Morte improvvisa
È definito morte improvvisa un evento molto rapido (meno di 1-2 ore), di origine prevalentemente cardiovascolare e in particolare coronarica, che compare senza segni premonitori di rilievo in uno spettro di individui adulti di ambo i sessi, i quali possono sia essere a basso rischio (soggetti apparentemente sani) sia presentare cardiopatia ischemica (angina, aritmie, scompenso o pregresso infarto). In tali soggetti il compenetrarsi di ischemia acuta e substrato miocardico predisponente (fibrosi, disturbi della conduzione elettrica, disturbi della contrattilità) comporta l'insorgenza di una fibrillazione ventricolare o di aritmie ipercinetiche che in pochi minuti dall'esordio, ove non si provveda a porre in essere manovre di rianimazione, esitano in arresto cardiaco, ipoperfusione cerebrale conseguente e morte.
Ancorché esista un generale accordo sugli elementi di un evento 'naturale' e 'rapido', sul piano operativo differiscono in modo piuttosto consistente le definizioni della morte improvvisa date dal clinico, dall'epidemiologo cardiovascolare, dal patologo e dallo scienziato interessato allo studio dei meccanismi fisiopatologici. Il gruppo di esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), riunitisi a Roma nel 1979 per fissare i criteri di nomenclatura e diagnosi della cardiopatia ischemica, definì "l'arresto cardiaco primario come un evento improvviso, presumibilmente dovuto a instabilità elettrica del cuore e per il quale mancano dati obiettivi tali da permettere una diagnosi alternativa. In assenza di manovre di rianimazione ovvero in caso di loro insuccesso, l'arresto cardiaco primario viene considerato morte improvvisa" (Puddu 1989, p. 221). L'accuratezza e la circospezione degli esperti del 1979 restano tuttora ineguagliate, né appaiono migliori definizioni più moderne come: "La morte improvvisa è un decesso naturale dovuto a una causa cardiaca, preannunziato da una perdita brutale di coscienza entro 1 ora dall'inizio dei sintomi acuti, in un individuo con o senza segni di cardiopatia nota, ma nel quale appaiono inattesi tempo e modalità del decesso stesso" (Myerburg-Castellanos 1992, p. 756).
In effetti, la morte improvvisa rappresenta una manifestazione o forma clinica della cardiopatia ischemica (oltre ad angina, aritmie, scompenso cardiaco e infarto miocardico), è generalmente determinata da una fibrillazione ventricolare o da un'aritmia ipercinetica, le quali ultime comportano in breve tempo (minuti) arresto cardiaco, ipoperfusione cerebrale e morte, e trova nella complessa interrelazione tra ischemia acuta e substrato miocardico le caratteristiche predisponenti alla sua comparsa (Mehta et al. 1997, p. 3215). Come ben documentano gli esperimenti di legatura coronarica nell'animale, l'ischemia miocardica è però elemento necessario ma non sufficiente per lo sviluppo della fibrillazione ventricolare (Jouve et al. 1986, p. 155), mentre nell'uomo esistono anche elementi predisponenti, rappresentati dalle anomalie della conduzione dello stimolo che si embricano con un nuovo episodio ischemico per l'innesco dell'aritmia fatale (Mehta et al. 1997, p. 3216). Questi elementi fisiopatologici pongono l'accento sul substrato (che può essere completamente silente), sulla causa scatenante (l'ischemia miocardica acuta) e sull'immediata conseguenza di questa interazione, rappresentata dall'instabilità elettrica che conduce in modo molto rapido all'arresto cardiaco. Sicché il relativo benessere del soggetto colpito prima dell'evento morte improvvisa, maggiormente che l'essere l'evento atteso o prevedibile, può costituire un parametro importante di definizione e, in qualche modo, separa le morti improvvise propriamente dette (indipendentemente dalla prevalenza di cardiopatia ischemica nei colpiti) da quelle fibrillazioni ventricolari (e come tali arresti cardiaci e morti improvvise), le quali appaiono nel contesto di un'insufficienza di pompa che nei giorni precedenti l'evento ha costantemente dato segni di sé, pur se con qualche tempo di remissione.
Nella definizione operativa del 1979 il riferimento a "dati obiettivi tali da permettere una diagnosi alternativa" pone l'accento sul fatto che una morte improvvisa è possibile nell'ambito di svariate patologie, il cui elenco è davvero amplissimo, ma che considerate nel loro complesso rappresentano probabilmente non oltre il 10% di tutti i casi incidenti nella popolazione generale. Ciò implicitamente rivendica alla cardiopatia ischemica il ruolo eziologico preminente nell'ambito della morte improvvisa, la quale in tal caso potrebbe avvalersi dell'attributo 'coronarica'. Si può calcolare che in un anno in Italia, nella popolazione generale, oltre 11.000 individui (di ambo i sessi) muoiano entro 1 ora dall'inizio di una sintomatologia di dolore acuto precordiale. Queste stime, basate su dati di incidenza media, sono peraltro conservative e comprendono solo soggetti tra i 20 e i 74 anni. Si avrebbero in Italia, secondo tali stime, 1523 infarti miocardici e tra 153 e 535 morti improvvise coronariche (1-2 ore dall'inizio dei sintomi) per milione di abitanti (un decesso ogni 45 minuti). In paesi con incidenza elevata (Stati Uniti, Finlandia) o media (centro Europa) di cardiopatia ischemica, oltre un quarto degli episodi coronarici più gravi si conclude, nei soggetti entro i 70 anni, con un evento fatale che si verifica nell'arco di 3 ore dall'inizio dei sintomi, cioè entro tempi poco utili per interventi clinici validi e tempestivi. In tali paesi l'incidenza di cardiopatia ischemica è attorno all'1‰ per anno (nelle classi di età 25-74 anni). È anche noto che nelle popolazioni che presentano una più bassa incidenza di cardiopatia ischemica (per es., Grecia, Giappone) l'evento morte improvvisa è proporzionalmente più raro. In base a questi dati è ben evidente come l'evento morte improvvisa rappresenti una particolare manifestazione della cardiopatia ischemica stessa, a evoluzione rapida e fatale. Nella popolazione generale la morte improvvisa può comunque presentarsi in soggetti portatori di una cardiopatia non coronarica o di altre condizioni morbose: la sindrome di Marfan (malattia congenita del tessuto connettivo), le sindromi del QT lungo (anomalia elettrocardiografica che si accompagna a sordità congenita su base genetica), il tamponamento cardiaco, l'embolia polmonare, l'ipertensione polmonare primitiva, le valvulopatie acquisite, specie aortiche, l'infarto cerebrale, le crisi ipertensive in genere, le miocardiopatie, ipertrofiche o dilatative, e le miocarditi. Infine, alcuni farmaci di uso corrente in cardiologia (digitale, diuretici, antiaritmici) possono indurre una serie di squilibri elettrolitici e provocare in modo diretto e indiretto aritmie maligne e morte improvvisa. Peraltro queste condizioni predisponenti sono in genere facilmente obiettivabili e in tali casi decade un elemento essenziale per considerare la morte improvvisa con dignità nosologica a sé stante. Diversa è invece la situazione in rapporto a soggetti apparentemente sani, ancorché portatori di livelli abnormi di fattori di rischio per la cardiopatia ischemica, nei quali, in totale precedente benessere, compare il decesso improvviso. In queste condizioni, non essendo possibile il riscontro post hoc di elementi obiettivi che giustifichino una diagnosi alternativa, sembra appropriato parlare di morte improvvisa con dignità nosologica a sé stante; tali casi, come si è già accennato, incidono per circa il 90% del totale, riconoscendo una eziologia coronarica. Per quanto nei paesi industrializzati si assista da anni a un costante declino della mortalità per cardiopatia ischemica, non vi sono dubbi che la potenziale prevenzione della morte improvvisa, la quale rappresenta una percentuale rilevante della mortalità coronarica, possa avere un impatto importante nel ridurre il costo sociale della cardiopatia ischemica stessa, nonché delle sue conseguenze. A questo proposito, i dati di maggior significato riguardano l'individuazione dei fattori di rischio tanto nei soggetti sani o apparentemente tali, quanto nei pazienti che abbiano già superato un attacco coronarico acuto, oppure che siano affetti da angina pectoris (soggetti prevalenti per cardiopatia ischemica).
In due gruppi italiani di 1588 uomini di età 40-59 anni, apparentemente sani nel 1960, all'inizio dello studio denominato Seven countries study (Keys 1980), il rischio di morte improvvisa durante i successivi 20-23 anni è risultato proporzionale all'età, alla frequenza cardiaca, al livello di pressione sistemica media e ai livelli di un nuovo indice di ipertrofia ventricolare sinistra: la somma dei voltaggi del complesso elettrocardiografico QRS (identificante la depolarizzazione ventricolare) nelle 12 derivazioni standard. Non sono invece risultati predittivi in questa analisi la colesterolemia, il fumo e i livelli di attività lavorativa (Lanti-Puddu-Menotti 1990, p. 1181). Gli esiti dello statunitense Framingham study (1971), nei due sessi, indicano che ai fattori suddetti possono essere aggiunti i livelli di colesterolo, il numero di sigarette fumate, la capacità vitale e il peso relativo (Myerburg-Castellanos 1992, p. 759); essi non sono sostanzialmente differenti però dai fattori riscontrati predittivi di altre forme cliniche di cardiopatia ischemica (Menotti-Puddu 1991, p. 5217); e ciò depone per una specificità piuttosto modesta, pur se presente, di alcuni fattori di rischio (segni elettrocardiografici di ipertrofia cardiaca, frequenza cardiaca elevata) per la morte improvvisa nei soggetti non prevalenti per cardiopatia ischemica appartenenti alla popolazione generale. Altre indicazioni, non confermate, tuttavia, da un'analisi multivariata, suggeriscono che lo stress psicoemotivo e il tipo comportamentale A di Friedman e Rosenman (ossia soggetti aggressivi e iperattivi) sono anch'essi potenziali fattori di rischio di morte improvvisa. L'extrasistolia ventricolare isolata, che si può osservare in soggetti apparentemente sani, non si associa invece a un eccesso di rischio di mortalità improvvisa (Menotti-Puddu 1991, p. 5217).
In presenza di un pregresso infarto del miocardio e/o di angina pectoris (soggetti prevalenti per cardiopatia ischemica), il rischio di morte improvvisa si incrementa notevolmente (Puddu 1989, p. 222). Peraltro i fattori di rischio riconosciuti sono sostanzialmente diversi da quelli descritti nei soggetti ancora sani o apparentemente tali. Inoltre i classici fattori di rischio per la cardiopatia ischemica nella popolazione generale hanno un ruolo più sfumato o sono addirittura rimossi statisticamente nelle analisi multivariate che li considerino. La sola circostanza che la presenza di cardiopatia ischemica moltiplichi il rischio di alcune decine di volte rende conto del relativo sottordine cui vanno incontro i fattori predittivi in assenza di cardiopatia. Oltre l'età, nei soggetti con infarto del miocardio, assume ampio rilievo la condizione della cinetica ventricolare sinistra, espressa clinicamente dalla frazione di eiezione (a riposo e/o da sforzo) ventricolare (sia angiografica sia ottenuta in modo incruento), in quanto un eventuale nuovo episodio ischemico incide su una funzione contrattile già compromessa e potrebbe perciò più facilmente innescare i meccanismi dell'instabilità elettrica, in ultima analisi responsabili dell'evoluzione in fibrillazione ventricolare e morte improvvisa (Mehta et al. 1997, p. 3218). Almeno altrettanto importante è poi la cosiddetta ischemia miocardica residua (svelabile con varie metodiche, dalla classica prova da sforzo alla scintigrafia miocardica di primo passaggio), perché testimone della grave compromissione dell'albero coronarico in questi pazienti (Puddu et al. 1983, p. 384). Infine è stata individuata una serie di fattori, variamente correlati con quelli già descritti: il blocco di branca sinistro, la cardiomegalia, l'impiego di digitale quale indicatore della necessità di un sostegno inotropo, la presenza di aritmie atriali e di elevati livelli di creatinfosfochinasi o ancora quella di tachicardia ventricolare durante la fase acuta del pregresso infarto, svariate aritmie rilevabili con elettrocardiografia dinamica secondo Holter. La maggior parte dei fattori di rischio della morte improvvisa è tuttavia scarsamente modificabile. Esistono peraltro dati in sostegno di un ruolo potenzialmente protettivo di interventi quale il bypass aortocoronarico (Bourassa et al. 1980, p. 237), volto a prevenire la comparsa di episodi ischemici in soggetti portatori di stenosi significative a livello dei tronchi coronarici principali, nei quali è comunque modesto il miglioramento della funzione contrattile, se si eccettua il vantaggio determinato da un rallentamento o da una stabilizzazione della progressione verso il basso della funzione stessa. Anche la cardiologia interventistica svolge oggi un ruolo importante attraverso la tecnica di dilatazione percutanea delle stenosi coronariche. Esiste poi un arsenale farmacologico mediante il quale contrastare il ruolo di fattori scatenanti, come il sistema nervoso autonomo (betabloccanti), con un meccanismo d'azione volto a ridurre il consumo di ossigeno, anche attraverso la diminuzione della frequenza cardiaca, contribuendo certamente al contenimento del rischio di morte improvvisa nei soggetti con pregresso infarto miocardico. In casi particolari e a costi molto alti è infine possibile impiantare un defibrillatore automatico in pazienti a elevato rischio di morte improvvisa, perché già andati incontro a fibrillazione ventricolare o ad arresto cardiaco, cui hanno fatto seguito manovre di rianimazione coronate da successo. L'impiego di questo strumento ha permesso di ridurre in modo sostanziale la mortalità a medio termine (da oltre i due terzi a meno del 5% per anno).
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