, I.2, Treviso 2003, pp. 149, 175; G. Ericani, Il Crocifisso ligneo nell’alto Bellunese tra Gotico e Rinascimento e Scheda n. 100, in a Nord di Venezia. Scultura e pittura nelle valli dolomitiche tra Gotico e Rinascimento (catal., Belluno), a cura di A.M. Spiazzi et al., Cinisello Balsamo 2004, pp. 431 s., 436; L. Sartor, Andrea M., intagliatore, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani. Il Medioevo, a cura di C. Scalon, I, 2, Udine 2006, pp. 569-572; A. Markham Schulz, La pala d’altare del Corpus Domini di Caterino M. presso il Museo Correr: storia, significato e stile, in Bollettino dei Musei civici Veneziani, s. 3, II (2007), pp. 95- 107; P. Brugnoli - M. Vinco, Il canonico Antonio Malaspina, un disegno di Pisanello e l’ancona di Giacomo M. per il duomo di Verona, in Arte veneta, LXV (2008), pp. 179-193; L. Sartor, Crocifisso ligneo. Bottega dei M., in Eventus, Udine 2008; A. Markham Schulz, Woodcarving and woodcarvers in Venice 1350-1550, Firenze 2011, pp. 18, 58 s., 215-218, 236-248, passim (per i rimandi bibliografici ai documenti citati nel testo, si vedano i regesti nel volume: pp. 75 s., 83, 94, 105, 107-109, 117 s., 127, 132-136, 141 s., 149 s., 173).