morte dell’encefalo
La morte dell’encefalo è una condizione caratterizzata dalla scomparsa di ogni attività encefalica. La morte dell’encefalo ha sostituito il criterio medico-legale di dichiarazione di morte con la cessazione del battito cardiaco. La situazione di encefalo morto e di cuore vivo può essere compresa a partire dal fatto che i due organi hanno un diverso tempo di sopravvivenza e questo accade in tre circostanze: gli arresti cardiaci, l’anossia e l’ischemia acute, e le patologie distruttive dell’encefalo. Il concetto di morte dell’encefalo si è rapidamente sviluppato a partire dalla necessità di ottenere organi vitali per i trapianti, che ha portato in quasi tutto il mondo a un adeguamento della legislazione. Quella italiana, promulgata nel 1973, con successivi adeguamenti, stabilisce criteri molto precisi per la determinazione della morte dell’encefalo. [➔ coma; elettroencefalografia; ischemia cerebrale; neurodegenerazione; stato di minima coscienza] La m. dell’e. è una condizione artificiale, consentita dalle tecniche di rianimazione e osservabile solo nei reparti di rianimazione, caratterizzata dalla scomparsa di ogni attività encefalica, sia degli emisferi sia del tronco. Manca perciò ogni segno clinico di attività mentale, ogni manifestazione di contatto con l’ambiente e ogni attività motoria spontanea, tutti eventi legati al funzionamento della corteccia cerebrale e delle strutture sottocorticali. L’elettroencefalogramma (EEG) è ‘piatto’, non mostra cioè alcun segno di attività elettrica di origine cerebrale. Mancano le attività spontanee e riflesse del tronco encefalico, e gli occhi permangono chiusi, immobili e con le pupille dilatate; la respirazione spontanea è cessata, e i polmoni devono essere ventilati artificialmente. Possono persistere alcune attività motorie riflesse che originano dal midollo spinale, per es. la contrazione dei muscoli estensori della coscia da percussione del tendine della rotula o l’estensione delle dita del piede da strisciamento della pianta. Il battito cardiaco prosegue, poiché il cuore è dotato di una regolazione autonoma del ritmo. A differenza dello stato vegetativo (➔ coma, Lo stato vegetativo), ove persistono alcune funzioni del tronco dell’encefalo, per es. fasi alterne di apertura e chiusura degli occhi, movimenti respiratori e movimenti automatici dei muscoli cranici e degli arti, nella m. dell’e. nulla è più prodotto dalle strutture nervose poste al di sopra del midollo spinale. Si consideri che, nella terminologia medica, il termine encefalo definisce tutto il contenuto della cavità cranica, e include il cervello (gli emisferi cerebrali), il tronco dell’encefalo e il cervelletto. Tradurre il termine anglosassone di brain death con «morte cerebrale» è perciò inesatto dal punto di vista scientifico, anche se colloquialmente con il termine cervello si indica tutta la massa encefalica.
La m. dell’e. è considerata morte dell’individuo, poiché è stata riconosciuta nell’encefalo l’essenza della vita, nell’uomo come negli animali vertebrati. Il concetto di m. dell’e. ha perciò sostituito, per questi casi, il criterio medico-legale di dichiarazione di morte con la cessazione del battito cardiaco. Anche se l’evento riguarda meno dell’1% dei decessi, il concetto di m. dell’e., accettato in sostanza da quasi tutte le culture e religioni, ha cambiato il criterio che ha governato fin dai primordi dell’umanità l’approccio alla vita e alla morte. Non è più il battito del cuore, ma l’attività cerebrale a rappresentare il fulcro della vita umana. Le prime osservazioni sono state effettuate dai neurologi francesi (Pierre Mollaret, Maurice Goulon, Pierre Wertheimer e altri) che hanno descritto questo evento nel 1959 con i termini di coma dépassé e mort du système nerveux in soggetti che avevano subito lesioni vascolari dell’encefalo o traumi cranici. Il concetto di m. dell’e. e i criteri necessari alla sua verifica sono stati definiti da un ad hoc Committee dell’Università di harvard nel 1968 e da allora l’uso dei criteri di harvard si è diffuso nel resto del mondo.
Che cosa ha reso possibile un evento mai prima osservato in tutta la storia della civiltà umana (tranne per pochi minuti dopo esecuzioni capitali mediante decapitazione), cioè ossia l’encefalo morto e il cuore vivo? Con l’arresto del cuore e della circolazione non tutti i tessuti dell’organismo cessano improvvisamente di vivere, e anche quando la morte è un evento acuto il processo che porta alla distruzione del corpo avviene gradualmente. Alcuni tessuti, come la cute e l’osso, sopravvivono per qualche giorno, ed è noto da sempre che la barba e le unghie continuano per qualche giorno a crescere. Ma come può sopravvivere il cuore mentre l’encefalo muore? A somiglianza del tessuto nervoso, anche il miocardio necessita per il suo metabolismo di un apporto continuo di ossigeno e glucosio. Il miocardio possiede però un certa riserva energetica e sopravvive per almeno 20 minuti dopo l’interruzione totale della circolazione: assai più delle cellule nervose, che cessano di funzionare dopo pochi secondi dall’arresto circolatorio, e vanno incontro a vacuolizzazione e necrosi a partire da 5÷10 minuti dopo l’arresto circolatorio. Esiste perciò un intervallo fra la m. dell’e. e la morte del cuore, che consente la differente sopravvivenza dei due organi. Questo accade fondamentalmente in tre categorie di eventi, gli arresti cardiaci, l’anossia e l’ischemia acute encefaliche, e le patologie distruttive dell’encefalo.
Arresto cardiaco. La prima circostanza ha luogo quando il cuore cessa improvvisamente di battere, per es. per una disfunzione del sistema di conduzione che regola la ritmica contrazione cardiaca. L’encefalo, privo di sangue, cessa di funzionare, e dopo 9÷10 secondi il soggetto perde coscienza e cade a terra (è la sincope cardiogena, dalla quale ci si riprende senza danni se il cuore riprende a funzionare entro 4÷5 minuti). Dopo 5÷10 minuti inizia infatti un processo necrotico che prende avvio nelle strutture dell’ippocampo e si estende rapidamente a tutto l’encefalo, con perdita di tutte le funzioni, inclusa l’attività respiratoria. Se un pronto intervento del rianimatore ristabilisce la respirazione prima che il danno anossico si estenda al miocardio, il cuore riprende a battere, quando ormai per l’encefalo il danno è irreversibile.
Anossia e ischemia acute. La seconda circostanza, l’anossia e l’ischemia acute encefaliche, si verifica per caduta della tensione ambientale di ossigeno, occlusione delle vie respiratorie, avvelenamento da ossido di carbonio, perdite acute di sangue. Il danno potenziale è per encefalo e cuore, ma il miocardio possiede tempi di sopravvivenza più lunghi e un tempestivo intervento riparatore ne consente il risparmio.
Patologie distruttive dell’encefalo. La terza circostanza avviene per lesioni primarie gravemente distruttive dell’encefalo, consecutive a eventi traumatici, emorragie endocraniche massive (subaracnoidee o parenchimali), infarti cerebrali di grosse dimensioni o in zone strategiche (per es., nel ponte e il mesencefalo), processi infiammatori inarrestabili (meningiti, ascessi cerebrali), tumori cerebrali a rapido sviluppo, strangolamento. In tutti questi casi il cuore non è danneggiato, purché la ventilazione polmonare venga mantenuta da un apparato meccanico di respirazione.
Il concetto di m. dell’e. si è sviluppato indipendentemente dalla necessità di ottenere organi vitali per i trapianti, ma ha subito una accelerazione teorica e pratica a partire da questa necessità, che ha portato in quasi tutto il mondo a un adeguamento della legislazione e alla promulgazione di leggi specifiche, per consentire il prelievo degli organi prima che essi possano essere danneggiati dalle insufficienze nutrizionali o dalle patologie infettive (sempre possibili nel contesto precario di un organismo incapace di difese). La legislazione italiana ha stabilito i criteri medicolegali per la certificazione di m. dell’e. con la l. n. 578 del 29 dic. 1973. La legge ha subito molte revisioni, che non ne hanno cambiato sostanzialmente l’impianto originario. L’ultimo aggiornamento è stato emesso con d. m. del Ministero della Salute in data 11 apr. 2008. La formulazione attuale stabilisce che, nei soggetti affetti da lesioni encefaliche e in trattamento rianimatorio, la morte può essere decretata quando siano presenti contemporaneamente:
• assenza di vigilanza e coscienza (la distinzione fra vigilanza e coscienza consente di differenziare la m. dell’e. dallo stato vegetativo permanente);
• assenza dei cosiddetti riflessi del tronco, cioè assenza del riflesso pupillare alla luce, del riflesso corneale per stimolazione meccanica della cornea, di risposte a stimoli dolorifici nel territorio trigeminale (per es., la compressione del nervo sopraorbitale o la compressione retromandibolare), di movimenti degli occhi per rotazione o flessoestensione passiva del capo (manovre da evitare se vi sono sospetti di fratture cervicali), del riflesso faringeo per stimolazione meccanica del retrofaringe, del riflesso delposila tosse (detto riflesso carenale) per stimolazione mediante sonda della trachea;
• assenza di respirazione spontanea;
• assenza di attività elettrica cerebrale all’EEG registrato per almeno 30 minuti con modalità tecniche ben precisate. Queste condizioni devono essere verificate da una commissione composta da tre sanitari: un medico legale (oppure un medico della direzione sanitaria o un anatomopatologo), un anestesista e un neurofisiopatologo (oppure un neurologo o un neurochirurgo esperti in elettroencefalografia). La condizione va confermata in una osservazione non inferiore a 6 ore, che diventano 12 ore per i bambini sotto i 5 anni e 24 ore per i bambini sotto l’anno di vita. Inoltre, nei bambini sotto l’anno, in pazienti che hanno assunto farmaci depressori dell’attività nervosa (per esempio un tentato suicidio con sedativi), o quando non sia possibile l’esecuzione dei riflessi del tronco sopra menzionati, del test di respirazione spontanea o dell’EEG, è necessario dimostrare la cessazione del flusso ematico cerebrale mediante Doppler transcranico, angioscintigrafia o tomografia computerizzata con mezzo di contrasto. La stessa cautela si esige quando vi siano situazioni cliniche incerte, che non consentano una chiara diagnosi eziopatogenetica. In caso di danno da anossia l’osservazione può iniziare solo 24 ore dopo l’evento anossico, a meno che non si dimostri l’arresto del flusso cerebrale, condizione che dà avvio al periodo di osservazione. Se nel corso dell’osservazione si verifica la cessazione del battito cardiaco, può essere dichiarata la morte per arresto cardiaco, certificazione che richiede il rilievo continuo dell’elettrocardiogramma (ECG) per almeno 20 minuti.
La dichiarazione di m. dell’e., nel rispetto dei criteri assoluti di garanzia sopra menzionati, consente il prelievo di organi per il trapianto. Il prelievo può essere effettuato se vi è una esplicita dichiarazione scritta del soggetto, anche su carta libera, con dati anagrafici e firma, oppure se vi è stata l’iscrizione a una lista presso la ASL, il Comune o un’associazione a questo finalizzata. La legislazione su questo problema è in evoluzione, e la recente tendenza è quella di consentire – ma non rendere obbligatoria – una dichiarazione ufficiale sul documento di identità: di adesione o di diniego del prelievo. In assenza di una dichiarazione esplicita i familiari possono comunque opporre un divieto, così come l’autorità giudiziaria per problemi di ordine legale.
Questa situazione è caratterizzata da un danno strutturale irreversibile del tronco encefalico e, come nella m. dell’e., la condizione è consentita dalle misure rianimatorie e dalla ventilazione assistita. Oltre alle vie di passaggio ascendenti e discendenti, il tronco contiene in successione cranio-caudale i nuclei dei nervi cranici, e la sua distruzione può essere analizzata strato per strato osservando le risposte riflesse mediate da questi nuclei. La morte del tronco è perciò identificata dalla perdita del riflesso pupillare alla luce, del riflesso corneale, dei riflessi vestibolooculari in risposta alla rotazione passiva del capo e alla irrigazione dell’orecchio con acqua ghiacciata, del riflesso della tosse per stimolazione della trachea, delle risposte mimiche alla stimolazione dolorifica del volto. Inoltre il paziente non respira ed è ventilato artificialmente; non riacquista la respirazione spontanea malgrado un livello di CO2 nel sangue uguale o superiore a 50 mmhg (equivalenti a PCO2 > 6,65 kPa). Si effettua questa dimostrazione mantenendo il paziente staccato dal respiratore per alcuni minuti (al massimo 10); per evitare ulteriori danni all’organismo il paziente viene preventivamente iperossigenato con ossigeno puro per almeno 10 minuti, e i polmoni vengono tenuti ossigenati tramite una cannula tracheale. Secondo Christopher Pallis, che negli anni ottanta del secolo scorso ha descritto ripetutamente questa condizione nel British medical journal, l’accertamento della morte del tronco è sufficiente per decretare la m. dell’e., anche in presenza di una residua attività elettrica cerebrale nell’EEG. Questa posizione è stata accettata in Gran Bretagna, ove la certificazione di questa condizione rende legittimo il prelievo di organi. La morte del tronco non è disgiunta dalla cessazione delle altre funzioni encefaliche: gli emisferi infatti ricevono le informazioni sensoriali (a parte l’olfatto e la vista) attraverso il tronco, e tutte le manifestazioni motorie si realizzano attraverso vie che passano per il tronco. La morte del tronco disconnette gli emisferi e rende impossibile ogni manifestazione di vita cosciente. Il tronco infatti contiene le strutture reticolari che mantengono attivi gli emisferi, e in assenza della reticolare ascendente il cervello è disattivato e ‘si spegne’. Infine, nella maggior parte dei casi la morte del tronco si verifica in un contesto di danni gravissimi e irreversibili degli emisferi, quali emorragie subaracnoidee, emorragie e intracerebrali massive, anossia da arresto cardiaco o da asfissia, edema incontrollabile degli emisferi con ernie intracraniche. La morte del tronco è quindi la conclusione del processo che ha determinato la morte degli emisferi. In pochi casi il danno è primitivamente o esclusivamente troncale: in patologia spontanea questo avviene nelle occlusioni dell’arteria basilare e nelle emorragie massive della fossa posteriore (per es., per rottura di un aneurisma dei vasi vertebrobasilari). Un’altra circostanza è la impiccagione giudiziaria, in cui la caduta improvvisa nella botola provoca di solito la rottura del tronco fra il ponte e il mesencefalo; il cuore può continuare a battere per parecchi minuti, mentre la coscienza viene perduta e la respirazione si arresta immediatamente. Nel suicidio mediante impiccagione invece la morte avviene per occlusione del circolo carotideo o, assai più lentamente e dolorosamente, per occlusione della trachea. Differenze culturali nell’approccio alla morte dell’encefalo. I criteri clinici di m. dell’e. e la durata della osservazione sono simili nei Paesi di cultura occidentale. Le differenze riguardano l’uso dell’EEG: è obbligatorio in Italia, Francia, Germania e Spagna; è richiesto in Svizzera se vi è il sospetto di una paralisi da polineuropatia infiammatoria. Negli Stati Uniti non è obbligatorio, ma considerato confermativo in alternativa all’arresto del flusso ematico cerebrale, quando le procedure cliniche per verificarlo non siano realizzabili. Non è ritenuto importante in Gran Bretagna, ove ha prevalso il concetto di morte del tronco. Simile è l’atteggiamento in Canada e Australia. La religione cattolica ha rinunciato ha intervenire nelle decisioni circa la m. dell’e., dichiarandole nel 1957 materia di competenza medica e non religiosa, concetto condiviso dalle Chiese protestante e ortodossa. Questa posizione ha certamente contribuito all’accettazione del concetto di morte a cuore battente da parte degli Stati europei (Russia inclusa) e dell’America Meridionale. I Paesi islamici hanno assunto un atteggiamento aperto verso la m. dell’e. e l’espianto di organi con una dichiarazione del Consiglio degli Ulema, massima autorità sunnita, nel 1982; la posizione è condivisa dall’Islam sciita. Il Concilio del Rabbinato ebraico, con molte distinzioni sulle prescrizioni del Talmud, ha equiparato nell’ottobre 1988 la morte dell’individuo alla cessazione della respirazione e dei movimenti corporei. L’India, fra le molte tradizioni induiste, ha adottato la posizione della Gran Bretagna e la diagnosi di morte del tronco. Nei paesi di orientamento buddista e scintoista invece, forse per una visione unitaria della integrazione anima-corpo, vi è difficoltà ad accettare l’idea della morte a cuore battente, e in Cina e Giappone la legislazione è ancora in discussione. In Sud-Africa, che ha visto nel 1967 il primo trapianto di cuore, la morte encefalica è criterio accettato, come in gran parte dei paesi africani. In sostanza, in circa il 70% dei Paesi del mondo (dati del 2002) la m. dell’e. è divenuta, con l’arresto del cuore, uno dei due criteri di fine vita. Non mancano voci di dissenso da parte di gruppi fondamentalisti cristiani ed ebraici, di popolazioni native americane e di movimenti di opposizione alla ‘industria dei trapianti’. Ogni dissenso rende più cogente il controllo rigoroso delle procedure. Mario Manfredi