MALASPINA, Moroello (Muruel)
Figlio di Obizzo (I) e di Maria dei signori di Vezzano, la sua nascita è da collocarsi negli anni Quaranta del XII secolo.
Dei tre figli di Obizzo il M. - probabilmente il primogenito - è quello che risulta più coinvolto nelle attività militari e politiche del padre, in particolare in quelle sul versante ligure, aspetto che fa pensare a un piano di Obizzo per una divisione delle aree geografiche di riferimento politico e patrimoniale tra i figli. Il M. è infatti l'unico che insieme con Obizzo è menzionato nei patti sottoscritti nel 1162 con Genova. Già nel 1165, inviato dal padre, il M. intervenne con uomini dei Malaspina a respingere un assalto pisano contro Portovenere. Nello stesso anno, nel contesto dell'appoggio fornito da Obizzo all'imperatore Federico I, fu impegnato militarmente contro Piacenza e l'anno successivo con l'aiuto dei Parmensi occupò Borgotaro. Nel 1168 è menzionato nel rinnovo del patto di sottomissione dei Malaspina a Genova: un nuovo patto dovuto ai contrasti e agli scontri per il controllo del piviere di Cicagna e del castello di Monleone, con il quale veniva ribadito l'impegno per il marchese Obizzo e per il figlio a servire militarmente Genova in caso di guerra e a salvaguardare nelle persone e nei beni tutti i viaggiatori diretti o provenienti da Genova che attraversassero i loro territori. Nello stesso anno il M. partecipò a fianco del padre alla cessione del castello di Pizzocorno in val di Staffora al monastero di S. Alberto di Butrio.
Nel 1172, sempre insieme con il padre, lo vediamo, in alleanza con i conti di Lavagna, i signori da Passano e i signori di Cogorno, tentare di frenare l'espansione genovese verso la Riviera di Levante. Mentre il padre occupava il borgo di Chiavari e gli altri signori prendevano Rivarola, il M. con i suoi uomini occupò il monte di Sestri. L'anno successivo l'esercito messo in campo da Genova e da vari signori a essa alleati costrinse i marchesi a ripiegare sui monti del Bracco. Quindi i Genovesi non solo respinsero un attacco del M. e di Obizzo al castello di Monleone, ma costruirono un nuovo castello presso Moneglia (chiamato di Villafranca) ed espugnarono lo stesso castello di Passano; la pace, stipulata nel marzo del 1174, sanciva la fine di ogni possibile presenza militare dei Malaspina sulla costa e a occidente del Bracco.
I Malaspina dovettero acconsentire alla distruzione dei loro castelli di Lerici, Petra Tincta con il suo borgo, Figarolo, e cedettero a Genova anche ogni diritto sul poggio ove sorgeva il castello di Lerici. Inoltre veniva loro vietato di incastellare o fortificare in tutta la fascia costiera prospiciente la Lunigiana, i monti del Bracco e l'area a occidente di questi fino alla Val Bisagno e alla riva del torrente Scrivia.
Con la fine dello scontro con Genova il M. iniziò a condurre una propria attività politica e militare, anche se molto probabilmente in coordinamento funzionale con il padre e i fratelli (anche dopo la morte di Obizzo, avvenuta alla fine del 1186, i tre Malaspina non divisero il patrimonio e portarono avanti una gestione collegiale). Nel 1178, nonostante l'adesione del padre alla Lega lombarda, il M. era a Pavia presso la corte imperiale dove testimoniava a un diploma in favore di Pisa. Nel 1182 fu capitano delle milizie di Parma in guerra contro Reggio: battuto in uno scontro nel mese di febbraio, riuscì in aprile a infliggere una significativa sconfitta agli avversari presso il castello di Carpineto, prendendo prigionieri numerosi esponenti del gruppo dirigente di Reggio e ottenendo in dono in tale occasione alcuni beni dai Parmensi. Dopo la morte di Obizzo, il M. cercò di consolidare i territori e i diritti ereditati, nonché i rapporti con gli enti religiosi legati alla famiglia. Sono probabilmente da inserirsi in tale contesto il prestito di una somma al vescovo di Luni con garanzia di una corte in Lunigiana nel 1184 e, nell'agosto 1187, la rivisitazione del rapporto con il monastero di Bobbio in relazione ai pedaggi in Val di Trebbia con la formale investitura al M. e ai fratelli Obizzo e Alberto del castello di Carana. Sempre del 1187 è anche una donazione fatta dai tre fratelli al monastero di S. Alberto di Butrio in suffragio dell'anima del padre. I buoni rapporti stabiliti con il Comune di Parma furono quindi sfruttati dal M. per cercare di frenare l'espansione di Piacenza verso le valli appenniniche che avveniva anche a scapito dei territori dei Malaspina. Un'alleanza fra il M., Parma, Cremona e Pavia in funzione antipiacentina era stata stipulata nel 1186, nel quadro di una più ampia guerra in Lombardia legata anche ai contrasti di Cremona con l'Impero (a fianco di Piacenza specificamente contro i Malaspina troviamo peraltro il Comune di Pontremoli, i signori di Lavagna e altri signori minori dell'Appennino, mentre altri marchesi di origine Obertenga fra cui forse anche il giovanissimo fratello del M., Alberto, sembra siano rimasti in un atteggiamento neutrale filopiacentino). Nel contesto di questa guerra il M., nel febbraio del 1188, con l'appoggio di Parma tolse il castello di Montarzolo ai Piacentini che l'avevano sottratto ai precedenti signori, vassalli dei Malaspina, nel 1180. L'anno successivo, però, Piacenza, con l'appoggio del Comune di Pontremoli e dei signori di Lavagna, portò la guerra nel territorio dei Malaspina e tre castelli in Val di Taro vennero presi e distrutti, sebbene il M. collaborasse nel frattempo con i Parmensi nel distruggere a Piacenza Castelnuovo, Torre del Sero e Casalbino. Lo stato di guerra che coinvolgeva tutta la Lombardia provocò l'intervento di papa Clemente III e quindi dei rettori della Lega lombarda. La conclusione della pace, o meglio della tregua, promossa da questi mediatori di livello superiore vide comunque i Malaspina in condizione di inferiorità rispetto al Comune piacentino. Conclusa nel 1188 e giurata nel gennaio successivo la pace prevedeva infatti l'obbligo per il M. e per i fratelli Obizzo e Alberto di vendere a Piacenza tutti i beni e diritti che avevano in Val di Taro e in Val d'Ena. La cessione, ratificata dalle parti il 5 marzo 1189 e da Alberto Malaspina l'11 aprile, dopo la sconfitta contro l'espansionismo genovese segnava un altro grave colpo al potere signorile dei marchesi Malaspina.
Non solo venivano ceduti castelli e territori che erano patrimonio avito della casata, e si interrompeva la comunicazione territoriale fra i domini in Liguria, in Lunigiana e in Lombardia, ma si perdevano preziose entrate dai diritti di pedaggio, fonte fra le più importanti nel dominio Obertengo e poi Malaspiniano, centrato appunto sulle valli di passaggio dell'Appennino. Infine l'espansione cittadina si dimostrava un'altra volta non contenibile. Molto probabilmente fu proprio nell'ultimo decennio del secolo XII che i marchesi Malaspina capirono che la possibilità per loro di mantenere un potere signorile territoriale veniva dal rafforzare la loro presenza in Lunigiana, area più lontana dalle mire espansionistiche delle città.
La pace e gli atti di cessione non interruppero del tutto l'ostilità fra Malaspina e Piacenza, anche perché gli accordi lasciavano di fatto in conflitto Parma e Piacenza per il controllo di Borgo San Donnino. Una fase di conflitto che si protrasse fino al 1193 quando vi fu un diretto intervento imperiale per comporre le rivalità cittadine in Lombardia attraverso l'invio di un proprio legato, Trussardo, che nel giugno 1194 convocò una Dieta a Vercelli. In tale occasione il M. e il fratello Alberto (Obizzo era morto nel 1193) si rifiutarono di intervenire, così come i Parmensi, forse per ostilità all'atteggiamento imperiale favorevole a Piacenza, e furono perciò posti al bando dall'Impero. Lo stesso imperatore Enrico VI, da Pisa nel luglio, intimò ai Malaspina da una parte e a Piacentini e Pontremolesi dall'altra di cessare le ostilità, per cui alla fine il M., fatta salva l'alleanza con Parma e forse con il tramite di qualche mediatore, si risolse a formulare un impegno di pace, ratificato nell'ottobre anche dal fratello Alberto. La pace fu giurata dal M. e dal figlio Guglielmo nel novembre 1194, con l'impegno di farla ratificare al momento della maggiore età anche da Corrado, figlio del defunto Obizzo.
Nell'accordo i marchesi Malaspina si impegnavano a difendere gli uomini di tali centri fuori e dentro i loro territori e a consentire loro libero passaggio e dimora; promettevano di non far più guerra contro di loro e che avrebbero impedito il passaggio nelle loro terre a chi intendeva minacciarli; soprattutto accettavano la distruzione del castello di Petra Corva e promettevano di non ricostruirlo, nonché di non riedificare il castello di Grondola (distrutto in una fase degli scontri), due castelli particolarmente significativi poiché il primo, nell'alta Val di Staffora, controllava percorsi di raccordo appenninico e di passaggio per i Piacentini verso l'area piemontese, il secondo nelle vicinanze del valico della Cisa era una minaccia costante non solo per i Pontremolesi, ma in generale per i principali itinerari di valico dell'Appennino.
Nel gennaio 1196 Alberto Malaspina, anche a nome del nipote Corrado, concluse la cessione, probabilmente forzata, del poggio dove sorgeva il già ricordato castello di Grondola ai Piacentini; l'anno successivo aderirono a tale accordo e lo ratificarono anche il M. con il figlio Guglielmo. Non abbiamo notizie del M. successive a tale documento e la sua morte non dovette essere di molto posteriore; nel giugno 1197 infatti la curia d'Oramala risulta governata dal marchese Alberto e dai suoi due nipoti Guglielmo (figlio del M.) e Corrado (figlio di Obizzo).
Sposatosi con una esponente della famiglia baronale romana dei Frangipane, il M. ebbe da lei una figlia, Adelasia, andata in moglie a Guglielmo marchese di Massa, e tre figli, Guglielmo, Corrado e Obizzino, dei quali solo il primo arrivò all'età adulta e a partire dal 1194 fu associato dal padre ai suoi atti. Insieme con i fratelli, e poi soprattutto con il figlio e i nipoti, si segnala per aver ospitato - parrebbe soprattutto nella rocca di Oramala - alcuni trovatori provenzali. Primo fra questi a essere accolto a Oramala fu Giraldo di Borneilh, gentiluomo limosino considerato le maistre des trobadours; una canzone di Giraldo è infatti indirizzata al M. con il tema classico della richiesta di doni e denaro.
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