MALASPINA, Moroello (Moroello il Giovane)
Figlio di Manfredi di Corrado, ramo dello Spino Secco, capostipite della linea di Giovagallo, e di Beatrice, di casato ignoto, nacque verosimilmente nel 1268, dato che risulta avere quarant'anni nel 1308. Nell'ottobre del 1282, quando il padre lo menzionò nel proprio testamento insieme con la sorella Manfredina, il M. era quindi ancora adolescente: forse per questo motivo venne indicato con il diminutivo di Moruccio. Presumibilmente negli anni Ottanta del XIII secolo il M. sposò Alagia di Niccolò Fieschi.
Il vasto dominio familiare, esteso nel XII secolo su gran parte dell'arco appenninico emiliano-ligure, subì nel corso del Duecento progressive divisioni, con la conseguente distribuzione ai diversi rami dei Malaspina di beni e pertinenze di vario genere e origine. Nella seconda metà del XIII secolo il ramo detto di Giovagallo possedeva in Lunigiana numerosi castelli. Nel Tortonese si deve ricordare il castello di Montebruno e metà di quello di Croce, oltre a diritti su numerosi insediamenti; gli competevano inoltre varie pertinenze nel Piacentino. Nel corso del XIII secolo, principalmente a opera di Corrado il Giovane del ramo di Villafranca, si erano aggiunti ingenti diritti e proprietà in Sardegna.
Il M. passò buona parte della vita al di fuori dei confini lunigianesi e delle sue proprietà. Abbracciò infatti il mestiere delle armi che lo portò a combattere come capitano nelle lotte che si svilupparono a cavallo del secolo fra Comuni, signorie e fazioni politiche dell'Italia centrosettentrionale. È ignota la ragione di tale scelta, dovuta forse al fatto che il padre del M. visse a lungo, rivestendo il ruolo di capofamiglia anche quando il figlio aveva ormai raggiunto la piena età adulta.
Nel 1288 il M. fu forse impegnato nel mestiere nella guerra mossa da Firenze contro i ghibellini di Arezzo.
La partecipazione è data per certa dalla letteratura erudita (Litta, Branchi), che però non indica la fonte da cui trae la notizia, mentre il Villani, descrivendo minuziosamente i componenti dell'armata fiorentina, nomina i marchesi Malaspina senza però specificarne né il ruolo né i nomi.
Il primo impegno politico-militare certo del M. data all'estate del 1297, quando divenne podestà e capitano generale della guerra del Comune di Bologna, impegnato a fronteggiare le milizie di Azzo (VIII) d'Este. Due anni dopo lo troviamo tra Lunigiana e Lombardia, quando sferrò l'attacco ai beni del vescovo di Luni, mentre al Nord diventò capitano generale di guerra per Matteo Visconti nella lotta che costui conduceva insieme con Bologna, Parma, Piacenza e Verona contro la lega facente capo al marchese di Monferrato, Giovanni I.
Tra il 1302 e il 1306 agì ripetutamente come capitano generale dell'esercito nella guerra che Lucca e Firenze portarono ai guelfi bianchi di Pistoia.
In particolare, nell'estate del 1302 il M. fu impegnato nell'assedio della fortezza di Serravalle Pistoiese, che capitolò il 6 settembre. A questa vittoria si riferisce Dante quando fa predire a Vanni Fucci la sconfitta dei bianchi pistoiesi a opera del "vapor di Val di Magra" (Inf., XXIV, 145), ossia il Malaspina.
Nel 1304 Firenze si adoperò per allestire nuovamente un esercito contro Pistoia: accettarono di parteciparvi anche il M. e Corradino Malaspina, che subirono così la scomunica papale poi annullata nel 1310.
Nel marzo 1306, in un Parlamento tenuto a Prato, il M. fu eletto capitano della "Taglia" guelfa. Ingaggiato nel marzo 1306 il M. riuscì a entrare a Pistoia già nell'aprile e ne divenne capitano a fianco del podestà Pezzino de' Pazzi, anche se in pratica si fece rappresentare dal podestà lucchese Pietro della Branca da Gubbio. Il M. non si fermò infatti a Pistoia: già in luglio si recò nel Mugello, sempre come capitano generale della Lega guelfa, per condurre l'assedio al castello di Montaccianico, che resistette tre mesi e poi fu raso al suolo.
Gli impegni militari non distolsero il M. dal curare costantemente la gestione dei redditi e del patrimonio immobiliare.
Lo dimostra un documento del 1302, redatto durante l'assedio che il M. stava ponendo al castello di Serravalle. In quell'occasione il marchese fece redigere un atto notarile in cui costituì suo procuratore Bonaccorsello di Giovagallo al fine di esigere e riscuotere i crediti dello stesso Malaspina.
Il M. approfittò inoltre della confisca degli immobili dei bianchi pistoiesi successiva alla conquista, riuscendo a mettere le mani su ingenti proprietà, tra cui la magnifica dimora di Dino Ammannati, contrastando in tal modo gli interessi del fiorentino Gherardo Tornaquinci.
Già nel 1301 lo stesso Ammannati aveva ceduto il palazzo ad Azzolino e Alberto Malaspina, ricevendolo poi indietro in affitto. Nel 1306, entrando a Pistoia e trovando il palazzo privo di inquilini, il M. si limitò ad acquistarlo dai suoi stessi familiari a dispetto della stessa Firenze che, dopo il 1306, aveva requisito parte del patrimonio degli Ammannati e l'aveva assegnata a Gherardo Tornaquinci. Tale decisione fu contestata dal M. che ostacolò per rappresaglia il passaggio dei Fiorentini nei propri domini, tagliandoli di fatto fuori dal traffico terrestre con Genova. Le ritorsioni ebbero il loro effetto e nel 1309 il Comune di Firenze costrinse il Tornaquinci a consegnare i beni contestati al Malaspina.
Le controversie fra il M. e il Tornaquinci raffreddarono probabilmente i rapporti tra il M. e Firenze. In quel lasso di tempo infatti egli non esercitò più il mestiere delle armi per la Lega guelfa e si impegnò invece intensamente sul fronte familiare.
Nel M. la vocazione militare si fondeva senza soluzione di continuità con la capacità di gestire oculatamente i beni dei Malaspina e di utilizzarne al meglio i proventi e poté sovente godere di una discreta disponibilità di denaro liquido, che impiegò in acquisti e numerosi prestiti.
Nel 1294 infatti era creditore per 2500 lire genovesi nei confronti del cugino Francesco Malaspina del ramo di Mulazzo; nel 1301 gli dovevano 102 lire pisane alcuni personaggi lunigianesi; nello stesso anno acquistò per 600 lire dalla marchesa Cubitosa d'Este i suoi diritti sul castello di Madrignano; nel 1307 gli doveva la cospicua somma di 105 fiorini d'oro Francesco Malaspina figlio di Bernabò, del ramo di Olivola.
Tale duplice abilità, finanziaria e militare, emerse anche nella questione sarda. Tra 1306 e 1309 si sviluppò infatti un intenso carteggio tra Giacomo II d'Aragona e i Malaspina dello Spino Secco che ancora detenevano diritti e proprietà in Sardegna, ossia il M., Franceschino di Mulazzo e Corradino di Villafranca.
Nel novembre del 1308 i marchesi giunsero a una alleanza con il sovrano aragonese al fine di favorire quest'ultimo nella conquista dell'isola in cambio del riconoscimento in feudo dei loro territori e di ulteriori concessioni. Proprio in tale occasione i legati catalani inviarono al re questo sintetico ma efficace ritratto del M.: "Sapiats, senyor, que micer Morroel es tengut en Toscana per lo pus savi hom de feyt d'armes que els agen, e es de edat de XL ayns e es gran hom e sobrer" (cfr. Salavert y Roca, n. 293).
Nel primo decennio del Trecento il M. strinse con Dante Alighieri un legame che si protrasse negli anni. Sulla relazione tra Dante e il M., sui tempi, i modi in cui si sarebbe sviluppata e le motivazioni che l'avrebbero alimentata si è scritto e discusso molto in passato.
Un avvicinamento tra i due si può già ipotizzare dal 1304, quando Dante, appoggiando la missione pacificatrice del cardinale Niccolò Albertini da Prato, si attirò il disprezzo dei guelfi bianchi, favorevoli a una soluzione militare. Dante, allontanandosi dalla sua parte, non partecipò alla battaglia della Lastra presso Fiesole del 20 luglio 1304 e cercò ospitalità presso famiglie signorili vicine ai neri (tra cui appunto i Malaspina), perseguendo così probabilmente il desiderio di ritornare in patria a seguito di un'amnistia (Padoan).
È possibile tuttavia che l'amicizia tra il poeta e il M. si sia sviluppata grazie al ruolo di mediazione svolto da Cino da Pistoia (Cino Sighibuldi). Cino, guelfo di parte nera, fu esule dal 1303 all'aprile 1306, quando la conquista di Pistoia per mano dello stesso M. gli consentì di tornare in patria. In un anno imprecisato, che tuttavia buona parte della critica individua nel 1307, Cino indirizzò al M. il sonetto Cercando di trovar minera in oro (CXXIX, ed. Marti), a cui Dante stesso rispose a nome del marchese con il sonetto Degno fa voi trovare ogni tesoro (CXIII, ed. Barbi). Al medesimo anno numerosi critici letterari attribuiscono l'epistola, la quarta, che Dante indirizzò direttamente al M., nella quale il poeta racconta di aver lasciato da poco l'ospitalità dei Malaspina per recarsi nel Casentino e di avervi trovato un nuovo amore, oggetto della canzone detta "montanina": Amor, da che convien pur ch'io mi doglia.
Gli anni ricordati (1303-07) sono più che plausibili per ambientarvi il sorgere dell'amicizia tra Dante e il Malaspina. Non si deve comunque dimenticare che i fattori ambientali e politici che cementarono il legame non vennero meno anche dopo il 1307, anzi si prolungarono fino alla morte dello stesso Malaspina. Il legame di Dante con il M. e con gli altri membri del ramo dello Spino Secco non emerge solo nelle epistole e nei sonetti, ma in alcuni punti della Commedia. è stata già citata la menzione del M. come "vapor di Val di Magra". A questa va aggiunta la lode che Dante indirizzò alla moglie del M., Alagia Fieschi (Purg., XIX, 142-145), messa dal poeta in bocca del fratello di questa Ottobono (papa Adriano V).
Tra la morte di Enrico VII (agosto 1313) e l'arrivo di Dante a Verona (1316) si collocherebbe infine l'episodio della cosiddetta "epistola di Ilario", un documento apocrifo trascritto da Giovanni Boccaccio (cfr. Padoan).
Nella lettera il monaco Ilaro del monastero del Corvo, alle foci del Magra, si rivolge a Uguccione Della Faggiuola avvertendolo del fatto che gli avrebbe inviato in omaggio una copia dell'Inferno per incarico dell'autore, il quale aveva sostato nel monastero. Dante, inoltre, aveva informato il monaco del fatto che l'Inferno era dedicato allo stesso Uguccione, mentre le altre due cantiche sarebbero state probabilmente dedicate al M. e a Federico d'Aragona. La veridicità di questo documento è stata posta in dubbio da alcuni studiosi, ma per Padoan si tratta di un testo veritiero. Se si accetta questa ipotesi, il fatto però non potrebbe datarsi, come ipotizza lo studioso, all'autunno 1315, quando sfumò definitivamente per Dante l'ultima possibilità di ottenere l'amnistia, perché a quella data il M. era già morto.
Sempre al Boccaccio si deve la notizia che nel 1307 il M. avrebbe consegnato a Dante i primi canti dell'Inferno fortunosamente ritrovati a Firenze e lo avrebbe invitato a riprendere la composizione. La notizia, non inverosimile data l'assidua frequentazione di Firenze da parte del M. tra 1302 e 1310, ha suscitato giudizi assai discordanti nella critica letteraria.
Nel 1310 anche il M., al pari di Dante, salutò con favore la venuta in Italia di Enrico VII, che si propose non come sostenitore dei ghibellini, ma come pacificatore di tutte le fazioni in lotta. Il M. si recò al cospetto del sovrano due mesi dopo la sua entrata nel Regno: alla metà del dicembre 1310 era infatti a Vercelli dove prestò omaggio a Enrico ricevendo l'investitura di tutti i suoi antichi feudi. Seguì poi il corteo imperiale a Novara e Milano, dove era presente anche Dante.
Il M. com'era nei suoi mezzi e nella sua natura, coadiuvò l'imperatore finanziariamente (con 100 fiorini d'oro) e militarmente nell'assedio di Brescia, tra il giugno e il settembre 1311, diventando in seguito suo vicario in quella città.
Il vicariato del M. a Brescia fu in seguito oggetto di esame da parte di due legati imperiali che nel 1313 indagarono in merito a un'eventuale frode perpetrata dal Malaspina. I Bresciani sostennero infatti che dopo la conquista venne raccolta una grande quantità di denaro dal vicario di Enrico e a lui, non alla città, l'imperatore avrebbe dovuto chiedere conto di quella somma evidentemente scomparsa.
Dino Compagni nella sua Cronica scrive del fatto che dopo l'assedio di Brescia Enrico si accinse a scendere a Sud. In quell'occasione "Dissesi che i marchesi Malispini il voleano mettere per Lunigiana, e feciono acconciare le vie e allargare nelli stretti passi; e se quindi fusse venuto, entrato sarebbe tra i falsi fedeli; ma Iddio l'ammaestrò" (p. 138). Se si prescinde dalla seconda parte del discorso, che evidentemente riporta l'opinione del Compagni, l'indicazione che si dà è quella di un appoggio dei diversi rami dei Malaspina al viaggio di Enrico. In effetti l'imperatore scelse un'altra strada e passò da Pavia a Genova attraverso passi appenninici. Questi tuttavia erano pur sempre in mano ai Malaspina, che quindi dovettero comunque collaborare al buon esito del trasferimento.
Negli anni successivi il M. mantenne, al pari degli altri esponenti della sua famiglia, una posizione di guelfismo moderato che non si opponeva frontalmente ai disegni imperiali, ma anzi li sosteneva talvolta anche militarmente.
Nel dicembre 1312, per esempio, si sviluppò una controversia interna ai Malaspina per i diritti su Aulla in Lunigiana. Dietro istanza di Corrado di Francesco Malaspina del ramo dello Spino Fiorito, Guido Novello Guidi, vicario imperiale, invitò il M. e altri esponenti della famiglia a restituire la terra al legittimo proprietario, a giustificare le proprie azioni e a ribadire la propria fedeltà alla causa imperiale. L'unico a rispondere, almeno a quanto rimasto agli atti, fu proprio il M. che si dichiarò più che disponibile a obbedire agli ordini, sebbene impossibilitato a farlo perché non era lui a occupare militarmente Aulla, ma i suoi consorti.
Tale posizione formalmente schierata, ma in pratica assai poco efficace, la si riscontra anche negli scontri che si verificarono nel 1313 tra guelfi e ghibellini in Lunigiana.
In quell'anno i guelfi di Pontremoli attaccarono, con il sostegno militare di Lucca, la parte ghibellina che fu difesa solo da Franceschino di Mulazzo, mentre il M. non volle essere coinvolto. La situazione apparve comunque complicata allo stesso imperatore che ripetutamente chiese ai marchesi Malaspina di ribadire la fedeltà alla sua persona. Nel giugno del 1313 Guido Novello affrontò la situazione seguente: a fianco suo e di Enrico VII si posero Carlo Fieschi, il M., Bernabò e Ottobono Malaspina, mentre altri membri dei Malaspina - Franceschino, Isnardo e Corrado - erano pronti ad attaccare i pontremolesi ghibellini. Il contrasto interno alla famiglia si fece più acuto quando Enrico VII, nel luglio 1313, concesse Pontremoli in feudo a Carlo Fieschi: anche in questo frangente, tuttavia, il M. si schierò a fianco dell'imperatore e del Fieschi.
Il legame tra il M. e i Fieschi, iniziato con il matrimonio tra lo stesso M. e Alagia, appare quindi, alla lettura delle fonti, farsi più forte proprio nel secondo decennio del Trecento e in relazione alla politica italiana di Enrico VII.
Lo prova anche un episodio accaduto nel giugno 1313, quando il M. arrestò nelle sue terre di Val di Trebbia alcuni cittadini di Cremona dietro il pretesto di una questione di gabelle e li liberò successivamente facendoli condurre a Rusca sotto la giurisdizione dei Fieschi.
In sostanza non vi è traccia nel comportamento del M. di un passaggio alla parte antimperiale successivo all'omaggio da lui prestato a Enrico nel 1310. La falsa notizia del rientro del M. nell'esercito guelfo ha origine forse da un passo della cronaca di Albertino Mussato (l. III, rubrica II) che testimonia effettivamente l'aiuto militare portato da diversi Malaspina, tra cui lo stesso M., ai guelfi lucchesi nel dicembre 1313, ma che deve essere interpretato come un comune fronte contro l'espansionismo di Pisa, ai danni di Lucca, poco dopo la morte dell'imperatore, che minacciava direttamente anche i possedimenti malaspiniani.
Il suo appoggio all'imperatore appare invece costante, sebbene estremamente prudente e assai lontano dall'aperto schierarsi con il fronte ghibellino. Tale prudenza fu evidentemente indotta anche dall'insorgere di contrasti interni ai Malaspina riguardo ai possedimenti lunigianesi che lo indussero ad allontanarsi dai consorti e avvicinarsi sempre di più a Genova e ai Fieschi.
Non a caso, dopo la sua morte - avvenuta l'8 apr. 1315 - il M. venne probabilmente sepolto nella chiesa genovese di S. Francesco in Castelletto, dove erano stati sepolti anche Niccolò Fieschi e la moglie di Enrico VII, e dove in seguito venne tumulato il figlio Luchino. Nei pressi della chiesa dimorò inoltre, fino alla morte (1344 circa) la moglie Alagia.
Il M. ebbe probabilmente una sola sorella, Manfredina, che sposò nel gennaio 1285 il conte Bonduccio Della Gherardesca, figlio, forse illegittimo, del conte Ugolino di Donoratico. In seconde nozze Manfredina sposò il genovese Alaone di Sorleone Grimaldi, di cui risulta vedova nel 1323. Alcuni autori prendendo spunto dalla letteratura erudita (Branchi) segnalano l'esistenza di un altro fratello, Corradino, menzionato nel 1310 nel giuramento di obbedienza della parte guelfa a Clemente V. In mancanza di altri riscontri, però, l'attribuzione non pare certa e il Corradino citato nel 1310 potrebbe agevolmente identificarsi con il figlio di Opizzino Malaspina del ramo di Villafranca, cugino di secondo grado del Malaspina.
Il M. ebbe cinque figli: Manfredi, Luchino, Giovanni, Beatrice e Fiesca. Manfredi e Beatrice sposarono due figli di Salinguerra Torelli, signore di Ferrara (rispettivamente Anna e Alberto); Fiesca sposò in prime nozze Marcovaldo Guidi, conte di Dovadola e, in seconde, Niccolò del Pecora, signore di Montepulciano; della sorte di Luchino e di Giovanni si sa invece ben poco.
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