morte
Cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costitutivo di esso.
Decesso che avviene in modo inatteso, generalmene entro un’ora dalla comparsa dei primi sintomi. La maggior parte delle m. improvvise è la conseguenza di aritmie cardiache come la tachicardia ventricolare o la fibrillazione ventricolare, che possono complicare il quadro clinico dell’infarto del miocardio, dell’insufficienza cardiaca, di alcune cardiomiopatie (ad es. la cardiopatia aritmogena del ventricolo destro), delle malattie dei canali ionici (ad es. la sindrome del QT lungo). Una quota non trascurabile delle m. improvvise cardiache su base aritmica interessa soggetti giovani, frequentemente nel corso di attività sportiva, con un considerevole impatto umano, clinico e mediatico. Considerata la non uniforme efficacia dei farmaci antiaritmici, la prevenzione della m. improvvisa si giova del defibrillatore impiantabile.
Lo sviluppo scientifico-tecnologico ha dotato la medicina di mezzi potenti per intervenire nel processo di morte. I progressi nelle tecniche di rianimazione e di mantenimento in vita e la possibilità del trapianto di organi hanno portato a una profonda revisione del criterio di m., non più basato sull’arresto delle funzioni cardiopolmonari, bensì sulla cessazione delle attività dell’encefalo (m. cerebrale). Alcuni individui colpiti da gravissime lesioni cerebrali, per es. dovute a traumi, a emorragie massive, una volta sottoposti a ventilazione meccanica, anziché andare incontro rapidamente all’arresto cardiaco, rimangono in uno stato di completa incoscienza e non presentano più segni di attività nervosa. Essi non danno alcuna risposta agli stimoli esterni, non respirano spontaneamente, sono privi dei meccanismi omeostatici, ossia quelli che provvedono a mantenere costante l’ambiente interno. Nell’agosto 1968, Henry K. Beecher (1904-1976) del Comitato ad hoc della Scuola medica di Harvard, pubblicò un celebre articolo intitolato A definition of irreversible coma. In esso propose il concetto di coma irreversible come un nuovo criterio di morte e si parlò per la prima volta del concetto di sindrome della morte cerebrale. Le caratteristiche di questo stato vennero così precisate: il soggetto non dà alcun segno di responsività e di recettività, non presenta alcun movimento, non respira spontaneamente una volta disconnesso dal ventilatore, non conserva alcun riflesso e l’elettroencefalogramma non rivela alcuna attività elettrica. Inoltre, i segni sopra elencati debbono mantenersi invariati per un periodo di 24 ore. In questo stato l’attività cardiaca persiste, purché venga proseguita la ventilazione meccanica. Dunque, la proposta della Scuola medica di Harvard fu di considerare morto un individuo che si trova nelle condizioni suddette, anche se il suo cuore continua a battere. Negli anni successivi tali criteri sono stati modificati in alcuni dettagli, ma nella sostanza rimangono tuttora validi e sono stati largamente accettati sia dalla comunità medica, sia dalla maggior parte delle legislazioni dei Paesi occidentali, che hanno fatto proprio il criterio di m. cerebrale.