Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tecnica artistica di antica tradizione, il mosaico è utilizzato nel Medioevo per la decorazione pavimentale e parietale, ma la diffusione dell’affresco, più veloce da realizzare e meno costoso, ne decreta il graduale abbandono. Mentre l’affresco viene usato sulle coste del Mediterraneo, nel Nord Europa, per ragioni climatiche che non permettono l’uso di quella tecnica, si preferisce esaltare la luminosità degli spazi interni grazie ad ampie vetrate.
Sebbene già conosciuta e largamente utilizzata in epoca ellenistica e romana, l’arte musiva conosce ampia fortuna con il cristianesimo nella decorazione degli edifici di culto, ma scarse e frammentarie sono le notizie sugli artisti, poiché i cicli figurativi sono frutto del lavoro di équipe di artigiani.
Il mosaico è composto da tessere diverse sia nelle dimensioni che nei materiali utilizzati; pietre o paste vitree permettono di creare effetti di contrasto tra lucido e opaco, mentre i metalli preziosi come l’oro e l’argento conferiscono maggiore risalto alle figure in primo piano. La luce delle candele che illumina gli spazi liturgici, riflettendosi sulle tessere, crea effetti di grande suggestione, soprattutto quando la superficie del mosaico è rivestita d’oro e segue superfici dall’andamento curvilineo: per esaltare la luminosità le tessere vengono disposte in maniera obliqua in prossimità di una finestra, catturando così la luce naturale per volgerla verso l’osservatore. Solitamente si recuperano i materiali in loco, ma esiste anche il reimpiego di antichi frammenti di marmo, così come l’uso di tessere estratte da mosaici rinvenuti nei pressi dei cantieri. I grandi cicli figurativi a mosaico risentono infatti dell’antica tradizione romana e delle influenze bizantine: i centri di maggior sviluppo sono Roma, la Sicilia e Venezia, dove lo stile bizantino è costantemente rievocato nei monumenti antichi.
A Roma nel XIII secolo i mosaicisti recuperano la tradizione paleocristiana rinnovandola: è il caso di Jacopo Torriti che nel 1295 realizza il mosaico absidale in Santa Maria Maggiore, dove l’ Incoronazione della Vergine presenta un raffinato cromatismo che denota l’influenza di Cimabue e Giotto. Nel 1297 è Filippo Rusuti a decorare con opere musive la medesima chiesa. Rusuti è seguace di Pietro Cavallini, insigne esponente della Scuola romana e autore dei mosaici di Santa Maria in Trastevere, dove il naturalismo delle immagini risente delle novità introdotte da Giotto. La stessa chiesa vanta i mosaici pavimentali realizzati dai Cosmati, membri di una famiglia romana specializzata in decorazioni marmoree: questo tipo di mosaico presenta analogie con la tradizione classica e predilige motivi geometrici realizzati con pietre e marmi colorati.
Di epoca medievale sono anche i mosaici del Battistero di Firenze e della Basilica di San Marco a Venezia, quest’ultima caratterizzata da un’intensa policromia resa ancor più efficace dagli sfondi dorati che illuminano le volte con preziosi riflessi.
Tra i principali cantieri musivi trecenteschi, quello per la facciata del Duomo di Orvieto presenta un maestoso ciclo mariano, del quale oggi non restano che pochi frammenti originali.
Il mosaico permette di realizzare grandi e suggestivi cicli figurativi, ma la rivoluzione giottesca, tesa a un maggiore naturalismo, rende la tecnica musiva obsoleta e non più adatta alle nuove esigenze narrative. Segue il suo graduale abbandono a favore dell’affresco e della vetrata, predilette dalla cultura gotica.
Con lo sviluppo del gotico cambia l’impostazione stilistica e architettonica degli edifici, determinando alterne fortune dell’affresco in base alle diverse aree geografiche. In Italia l’affresco, caratterizzato da una rapida esecuzione e destinato a ricoprire vaste superfici, sostituisce gradualmente il mosaico perché consente di realizzare cicli narrativi più dettagliati e naturalistici. Nel Nord Europa si preferisce l’utilizzo della vetrata, adatta a sfruttare al massimo l’illuminazione diurna. Le sue raffigurazioni possono essere visibili anche se poste ad altezze considerevoli.
Cennino Cennini dedica ampio spazio all’affresco nel suo Libro dell’arte (fine XIV sec.), illustrando le varie tecniche e i piccoli trucchi del mestiere.
Questa tecnica pittorica viene eseguita su uno strato di intonaco ancora umido che, asciugandosi, incorpora il colore, trattenendolo in maniera duratura. Sul primo strato di intonaco si traccia con ocra rossa la sinopia, ovvero il disegno di base, sul quale viene steso l’intonachino; questo rappresenta il vero supporto dell’affresco e deve mantenersi umido sino alla completa stesura del colore.
Il procedimento deve quindi necessariamente essere rapido, per questo l’intonachino è steso solamente sull’area destinata a essere dipinta in giornata. I ritocchi finali dell’affresco sono stesi spesso a secco con pennellate a tempera.
Diversamente dalle figure, le strutture architettoniche si delineano con l’utilizzo di strumenti appuntiti che incidono l’intonaco permettendo di tracciare precise linee geometriche.
Tra Duecento e Trecento Giotto realizza celebri cicli di affreschi nella Basilica superiore di Assisi, nella cappella degli Scrovegni a Padova e in Santa Croce a Firenze, dove i delicati contorni delle figure suscitano un’intensa partecipazione emotiva.
L’affresco, faticoso da realizzare per la difficoltà di apportare modifiche in caso di pentimenti, è anche molto delicato in quanto dipendente dalla struttura stessa dell’edificio e dal clima del luogo: con l’umidità infatti l’intonaco tende a staccarsi dalla parete e con esso la superficie dipinta. Per questo motivo la tecnica è più diffusa nei paesi mediterranei, dove il clima è mite e asciutto e dove minore è il rischio di infiltrazioni nelle pareti, causa di distacco e rovina degli affreschi.
Grazie a grandi cicli illustrati, scene bibliche e storie sacre risultano facilmente comprensibili ai fedeli, ma anche negli edifici pubblici i cicli mostrano, attraverso allegorie ed emblemi, le gesta e i fasti dei fondatori della città. Tra le opere di committenza civica si ricordano gli affreschi del Palazzo pubblico di Siena quali il Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini e le Allegorie del buono e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti, che costituiscono il maggiore ciclo profano dell’epoca.
Altrettanto degni di nota sono gli affreschi realizzati a Treviso da Tommaso da Modena per il convento domenicano di San Nicolò, dove l’artista ritrae con grande realismo 40 membri dell’ordine, dedicando particolare attenzione ai costumi e alla ricerca fisionomica.
Antichissima è l’usanza di chiudere finestre o piccole aperture con vetri colorati, ma solo a partire dall’XI secolo le vetrate conoscono una vasta diffusione fino ad assumere carattere sacro: la luce viene infatti interpretata come un elemento divino che, filtrando all’interno della chiesa, ha il potere di illuminare i fedeli sia fisicamente che spiritualmente. Già in fase di progettazione, infatti, l’intensità luminosa all’interno delle chiese viene intenzionalmente orientata verso gli spazi liturgici che si intende mettere in risalto.
Il primo trattato sulla fabbricazione delle vetrate è ascrivibile al monaco Theophilus (XII secolo), che nel secondo libro del De diversis artibus esalta l’uso di vetri colorati per decorare l’interno degli edifici. Lo sviluppo e la fortuna delle vetrate sono strettamente legati all’architettura gotica che, in previsione di una spinta verso l’alto della struttura portante, amplia gli spazi riservati a monofore e polifore.
La vetrata, sorretta da un’intelaiatura metallica che assicura stabilità all’intera composizione, è costituita da frammenti di vetro uniti da listelli di piombo: l’armatura di piombo ha la duplice funzione di tenere unite le parti e delineare i contorni delle figure. Il pittore esegue il disegno su un cartone preparatorio e qui dispone i frammenti di vetro tagliandoli secondo la misura prevista. Diverse tonalità di colore si ottengono aggiungendo ossidi metallici alle componenti del vetro.
La vetrata, protagonista dell’architettura gotica, in Francia ha una rilevanza particolarmente evidente nella cattedrale di Saint-Denis dove l’abate Suger, promotore della sua ricostruzione tra gli anni Trenta e Quaranta del XII secolo, la considera un’esperienza spirituale che permette all’osservatore di avvicinarsi alla bellezza divina; i colori traslucidi del vetro esaltano gli interni delle cattedrali come gemme preziose e il loro splendore deve stupire i fedeli esaltando la sacralità dello spazio liturgico. Celebri in questo senso sono le vetrate francesi di Chartres, Bourges e il grande rosone che decora la facciata della cattedrale di Amiens, senza dimenticare l’esempio della Sainte -Chapelle di Parigi (XIII secolo) dove la luce tenta di sostituirsi all’architettura, tanto leggera da simulare una semplice cornice.
Alla fine del XIII secolo, dato il costo elevato dei vetri colorati, si afferma la pratica di ricoprire il vetro bianco con un leggero strato di colore, che poteva essere inciso o in parte asportato usando una pietra pomice o strumenti appuntiti. Negli stessi anni, l’uso del giallo d’argento consente un’evoluzione della tecnica che lascia spazio a nuove sperimentazioni nella stesura del colore: questa tintura, fissata tramite cottura sul lato esterno della lastra di vetro, permette al colore di assumere diverse gradazioni, diminuendo così il numero delle rifiniture metalliche che uniscono le lastre.
Sebbene le vetrate più celebri siano di fattura francese, nel Nord Europa si registrano illustri cicli figurativi come quelli delle cattedrali di Canterbury, York o Strasburgo, la cui tecnica è finalizzata alla ricerca di un maggiore naturalismo.
Di solito è il maestro vetraio a fornire il disegno, seguendolo fino al termine dell’opera, ma in Italia questi ruoli si mantengono separati e gli autori di raffigurazioni destinate alle vetrate sono quasi sempre artisti “esterni”. Tra XII e XIII secolo le vetrate sono ideate dai maggiori artisti del tempo come Maso di Banco, Taddeo e Agnolo Gaddi o il Maestro di Figline (prima metà XIV sec.).
A cavallo tra Duecento e Trecento si data la realizzazione di una delle vetrate italiane più conosciute, quella del coro del Duomo di Siena (1287-1288) realizzata su disegno di Duccio di Buoninsegna: l’opera è resa originale grazie agli angeli del riquadro centrale che sovrastano con piedi e ali la cornice, portandola in secondo piano per conferire risalto alla figura della Vergine.