MORIALE, Giovanni, detto fra Moriale
MORIALE (Moriale d’Albarno), Giovanni, detto fra Moriale (Morreale). – Nacque a Narbona, in Francia, probabilmente negli anni Trenta del XIV secolo, con il nome di Jean Montreal du Bar.
Nel 1345, ancora giovinetto, si imbarcò su una galea che da Marsiglia e Avignone trasportava panni e stoffe francesi a Napoli, e che, a causa di una tempesta, naufragò. Arenatasi sulla foce del Tevere tra Porto e Ostia, la galea fu saccheggiata dagli abitanti del posto e Moriale fu costretto a fuggire e a rifugiarsi a Napoli dallo zio, fra Isnardo d’Albarno, che nel 1334 era stato eletto priore degli spedalieri gerosolimitani stanziati a Capua. Sulle orme dello zio anche Moriale entrò a far parte dell’Ordine di san Giovanni di Gerusalemme, di cui divenne priore e comandante delle truppe; da quel momento fu chiamato fra Moriale.
Entrò al servizio di Carlo di Durazzo (conte di Gravina) e, nel 1345, dopo l’assassinio di Andrea d’Ungheria (Andrea d’Angiò), duca di Calabria e marito della regina di Napoli Giovanna I, partecipò ai disordini che si scatenarono a Napoli a fianco delle truppe ungheresi di Ludovico (Luigi I), re d’Ungheria, che intendeva vendicare l’omicidio del fratello. Moriale si impegnò nella ricerca dei mandanti, che portò all’arresto di Carlo Artus e di Gastone conte di Terlizzi. Nel 1348 Carlo di Durazzo fu strangolato ad Aversa e Moriale con la sua compagnia ne saccheggiò la casa, mentre la moglie del conte di Gravina, Maria di Calabria, fuggiva con le figlie.
L’anno successivo Moriale si unì con il suo seguito di uomini d’arme alle truppe ungheresi del voivoda Stefano Lacki, che erano sbarcate a Manfredonia nel 1348; con Guarnieri (Werner) d’Urslingen, Corrado Lupo e il conte Lando si diede al saccheggio di Terra di Lavoro e Capitanata, di Lucera, Troia e Canosa. A loro si aggiunsero numerosi uomini d’arme fino a raggiungere le 10.000 unità. Il 6 giugno 1349 le genti d’arme della compagnia si scontrarono a Melito, tra Aversa e Napoli, con 300 napoletani a cavallo, inviati da Luigi di Taranto, nuovo marito di Giovanna I.
La compagnia, suddivisa in tre schiere in assetto da guerra, prevalse sull’esercito napoletano, di cui furono fatti numerosi prigionieri. Tuttavia, all’interno dell’accampamento sorsero delle divergenze intorno alle paghe dei mercenari e alla spartizione del bottino; a nulla valse il tentativo del voivoda di dare loro in pegno il proprio figlio, perché alla fine fu rinchiuso con le sue truppe in Manfredonia, mentre il resto della compagnia si scioglieva: nel gennaio del 1350 fu stipulato un accordo con il re Luigi di Taranto per abbandonare Terra di Lavoro e Capua e dirigersi in Romagna.
Mentre Guarnieri von Urslingen e il conte Lando fecero ritorno in Germania, Moriale, con Corrado Lupo e gli Ungheri, restò nel Regno e fu lasciato dal re d’Ungheria come suo vicario e castellano di Aversa. Insieme con Corrado Lupo, a capo di una compagnia di 7000 uomini, saccheggiò il Beneventano e si diresse a Barletta per accogliere Ludovico d’Ungheria tornato nel Regno di Napoli.
Nei primi mesi del 1351 alle truppe di Moriale in Puglia si aggiunse nuovamente il conte Lando; la compagnia, così formata di elementi stranieri (tedeschi, provenzali e italiani) e affidata al comando del nipote di Moriale, Bertrando della Motta (Beltramo Montano), saccheggiò numerose terre in Terra di Lavoro.
La guerra nel Regno era terminata e i mercenari senza un’occupazione si erano dedicati alla rapina. Luigi di Taranto considerò Moriale il colpevole e lo citò al tribunale della Vicaria; dopo averlo fatto condannare in contumacia, fece porre Aversa sotto assedio dalle truppe di Malatesta da Rimini, nominato vicario del Regno, costringendo Moriale alla resa e alla consegna di tutto il danaro accumulato in anni di rapine.
Moriale costituì una nuova compagnia di 500 barbute e 1200 fanti e, nel dicembre del 1352, si diresse a Roma, dove sarebbe stato assoldato dal cardinale Egidio Albornoz, chiamato dal papa per restaurare l’autorità della Chiesa in alcuni territori pontifici. Nel luglio del 1353, agli stipendi del papa e al seguito di Giovanni Orsini, rettore del Patrimonio, si diresse contro il prefetto Giovanni di Vico, che si era impadronito di Orvieto e spadroneggiava in molte terre del Patrimonio; il 12 agosto saccheggiò Sucano e la zona del Monte Alfina, dove si accampò; il 14 agosto, avvicinandosi sempre più minacciosamente a Orvieto, incendiò Petroio; la sera del giorno successivo il prefetto, che si trovava a Orvieto, inviò verso Monte Alfino 80 cavalieri e 300 fanti contro l’esercito pontificio, in quel momento sprovvisto dell’aiuto di Moriale e della sua compagnia, che si trovava a Sucano. Le truppe del prefetto ebbero la meglio e riuscirono a catturare numerosi prigionieri. Il 17 agosto i 300 cavalieri e 400 fanti di Moriale, cui nel frattempo si erano aggiunti moltissimi fuoriusciti orvietani, si allontanarono da Sucano, conquistarono Allerona, catturarono 100 prigionieri e lì decisero di accamparsi, dedicando i giorni successivi al saccheggio delle zone circostanti. Il 26 agosto Moriale tentò di porre un agguato notturno a Orvieto dal lato del piano di Paglia, ma due cavalieri usciti in perlustrazione riuscirono a sventare il piano, costringendolo con i suoi a ripiegare sul piano di San Giorgio dove, al grido di «Viva la Chiesa di Roma», «Viva Fra Moriale» tentavano di incitare alla ribellione gli abitanti. Non sortirono alcun effetto positivo e ripiegarono su Allerona, dove il prefetto non aveva nessuno da inviare. Qui Moriale e i suoi si trattennero fino all’8 settembre, termine della ferma con Giovanni Orsini.
Dopo numerose insistenze perché si schierasse al suo fianco, Moriale passò allora al servizio del prefetto, che lo inviò nel contado di Todi per affiancare i fuoriusciti dei Chiaravalle e assediare in città la famiglia dei Datteri, guelfa. I todini riuscirono a resistere all’assedio, grazie anche ai soccorsi fiorentini. Dopo circa un mese Moriale si separò dal prefetto e cominciò a costituire la Gran compagnia di italiani, ungheresi, tedeschi e, soprattutto, di svizzeri per un totale di 1500 barbute e 2000 masnadieri. Si diresse nella Marca anconetana e, a dicembre, fu assoldato dal signore di Fermo, Gentile da Mogliano, contro i figli di Malatesta II, Pandolfo e Malatesta Ungaro. Liberò Fermo dall’assedio e saccheggiò Fano, Pesaro e Rimini e, durante l’inverno, Mondolfo, S. Vito, la Fratta, i sobborghi di Jesi, e moltissime altre terre della Marca. A Filottrano, dove fece strage di 700 abitanti, si trattenne per le stanze per un mese per poi dirigersi verso la costa e continuare la sua spietata attività di rapina a Umana, Oriolo, Ancona e Castelfidardo. Occupò 44 castelli dei Malatesta.
Intanto, la fama delle imprese di Moriale raggiungeva tutti gli uomini d’arme e gente di malaffare che andarono a ingrossare la Gran compagnia che arrivò a contare 5000 cavalli, 1500 masnadieri, 20.000 seguaci, tra cui anche donne, oltre a un numero imprecisato di connestabili e fanti a piedi. La Compagnia era ordinatamente divisa in squadre, i cui capi riportavano a Moriale, capo indiscusso dell’esercito, affiancato da quattro segretari di cavalleria, il conte Lando, Amerigo del Canaletto, un certo messer Fenzo e un messer Brocardo, e quattro segretari connestabili, che costituivano il consiglio segreto e che prendevano le decisioni più importanti, insieme con 40 consiglieri e un tesoriere. La Gran compagnia, dunque, vantava una solida struttura amministrativa che ruotava intorno al suo capo e governava l’attività di un grande numero di persone. Le regole erano precise, soprattutto quelle che riguardavano la spartizione del bottino, per non far nascere i malintesi che a Melito avevano disunito la Compagnia.
I Malatesta tentarono di arginare i saccheggi e chiesero aiuto alla lega costituita da Firenze, Siena e Perugia a sostegno del partito guelfo in Italia, che inviò 800 barbute e 200 cavalli. Tuttavia, ben presto il partito anti-Moriale si indebolì a causa della defezione di Perugia, che non intendeva combattere a fianco dei Malatesta. Questi, privi ormai del sostegno necessario, negoziarono la pace con Moriale, che ottenne 40.000 fiorini e in ostaggio Malatesta Ungaro, a garanzia di altri fiorini. I fiorentini pagarono il resto del riscatto, così che la prigionia di Malatesta durò pochissimo e questi fu libero ai primi di luglio del 1354.
La Gran compagnia, che ormai aveva raggiunto i 5000 cavalli e 10.000 fanti, già dai mesi primaverili, dopo aver sostato pacificamente a Perugia, e a maggio a Foligno, dove aveva ricevuto dal vescovo ogni genere di vettovaglie, si era diretta in Toscana, verso Montepulciano: era stata in Val di Chiana (a Gracciano, Torrita e Asciano); a giugno costrinse Siena a pagare 13.000 fiorini affinché la risparmiasse. Anche Arezzo cercò un accordo e, non potendo pagare in danaro, offrì vettovaglie e panni per gli uomini d’arme, ma non riuscì, in tal modo, a evitare che il contado fosse comunque razziato dalla Compagnia. Firenze, lasciata sola da senesi e aretini, strinse una nuova lega con Pisa, armando un esercito di 1200 cavalieri fiorentini e 800 pisani, e negò il salvacondotto alla Compagnia, che voleva andare al nord per partecipare alle guerre lombarde. La Compagnia, allora, dall’accampamento di Staggia si recò a Poggibonsi, dove il 3 luglio si scontrò con alcuni uomini inviati dal Comune di Firenze per arrestarne l’avanzata. Il tentativo, tuttavia, non sortì effetti positivi perché già il giorno successivo gli uomini d’arme di Moriale avanzarono a San Casciano in Val di Pesa a sole sei miglia da Firenze, saccheggiando S. Andrea in Percussina e Montebuoni, arrivando fino all’Elsa, a Badia a Isola. Questi episodi convinsero i fiorentini a firmare una tregua e a concedere a Moriale 25.000 fiorini, a patto che la Gran compagnia si tenesse lontana dal contado fiorentino per almeno due anni.
Nel frattempo Moriale aveva ricevuto molte offerte di ferma. L’arcivescovo di Milano, Giovanni Visconti, avrebbe voluto assoldarlo contro la lega promossa dai veneziani, che pure tentavano Moriale.
La Gran compagnia il 16 luglio si allontanò da Acquarata e si recò nel contado aretino e si stanziò tra Anghiari e Sansepolcro, dove si trattenne per circa 20 giorni.
Nell’agosto del 1354 a Città di Castello Moriale firmò la ferma di quattro mesi per 150.000 fiorini con la lega di Lombardia contro Giovanni Visconti e affidò il comando della compagnia al conte Lando che, per la via di Faenza, si diresse verso Bologna. Moriale, invece, con 500 cavalli e 300 fanti si diresse prima a Perugia e poi a Roma, dove i fratelli Arribaldo e Britone, cavalieri, erano stati nominati capitani delle milizie cittadine da Cola di Rienzo. Questi, infatti, dopo essere stato liberato da Albornoz, si era recato a Perugia, dove i fratelli di Moriale risiedevano e percepivano una provvisione annua dal Comune, ed era riuscito a farsi prestare 3000 fiorini e a farsene garantire altri 4000 da un mercante.
Moriale, forse non condividendo la scelta dei fratelli, si recò a Roma dove però Cola fece imprigionare i tre cavalieri di Narbona e fece decapitare Moriale il 29 agosto 1354, dopo che questi aveva ascoltato la messa. Fu seppellito nel cimitero di Santa Maria in Aracoeli.
Cola di Rienzo si impossessò di gran parte delle sue ricchezze (pare 100.000 fiorini), mentre il papa fece sequestrare e si appropriò di 60.000 fiorini che Moriale aveva impegnato con alcuni mercanti.
Fonti e Bibl.: Domenico di Gravina, Chronicon de rebus in Apulia gestis, in Rerum Italicarum Scriptores, 2a ed., IX, pp. 12, 16, 24, 40, 135, 176; Ephemerides Urbevetane, a cura di L. Fumi, ibid., XV, 5, pp. 61-63; Historie di Cipriano Manenti, a cura di Id., ibid., XV, 5, Appendice V, pp. 452, 454; Marcha di Marco Battagli da Rimini, a cura di A.F. Massera, ibid., pp. 56-57M; Anonimo Romano, Cronica (sec. XIV), Milano 1991, pp. 103, 179, 180 s., 188 s., 191; G. Tommasi, Historie di Siena, Venezia 1625, p. 328; G. Coppi, Annali, memorie e uomini illustri di San Gimignano…, Firenze 1695, pp. 295 s.; M. Villani - F. Villani, Cronica …(sec. XIV), Milano 1834, pp. 41, 115, 119, 121 s., 126; A. Gennarelli, Sulle bande di fra Monreale e del conte Lando, e breve di Innocenzo VI in proposito, in Il Saggiatore. Giornale romano di storia, letteratura, belle arti, filologia e varietà, I (1844), pp. 131-144; G. Canestrini, Documenti per servire alla storia della milizia italiana, in Archivio storico italiano, s. 1, XV (1851) pp. 33- 35; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino 1893, pp. 250-268; G. Gerola, Fra’ Moriale in Toscana, in Archivio storico italiano, s. 5, XXXVII (1906), pp. 261-300; G. De Blasiis, Racconti di storia napoletana, Napoli 1908, pp. 249 s.